Capitolo
3
Pareti bianche, e un
odore di medicinale, pungente, quasi nauseante. Gugu camminò tra i corridoi
freddi e vuoti dell’ospedale, inondato dalla luce chiara dei lampadari appesi
al soffitto. Cosa cercava? Una persona, ma non sapeva
dove fosse (giustamente, altrimenti non avrebbe dovuto cercarla). Cominciò a
correre, ma all’improvviso si accorse di essere fermo.
Era entrato in una corsia per dare una sbirciata, e, accortosi che era vuota,
aveva cercato di uscire. Ma qualcosa l’aveva fermato:
le coperte bianche del letto più vicino gli si stavano avvolgendo attorno,
immobilizzandolo fin quasi a soffocarlo. Prese a dimenasi
e a tirare pugni e calci, ma le trapunte rafforzavano la presa, ostinate. Poi,
udì una voce, quella della persona che stava cercando:
-E
così lotti con un paio di coperte, Gugu? Brutta idea, davvero brutta. Avrei
potuto capire una, ma se lotti con due coperte quelle di sicuro quelle si alleeranno. Molto infingarde, le coperte…-
Gugu
si svegliò nel suo letto, zuppo di sudore, con il copriletto che effettivamente
stava cercando di strangolarlo. Resosi conto che era sveglio, e che la trapunta
si era arresa, si rigettò sul materasso e chiuse gli occhi.
Aveva
fatto quel sogno. Ancora. Da quando sua madre era tornata a casa con la
notizia, aveva cominciato a fare strani incubi su… suo nonno. Si, perché appena
aveva deciso, con Marta e Andrea, di utilizzare il Libro di cui il nonno gli
aveva parlato per stregare la professoressa, quando sua madre glielo aveva
comunicato: Riccardo era caduto, aveva sbattuto la testa ed era andato in coma.
Ne erano rimasti scioccati, tutti e tre…
ma Gugu, ovviamente, di più. All’inizio, non era riuscito a capacitarsene, ma
dopo tre giorni di completa apatia, aveva deciso che non si poteva continuare
così. Si era dato una scossa, e con Andrea e Marta aveva deciso (li aveva praticamente obbligati) ad andare a cercare questo Libro su
cui erano scritte le formule magiche. E le
maledizioni. E le guarigioni.
Perché non crederete mica che si fossero
bevuti la storia della botta? Loro sapevo in realtà cosa (o meglio, chi) aveva provocato il coma, ed erano
decisi a distruggerlo, quel chi.
E ci sarebbero riusciti, parola d’onore.
Domenica,
mattina. Gugu, Andrea e Marta, erano davanti al portone di un condominio,
quello in cui abitavano i nonni di Gugu. O dove,
almeno, avevano abitato. Ora c’era solo la nonna.
-Dai, Gugu, suona. Fa freddo- disse
Marta con un brivido: nonostante fosse marzo inoltrato, il freddo invernale non
si decideva a passare.
Il
ragazzo obbedì e ripassò mentalmente il piano: stare da sua nonna con la scusa
dei compiti, e, non appena si fosse distratta, cercare il Libro. D’accordo, non
molto preciso come piano, ma era il massimo che i loro neuroni congelati erano
riusciti a produrre.
Suonarono.
Dopo un attimo, la voce di Marisa (la nonna, cioè)
suonò viva e squillante come fosse accanto a loro.
-Chi
siete?-
-Nonna,
sono io- rispose Gugu.
-Oh,
caro, non ti avevo riconosciuto. Entriamo?-
-Certo
che questo citofono è un portento…- bisbigliò Andrea.
Ma il portone non si aprì. Erano piantati lì davanti, ma il
cancello rimaneva ostinatamente chiuso.
-Forse,
ragazzi, se mi faceste un po’ di spazio potrei passare
e aprire…-
Si
girarono: Marisa era davanti a loro, con un sorriso obliquo sulle labbra. I
lunghi capelli bianchi erano legati in una crocchia stretta, e gli occhi con
cui li guardava sembravano molto penetranti.
Si
sentirono tutti e tre molto stupidi.
-Nonna!
Che ci fai qui fuori?-
-Ero andata in garage, sono appena tornata da una passeggiata in
bicicletta. Sono arrivata appena in tempo, a quanto
pare!-
E si fece largo fino al portone. Lo aprì e li precedette al secondo piano, poi tenne aperta la porta
dell’appartamento in cui viveva. Prese tutti i cappotti e, mentre li appendeva
su un attaccapanni, i ragazzi tirarono fuori dagli
zaini che si erano portati dei quaderni e dei libri per i compiti, pronti a
trovare il momento giusto per andare a cercare il Libro.
Quando Marisa tornò, aveva un piccolo oggetto
in mano, ma vedendoli amorevolmente seduti a fare i compiti si stupì e corrugò
la fronte.
-Ah,
quindi volete fare i compiti sul serio? E io che pensavo che voleste vedere lo
studio… Avrò frainteso i Segni, immagino.-
I
tre ragazzi si scambiarono uno sguardo, e poi saltarono su insieme, esclamando:
-Un
attimo!-
La
donna si girò, stupita.
-Cosa
vuoi dire nonna? In che senso, lo studio?-
-Quello in cui tuo nonno si rinchiudeva
ogni tanto. Mi
aveva detto che sareste venuti a cercare qualcosa là dentro, quando lui non ci
sarebbe più stato, e così mi ha illustrato alcuni
Segni per poter capire il momento giusto. Ma a quanto pare…-
sospirò e fece per tornare in camera da letto.
-Aspetta,
nonna. Spiegaci bene questa cosa… perché noi in effetti
vogliamo… ehm.. entrare nello studio.-
-Allora,
fate i compiti o mi state ad ascoltare? Non ho mica tutto il giorno! Cioè, in effetti lo avrei, ma dato che non ho voglia di
passarlo tutto quanto appresso a voi…-
-Si,
si. Parla.- la esortò Gugu, che per tutto il tempo era
stato bersagliato dagli sguardi degli altri due, che cercavano di suggerirgli
cosa dire o non dire.
-Ah…
bene allora. Venite di qua, in cucina.-
Li
fece sedere, e poi tirò fuori di nuovo l’oggettino che aveva prima. Era un
minuscolo bauletto, così piccolo da poter stare nella mano di un bambino. Era
nero lucido, ed era chiuso da una serratura a combinazione di cinque numeri;
Marisa prese ad armeggiarci con una certa difficoltà.
-Il
punto è- disse, ansimando –che Riccardo aveva il Dono. Non un dono qualsiasi,
ma il Dono della Preveggenza. Era un vero maestro nel predire il futuro…-
Gugu
e Marta guardarono Andrea, ma non dissero nulla.
-…
e un bel giorno se ne tornò a casa dicendo che prima o poi
avrei dovuto dare la chiave del suo studio a tre ragazzi che sarebbero giunti.
Poi mi ha detto i Segni (uffa, ma perché non ti apri, stupida serratura?), e mi
ha detto di non preoccuparmi, che alla fine tutto si sarebbe messo a posto,
anche se gli fosse capitato qualcosa (ma perché diamine non ti apri?) e allora…-
-Un
attimo. Ma quindi è per questo che non eri così sconvolta per tutta la
faccenda?-
-Uh.
Si, in effetti è per questo. Ma
insomm… oh ecco, finalmente!-
Il
piccolo coperchio scattò, e i tre ragazzi si sporsero a guardare dentro. In
un’imbottitura di cotone rosso, c’era una chiave. Una piccola chiave d’oro puro
che luccicava piano.
-Bene,
ora venite.- Marisa si alzò e fece strada fino al…
bagno. Chiuse la porta e porse loro la chiave.
-Perfetto… ora sta a voi. Io non posso aprire la
porta, e, anche se potessi, lei non mi farebbe
entrare. Io non ho magia, in me… non importa, vi lascio. Se
avete bisogno di qualcosa, chiamate.- Lanciò loro un’ultima occhiata e ritornò
in cucina.
Gugu
Marta e Andrea rimasero davanti all’anonima porta di legno scuro, passandosi la
chiave, che cominciava proprio ad essere stufa di
tutto quello strapazzamento.
-Certo
che hai proprio una famiglia complicata, eh?- commentò
Marta.
-Si,
in effetti…- rispose Gugu, ma stava pensando ad altro. Cos’avrebbe trovato, di
là? Un mostro a tre teste da guardia? Un biglietto scritto col sangue? Una
porta dimensionale?
-Forza,
apri. Ti sei addormentato?-
-Eh?
No, certo che no!- Gugu si riscosse e infilò la chiave nella serratura.
La
serratura rabbrividì. Da quanto tempo non sentiva il tocco di quella chiave!
(Bisogna infatti sapere che per gli oggetti i giorni equivalgono
agli anni, e un paio di settimane per loro è come un decennio)
Sbadigliando, diede di gomito alla
porta, che sobbalzò e spalancò gli occhi. Scrutò le persone che le stavano davanti e si irrigidì sui cardini, scambiandole per l’irritante
signora che tempo prima aveva tanto insistito per entrare, urlando e battendo i
pugni. La porta odiava chi urlava e batteva i pugni.
Ma poi notò che i tre ragazzi non erano quella donna. Le
loro mani (che la stavano spingendo delicatamente) avevano un tocco magico, e
le loro voci un timbro di potere. La porta approvò e
si spalancò.
Andrea,
che stava per cominciare a spingere un po’ meno delicatamente, precipitò al
suolo, mentre Gugu e Marta davano in esclamazioni di
sorpresa.
-Cosa
è successo?-
-La
porta si è aperta, direi.-
-Me
ne sono accorta. Ma perché proprio ora?-
-Non
lo so, l’importante è che ora possiamo entrare.-
-Ohi…-
commentò Andrea.
La
soglia era buia. La fissarono, entrarono…
…
e si ritrovarono nello studio-laboratorio di Riccardo.
La
prima cosa che notarono fu il colore. Una luce forte e
omogenea che illuminava tutta la stanza. Un tavolo di legno chiaro stava
in fondo, sulla parete opposta a quella della porta; vicino all’entrata,
invece, c’era un camino spento… e scaffali su scaffali, ricoperti completamente
di libri, l’uno pressato all’altro; per terra, grandi
ceste straripavano di fogli, matasse di filo e cotone, contenitori dalla forma
curiosa e bastoncini di vetro.
La
seconda cosa che notarono fu il suono: dalle profondità delle scatole venivano sommessi ticchettii, mentre i libri emettevano
sospiri e borbottii di chi dorme un sonno saporito e meritato.
La
terza cosa, invece, fu il calore: faceva un caldo da scoppiare… e la quarta
cosa fu una finestra. Grande due metri quadrati, a
circa un metro da terra, la finestra dava su… un paesaggio innevato.
-Ma com’è possibile?- chiese Marta,
guardando fuori.
-Non
ne ho idea… forse è una magia!- propose Andrea.
-Va beh, non è importante, per ora. Dobbiamo cercare il Libro.- disse Gugu.
Così
si guardarono attorno... e si sentirono mancare: ci saranno stati più di cento
libri, là dentro! Decisero di controllare ognuno una parete, e si divisero.
I
libri erano di tutti i tipi. Uno, sulla geologia, era tempestato di pietre
preziose; un altro era terribilmente lacero, e, decifrando a fatica il titolo
sulla costa, capirono che parlava della tortura e della pena di morte. Libri di
leggende, di carta delicata e dipinta in colori delicati; trattati di biologia,
latino, retorica, molto saccenti e con la quarta di copertina all’insù, come
fosse un naso; manuali di arte con occhiali dipinti
sulla copertina, una “evve
moscia” molto marcata, e illustrazioni squisitamente dettagliate. E libri dal contenuto stranissimo! C’era La Storia Infinita, con le pagine
riflettenti, in modo che, specchiandosi l’una nell’altra, le facciate
sembrassero infinite per davvero; il Acqua, Aria, Terra e
Fuoco, invece, doveva essere maneggiato con molta cautela, perché non si
sapeva mai: magari era leggerissimo, ma in un secondo diventava più pesante del
piombo, o magari prendere a sgocciolare sul tappeto persiano preferito, e
(perché no?) incenerirlo; e, il più strano di tutti, il Libro Che Non Dovreste Mai Leggere, che conteneva istruzioni per
esperimenti che non dovrebbero essere mai tentati, cronache di eventi che
sarebbe stato meglio dimenticare e persino ricette di pozione che nessuno
dovrebbe mai preparare.
Marta
cominciò a guardare attentamente i libri sulla parete del caminetto; camminava
piano e non passava avanti senza aver letto bene ogni titolo. Andrea invece
lanciava ai tomi delle occhiate vaghe, soffocando di tanto in tanto qualche
sbadiglio. Gugu picchiettava i dorsi dei volumi, cercando di decifrare le
lettere sbeccate. Erano tutti libri molto vecchi e stanchi, e come tali
ronfavano tranquillamente.
Per
questo il ragazzo non si accorse subito che uno si sottrasse infastidito al suo
tocco.
Gugu
sbatté le ciglia una volta, poi aggrottò la fronte.
Fissò l’impronta chiaramente visibile nella polvere dello scaffale e bisbigliò:
-Ragazzi…
penso di averlo trovato…-
Gli
altri due lo guardarono e lo raggiunsero subito. Gugu indicò il libro, che
aveva una bella copertina rossa.
-Dici
che è questo?- domandò Marta, sempre a bassa voce.
-Si-
rispose piano Gugu -guarda la polvere…-
-Sembra
che sia stato spostato…-
-Si
è spostato… da solo, qualche secondo
fa.-
-Ma allora…-
-Perché
bisbigliamo?- sussurrò Andrea a quel punto.
-Non
lo so.- Gugu restò zitto un attimo, poi disse forte:
-Forse
perché non volevo che ci sentisse, immagino.-
-Sentisse?
È un libro, i libri non sentono.- Andrea tese la mano
e... lo prese. Semplicemente.
-Ma… prima si era mosso…- fece Gugu
confuso.
Andrea
scosse la testa, e poi lo aprì. Tutti e tre si curvarono sulla prima pagina per
leggere il titolo (la copertina era priva di scritte), stampato in bei
caratteri:
De Re Obscura
-Sulla
cosa misteriosa…- disse Marta pensosa. Gli altri due
la fissarono shockati.
-Che c’è? È solo latino…-
Gugu
e Andrea si scambiarono un’occhiata, chiaramente
stupiti che qualcuno potesse perdere così tanto tempo sul latino da tradurre
qualcosa fuori dalla classe. Poi tornarono a concentrarsi sul libro.
Era
quello il Libro; ne erano più che certi. Lessero di
sfuggita qualche parola nell’indice (come creare un sonno profondo, per
infondere negli altri l’immaginazione, la polvere di stelle e i suoi usi… che in effetti avevano un suono misterioso); si guardarono ancora.
-È
lui.- disse Gugu, con la voce quasi tremante.
-Si…-
sorrise Marta, leggendo soddisfatta qualche parola a caso nella pagina.
-Ora
però dobbiamo trovare l’incantesimo di liberazione.- esclamò
Andrea all’improvviso.
-Già…
forza, non ci vorrà molto!- disse Gugu speranzoso.
Ma si sbagliarono. L’indice da solo occupava dieci pagine,
scritte in caratteri piccoli e contorti, e ci misero un quarto d’ora buono solo
a leggere la prima facciata.
-Qui
ci stiamo tutto il giorno!- borbottò Gugu, con un tono molto
meno fiducioso e più contrariato di prima.
-Si…
accidenti a lui.- Marta si strofinò gli occhi.
Ma
allora il Libro, che fino ad allora era rimasto calmo
solo perché i ragazzi avevano mostrato educazione, si stufò. Sapeva chi erano loro tre (dopotutto,
era stato proprio lui a organizzare l’arrivo dei loro
poteri), ma erano arrivati proprio nel mezzo della sua pausa mattiniera… e la
pausa mattiniera era qualcosa che il Libro prendeva molto sul serio.
Così,
per far prima, si sfogliò e si fermò su una pagina che parlava di un
Incantesimo di Liberazione molto antico, e per questo assai potente. Sperando
che bastasse, tornò leggermente irritato a occuparsi della
pausa mattiniera.
-Ah…!
Ecco. Bastava chiedere.-
-Direi
che questo toglie ogni dubbio…-
-Shhh! Zitti e leggete!-
Lessero.
Sui volti dei ragazzi andò aprendosi un sorrisetto
che piano piano si trasformò in un ghigno… ma non uno
qualsiasi. Un ghigno sadico, per essere precisi.
Qualche
ora dopo, verso le sei di sera, Gugu, Marta e Andrea camminavano
spediti verso la scuola. Avevano eseguito alla perfezione le istruzioni sul
Libro, e avevano ottenuto una bottiglia di… una strana mistura dall’odore
incredibilmente forte ma non del tutto spiacevole; aveva uno strano colore
marroncino con una punta di verde acceso. Avevano fatto bollire assieme tutta
una sfilza di ingredienti, alcuni comuni come sale,
origano, acqua, ma anche altri che sicuramente non figurano in cima alla vostra
lista di spezie preferite: bicarbonato, edera, nicotina, tabacco…
-Ripetimi-
disse Marta ansimando –perché non andiamo a fare questa cosa attorno a casa
sua…-
-Uno, perché non sappiamo dove abiti; due, perché lì potrebbe
fermarci; tre… non c’è un tre, ma vediamo di sbrigarci, il sole tramonterà tra
poco!-
Marta
sbuffò, e continuò a camminare. Non le piaceva quello che stavano
per fare, nonostante sapesse che era necessario.
Una
volta preparata la pozione, il Libro diceva di versarne sette gocce in cinque
punti disposti attorno a un luogo in cui la vittima
passava gran parte del suo tempo; Gugu
poco prima aveva preso in mano carta (nel sento di “mappa”) e penna (proprio
nel senso di penna), e aveva segnato i punti migliori in cui mettere i vertici
del pentagono magico.
Giunsero
in vista della scuola. Il punto più vicino era davanti a loro: l’angolo che la
recinzione dell’istituto formava in prossimità di un incrocio.
-Ecco-
disse Andrea; tirò fuori da una tasca un contagocce,
lo infilò nella bottiglietta di pozione che gli porgeva Gugu e fece cadere
sette gocce…
Passarono
avanti. Lasciarono altra pozione su delle strisce pedonali lungo la stessa
strada; sotto un lampione in un angolo; vicino a un
cestino e accanto al cancello laterale della scuola. Ecco fatto. Cinque punti.
Andrea
controllò il cielo.
-Appena
in tempo, il sole sta tramontando in questo momento.- disse.
-Andiamo,
allora. Meglio non essere nei paraggi quando l’incantesimo si attiverà…- osservò Gugu, e si incamminarono nella stessa
direzione da cui erano venuti.
Il
sole in quel momento faceva splendere gli ultimi raggi della giornata. Dopo
pochi secondi, finalmente, scomparve dietro i monti
all’orizzonte.
Pfff…tinnn!, fece qualcosa. E
un piccolo lampo di luce comparve all’incrocio.
Poi
un altro, e un altro ancora. Per mezzora, tutto attorno all’edificio, cinque
piccole lucine continuarono ad accendersi e spegnersi;
poi si fermarono, togliendo l’atmosfera magica che era comparsa per un poco
attorno alla scuola.
Ora
una maledizione le stava sopra sospesa.
Belinda
Tempofosco camminava decisa verso la scuola. Aveva
comprato una nuova minigonna l'altro giorno, e non vedeva l'ora di sfoggiarla
in giro per la scuola. A dire il vero, cominciava a essere
stufa di tutte queste minigonne, ma era una delle condizioni che le
permettevano di restare lì. Doveva ubbidire per forza: le parole erano state
chiarissime. Così come anche quelle sul colore dei capelli...
che cominciava a diventare monotono e sbiadito. Urgeva una tinta.
Continuò
a camminare, e arrivò nei pressi della scuola. Superò il cancello.
Subito
sentì una punta di dolore trafiggerle la testa. Fu seguita da un’altra… e
un’altra ancora. In breve, si ritrovò un porcospino nervoso che le zampettava
allegramente per il cranio.
-Ohi…-
mormorò, massaggiandosi una tempia con una mano. Salì gli scalini dell’ingresso
e si incamminò verso la sala insegnanti, e non appena
posò la valigetta su un tavolo, percepì qualcosa muoversi nei pressi dello
stomaco… o era la milza? Il tempo di togliersi il cappotto e dovette sedersi,
colpita da una colica di proporzioni ciclopiche. Capitavano tutte a lei?
-Ahi!-
esclamò.
-Oh,
scusa, sorella. Non l’ho fatto apposta… si sente
bene?-
-Si,
certo, padre Domenico… vada pure…-
Lo
guardò allontanarsi, pensando ad amputazioni di piedi e azzoppamenti
vari. Senza i propri piedi, non si può pestare quelli degli altri, no?
Certo che, però, tutte queste sfortune
insieme erano strane.
Sospette, quasi. Se solo la sua testa non si fosse
trasformata in un puntaspilli biondo! Lanciò un’occhiata fuori
dalla finestra… e sussultò. Balzò in piedi, ma un giramento di testa la
costrinse a sedere nuovamente. Non era un alone magico, quello che vedevano i suoi occhi allenati? Doveva assolutamente…
-Ciao
Belinda! Come va?- trillò una donna bassa e bruna. Gli
spilli penetrarono nella testa di un altro paio di centimetri.
-Ah…
bene…-
-Perfetto!
Ma che bella gonna… nuova, vero? Si dev’essere vero: non te l’ho ancora vista addosso…-
Gli
spilli continuavano tranquilli il lento attraversamento delle meningi della Tempofosco.
-Si…-
-...
ma dove trovi tutte queste gonne così belle? Lo dicevo l’altro giorno a
Marina…-
Belinda
ne aveva abbastanza di lei: poteva essere buffa, ma
non oggi. E anche degli spilli ormai era più che
stufa. Senza contare che doveva indagare sull’alone…
-…
e poi lei ha… ma ti senti bene? Sembri in uno stato
pietoso!-
Belinda
la fulminò con gli occhi. O, almeno, fece finta di
farlo: altrimenti di lei non sarebbe rimasto altro che un mucchietto di cenere.
-Il
mio stato, anatra giuliva, è di estremo fastidio.
Perciò vedi di levarti dai piedi prima che ti cucini
con le arance e ti serva con un buon vino bianco. Intesi?-
La
donnina sparì in due secondi. Ovviamente Belinda scherzava, ma… qualcosa nei
suoi occhi le aveva quasi messo paura. Quasi.
Belinda
aspettò che si fosse volatilizzata, e, lentamente, uscì dalla scuola. Molto
lentamente: non aveva voglia di ritrovarsi agonizzante per terra. Così strisciò
fino al cancello e si sentì subito meglio. Si tirò su, scosse la testa e cominciò
a Scrutare il perimetro della scuola… si! si, ecco:
una luce violetta che circondava tuta la scuola… una trappola, ovviamente. Tesa
apposta per lei. E sapeva da chi: aveva sperato che,
messo il vecchio fuori combattimento, i tre mocciosetti
smettessero di fare magie, ma era evidente che si era sbagliata.
Clamorosamente.
Tornò
a casa, dopo aver recuperato le proprie cose con un incantesimo, e telefonò al
preside per dirgli che stava troppo male per venire, quel giorno. Poi cominciò
a creare un talismano.
Il
giorno dopo era martedì, e Gugu Marta e Andrea aspettavano in fibrillazione la
quarta ora.
Finalmente
suonò l’intervallo… quindici minuti… campanella.
Ed entrò la Tempofosco.
Attraente
come sempre, disponibile, competente. Prese a distribuire le tavole che aveva
corretto.
-Si,
Gabriele, questa volta direi che hai afferrato la regola della visione reale, devi solo esercitarti… Giorgia va tutto bene, manca solo un
po’ di precisione…-
Com’era
possibile? I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo stupito e… perché no?... spaventato.
Sentirono
i loro nomi e sobbalzarono. La professoressa li aveva chiamati.
-Calmi,
mi raccomando…-
Andarono
dritti verso di lei, cercando di simulare normale preoccupazione da test e
tranquillità.
Ma ovviamente non fu quello che vide Belinda. Lei vide paura
di essere scoperti e della sua magia.
Passò
loro le tavole, si sporse e sussurrò:
-Siete
stati molto sciocchi a tentare di scacciarmi… soprattutto con quel malocchio estremamente facile da distruggere. Non riprovateci o…
incorrerete nel mio disappunto.-
-Ci
libereremo di lei, stia sicura!- bisbigliò Gugu a sua volta, mostrando più
coraggio di quel che avesse. Sperò che lei non
riuscisse a sentire il suo cuore che si batteva forte.
La
Tempofosco, che ovviamente lo sentiva e se ne compiaceva,
sorrise e disse:
-Patetico.
Andate a posto.-
Loro
ci andarono e restarono zitti per entrambe le ore.
Però il loro cervello lavorava, e per l’una
e dieci tutti e tre erano giunti alla stessa conclusione: occorreva qualcosa di
più potente… oh, si, di molto più potente.
Avevano
visto una bella formula di eliminazione dai maligni,
nel Libro, e sarebbe stato un gran peccato lasciarla lì ad ammuffire, vero?
In ritardo di due giorni rispetto a quanto detto… va beh, mi
perdonate, vero?? siamo ancora sotto le feste!!! Che
dire? Spero che vi sia piaciuto e sia valsa la pena di questo
parto lungo e doloroso. Fatemelo sapere, okay? L’ultimo capitolo arriva,
non disperate… ancora una volta, spero che sia più veloce da scrivere di
questo. Bye!!!