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Autore: Il_Coso    02/01/2010    2 recensioni
La storia di tre amici che si ritrovano poteri sovrannaturali, che permetteranno loro di cacciare la loro attuale (e cattiva) professoressa di disegno, e di insediarne una nuova fatta quasi su misura. Ma sarà tutto rose e fiori? Certo che no, perchè la stessa insegnante si rivelerà una... eh no! Per saperlo dovete leggere!
Genere: Generale, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Capitolo 3

Pareti bianche, e un odore di medicinale, pungente, quasi nauseante. Gugu camminò tra i corridoi freddi e vuoti dell’ospedale, inondato dalla luce chiara dei lampadari appesi al soffitto. Cosa cercava? Una persona, ma non sapeva dove fosse (giustamente, altrimenti non avrebbe dovuto cercarla). Cominciò a correre, ma all’improvviso si accorse di essere fermo. Era entrato in una corsia per dare una sbirciata, e, accortosi che era vuota, aveva cercato di uscire. Ma qualcosa l’aveva fermato: le coperte bianche del letto più vicino gli si stavano avvolgendo attorno, immobilizzandolo fin quasi a soffocarlo. Prese a dimenasi e a tirare pugni e calci, ma le trapunte rafforzavano la presa, ostinate. Poi, udì una voce, quella della persona che stava cercando:

-E così lotti con un paio di coperte, Gugu? Brutta idea, davvero brutta. Avrei potuto capire una, ma se lotti con due coperte quelle di sicuro quelle si alleeranno. Molto infingarde, le coperte…-

 

Gugu si svegliò nel suo letto, zuppo di sudore, con il copriletto che effettivamente stava cercando di strangolarlo. Resosi conto che era sveglio, e che la trapunta si era arresa, si rigettò sul materasso e chiuse gli occhi.

Aveva fatto quel sogno. Ancora. Da quando sua madre era tornata a casa con la notizia, aveva cominciato a fare strani incubi su… suo nonno. Si, perché appena aveva deciso, con Marta e Andrea, di utilizzare il Libro di cui il nonno gli aveva parlato per stregare la professoressa, quando sua madre glielo aveva comunicato: Riccardo era caduto, aveva sbattuto la testa ed era andato in coma.

Ne erano rimasti scioccati, tutti e tre… ma Gugu, ovviamente, di più. All’inizio, non era riuscito a capacitarsene, ma dopo tre giorni di completa apatia, aveva deciso che non si poteva continuare così. Si era dato una scossa, e con Andrea e Marta aveva deciso (li aveva praticamente obbligati) ad andare a cercare questo Libro su cui erano scritte le formule magiche. E le maledizioni. E le guarigioni.

Perché non crederete mica che si fossero bevuti la storia della botta? Loro sapevo in realtà cosa (o meglio, chi) aveva provocato il coma, ed erano decisi a distruggerlo, quel chi.

E ci sarebbero riusciti, parola d’onore.

 

Domenica, mattina. Gugu, Andrea e Marta, erano davanti al portone di un condominio, quello in cui abitavano i nonni di Gugu. O dove, almeno, avevano abitato. Ora c’era solo la nonna.

-Dai, Gugu, suona. Fa freddo- disse Marta con un brivido: nonostante fosse marzo inoltrato, il freddo invernale non si decideva a passare.

Il ragazzo obbedì e ripassò mentalmente il piano: stare da sua nonna con la scusa dei compiti, e, non appena si fosse distratta, cercare il Libro. D’accordo, non molto preciso come piano, ma era il massimo che i loro neuroni congelati erano riusciti a produrre.

Suonarono. Dopo un attimo, la voce di Marisa (la nonna, cioè) suonò viva e squillante come fosse accanto a loro.

-Chi siete?-

-Nonna, sono io- rispose Gugu.

-Oh, caro, non ti avevo riconosciuto. Entriamo?-

-Certo che questo citofono è un portento…- bisbigliò Andrea.

Ma il portone non si aprì. Erano piantati lì davanti, ma il cancello rimaneva ostinatamente chiuso.

-Forse, ragazzi, se mi faceste un po’ di spazio potrei passare e aprire…-

Si girarono: Marisa era davanti a loro, con un sorriso obliquo sulle labbra. I lunghi capelli bianchi erano legati in una crocchia stretta, e gli occhi con cui li guardava sembravano molto penetranti.

Si sentirono tutti e tre molto stupidi.

-Nonna! Che ci fai qui fuori?-

-Ero andata in garage, sono appena tornata da una passeggiata in bicicletta. Sono arrivata appena in tempo, a quanto pare!-

E si fece largo fino al portone. Lo aprì e li precedette al secondo piano, poi tenne aperta la porta dell’appartamento in cui viveva. Prese tutti i cappotti e, mentre li appendeva su un attaccapanni, i ragazzi tirarono fuori dagli zaini che si erano portati dei quaderni e dei libri per i compiti, pronti a trovare il momento giusto per andare a cercare il Libro.

Quando Marisa tornò, aveva un piccolo oggetto in mano, ma vedendoli amorevolmente seduti a fare i compiti si stupì e corrugò la fronte.

-Ah, quindi volete fare i compiti sul serio? E io che pensavo che voleste vedere lo studio… Avrò frainteso i Segni, immagino.-

I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo, e poi saltarono su insieme, esclamando:

-Un attimo!-

La donna si girò, stupita.

-Cosa vuoi dire nonna? In che senso, lo studio?-

-Quello in cui tuo nonno si rinchiudeva ogni tanto. Mi aveva detto che sareste venuti a cercare qualcosa là dentro, quando lui non ci sarebbe più stato, e così mi ha illustrato alcuni Segni per poter capire il momento giusto. Ma a quanto pare…- sospirò e fece per tornare in camera da letto.

-Aspetta, nonna. Spiegaci bene questa cosa… perché noi in effetti vogliamo… ehm.. entrare nello studio.-

-Allora, fate i compiti o mi state ad ascoltare? Non ho mica tutto il giorno! Cioè, in effetti lo avrei, ma dato che non ho voglia di passarlo tutto quanto appresso a voi…-

-Si, si. Parla.- la esortò Gugu, che per tutto il tempo era stato bersagliato dagli sguardi degli altri due, che cercavano di suggerirgli cosa dire o non dire.

-Ah… bene allora. Venite di qua, in cucina.-

Li fece sedere, e poi tirò fuori di nuovo l’oggettino che aveva prima. Era un minuscolo bauletto, così piccolo da poter stare nella mano di un bambino. Era nero lucido, ed era chiuso da una serratura a combinazione di cinque numeri; Marisa prese ad armeggiarci con una certa difficoltà.

-Il punto è- disse, ansimando –che Riccardo aveva il Dono. Non un dono qualsiasi, ma il Dono della Preveggenza. Era un vero maestro nel predire il futuro…-

Gugu e Marta guardarono Andrea, ma non dissero nulla.

-… e un bel giorno se ne tornò a casa dicendo che prima o poi avrei dovuto dare la chiave del suo studio a tre ragazzi che sarebbero giunti. Poi mi ha detto i Segni (uffa, ma perché non ti apri, stupida serratura?), e mi ha detto di non preoccuparmi, che alla fine tutto si sarebbe messo a posto, anche se gli fosse capitato qualcosa (ma perché diamine non ti apri?) e allora…-

-Un attimo. Ma quindi è per questo che non eri così sconvolta per tutta la faccenda?-

-Uh. Si, in effetti è per questo. Ma insomm… oh ecco, finalmente!-

Il piccolo coperchio scattò, e i tre ragazzi si sporsero a guardare dentro. In un’imbottitura di cotone rosso, c’era una chiave. Una piccola chiave d’oro puro che luccicava piano.

-Bene, ora venite.- Marisa si alzò e fece strada fino al… bagno. Chiuse la porta e porse loro la chiave.

-Perfetto… ora sta a voi. Io non posso aprire la porta, e, anche se potessi, lei non mi farebbe entrare. Io non ho magia, in me… non importa, vi lascio. Se avete bisogno di qualcosa, chiamate.- Lanciò loro un’ultima occhiata e ritornò in cucina.

Gugu Marta e Andrea rimasero davanti all’anonima porta di legno scuro, passandosi la chiave, che cominciava proprio ad essere stufa di tutto quello strapazzamento.

-Certo che hai proprio una famiglia complicata, eh?- commentò Marta.

-Si, in effetti…- rispose Gugu, ma stava pensando ad altro. Cos’avrebbe trovato, di là? Un mostro a tre teste da guardia? Un biglietto scritto col sangue? Una porta dimensionale?

-Forza, apri. Ti sei addormentato?-

-Eh? No, certo che no!- Gugu si riscosse e infilò la chiave nella serratura.

La serratura rabbrividì. Da quanto tempo non sentiva il tocco di quella chiave!

(Bisogna infatti sapere che per gli oggetti i giorni equivalgono agli anni, e un paio di settimane per loro è come un decennio)

Sbadigliando, diede di gomito alla porta, che sobbalzò e spalancò gli occhi. Scrutò le persone che le stavano davanti e si irrigidì sui cardini, scambiandole per l’irritante signora che tempo prima aveva tanto insistito per entrare, urlando e battendo i pugni. La porta odiava chi urlava e batteva i pugni.

Ma poi notò che i tre ragazzi non erano quella donna. Le loro mani (che la stavano spingendo delicatamente) avevano un tocco magico, e le loro voci un timbro di potere. La porta approvò e si spalancò.

Andrea, che stava per cominciare a spingere un po’ meno delicatamente, precipitò al suolo, mentre Gugu e Marta davano in esclamazioni di sorpresa.

-Cosa è successo?-

-La porta si è aperta, direi.-

-Me ne sono accorta. Ma perché proprio ora?-

-Non lo so, l’importante è che ora possiamo entrare.-

-Ohi…- commentò Andrea.

La soglia era buia. La fissarono, entrarono

e si ritrovarono nello studio-laboratorio di Riccardo.

 

La prima cosa che notarono fu il colore. Una luce forte e omogenea che illuminava tutta la stanza. Un tavolo di legno chiaro stava in fondo, sulla parete opposta a quella della porta; vicino all’entrata, invece, c’era un camino spento… e scaffali su scaffali, ricoperti completamente di libri, l’uno pressato all’altro; per terra, grandi ceste straripavano di fogli, matasse di filo e cotone, contenitori dalla forma curiosa e bastoncini di vetro.

La seconda cosa che notarono fu il suono: dalle profondità delle scatole venivano sommessi ticchettii, mentre i libri emettevano sospiri e borbottii di chi dorme un sonno saporito e meritato.

La terza cosa, invece, fu il calore: faceva un caldo da scoppiare… e la quarta cosa fu una finestra. Grande due metri quadrati, a circa un metro da terra, la finestra dava su… un paesaggio innevato.

-Ma com’è possibile?- chiese Marta, guardando fuori.

-Non ne ho idea… forse è una magia!- propose Andrea.

-Va beh, non è importante, per ora. Dobbiamo cercare il Libro.- disse Gugu.

Così si guardarono attorno... e si sentirono mancare: ci saranno stati più di cento libri, là dentro! Decisero di controllare ognuno una parete, e si divisero.

I libri erano di tutti i tipi. Uno, sulla geologia, era tempestato di pietre preziose; un altro era terribilmente lacero, e, decifrando a fatica il titolo sulla costa, capirono che parlava della tortura e della pena di morte. Libri di leggende, di carta delicata e dipinta in colori delicati; trattati di biologia, latino, retorica, molto saccenti e con la quarta di copertina all’insù, come fosse un naso; manuali di arte con occhiali dipinti sulla copertina, una evve moscia” molto marcata, e illustrazioni squisitamente dettagliate. E libri dal contenuto stranissimo! C’era La Storia Infinita, con le pagine riflettenti, in modo che, specchiandosi l’una nell’altra, le facciate sembrassero infinite per davvero; il Acqua, Aria, Terra e Fuoco, invece, doveva essere maneggiato con molta cautela, perché non si sapeva mai: magari era leggerissimo, ma in un secondo diventava più pesante del piombo, o magari prendere a sgocciolare sul tappeto persiano preferito, e (perché no?) incenerirlo; e, il più strano di tutti, il Libro Che Non Dovreste Mai Leggere, che conteneva istruzioni per esperimenti che non dovrebbero essere mai tentati, cronache di eventi che sarebbe stato meglio dimenticare e persino ricette di pozione che nessuno dovrebbe mai preparare.

Marta cominciò a guardare attentamente i libri sulla parete del caminetto; camminava piano e non passava avanti senza aver letto bene ogni titolo. Andrea invece lanciava ai tomi delle occhiate vaghe, soffocando di tanto in tanto qualche sbadiglio. Gugu picchiettava i dorsi dei volumi, cercando di decifrare le lettere sbeccate. Erano tutti libri molto vecchi e stanchi, e come tali ronfavano tranquillamente.

Per questo il ragazzo non si accorse subito che uno si sottrasse infastidito al suo tocco.

Gugu sbatté le ciglia una volta, poi aggrottò la fronte. Fissò l’impronta chiaramente visibile nella polvere dello scaffale e bisbigliò:

-Ragazzi… penso di averlo trovato…-

Gli altri due lo guardarono e lo raggiunsero subito. Gugu indicò il libro, che aveva una bella copertina rossa.

-Dici che è questo?- domandò Marta, sempre a bassa voce.

-Si- rispose piano Gugu -guarda la polvere…-

-Sembra che sia stato spostato…-

-Si è spostato… da solo, qualche secondo fa.-

-Ma allora…-

-Perché bisbigliamo?- sussurrò Andrea a quel punto.

-Non lo so.- Gugu restò zitto un attimo, poi disse forte:

-Forse perché non volevo che ci sentisse, immagino.-

-Sentisse? È un libro, i libri non sentono.- Andrea tese la mano e... lo prese. Semplicemente.

-Ma… prima si era mosso…- fece Gugu confuso.

Andrea scosse la testa, e poi lo aprì. Tutti e tre si curvarono sulla prima pagina per leggere il titolo (la copertina era priva di scritte), stampato in bei caratteri:

 

De Re Obscura

 

-Sulla cosa misteriosa…- disse Marta pensosa. Gli altri due la fissarono shockati.

-Che c’è? È solo latino…-

Gugu e Andrea si scambiarono un’occhiata, chiaramente stupiti che qualcuno potesse perdere così tanto tempo sul latino da tradurre qualcosa fuori dalla classe. Poi tornarono a concentrarsi sul libro.

Era quello il Libro; ne erano più che certi. Lessero di sfuggita qualche parola nell’indice (come creare un sonno profondo, per infondere negli altri l’immaginazione, la polvere di stelle e i suoi usi… che in effetti avevano un suono misterioso); si guardarono ancora.

-È lui.- disse Gugu, con la voce quasi tremante.

-Si…- sorrise Marta, leggendo soddisfatta qualche parola a caso nella pagina.

-Ora però dobbiamo trovare l’incantesimo di liberazione.- esclamò Andrea all’improvviso.

-Già… forza, non ci vorrà molto!- disse Gugu speranzoso.

Ma si sbagliarono. L’indice da solo occupava dieci pagine, scritte in caratteri piccoli e contorti, e ci misero un quarto d’ora buono solo a leggere la prima facciata.

-Qui ci stiamo tutto il giorno!- borbottò Gugu, con un tono molto meno fiducioso e più contrariato di prima.

-Si… accidenti a lui.- Marta si strofinò gli occhi.

Ma allora il Libro, che fino ad allora era rimasto calmo solo perché i ragazzi avevano mostrato educazione, si stufò. Sapeva chi erano loro tre (dopotutto, era stato proprio lui a organizzare l’arrivo dei loro poteri), ma erano arrivati proprio nel mezzo della sua pausa mattiniera… e la pausa mattiniera era qualcosa che il Libro prendeva molto sul serio.

Così, per far prima, si sfogliò e si fermò su una pagina che parlava di un Incantesimo di Liberazione molto antico, e per questo assai potente. Sperando che bastasse, tornò leggermente irritato a occuparsi della pausa mattiniera.

-Ah…! Ecco. Bastava chiedere.-

-Direi che questo toglie ogni dubbio…-

-Shhh! Zitti e leggete!-

Lessero. Sui volti dei ragazzi andò aprendosi un sorrisetto che piano piano si trasformò in un ghigno… ma non uno qualsiasi. Un ghigno sadico, per essere precisi.

 

Qualche ora dopo, verso le sei di sera, Gugu, Marta e Andrea camminavano spediti verso la scuola. Avevano eseguito alla perfezione le istruzioni sul Libro, e avevano ottenuto una bottiglia di… una strana mistura dall’odore incredibilmente forte ma non del tutto spiacevole; aveva uno strano colore marroncino con una punta di verde acceso. Avevano fatto bollire assieme tutta una sfilza di ingredienti, alcuni comuni come sale, origano, acqua, ma anche altri che sicuramente non figurano in cima alla vostra lista di spezie preferite: bicarbonato, edera, nicotina, tabacco…

-Ripetimi- disse Marta ansimando –perché non andiamo a fare questa cosa attorno a casa sua…-

-Uno, perché non sappiamo dove abiti; due, perché lì potrebbe fermarci; tre… non c’è un tre, ma vediamo di sbrigarci, il sole tramonterà tra poco!-

Marta sbuffò, e continuò a camminare. Non le piaceva quello che stavano per fare, nonostante sapesse che era necessario.

Una volta preparata la pozione, il Libro diceva di versarne sette gocce in cinque punti disposti attorno a un luogo in cui la vittima passava gran parte del suo tempo;  Gugu poco prima aveva preso in mano carta (nel sento di “mappa”) e penna (proprio nel senso di penna), e aveva segnato i punti migliori in cui mettere i vertici del pentagono magico.

Giunsero in vista della scuola. Il punto più vicino era davanti a loro: l’angolo che la recinzione dell’istituto formava in prossimità di un incrocio.

-Ecco- disse Andrea; tirò fuori da una tasca un contagocce, lo infilò nella bottiglietta di pozione che gli porgeva Gugu e fece cadere sette gocce…

Passarono avanti. Lasciarono altra pozione su delle strisce pedonali lungo la stessa strada; sotto un lampione in un angolo; vicino a un cestino e accanto al cancello laterale della scuola. Ecco fatto. Cinque punti.

Andrea controllò il cielo.

-Appena in tempo, il sole sta tramontando in questo momento.- disse.

-Andiamo, allora. Meglio non essere nei paraggi quando l’incantesimo si attiverà…- osservò Gugu, e si incamminarono nella stessa direzione da cui erano venuti.

Il sole in quel momento faceva splendere gli ultimi raggi della giornata. Dopo pochi secondi, finalmente, scomparve dietro i monti all’orizzonte.

Pffftinnn!, fece qualcosa. E un piccolo lampo di luce comparve all’incrocio.

Poi un altro, e un altro ancora. Per mezzora, tutto attorno all’edificio, cinque piccole lucine continuarono ad accendersi e spegnersi; poi si fermarono, togliendo l’atmosfera magica che era comparsa per un poco attorno alla scuola.

Ora una maledizione le stava sopra sospesa.

 

Belinda Tempofosco camminava decisa verso la scuola. Aveva comprato una nuova minigonna l'altro giorno, e non vedeva l'ora di sfoggiarla in giro per la scuola. A dire il vero, cominciava a essere stufa di tutte queste minigonne, ma era una delle condizioni che le permettevano di restare lì. Doveva ubbidire per forza: le parole erano state chiarissime. Così come anche quelle sul colore dei capelli... che cominciava a diventare monotono e sbiadito. Urgeva una tinta.

Continuò a camminare, e arrivò nei pressi della scuola. Superò il cancello.

Subito sentì una punta di dolore trafiggerle la testa. Fu seguita da un’altra… e un’altra ancora. In breve, si ritrovò un porcospino nervoso che le zampettava allegramente per il cranio.

-Ohi…- mormorò, massaggiandosi una tempia con una mano. Salì gli scalini dell’ingresso e si incamminò verso la sala insegnanti, e non appena posò la valigetta su un tavolo, percepì qualcosa muoversi nei pressi dello stomaco… o era la milza? Il tempo di togliersi il cappotto e dovette sedersi, colpita da una colica di proporzioni ciclopiche. Capitavano tutte a lei?

-Ahi!- esclamò.

-Oh, scusa, sorella. Non l’ho fatto apposta… si sente bene?-

-Si, certo, padre Domenico… vada pure…-

Lo guardò allontanarsi, pensando ad amputazioni di piedi e azzoppamenti vari. Senza i propri piedi, non si può pestare quelli degli altri, no?

Certo che, però, tutte queste sfortune insieme erano strane. Sospette, quasi. Se solo la sua testa non si fosse trasformata in un puntaspilli biondo! Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra… e sussultò. Balzò in piedi, ma un giramento di testa la costrinse a sedere nuovamente. Non era un alone magico, quello che vedevano i suoi occhi allenati? Doveva assolutamente…

-Ciao Belinda! Come va?- trillò una donna bassa e bruna. Gli spilli penetrarono nella testa di un altro paio di centimetri.

-Ah… bene…-

-Perfetto! Ma che bella gonna… nuova, vero? Si dev’essere vero: non te l’ho ancora vista addosso…-

Gli spilli continuavano tranquilli il lento attraversamento delle meningi della Tempofosco.

-Si…-

-... ma dove trovi tutte queste gonne così belle? Lo dicevo l’altro giorno a Marina…-

Belinda ne aveva abbastanza di lei: poteva essere buffa, ma non oggi. E anche degli spilli ormai era più che stufa. Senza contare che doveva indagare sull’alone…

-… e poi lei ha… ma ti senti bene? Sembri in uno stato pietoso!-

Belinda la fulminò con gli occhi. O, almeno, fece finta di farlo: altrimenti di lei non sarebbe rimasto altro che un mucchietto di cenere.

-Il mio stato, anatra giuliva, è di estremo fastidio. Perciò vedi di levarti dai piedi prima che ti cucini con le arance e ti serva con un buon vino bianco. Intesi?-

La donnina sparì in due secondi. Ovviamente Belinda scherzava, ma… qualcosa nei suoi occhi le aveva quasi messo paura. Quasi.

Belinda aspettò che si fosse volatilizzata, e, lentamente, uscì dalla scuola. Molto lentamente: non aveva voglia di ritrovarsi agonizzante per terra. Così strisciò fino al cancello e si sentì subito meglio. Si tirò su, scosse la testa e cominciò a Scrutare il perimetro della scuola… si! si, ecco: una luce violetta che circondava tuta la scuola… una trappola, ovviamente. Tesa apposta per lei. E sapeva da chi: aveva sperato che, messo il vecchio fuori combattimento, i tre mocciosetti smettessero di fare magie, ma era evidente che si era sbagliata. Clamorosamente.

Tornò a casa, dopo aver recuperato le proprie cose con un incantesimo, e telefonò al preside per dirgli che stava troppo male per venire, quel giorno. Poi cominciò a creare un talismano.

 

Il giorno dopo era martedì, e Gugu Marta e Andrea aspettavano in fibrillazione la quarta ora.

Finalmente suonò l’intervallo… quindici minuti… campanella.

Ed entrò la Tempofosco.

Attraente come sempre, disponibile, competente. Prese a distribuire le tavole che aveva corretto.

-Si, Gabriele, questa volta direi che hai afferrato la regola della visione reale, devi solo esercitarti… Giorgia va tutto bene, manca solo un po’ di precisione…-

Com’era possibile? I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo stupito e… perché no?... spaventato.

Sentirono i loro nomi e sobbalzarono. La professoressa li aveva chiamati.

-Calmi, mi raccomando…-

Andarono dritti verso di lei, cercando di simulare normale preoccupazione da test e tranquillità.

Ma ovviamente non fu quello che vide Belinda. Lei vide paura di essere scoperti e della sua magia.

Passò loro le tavole, si sporse e sussurrò:

-Siete stati molto sciocchi a tentare di scacciarmi… soprattutto con quel malocchio estremamente facile da distruggere. Non riprovateci o… incorrerete nel mio disappunto.-

-Ci libereremo di lei, stia sicura!- bisbigliò Gugu a sua volta, mostrando più coraggio di quel che avesse. Sperò che lei non riuscisse a sentire il suo cuore che si batteva forte.

La Tempofosco, che ovviamente lo sentiva e se ne compiaceva, sorrise e disse:

-Patetico. Andate a posto.-

Loro ci andarono e restarono zitti per entrambe le ore.

Però il loro cervello lavorava, e per l’una e dieci tutti e tre erano giunti alla stessa conclusione: occorreva qualcosa di più potente… oh, si, di molto più potente.

Avevano visto una bella formula di eliminazione dai maligni, nel Libro, e sarebbe stato un gran peccato lasciarla lì ad ammuffire, vero?

 

 

 

In ritardo di due giorni rispetto a quanto detto… va beh, mi perdonate, vero?? siamo ancora sotto le feste!!! Che dire? Spero che vi sia piaciuto e sia valsa la pena di questo parto lungo e doloroso. Fatemelo sapere, okay? L’ultimo capitolo arriva, non disperate… ancora una volta, spero che sia più veloce da scrivere di questo. Bye!!!

  
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