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Autore: Himechan    31/12/2009    2 recensioni
Asso è un egoista.
Asso è nato solo, vive solo e morirà solo.
Solo con il suo cielo infinito.
Lontano dalla terra che tanto ti aveva fatto del male.
Ti rinchiudevi in quel tuo guscio volante, e scappavi via, lontano dai sentimenti, da chi ti aveva ferito, ma anche da chi ti aveva amato e continuava a farlo in silenzio.
§Capitoli I-II: terza classificata e vincitrice Premio giuria al "Le fleurs du Mal contest", indetto da Pagliaccio di Dio§
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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WARNING: Piccolo avviso. Verso la fine del capitolo, è presente una scena slash, in cui viene cioè descritto in maniera non del tutto esplicita ma abbastanza evocativa, un amplesso yaoi piuttosto violento. Se la cosa vi infastidisce, vi consiglio di passare con lo sguardo a qualche riga dopo.



                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             




 Mi domando, disse,
 se le stelle sono luminose
 perché un giorno, ognuno,
 possa trovare la propria.                                                                                                                                                                                                    

Antoine de Saint-Exupéry, Le Petit Prince
                                                                                                                                                                                                   
                                
L'ultima punizione gli era rimasta ben impressa, così per qualche giorno, decise di defilarsi un po' dalla vita dell'istituto e di non cacciarsi in qualche impiccio.
Parlava ancora di meno e rispondeva solo se espressamente interpellato: per il resto si chiudeva nei suoi soliti mutismi ostinati e irritanti.
Una sera, prima di andare a dormire, si era messo a sedere sulla balaustra fuori dalla finestra, in silenzio, con le gambe penzoloni, a fissare il cielo e le stelle sopra di sé. Poi aveva preso dalla tasca dei pantaloni una piccola armonica a bocca e se l'era portata alle labbra, fischiettando una melodia strampalata, inventata lì sul momento.
A volte si chiedeva se quel mondo fosse ampio abbastanza per contenere la sua voglia innata di evadere, di scappare da tutto e da tutti, e ogni volta la risposta era sempre la stessa.
No.
Semplicemente il mondo non era mai troppo grande per fuggire dalle umiliazioni, dalle botte, dalla violenza, dalla solitudine, dall'angoscia che lo pervadevano ogni volta che appoggiava la testa sul cuscino cercando di ricacciare indietro le lacrime prima di addormentarsi. Neanche quando tutti riposavano, nel silenzio dello stanzone, e nessuno poteva sentirlo, si azzardava ad abbandonarsi alla tristezza. Non poteva permetterselo. Non aveva ricordi belli, per cui gli pareva assurdo e impensabile piangere per qualcosa che per lui non era mai esistito.
E sprezzante sognava di volare, libero, senza catene.
E pensando, era arrivato alla semplice conclusione di non essere nato per stare sulla terra.
Sollevò lo sguardo alle stelle e si domandò se un giorno avrebbe potuto toccarne una. Forse solo allora avrebbe potuto considerarsi davvero libero, nuotando in quell’immensità senza fine, lontano da tutto e da tutti. Ed era in quello stesso istante che aveva capito che toccare le stelle con le dita, e nuotare tra le soffici nuvole, sarebbe stato il preciso scopo della sua esistenza.
-Ciao-
Una tenera voce infantile lo richiamò alla sua realtà, facendolo girare di scatto e interrompendo il filo dei propri pensieri e della melodia dell’armonica.
Non si era neanche accorto che Lee gli era venuta vicino ed ora era seduta proprio accanto a lui, dondolando le gambe e fissandolo con occhi vivaci e curiosi.
-Ti disturbo?- gli rivolse un sorriso esitante mentre gli porgeva un piccolo involto colorato.
-Uh…No- borbottò lui grattandosi la testa imbarazzato e ricacciando in tasca l’armonica.
-Però devi smetterla di comparire sempre così all’improvviso! Un giorno di questi mi farai cadere di sotto-
-E io verrò con te- sorrise lei, e per un attimo Jamie non capì se diceva sul serio o stava semplicemente prendendolo in giro come sempre.
-Stupida, che cos’è?- le domandò burbero, ignorando di proposito la sua affermazione.
-Aprilo e lo scoprirai- gli rispose lei con un’alzata di spalle e un sorriso misterioso.
James la fissò con aria non troppo convinta poi le prese il pacchetto dalle mani e lo scartò continuando a lanciarle strane occhiate –Guarda che non c’è una bomba dentro, non aver paura!-
-Io non ho paura- sbuffò lui arricciando il labbro in segno di sfida e finito di aprire la carta si trovò davanti agli occhi un delizioso muffin cosparso di tante piccole gocce di cioccolato.
-E questo?- non capiva perché lei glielo avesse portato. Non gli veniva in mente alcuna motivazione particolare. Non era il suo compleanno, e anche se lo fosse stato sapeva che odiava festeggiarlo, e a quanto ricordava non era neppure quello di Lee, e allora perché?
I gesti gentili non facevano parte di lui, né le smancerie. Lei invece gli portava sempre qualcosa che gli facesse piacere, nonostante lui la rimproverasse di continuo.
E nonostante questo, James si stupiva ogni volta della sua ostinazione.
-E’ per te, sciocco!-
-Non è il mio compleanno- ribatté lui cercando di apparire il più distaccato possibile mentre si rigirava l’incarto tra le mani.
In realtà era estasiato.
Allora Lee prese dalla tasca della gonna una scatolina di cerini, ne sfregò uno sulla superficie ruvida e lo accese, dopodiché lo infilzò sulla punta del dolce.
-Ma che ti salta in testa?- fece lui, sempre più stupito e lei per tutta risposta lo fissò con uno sguardo intenso e muto.
I loro visi, vicinissimi, erano appena rischiarati dalla tenue fiammella del fiammifero.
-Dobbiamo fare una promessa- cominciò lei in tono solenne, da cospiratore.
James inarcò un sopracciglio, sempre più stupito -Una promessa? Che genere di promessa?- le chiese a voce bassissima.
Se li avessero scoperti li avrebbero puniti entrambi finché non avrebbero avuto più fiato, ma mentre James era incurante di quello che rischiava, per Lee non era propriamente la stessa cosa. Lei non aveva mai assaggiato una frusta, o una bastonata sulle ginocchia, e al solo pensiero che potesse anche subire in minima parte quello che avevano fatto a lui, rabbrividì di terrore.
Per questo con modi spicci, le intimò di ritornare a letto.
Ma lei non lo ascoltò.
-Prima dobbiamo fare una promessa- continuò lei, imperterrita.
-Okay ma sbrigati. Se Jonas ci scopre ci farà ricordare la tua promessa finché campiamo- sogghignò.
Ormai non gli faceva più paura come prima, ma temeva per Lee. Nessuno doveva sfiorarla con un dito, tantomeno quell’individuo viscido e ripugnante.
-Dammi la mano-
Jamie continuava a fissarla sempre più sbalordito, ma alla fine decise di ubbidirle e le porse la mano. Lei gliela strinse, e il contatto con quelle dita sottili e delicate gli lasciò nel cuore un vago senso di tepore.
-Giuri che io e te non ci lasceremo mai?-
James le rivolse un mezzo sorriso sorpreso –Lee ma che razza di…-
-Giuralo!-
Continuava a non capire.
-Okay, se ti fa piacere, lo giuro- sbuffò, sospirando per assecondarla.
-E mi giuri che non ti dimenticherai mai di me? Neanche tra dieci o venti o trenta anni?- continuò lei, gli immensi occhi grigi a fissarlo come pezzi di quel cielo scuro che tanto amava.
Cominciava a sentirsi lievemente a disagio.
-Lee la smetti, sembra che…-
-Giuralo!- esclamò con un tono perentorio che mai si sarebbe aspettato da una bambina di nove anni.
-E va bene…e poi lo sai che non ti dimenticherò, che bisogno c’è adesso di giurarlo così-
-E mi amerai per tutta la vita?-  stavolta la richiesta era giunta totalmente inaspettata, mentre continuava a guardarlo senza mollare di un centimetro i suoi occhi azzurri.
-Giuralo-
La sua voce ora si era fatta quasi impercettibile.
James rimase in silenzio per un po’, cercando di capire dove lei volesse arrivare.
-Lo sai che ti vorrò sempre bene perché devo ripetertelo?- cominciava a spazientirsi perché odiava dover dimostrare ciò che provava a parole.
-Okay- poi Lee tornò a fissare il dolce che custodiva tra le mani poste a coppa e assunse un espressione pensierosa –Anch’io lo prometto. Prometto davanti questo muffin che io ti amerò per sempre, e che qualunque cosa succeda non ti dimenticherò mai- disse solennemente, poi tornò a guardare Jamie con un sorriso infantile e gli porse il dolce
-Ora soffia!-
Spensero contemporaneamente il fiammifero e un secondo dopo scoppiarono in una risata complice, di cuore, poi James le fece cenno di abbassare la voce per non svegliare gli altri e spezzò a metà il dolce.
-E questo stavolta dove lo avresti trovato?- le chiese dopo un po' lui incuriosito, mentre si metteva in bocca la sua parte, assaporandola piano.
Stavolta però il viso di Lee si rabbuiò improvvisamente mentre prendeva a smollicare il suo muffin e a gettare metodicamente le briciole di sotto.
-Ehi ma che fai? Se non ti piace puoi darlo a me!- protestò lui indignato. Erano secoli che non assaggiava una delizia simile e sprecarla in quel modo gli pareva inconcepibile.
-Tra due giorni dei signori verranno a prendermi- disse solamente, con voce spezzata.
James credette di non aver compreso bene.
Per poco non si strozzò con il dolce.
-Ch…che significa, scusa? Quali signori?-
-Non lo so. Me lo ha detto stamattina la signora Novacek. Ha detto che sono molto buoni e non hanno figli e vorrebbero…-
-Okay, ho capito- disse lui seccamente.
Aveva afferrato al volo il motivo di quelle sue bizzarre richieste.
Ora Lee aveva le lacrime agli occhi.
-Ti hanno adottato- sospirò come se fosse stata la cosa più naturale del mondo -Beh, funziona così. Loro vengono qui e scelgono un bambino carino, buono ed educato. E stavolta hanno scelto te, contenta?- ribatté con aria di sufficienza, girandosi a lanciare un sassolino lontano, davanti a sé. Le gambe che penzolavano nervosamente.
-No! Non sono contenta!- gli rispose lei stizzita -Io non voglio andarmene da qui! Non voglio! Ma sembra che a te non importi nulla!-
-Abbassa la voce o sveglierai mezzo dormitorio- mormorò Jamie rivolgendole un’occhiataccia -Se i grandi hanno deciso così, devi andare e basta. Ritieniti fortunata che hanno scelto te e non un neonato. Perché in genere più piccoli sono e meglio è. Sono sicuro che ti troverai molto meglio che in questo postaccio- replicò in tono calmissimo continuando a lanciare minuscoli sassolini verso l’oscurità.
-Quindi tu… tu saresti contento se io me ne andassi- mormorò lei a bassa voce, tirando su con il naso e guardandolo dritto in faccia con gli occhi pieni di lacrime.
-Te l’ho detto se hanno deciso così tu devi obbedire capito? Tu sei solo una piccola bambina, non puoi farci niente- le disse stancamente con un tono di superiorità.
-Non è vero! Tu non hai mai obbedito a nessuno, perché devo farlo io?-
Sembrava che non volesse sentire ragioni.
-Tu devi obbedire, altrimenti ti ritroverai come me-
-Non mi interessa, io voglio stare con te! Perché non ce ne andiamo da qui? Scappiamo!- gli prese entrambe le mani, ma James scoppiò in una risata stridula, acida che gelò tutte le sue misere speranze.
-Sei impazzita? Tu non ti rendi proprio conto di quello che dici. Ti conviene accettare tutto quello che ti daranno i tuoi nuovi genitori, perché ti faranno fare una vita molto più bella-
-Io non voglio andare via con quei signori! Jamie ti prego fai qualcosa- lo implorò, ma lui le rivolse un’occhiata infastidita.
-Smettila di piagnucolare. Starai benissimo, devi solo abituarti all’idea. Di sicuro non ti faranno dormire nella stessa stanza con altri venti ragazzini, e non ti daranno per cena quelle brodaglie schifose che mangiamo qui-
Quante volte aveva sognato qualcuno che gli rimboccasse le coperte prima di andare a dormire. E magari qualcuno che gli raccontasse una bella storia.
E quanta paura che aveva del buio!
La piena oscurità lo terrorizzava, per questo spesso fuggiva di fuori a guardare la luce delle stelle dove c’era un tenue bagliore a rappresentare l’unica luce di conforto.
Il conforto.
Quello che a lui non era mai stato dato.
-Non ti dispiacerà neanche un pochino?- gli chiese lei in un bisbiglio asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
-Sciocca, certo che mi dispiacerà, ma so anche che con i tuoi nuovi genitori starai molto meglio- ma mentre diceva quelle parole la sua voce gli suonò fastidiosamente falsa e affettata.
-Dici davvero?- le sue parole sembrarono confortarla.
-Sì, ne sono sicuro. Certo però che sei scorretta- sbuffò lui incrociando le braccia, tentando di sdrammatizzare.
-Io? Perché?-
-Perché già sapevi tutto quando mi hai fatto fare la promessa-
E forse già sapevi cosa era più giusto per te
-Lo so, ma non potevo non dirti niente- replicò lei quasi a volersi scusare. Delle volte James le metteva addosso una curiosa soggezione che la faceva sentire in dovere di giustificarsi anche per le piccole cose. Figurarsi questa.
-Credo…credo che mi mancherà tutto questo. Tu mi mancherai- e nel modo in cui glielo disse c’era qualcosa di così diretto e profondo che lui provò quasi una stretta al cuore.
Tuttavia cercò di non badarvi e abbassò la testa a fissarsi le ginocchia -Starai molto meglio con la tua nuova famiglia, vedrai e poi, quando ne avrai voglia potrai sempre tornare a trovarmi non ti pare?-
-S-sì, ma non sarà più la stessa cosa, lo sai- mormorò Lee cominciando anche lei a tirare piccoli sassolini verso l’oscurità avanti a sé -E poi tu fra un po’ te ne andrai da questo posto-
E chissà se ti rivedrò mai più. Tu non sei fatto per le cose stabili, dove tutto è già scritto.
Tu sei imprevedibile, e volerai lontano da tutto e da tutti.
Lo so.
-Beh spero proprio di andarmene prima o poi. Più prima che poi, in effetti. E quando avrò compiuto sedici anni mi arruolerò, ho deciso. Sarò un pilota della Raf!- asserì solennemente, e in quell’istante, mentre lo fissava di sottecchi, scrutandogli il profilo dai tratti definiti e regolari, a Lee sembrò già molto grande e bello.
-La Raf? E cosa sarebbe?- chiese lei ingenuamente.
James la guardò con aria di sufficienza. A volte la trattava quasi come una bimba piccolissima a cui si devono spiegare solo le cose semplici semplici. Lui dall’alto dei suoi quattordici anni si sentiva un uomo vissuto.
-La Raf è l’aviazione militare di Sua Maestà- disse scandendo bene le parole, in tono pieno di orgoglio -Conosci Walter Beech?-
-No-
James alzò gli occhi al cielo.
-E Eugen Bullard?-
-E chi è?-
-E’ ovvio che non li conosci sei ancora piccola- sogghignò, cosciente di farla arrabbiare.
-Io non sono piccola!-
-Okay, scherzavo. Beh, comunque io diventerò come loro. Sarò un aviatore, e volerò sui mari e nel cielo-
E nessuno potrà prendermi, sarò più veloce della luce.
-Un aviatore?- Lee lo fissò a bocca aperta, piena di genuina ammirazione.
Era la prima volta che Jamie le parlava dei propri sogni e dei suoi progetti dopo l’orfanotrofio.
Lui annuì convinto mentre giocherellava con la carta in cui avevano avvolto il muffin.
-Sì, voglio essere un pilota e sfidare le nuvole e le stelle e volare più in alto di loro!- disse pieno di enfasi, alzando lo sguardo verso la volta stellata.
Lee alzò gli occhi assieme a lui.
-La vedi quella stella laggiù?- disse mentre le indicava un punto lontano ma luminosissimo.
-Oh sì! La vedo!- esclamò Lee elettrizzata.
-Quella è Sirio, la stella più luminosa di tutte le costellazioni celesti. Io ti prometto che arriverò a toccarla con il mio aeroplano- disse in tono solenne, rivolgendole un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
-Dici sul serio?- gli occhi grigi della ragazzina brillavano di eccitazione e di entusiasmo. Per lei tutto ciò che diceva Jamie era legge.
-Ti ho mai detto una bugia?-
Scosse energicamente la testa mentre le veniva in mente qualcosa -E quando sarò grande mi porterai con te sulla stella più luminosa di tutte?-
James fece per pensarci un po’ su –Uhm… Non so se sul mio aeroplano ci sarà posto anche per te- fece serio serio ma non appena vide l’espressione delusa di Lee, i suoi occhi e la sua bocca sorrisero di nuovo mentre le arruffava scherzoso i capelli -Sciocca, tu sarai la prima che verrà con me! Ti porterò ovunque, e gireremo tutto il mondo su un aereo. Nessuno potrà prenderci e riportarci sulla terra-
-Mi sembra una bellissima idea!- esclamò Lee buttandogli le braccia al collo con impeto, facendolo barcollare.
-Ehi sta attenta, vuoi farmi schiantare ancora prima di esserci salito su un aereo?- scherzò ricambiando il suo abbraccio veemente.
-Nessuno potrà prenderci, nessuno- ripeté lei a bassa voce, appoggiandogli la testa sul petto, ascoltando i battiti del suo cuore.
Sì Jamie le sembrava davvero grande, bello e forte. Era il suo eroe e un giorno lo avrebbe sposato, ne era sicura.
Rimasero un altro po’ lì a chiacchierare e a fantasticare su quello che il futuro avrebbe riservato loro, poi, James la costrinse a tornarsene in camera sua anche se Lee non avrebbe mai voluto staccarsi da lui e se ne andarono a dormire sognanti e felici nonostante l’imminente separazione.

                                                                                                                  ***

Non si videro più fino al giorno della partenza di Lee.
Era adorabile e graziosissima con un vestitino di lana color verde pastello, gli stivaletti di cuoio marroni, i lunghi capelli biondo miele legati in una lunga treccia che le copriva tutta la schiena, e un delizioso cappellino che la faceva sembrare una piccola principessa.
Si guardava attorno lievemente smarrita, lì nel largo piazzale dell’istituto San Francis, mentre salutava con le lacrime agli occhi una ad una le piccole amiche con cui aveva condiviso tutti quegli anni di orfanotrofio.
Poco distanti l’aspettavano i suoi nuovi genitori: un uomo alto, elegante, dal sorriso caldo e rassicurante, e sua moglie, una bellissima donna giovane, dai lunghi capelli biondi, i signori Keegan.
Lee continuava a guardarsi intorno mentre prendeva congedo dalle sue amiche e dalle sue istitutrici, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
Qualcuno.
E finalmente lo vide.
Proprio mentre stava per perdere la speranza lo vide arrivare, e correre trafelato verso di lei.
In mano teneva qualcosa.
-Jamie!-
-Questo è per te- mormorò lui con il fiatone, semplicemente, porgendole un piccolo aeroplano fatto di carta.
Sulle ali aveva disegnato da una parte la sua faccia e dall’altra quella di lei.
-Così voleremo insieme, anche se non ci vedremo tutti i giorni- le spiegò con semplicità, passandosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
Allora lei non resistette e gli gettò le braccia al collo, scoppiando a piangere, disperatamente.
-Jamie…Io…- i singhiozzi le impedivano quasi di parlare –Io non ti dimenticherò mai. Ricordati la promessa-
Lui la staccò piano piano da sé asciugandole le lacrime con la punta delle dita -Me ne ricorderò. E tu non scordare la mia. Un giorno, io e te, sulla stella più luminosa del cielo, okay?- le sussurrò a bassa voce, fissandola intensamente negli occhi, come a imprimersi il ricordo di quel faccino tenero e triste per tutta la vita.
Lei annuì con convinzione -Non dimenticarlo neanche tu però, okay?-
-Ti ho mai detto una bugia?-
-No-
-Bene, allora asciugati quegli occhi e corri dai tuoi- mormorò lui sentendo uno strano peso sul cuore.
-Jamie-
E inaspettato arrivò un piccolo bacio sulla guancia, che lo fece arrossire -Ti voglio bene Jamie, anche questo non scordarlo mai!- e detto ciò gli voltò le spalle e s'incamminò verso la sua nuova vita, senza più girarsi.
James rimase a fissarla finché non scomparve dalla sua vista.
Poi le fece un ultimo, breve cenno della mano mentre lei dall’automobile si sbracciava a salutarlo.
-Ci vediamo su una stella, piccola-


                                                                                                                         ***



Rientrare in istituto con la consapevolezza che Lee, il suo unico conforto e la sua gioia, non c’era più non fu affatto semplice.
James pianse tutte le sue lacrime, chiuso in bagno, lontano da tutti, soffocando i singhiozzi nella manica della sua camicia, finché non si fu calmato, e il suo respiro tornò regolare. Fu solo allora che si decise ad uscire, ma una volta aperta la porta del gabinetto si trovò immediatamente faccia a faccia con Thomas Wentz, il ragazzo con cui giorni prima aveva fatto a botte, e altri due ragazzi con i quali non aveva mai scambiato una parola e conosceva solo di vista.
Erano tutti e tre di un anno più grandi di lui e avevano una faccia minacciosa, che non prometteva niente di buono.
-Che cazzo vuoi?- gli domandò a bruciapelo James, pregando che non si accorgesse dei suoi occhi rossi. Nessuno doveva vederlo debole e indifeso.
-La signorina ha appena pianto per caso?- lo canzonò il ragazzo girando la testa a fissare i suoi due compari con un ghigno malevolo e compiaciuto.
-A quanto sembra la tua piccola amica se ne è andata. Povero piccolo Jamie Boy- sghignazzò quello in tono derisorio.
James fece finta di non sentire le sue parole e fece forza sul proprio autocontrollo già molto precario.
-Non ti sono bastate le legnate che ti ho dato l’altro giorno?- gli chiese di rimando, con aria strafottente, fissandolo dritto negli occhi, con aria di sfida.
Thomas Wentz aveva occhi neri come pece, freddi, e possedevano la stessa determinazione e lo stesso fuoco bruciante di quelli di James. Si guardarono a lungo, in silenzio, poi Wentz prese un lembo del grosso cerotto che gli avevano applicato sulla parte destra del volto dopo che si era ferito con i vetri della finestra su cui era caduto, e lo sollevò senza dire una parola, quel tanto che bastava a mostrare una lunga ferita rosso vivo che partiva dallo zigomo destro percorrendo tutta la guancia fino alla bocca, dandogli un ghigno minaccioso, quasi diabolico.
James fissò la cicatrice inorridito.
-La vedi questa?-  disse lentamente in tono mellifluo, nascondendo di nuovo la ferita sotto la medicazione -Questo è il piccolo regalo che mi hai fatto l’altro giorno-
-Non posso farci niente se i vetri della finestra ti sono venuti in faccia- rispose James sentendo un lieve tremito di paura dentro di sé. Fece per superare il terzetto e andarsene ma i due che spalleggiavano Thomas gli si pararono davanti, bloccandogli il passaggio.
-Giusto, non è colpa tua se avrò in faccia questa cicatrice per tutta la vita. Però…- si fermò un attimo, come se stesse per dire qualcosa di importantissimo -Ora che ci penso, non mi interessa affatto!- e un attimo dopo, un violento quanto inaspettato colpo alla schiena lo fece stramazzare a terra con un gemito.
I tre lo circondarono immediatamente, mentre lui cercava prontamente di rialzarsi ma un altro calcio, dritto alla bocca allo stomaco lo fece cadere di nuovo, facendogli sbattere la testa contro il lavandino.
Tramortito dalla botta James tentò di rialzarsi una seconda volta, ma quattro braccia, due da una parte, e due dall’altra, lo afferrarono per le spalle rialzandolo di peso, e rimettendolo in piedi, bloccandolo con le spalle al muro. Thomas Wentz gli stava di fronte, sfidandolo con un ghigno soddisfatto. Avevano la stessa considerevole altezza, pur essendo due adolescenti, e quindi potevano guardarsi dritti negli occhi: James lo fissava sprezzante, con tutto l’odio di cui era capace, Wentz invece continuava ad avere quel sorrisetto odioso stampato sulla faccia.
-Ti conviene che i tuoi compari rimangano qui a tenermi fermo, altrimenti potrebbe andarti male bastardo!- gli gridò sprezzante James che cercava con tutte le proprie forze di liberarsi dalla presa dei due.
Thomas gli rise in faccia -La tua arroganza non manca mai, a quanto vedo- ribatté sarcastico -Peccato per te che noi siamo tre e tu sei uno e quello che farà una brutta fine non sarò di certo io, ti è chiaro amico?- sibilò avvicinandosi a lui e sfiorandogli i folti capelli castani con la punta delle dita mentre James si dimenava furibondo, come un leone in gabbia, urlando improperi irripetibili. Allora Wentz si staccò un po’ di più, lievemente infastidito da tanto chiasso e fece per voltargli le spalle.
-Cos’è non ce l’hai il coraggio per sporcarti le mani? Sei solo un vigliacco Thomas Wentz!- lo schernì James con odio, sputandogli addosso, ma un secondo dopo, quello si girò di nuovo e gli sferrò un pugno dritto in faccia, talmente violento che per un attimo vide tutto nero.
Un crack.
E poi un dolore fortissimo.
Gli aveva rotto il naso.
-Questo è per la mia cicatrice- sogghignò soddisfatto Thomas, mentre gli altri due che lo tenevano immobile esultavano eccitati.
Poi un altro pugno, feroce, di nuovo allo stomaco, che lo fece curvare pericolosamente in avanti, con la testa piegata sul petto a bagnargli di sangue la camicia.
-E questo, bamboccio, per tutte le volte in cui hai creduto di essere il più forte…E invece non eri nessuno…-
I due lo tirarono su di peso, ancora una volta, e un terzo pugno gli arrivò al fianco, e un altro ancora di nuovo in faccia, spaccandogli un sopracciglio, e altri due ancora in pancia, e quando ebbe finito, Thomas Wentz respirava affannosamente, fissando James, che ormai non si reggeva più sulle proprie gambe e aveva la testa ciondoloni.
-Lasciatelo!- ordinò agli altri due compagni, perentoriamente, e loro obbedirono, mollando la presa e facendolo afflosciare come un burattino, senza più fili, ai loro piedi.
Al contatto della sua faccia tumefatta e insanguinata contro il freddo del pavimento, James rabbrividì ma trovò ancora la forza di alzare lo sguardo verso Thomas e di sfidarlo con tutto l’odio e la rabbia di cui era capace.
-Adesso metterai in bocca quello che io ti darò- lo minacciò sottilmente Wentz, mentre da sotto, James lo fissava come un cane rabbioso, respirando affannosamente, il sangue che gli colava lento dal naso -Altrimenti stavolta io ti ucciderò-
La sua minaccia era ipocritamente carezzevole ma ugualmente terrificante.
Allora cominciò a fare quello che James non avrebbe mai sognato nemmeno nel peggiore dei suoi incubi.
Wentz iniziò lentamente a sbottonarsi i pantaloni, fissandolo con uno sguardo eccitato, da pazzo.
No, dimmi che non lo farà.
Io non…
-Ora obbedirai in silenzio, altrimenti ricomincerò a darti tante di quelle botte che rimpiangerai questo momento per tutta la tua schifosissima e inutile vita- e detto questo con un solo gesto lo strattonò per i capelli, facendolo gemere per il dolore, e se lo avvicinò all’inguine.
James poteva sentire solo le risatine di quei due, dietro Wentz mentre questo sempre più eccitato si slacciava anche l’ultimo bottone.
Allora capì che doveva reagire.
Non poteva soccombere a quel modo.
Doveva fare qualcosa.
Finse di non opporre resistenza in modo che Wentz smettesse di tenergli la testa premuta contro le proprie parti intime, e un secondo prima che lui liberasse la propria virilità già bella che eccitata gli diede un violento morso sulla mano, attaccandosi al palmo con tutta la forza che aveva in corpo.
-Brutto pezzo di…- Wentz urlò per il dolore mentre tentava di staccarsi da quella presa infernale.
Dovette intervenire immediatamente uno degli altri due e dargli un violento calcio nello stomaco per fargli mollare la presa.
-Mi ha quasi staccato la mano questo lurido figlio di puttana!- gridò Wentz inorridito, tenendosi con l’altra mano quella che James aveva morso e che ora sanguinava copiosamente.
Ora era lui, che aveva preso a sghignazzare in maniera scomposta, irridente –Sei…sei solo un povero scemo- continuò ridendo irrefrenabilmente, gettando la testa all’indietro, e riprendendo a ridere e a gemere per il dolore finché non ebbe più fiato e non sentì che gli altri due lo avevano bloccato di nuovo, facendolo rudemente stendere in posizione prona; ora uno gli sedeva sulla schiena, tenendolo fermo, con la faccia premuta a terra, l’altro gli aveva bloccato i polsi sopra la testa, con entrambe le mani.
-Io…io adesso sarei lo scemo, eh?- sorrise sprezzantemente Thomas, pronto a vendicarsi di nuovo, mentre con un gesto rapido della  mano sana finiva di slacciarsi i pantaloni e si chinava a cavalcioni su James, schiacciandolo con tutto il suo peso.
-No, non…- lanciò un grido soffocato, mentre avvertiva Wentz vicinissimo a sé.
Troppo vicino.
-Non farlo non…-
Lui emise una risata perfida, malvagia –Che c’è, adesso non fai più lo spaccone?!- ansimò mentre gli immobilizzava le gambe che scalciavano disperatamente, stendendosi con il proprio corpo.
-Adesso tu hai paura, non è vero?- sogghignò mentre armeggiava per abbassargli i pantaloni.
-Hai molta paura, perché io posso farti del male, vero?- ripeté Wentz sempre più eccitato.
La sua eccitazione cresceva in maniera proporzionale al terrore che poteva avvertire nel ragazzo sotto di sé.
Ma quel tremore, quel sudore freddo, quel gemito di paura lo facevano sentire ancora più forte e onnipotente.
La paura.
Quel sentimento che tutti loro conoscevano così bene.
Lo sentiva.
Sentiva bene quel ragazzo tremare sotto di sé, incontrollabilmente.
E più lui scalciava per liberarsi e più Wentz si eccitava.
-Fatelo tacere- ordinò ai due compari bruscamente.
Uno dei due gli cacciò in bocca a forza un panno che quasi lo soffocò.
Così con un’ unica, violentissima spinta entrò in lui, lacerandogli la carne e facendolo urlare per il dolore.
E fu l’urlo più straziante e acuto che i tre, e James stesso, nonostante il panno in bocca, avessero mai potuto sentire.
Lo tramortirono con uno schiaffo per farlo tacere, mentre Wentz ansimava, grugnendo e muovendosi ritmicamente dentro di lui con colpi implacabili, decisi, spietati, ma quel colpo non servì ugualmente a non fargli provare quel dolore nuovo, schifoso, rivoltante, indicibile che gli era stato completamente sconosciuto fino ad allora.

                        
                                                                                                                         ***                            


Rimase fermo e inerme, senza muovere un muscolo finché anche l’ultimo del terzetto non ebbe infierito su di lui, e dopo che questo si fu allacciato i pantaloni con un sorriso soddisfatto, lo liberarono, lasciandogli i polsi.
-Non c’è che dire sei proprio tenero come una femminuccia!- ridacchiò Wentz sguaiatamente dandogli un buffetto su una guancia, mentre James continuava a tenere gli occhi chiusi, il sangue rappreso al naso, senza quasi più respirare.
Sembrava morto.
-Cazzo Thomas, ci sei andato giù pesante stavolta- ridacchiò uno dei due rivolgendo un’ultima occhiata al ragazzo a terra, seminudo, immobile.
-Non è che lo hai ammazzato?- rise l’altro compiaciuto ed elettrizzato all’idea di quella bravata.
Wentz gli lanciò una lunga occhiata carica di disprezzo, poi gli diede un colpetto sul fianco con il piede -No, non è morto. Questo stronzo non lo vorrebbe neanche l’inferno, statene certi. Ora andiamocene però, non vorrei che Jonas o uno di quei bastardi ci ricambiasse il favore- disse prudentemente il capetto del trio.
Gli altri annuirono e dopo aver rivolto un ultimo sguardo a James si chiusero la porta alle spalle e se ne andarono via fischiettando orgogliosi della loro impresa.


Non si mosse per un tempo infinito.
Forse era morto.
O forse era già all’inferno.
Fattostà che quello era ciò che di peggio avrebbe mai potuto capitargli.
Le botte, la frusta di Jonas, i pugni, le umiliazioni non erano niente in confronto a…
Questo…
Perché nessuno aveva osato tanto.
Mai.
E quel giorno, in quel lurido bagno, violentato a turno da tre ragazzi, James, senza più vedere niente intorno a sé, gli occhi spenti e vacui, capì che la sua anima era morta per sempre.

E che mai più avrebbe rivisto la stella più luminosa di tutte.
                               


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Visti i miei tempi lunghissimi di aggiornamento direi che questo capitoletto, giunto a meno di  una settimana dal primo, può considerarsi come un vero e proprio record ^_^ E’ proprio vero che quando l’ispirazione ti supporta si procede che è una meraviglia…magari fosse sempre così!
Eccomi qui dunque con la seconda parte dell’infanzia di Jamie e Lee.
Capitolo piuttosto crudo e malinconico, lo ammetto ma volevo puntare sulle esperienze negative soprattutto di James per far capire poi, nel prosieguo della storia, determinati suoi atteggiamenti, che senza un’adeguata spiegazione potrebbero risultare bizzarri o quantomeno strani. Dal prossimo capitolo ho in mente un totale cambio di scena, spostando la storia molti anni dopo, ma non vi anticipo nulla…

Un'ultima cosa per chi se lo stesse chiedendo: Walter Beech e Eugen Bullard sono due aviatori statunitensi realmente esistiti, che volarono durante la prima guerra mondiale, il primo nell'Us Signal Corps, il secondo con la celebre squadriglia Lafayette.

Passo ora a ringraziare:

Bibby111: grazie di cuore per i complimenti e per la recensione entusiastica, mi ha fatto un immenso piacere! Sono lusingata nel sapere che la mia ti sembra una delle storie davvero promettenti della sezione! Figurati anch’io poi adoro le storie di piloti, pensa che uno dei miei film preferiti è Top Gun XD
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, e che la scena slash non ti abbia troppo infastidito ^^

Un grazie anche alla mia gemellina Rei che ha messo la fic tra i preferiti e a chi legge silenziosamente.

Buon anno a tutti cari lettori, che il 2010 vi porti tanta serenità e tutto ciò che di più bello desiderate.

Un abbraccio,

Hime









                                        
                          


                                                                                                                         
   
 
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