Colpevoli
amanti
Quarantadue giorni prima
Elisa
aprì la porta della cucina sbuffando.
La madre era ai fornelli e sentendola entrare la salutò allegramente.
Lei
rispose con un verso più simile ad un mugugno e lasciata cadere a terra la
borsa con i libri si sdraiò di schiena sulla panchina.
Le si chiudevano gli occhi, non che avesse fatto
chissà cosa: normale giornata da studentessa universitaria, ma era
particolarmente sfinita.
Le piaceva molto studiare, per quanto strano potesse sembrare: lo studio era
per lei come un luogo sicuro, in cui si rifugiava, conscia di essere lei a
guidare il gioco.
E quella mattina non era successo niente di speciale od entusiasmante: a
spossarla era stata la faticaccia che aveva fatto sforzandosi di non lasciar
abbassare le palpebre mentre il professor Gargianti
faceva la sua spiegazione.
Era un ometto che raggiungeva appena il metro e cinquanta, con i capelli
bianchi ed arruffati e gli occhiali a fondo di bottiglia.
Le
ricordava uno gnomo, ma non era uno di quelli buoni e coccolosi, era uno gnomo
di quelli acidi e scorbutici.
Più di una volta aveva fantasticato di saltargli ripetutamente sulla testa e di
seppellirlo così, lasciandogli fuori solamente il naso per respirare: la bocca
non gli serviva.
Elisa non metteva in discussione che fosse un bravo professore, preparato sulla
sua materia; ma era sicura al cento per cento che non fosse in grado di
insegnare ai giovani: l’obiettivo dovrebbe essere quello di accendere
nelle nuove menti un forte desiderio di apprendere, quella sottospecie di nano
invece riusciva egregiamente solo a spegnere anche quell’ultimo barlume
di intelligenza che i molti conservavano gelosamente.
Stava per darla vinta alla stanchezza quando si ritrovò il viso festoso della
madre a pochi centimetri dal suo.
- Tesoro! Com’è andata oggi? -
Elisa represse uno sbadiglio e si alzò a sedere, strofinandosi gli occhi guardò
la madre che con le mani sui fianchi la studiava impensierita.
Fece
una smorfia e rispose:
- Tutto bene, come al solito. Solo che questa volta non ho retto alla
spiegazione del Gargianti e ora devo chiamare Marta,
sperando che almeno lei abbia preso qualche appunto vagamente sensato -
La madre annuì con fare comprensivo e con un sorriso le chiese se avesse voglia
di un caffè.
Elisa acconsentì indolentemente e ridacchiò fra sé
ripensando alla scena di quella mattina: quando Luigi, seduto al suo fianco, le
aveva bisbigliato:
- Ho appena ingurgitato un pacchetto di poket coffe,
perché non mi risveglio improvvisamente dal torpore come quelli della
pubblicità? -
Aveva coperto la bocca con la mano per non lasciar intravedere al professore il
suo divertimento, ma quando Marta da dietro aveva risposto:
- Semplice: niente è più forte del potere soporifero di Gargianti,
io dico che è Morfeo in incognito! -
Non era più riuscita a trattenere una risata.
Aveva
ricevuto un’occhiataccia dal professore ma se ne era altamente
infischiata: almeno lei aveva dimostrato di essere viva, cosa alquanto
discutibile per quanto riguardava il resto degli studenti.
Prendendo la tazza di caffè dalle mani della madre le cadde l’occhio
sull’orologio e la posizione delle lancette la fece sobbalzare: doveva
sbrigarsi a chiamare Marta o rischiava di sentirsi rispondere dal padre che era
andata a studiare in biblioteca, che poi era il nuovo nome dato alla camera del
suo ragazzo dove di certo non avrebbero studiato.
Si alzò
per prendere il telefono ma non appena ebbe poggiato le dita sul cordless fu
fermata dalla madre che scosse la testa ansiosamente:
- E’ occupato: Viviana -
Diede quella come unica spiegazione: il nome della sorella.
Elisa sospirò e si diresse verso la sua camera, trascinandosi dietro la borsa.
Si accasciò davanti alla scrivania e iniziò a borbottare: Viviana!
Da più
di un mese non faceva altro che parlare di quel nuovo ragazzo,
incessantemente… sempre, solo ed unicamente di lui.
E
quando non parlava di lui, era solamente perché stava chiacchierando con lui al
telefono: dialoghi infiniti e sconclusionati che era arrivata ad odiare con
tutto il cuore.
Un pomeriggio che Elisa era particolarmente nervosa, aveva tentato di fare una
carognata alla sorella: aveva cercato di convincere la madre a proibirle di
usare il telefono usando a proprio favore le bollette salate, ma non aveva
ottenuto niente. La madre infatti se ne era uscita con
discorsi romantici e sdolcinati su come fossero carini assieme quei due e per
concludere in bellezza aveva fatto una bella predica ad Elisa perché lei non
stava mai con nessuno per più di due settimane.
Stava ancora rimuginando quando la porta si aprì lasciando entrare Viviana,
ancora attaccata al telefono:
- No, attacca tu. No tu. Tocca a te! -
Elisa nascose il viso fra le mani, ponderando l’idea di attaccare lei:
avrebbe fatto un favore a tutti così.
Come odiava quelle conversazioni mielose!
Non aveva mai fatto qualcosa del genere con nessuno dei suoi ragazzi, e ne
aveva avuti tanti…
Dopo qualche altro minuto di “No, tu” Elisa sentì il clic che
indicava la conclusione di una chiamata e piegò la testa all’indietro per
osservare la sorella seduta sul suo letto: era tutta sorridente, con gli occhi
che trasudavano eccitazione.
Elisa
non riuscì a non ricambiare il suo sorriso, nonostante non ne contraccambiasse
la felicità.
Viviana si lasciò cadere all’indietro sul materasso con un sospiro di
pura gioia:
- Eli! Quando ti deciderai ad incontrare il mio
Stefano? -
Elisa avvicinò la sedia al letto ed allungò le gambe accanto a quelle della
sorella.
Non le andava per niente di incontrarlo: non aveva mai voluto conoscere nessuno
dei ragazzi della sorella e per altro Viviana non glielo aveva mai chiesto,
quello era il primo per cui insisteva tanto. Viviana percepì la contrarietà
della sorella ma non si arrese, e anzi si alzò a sedere, come per fronteggiare
meglio la discussione:
- Eli, per favore! E’ importante questa volta!
Ci tengo a che tu lo conosca. Che dici di un caffè tutti assieme più tardi? -
Elisa scosse la testa: no, preferiva studiare.
Distolse lo sguardo dagli occhi supplicanti della sorella: ma che le importava
del suo parere?
Mica se non le fosse piaciuto lo avrebbe lasciato o sarebbe
minimamente cambiato qualcosa?
Viviana emise un sospiro di impazienza:
- Ma perché sei così testarda? Dai, oggi non devo neanche fare praticantato
all’ospedale, vieni con noi! Non puoi nemmeno usare la scusa che già non
lo sopporti, non sai niente di lui: lo so che non mi ascolti quando farnetico
di lui! -
Aggiunse quasi fosse una minaccia.
Ad
Elisa venne da ridere: aveva perfettamente ragione, non sapeva niente di quel
tipo.
Cercò
velocemente qualche informazione su di lui che poteva aver immagazzinato
casualmente e le venne in mente come puzzasse la sorella quando tornava da un
appuntamento con lui. Sorrise trionfante:
- E’ un fumatore. Lo sai che non sopporto il fumo -
Viviana rimase un attimo sorpresa da quell’affermazione, poi però tornò a
sorridere:
- Allora ti prometto che mi impegnerò a non fargli accendere nemmeno una
sigaretta mentre ci sei anche tu. Ora non hai più giustificazioni: ci vediamo
fra un’ora al bar all’angolo, puntuale! -
Detto questo Viviana si alzò e si avviò alla porta,
ignorando la smorfia di disappunto della sorella. Prima di uscire la sentì dire:
- Almeno facciamo ad un bar che mi piace: quello vicino all’università! -
*