Il corridoio che portava alle stanze reali era
qualcosa di veramente straordinario, tanto da poter superare qualsiasi
immaginazione umana. L’oro, i rubini e i lapislazzuli coi
quali erano stati realizzati, tempo addietro, i dipinti per festeggiare la vittoria
sugli Hyksos1, accecavano la vista, quasi a dimostrare che la
regalità e l’ascendenza divina dei Faraoni e delle loro spose era qualcosa che
gli esseri umani non potevano vedere. Era troppo per loro, quasi una fiamma viva
che bruciava le pupille al primo contatto, senza possibilità di
scampo. Questo pensava Senmut, mentre
attraversava con passi lenti e prudenti il corridoio, illuminato da ampie
finestre che mostravano la grande e maestosa Tebe, così come i suoi signori
l’avevano resa, potente più di qualsiasi altra città.
Mentre camminava, cercava di
ignorare i commenti che provenivano attutiti alle sue orecchie, come se fosse
immerso nelle acque limpide del Nilo, dalle persone che, come lui, passavano
per quel corridoio. Non era tanto stupido da non capire che stessero parlando
di lui, tuttavia non gli interessava sapere cosa dicessero.
La sua carriera, iniziata come semplice apprendista di un
scriba e terminata con la carica di intendente reale2
all’incoronazione, alcuni giorni prima, di Tuthmosis II e della sua consorte Hatshepsut, era perfettamente regolare, frutto solo dei
suoi sforzi. E se la regina lo aveva convocato nella
sua stanza, il motivo era unicamente di lavoro. Lei era troppo stanca per incontrarlo nello studio: solo e semplicemente per
questo era stato autorizzato, e dal Faraone in persona, a recarsi nella sua
camera personale. Finchè aveva la fiducia dei
sovrani, ciò che le malelingue pensavano di lui non aveva alcuna
importanza.
Bussò alla porta in ebano, che trovò sciatta
rispetto al resto del corridoio.
«Entra, Senmut» sentì la
voce di Hatshepsut chiamarlo da dentro. «Ti
aspettavo»
Lui aprì lentamente la porta e si affacciò sulla
soglia. Le pareti erano, se ciò fosse stato possibile, ancora più ricche e
magnificenti di quelle del corridoio, benché i disegni fossero più dolci alla
vista, poiché raffiguravano scene di vita quotidiana, che gli davano un senso di tranquillità. Tuttavia, benché Senmut si
trattenesse anche solo dal pensare una cosa simile, il gioiello più bello e
luminoso della stanza era sicuramente Hatshepsut, in
quel momento sdraiata mollemente sul suo letto, fra le pieghe del leggero
lenzuolo, mentre una serva, brutta al paragone, le massaggiava delicatamente la
schiena. Ad un cenno della regina, smise e, dopo un piccolo inchinò, uscì
velocemente senza fare alcun rumore.
Hatshepsut si alzò dal letto e si
avvicinò a lui. «Andavano bene le mie offerte al tempio di Amon?»
Senmut deglutì. Nonostante
il suo cuore continuasse a suggerirgli di guardare la regina negli occhi,
poiché, sebbene potesse considerarsi un gesto troppo ardito, era sempre meglio
che abbassare lo sguardo e scontrarsi con le forme procaci e invitanti di lei,
completamente nude. Gli prudevano la mani, mentre le
braccia e le vene erano scosse da un tremito quasi volessero disobbedire alla
sua stessa volontà. Il desiderio di abbracciarla diventava sempre più forte,
insostenibile, man mano che le sue labbra si piegavano in un sorriso seducente
e le sue braccia incrociate stringevano con maggior vigore i seni per farli
risaltare.
«Andavano benissimo!» esclamò infine, voltandosi di
scatto verso la porta. «Ora, maestà, ti prego di coprirti»
«Non mi imbarazzi» Hatshepsut fece una piccola risatina.
«Non è per quello…» Infatti
era lui ad essere in imbarazzo! Ormai stava quasi per mangiarsi il cuore, e il
sudore rischiava nuovamente di fargli appiccicare la parrucca al viso. Se la tolse del tutto, rivelando una leggera capigliatura
corvina, e la usò come ventaglio. «Solo che non penso che la Grande Sposa Reale
debba parlare di lavoro con un suo suddito nuda, come qualsiasi altra serva»
Le labbra di Hatshepsut
dipinsero un’espressione di profondo disappunto, mentre con scatto seccato
afferrava il lenzuolo sul letto. «Meglio?» Teneva una mano appoggiata al centro
dei seni, in modo da lasciarli per metà scoperte. Le spalle e le lunghe gambe
rimanevano nude.
Senmut pensò che in questo modo la
sua bellezza risaltava ancora di più, poiché il
formicolio si era allargato anche alle gambe muscolose, frutto dei suoi lunghi
viaggi. «S-si…» esalò. «Domani, maestà, dovrai
incontrare il Gran Sacerdote del tempio di Abido… Solo tu hai la facoltà di scegliere le nuove
danzatrici sacre… Quindi dovrai recarti ad Elefantina,
per il rito del primo pomeriggio… per il pomeriggio, sarai libera…» Parlare di
lavoro e terminare in fretta ciò che aveva da dirle ed andarsene, questa era
l’unica cosa da fare, o non avrebbe resistito ancora a lungo alla tentazione di
saltarle addosso.
«Domani pomeriggio mi dovrò occupare della
supervisione dei granai» lo contraddisse Hatshepsut,
lasciando scorrere le dita fra i suoi capelli notte. «Il re ha
intenzione di recarsi in Nubia per soffocare la rivolta in Kush…
Nel frattempo mi occuperò io dello stato» Abbassò le palpebre per
guardarlo sorridente. «Sarai anche tu con me alle riunioni, vero?»
«Se è questo che la tua
maestà desidera» si limitò a rispondere Senmut. Non che fosse
triste di dover passare del tempo con lei, semplicemente, si sentiva in colpa
per questo. E non voleva mostrare all’esterno il suo
desiderio. Era debolezza di un mortale innamorarsi della moglie di un dio. «Ho la mattina occupata, però. Devo recarmi nella
valle dei re per dare ulteriori disposizioni per la
tomba del Faraone, che egli possa avere sempre salute e forza»
Gli occhi di Hatshepsut si
accesero improvvisamente di gelosia come un fulmine incendia un albero, ma
subito li controllò come se fossero dei cavalli impazziti da sottomettere alla
sua volontà.5 «E come sta la cara Teti?» domandò quindi,
velenosa.
«Non ne ho idea, maestà» mentì Senmut,
improvvisamente preoccupato che potesse equivocare qualcosa ne rapporto con la
loro amica comune. «Il lavoro non mi ha consentito di recarmi a Per-Maat»
Bugia. Hatshepsut poteva
notarlo nel suo tono di voce. «Capisco» disse solo, ignorando i battiti
accelerati che quelle parole le avevano provocato. Non
erano di rabbia. Non erano di gelosia. «Non ho altro da dirti. Puoi ritirati»
Erano di dolore. Per questo erano così più terribili, simili ai rintocchi dei
sistri che aprono le porte dell’aldilà. Terribile. Non
desiderava vederlo mai più! Ma se lo avesse fatto,
quelle porte si sarebbero aperte davvero.
«Come ordini, maestà» Senmut,
sollevato, uscì in fretta. Tuttavia, non appena si ritrovò
solo nel corridoio dipinto, non provò altro desiderio che rientrare. Lo
represse come potè, allontanandosi, facendo
attenzione che i suoi sandali in cuoio non facessero
rumore sul pavimento di granito, affinché non accentuassero i battiti del
cuore.
Nella stanza, Hatshepsut
gettò con violenza il lenzuolo sul letto. Come aveva potuto comportarsi in modo
così stupido? Molte volte si era divertita a conquistare uomini grazie alla sua
bellezza degna della dea Hathor, ma solo perché intendeva usarli per i suoi
scopi. Era la prima volta che, invece, desiderava condividere tutto con
qualcuno, i suoi pregi e i suoi difetti. Unire il suo Ba3 con quello
di Senmut e provare il piacere di un amore unico,
intenso e inimmaginabile, se non da chi non l’ha provato almeno una volta.
La porta si aprì non altrettanto gentilmente
rispetto all’entrata di Senmut, perciò l’umore
negativo delle ragazza peggiorò ancora, capendo di chi
si trattava. Horus incarnato4, il signore delle due terre, il
Faraone Tuthmosis II, suo marito, era venuto a trovarla. Erano sposati solo da
un mese, ossia dal giorno della loro incoronazione, ma non era passata nemmeno
una sera senza che loro due giacessero nello stesso letto. Questo era logico,
poiché i due sovrani avrebbero dovuto impegnarsi a garantire la successione del
sangue di Amon, tuttavia Hatshepsut
ringraziava gli dei per l’imminente partenza del marito.
Senza parlare, si sdraiò sul
letto, lasciando che lui facesse ciò che doveva fare. Non che fosse
un cattivo amante, anzi, o un uomo particolarmente orripilante, ma lei provava
un disgusto incomprensibile non appena veniva toccata da lui. La voglia di
sboccargli sul viso era quasi insopportabile, ma fortunatamente l’auto
controllo era sempre stata una delle sue doti
migliori. Qual’era il motivo
di tanta repulsione? Lei stessa non se lo spiegava. Gli sembrava di tradire. Ma chi? Se stessa? Senmut? Che strana sensazione… Sarebbe stata lei a tradire l’Egitto,
se si fosse rifiutata di avere rapporti con Tuthmosis, e questo non lo poteva
permettere. Che facesse di lei ciò che voleva, purchè fosse per il bene della sua dolce terra. Chiuse gli
occhi, revocando alla memoria la prima immagine di Senmut,
con il volto affannato per la corsa, le leggere gocce di sudore che scendevano
fino alle carnose labbra, semiaperte nel respiro stanco, gli occhi azzurri come
il cielo del mattino, e altrettanto belli. Il piacere che le derivò fu più
intenso del solito.
Fuori, il mantello di Nut6 era di un blu
talmente scuro da sembrare una caverna dell’aldilà, sebbene le stelle pigolassero forte, quasi a piangere l’umore tetro di Senmut che, fermo nel guardino del palazzo, esattamente in
mezzo al viale, alzava lo sguardo verso la finestra della stanza della regina,
ancora illuminata dalla tenue lampada ad olio. Gli occhi azzurri sembravano
pozze d’acqua sulla riva del Nilo. Probabilmente, in quel momento, lei stava
con il Faraone, com’era giusto. Doveva smetterla di pensarci. Non ne era realmente innamorato, non poteva esserlo, poiché a
nessun mortale sarebbe stato concesso. Ciò che di lei amava era probabilmente
il suo comportamento verso l’Egitto. Doveva essere così. Tutti amavano la
regina Hatshepsut come l’amava lui, come si amava una
sovrana. Senmut, sospirando di sollievo per questa
conclusione felice, abbassò lo sguardo e si diresse verso il cancello d’uscita.
Come tutti, lui aveva un posto dove ritornare, da una donna
da amare come Osiride amava Iside. Teti lo
stava aspettando. Lei, bella nonostante gli abiti lisi e le
mani perennemente sporche di pittura. Lei, autentica e pura come l’acqua
delle fontane. Lei, la sua donna.
1. Gli hyksos
erano una popolazione straniera che aveva conquistato il Basso Egitto al tempo
della XVII° dinastia. Il Basso Egitto è poi stato riconquistato da Amosis,
sovrano di Tebe, che appartiene alla XVIII°, della quale fa parte anche Hatshepsut
2. Intendente reale: colui che si occupa degli impegni dei sovrani. Per la
precisione, è l’unico che può autorizzare le persone a conferire con i sovrani.
3. Ba: l’anima umana
4. I Faraoni erano considerati
l’incarnazione in terra del dio Horus, il quale era stato sovrano a sua volta
5. Citazione manzoniana ^^
6. Nut: dea del cielo
Noesis: grazie della recensione
^///^ Mi fa piacere che per ora ti piaccia, spero che continuerai
a seguirla perché mi piacerebbe continuare avere la tua opinione ^^ In effetti
si, l’antico Egitto mi piace moltissimo! Cosa intendi
precisamente per “speculare”?