Mi diverte farti spaventare
Traduzione a cura di besemperadreamer e erika91
Alcuni
secondi dopo il suono della campanella gli studenti si riversarono
fuori dalla
classe. Lei dovette velocemente scansarsi per evitare di essere
travolta dal
tornado. I ragazzini, la maggior parte intorno ai dodici anni, stavano
chiacchierando allegramente tra di loro e Abigail colse alcuni
brandelli di
conversazione quando le passarono vicino. “Ohi, amico, che
avrà mai quell’untuoso
bastardo? Sembra quasi umano di questi tempi. Non si è
nemmeno accigliato
quando il calderone di Chandler è traboccato.”
“Eppure
niente sguardi torvi, niente filippiche, niente di niente.”
“Credi
sia un miglioramento?”
“Sicuro,
forse è andato al San Mungo e gli hanno fatto finalmente un
trapianto di
cuore.”
“Mi
sembra
strano.”
Abigail
sorrise con enfasi a quel dialogo e i ragazzini le scoccarono occhiate
divertite quando le passarono davanti. Indossava vestiti babbani
– un paio di
blue jeans strappati e scoloriti e una camicetta bianca. Il suo aspetto
era
decisamente strano per una scuola magica. Questo e il fatto che avesse
ovviamente qualcosa a che fare con il Professor Piton, che secondo
l'opinione
dei ragazzini non era nemmeno consapevole dell'esistenza delle donne,
fu
abbastanza per far sbizzarrire la loro immaginazione. Le lanciarono
occhiate
sospettose e iniziarono a bisbigliare mentre continuavano a camminare
lungo il
corridoio. Abigail li guardò andare via con uno sguardo
pensieroso sul viso,
poi velocemente entrò dentro l’aula, adesso vuota.
“Toc
Toc?” gridò nella larga stanza. Le tavole di legno
che ricoprivano il pavimento
scricchiolavano sotto i suoi piedi. Annusò un poco l'aria,
inalando il fetore
acre di un esperimento andato male. Gli altri calderoni stavano ancora
bollendo
lentamente senza problemi. Che cosa vi era dentro? Pozione
Corroborante, si
leggeva sulla lavagna, di cui ogni centimetro era ricoperto dalla
scrittura
ordinata di Severus. Lei avanzò verso la scrivania,
aggiustando la presa sul
“Compendio di Bellini” che era ordinatamente
avvolto in un drappo di tessuto
rosso.
Era
un tomo piuttosto pesante. A pensarci adesso, avrebbe dovuto
rimpicciolirlo durante
il viaggio, ma a volte i libri magici, specialmente quelli vecchi, non
reagivano bene agli incantesimi, così aveva preferito farne
a meno. Lo depositò
sul tavolo, solo allora notò la porta sul muro dietro di
essa. Era stata
lasciata socchiusa e probabilmente portava a una qualche sorta di
ripostiglio
per gli ingredienti delle pozioni.
“Severus?”
Abigail chiamò con una nota di curiosità nella
voce, ancora una volta, prima di
incamminarsi verso la lavagna. Afferrò un pezzo di gesso e
disegnò uno
scarabocchio sull'angolo in alto a sinistra, solo per cancellarlo pochi
secondi
dopo. Aspettare non era il suo forte, perché tendeva a
perdere piuttosto
velocemente la pazienza, così iniziò a
passeggiare avanti e indietro nella
classe per tenersi occupata. Mentre camminava lungo le file di tavoli,
distrattamente iniziò a giocherellare con il gesso,
tirandoselo da una mano
all'altra.
Senza
che lei se ne accorgesse, lui scivolò nella stanza, proprio
mentre lei stava
osservando con meraviglia delle stupide incisioni che alcuni studenti
avevano
lasciato sul tavolo dell'ultima fila.
“Abigail,”
disse con tono piatto.
Lei
si voltò con un sorriso sul volto, che lui sentì
essere totalmente immeritato.
“Severus!”
chiamò e avanzò alcuni passi in sua direzione. Il
suo entusiasmo era
inquietante, come sempre.
“Un
incidente con una pozione?” chiese con curiosità.
“Hai
un certo talento per rimarcare le ovvietà,”
sottolineò senza nessuna nota di
divertimento. “Chandler ha deciso di graziarci con un altra
dimostrazione della
sua idiozia.”
“Oh,
avanti, non può essere così male.”
“Voleva
aggiungere dell'erba ascorbica ad una Pozione Corroborante,”
argomentò, il suo
sopracciglio sinistro sollevato cinicamente.
Abigail
fece una smorfia. “Afferrato il concetto. Persino io so che
non è un'idea molto
intelligente e non sono certamente un’esperta di
pozioni,” fece un gesto verso
la direzione generale della scrivania, “Comunque ti ho
portato il Compendio di
Bellini.”
“Grazie,”
disse notando il tomo che giaceva sul tavolo per la prima volta. Piton
lo uscì
dal drappo rosso con attenzione, quasi con reverenza. “E'
perfetto,” rimarcò,
con qualcosa simile alla meraviglia nella voce, mentre con la mano
accarezzava
la copertina.
“Lo
so,” disse lei con aria compiaciuta
“Impressionato?”
“Quasi
completamente,” la traccia di un sorrisetto era udibile nella
sua voce.
“Abbastanza
da cenare con me?” chiese Abigail. “Hai una pausa
adesso, no?”
Lui
ponderò brevemente la sua proposta. “Si, ma non
credo che me la prenderò. Ne ho
abbastanza di quei piccoli marmocchi per oggi.”
“Seriamente?!
Mi hai lasciato venire fino a qui e non mi offri nemmeno di rimanere a
cena?”
Lei sembrava vagamente seccata, ma poi i suoi occhi ricaddero sul
calderone
accanto a lei e la sua espressione mutò in una che lasciava
presagire solo
guai.
“Mi
domando che cosa potrebbe succedere se un pezzo di gesso cadesse dentro
questo
calderone,” disse Abigail innocentemente.
“La
pozione si coagulerebbe e poi esploderebbe, coprendo l'intero
laboratorio,
compresi noi, di sudiciume appiccicoso,” ringhiò.
“Sembra
veramente drammatico,” lei stese il suo braccio con in mano
il pezzo di gesso
al di sopra del calderone.
“Stavo
solo parlando ipoteticamente, sai. É probabilmente la fame
che sta parlando. E
io sto seriamente morendo di fame. Le persone tendono a dire un sacco
di cose
stupide quando hanno carenza di zuccheri. È piuttosto freddo
qui, vero? Mi
sento le ginocchia un po' deboli,” Abigail si
portò la mano libera sulla fronte
con un finto gesto drammatico.
“Non
oserai,” Piton le scoccò uno sguardo ammonitorio.
“Non
ne sarei tanto sicuro. Oltretutto quello che devi fare per evitare la
catastrofe è semplicemente cenare con me.”
“Dammi
quel pezzo di gesso in quest'istante!” pretese con maggiore
veemenza,
camminando verso di lei con la mano protesa. Senza alcun dubbio i suoi
studenti
avrebbero tremato di terrore in quel momento, ma in qualche modo il suo
comportamento autoritario riusciva solamente a portar fuori il peggio
di lei.
“Mi
sento più debole ogni minuto che passa,” gli disse
fissandolo.
“Spero
che tu sia consapevole del fatto che, se tu decidessi veramente di
perseverare,
trascorrerai il resto della serata carponi a pulire quest'aula fino a
farla
splendere.”
“Dimentichi
una cosa. Non sono uno dei tuoi studenti. Non mi puoi dare
punizioni.”
“Avresti
potuto fuorviarmi. Forse è il tuo comportamento immaturo che
mi lascia
momentaneamente malgiudicare la tua maturità,”
replicò lui. “Inoltre non puoi
semplicemente entrare in questa stanza e distruggere le
proprietà della
scuola.”
“Stai
facendo il melodrammatico. L'esplosione causerebbe solo un po' di
confusione.
Questo è tutto. Capirai!”
“Non
di meno dovrai pulire.”
“E
chi si assicurerà che lo farò?”
“Una
domanda piuttosto superflua, non credi? Sarò felice di
supervisionare
personalmente il tuo lavoro.”
“Certamente.”
gli rivolse un sorrisetto compiaciuto. “Non hai cose migliori
da fare che
rimanere nell'Aula di Pozioni oltre il necessario?”
“In
realtà, sì. Quindi preferirei piuttosto che tu
non andassi avanti con il tuo
stupido, insulso progetto.”
“Allora?
Che cosa faremo? Cena o Punizione? E' decisamente una situazione in cui
ci
rimetti comunque se ci pensi un attimo. Ma almeno durante la cena
sarò troppo
occupata a mangiare per assillarti con il mio annoiante
chiacchiericcio.”
“Su
questo punto devo darti ragione,” le concesse. “E
hai condotto
un’argomentazione piuttosto arguta, devo
aggiungere.”
“Esattamente.
Ma ricorda che questo ti ha fatto avere il Compendio di Bellini.
Allora?”
Lui
la fisso pensieroso per un secondo, poi emanò il suo
verdetto. “Va bene.” Stese
la sua mano di nuovo, con impazienza. “Dato che ho ceduto ai
tuoi comportamenti
infantili, saresti così gentile da ridarmi il pezzo di gesso
ora?”
“Certamente,”
lo lasciò cadere sul suo palmo. Le punte delle sue dita
sfiorarono la pelle di
lui e rimasero lì più a lungo del necessario. Il
cuore di Abigail cominciò a
galoppare. I loro occhi si incontrarono e per un breve momento entrambi
rimasero a corto di parole. Poi lei velocemente ritirò la
sua mano, come se si
fosse bruciata.
“Bene.”
La sua voce risuonò senza fiato quando parlò di
nuovo. “Possiamo andare?”
Abigail incrociò le braccia sul suo petto e lo
guardò in aspettativa. Non aveva
mai notato quanto fosse alto fino ad adesso. Ma, appunto, non erano mai
stati
così vicini. Le punte delle sue dita stavano ancora
formicolando slealmente. Chiuse
e riaprì
la mano. Non ci fu un grande
miglioramento.
“Si,
certo, lasciami mettere velocemente via il libro.” Si
voltò bruscamente,
afferrò il tomo dalla scrivania e uscì dalla
stanza. Era andato via solo da
pochi secondi, ma fu abbastanza perché lei si rimproverasse
mentalmente di
agire come una stupida adolescente del tutto cotta.
Quando
ritornò, le passò oltre. “Vieni o pensi
di stare tutto il giorno lì a fissare
il vuoto?” le disse oltre la sua spalla, mentre con forza
apriva la porta che
conduceva fuori dalla classe.
“Arrivo,”
disse e si affrettò per stargli dietro. Dopo aver chiuso a
chiave la porta
dietro di loro, lui s'incammino per il corridoio, le sue vesti nere che
svolazzavano dietro di lui. Lei stava avendo qualche problema a stare
al suo
passo, anche se indossava scarpe da ginnastica.
“Ti
dispiacerebbe non trasformarla in una disciplina Olimpica?”
gli gridò Abigail.
“Si
chiama camminare, non strisciare. Prova solo a tenere il
passo,” disse con
sufficienza.
“Se sei
preoccupato dei pettegolezzi che la mia comparsa causerà,
pensa allora di che
natura saranno se arriverai a cena con una donna accaldata e
sudata.”
Appena
sentì questo si fermò bruscamente e
l'aspettò per farla camminare al suo
fianco. Era sua impressione, o c’era una traccia di rossore
sulle sue guance?
Era riuscita a imbarazzare Severus Piton con un'allusione sessuale?
Il
resto della camminata fino alla Sala Grande fu fatta in silenzio.
Arrivati lì,
con un gesto cortese le fece cenno di entrare prima, il che la
lasciò
leggermente sospettosa. La ragione di quell'improvvisa mostra di buone
maniere
le fu chiara anche troppo velocemente. Quando lui entrò
dietro di lei, tutte le
teste si voltarono nella loro direzione.
“Spero
che tu sia felice adesso,” le bisbigliò
conducendola verso il tavolo dei
professori che si trovava dall'altra parte della Sala.
“Non
pensavo che sarebbe stato così grave.”
“Beh,
come puoi ben vedere, apparentemente lo è. Ma non ti
preoccupare, il meglio
deve ancora venire...”
Stava
per scoprire velocemente che cosa significassero le sue parole
criptiche. La
maggior parte degli insegnanti la stavano rimirando per assicurarsi che
fosse
reale.
Una
robusta donna dai capelli grigi con vesti marroni balzò in
piedi, più che
entusiasta di stringerle la mano. “Chi è questa
tua affascinante amica,
Severus?” disse stendendo la mano ad Abigail, mentre tutti al
tavolo si
zittirono, in vigile attesa di cosa avrebbe detto Piton.
“Abigail
Carter, lascia che ti presenti la Signora Sprite, la nostra insegnante
di
Erbologia.”
“Piacere
di conoscerla.” disse Abigail educatamente e presto la sua
mano fu catturata
nella presa d'acciaio dell'altra donna.
“Oh,
è un tale piacere conoscerla!” esclamò
la Sprite.
“Certo
che lo è,” Piton mormorò e
alzò gli occhi al cielo.
“Madama
Bumb,” gridò la Sprite al tavolo, “Puoi
sederti qui così da far sedere la
Signorina Carter accanto a Piton?”
L'altra
donna annuì e velocemente si spostò. Le
presentazioni vennero ripetute, mani
vennero strette e poi entrambi vennero spostati al centro del tavolo.
“Mi
dispiace tanto,” sussurrò Abigail a Severus mentre
lui la conduceva verso i
loro posti. “Non sapevo che avrebbero fatto una tale
confusione.” Lei poteva
dire dal suo cipiglio quanto fosse profondamente scontento dell'intera
situazione.
“Troppo
tardi per essere dispiaciuti adesso.”
Scostò
la sedia per lei. Un gesto che sapeva aveva fatto, non per farle
piacere, ma
perché ci si aspettava questo da lui.
“Preside,”
annuì verso la McGranitt, che sedeva alla sua sinistra,
prima di sedersi lui
stesso.
“Severus,”
l'anziana donna reciprocò il breve gesto del capo, poi
spostò la sua attenzione
ad Abigail.
“Come
ho potuto capire dalle precedenti conversazioni, il suo nome
è Abigail Carter.”
“Si,
signora.” disse.
“Benvenuta
al nostro tavolo, Signorina Carter.”
“Grazie,
signora.”
“Non
è uno dei nostri studenti. Può chiamarmi
Minerva.” disse la preside,
enfatizzando le sue parole con un cenno del capo breve ed energetico.
“Sono
Abigail.”
Presto
la loro conversazione fu interrotta da un piatto fumante di deliziosa
zuppa di
zucca collocato davanti a loro e improvvisamente Abigail non si
sentì più tanto
rammaricata di aver incastrato Severus a portarla a cena. Dopotutto
l'agitazione che avevano scatenato quando erano entrati insieme si era
dissolta.
“Quindi,
come vi siete incontrati
voi due?” trillò il professor Vitious alla sua
destra.
“Ero
andata a trovare mia zia.
Divideva la camera con Severus.”
Vitious
alzò un sopracciglio alla
casualità con cui la donna aveva usato il nome proprio del
collega, ma non
commentò. Pochissime persone si davano del tu con il
sinistro professore di
pozioni.
“Come
si chiama tua zia?” chiese
la McGranitt.
“Miriam
Priestly.”
“Quella
Miriam Priestly?
“Sì,
proprio così.”
“Lavori
anche tu con gli
incantesimi?”
“No,
temo di non dimostrare un
particolare talento, quando si tratta di incantesimi. Mi sono diplomata
in
Babbanologia e Antiche Rune. Possiedo una libreria a Diagon
Alley.”
“Carter?”
ripeté pensosamente la
direttrice. “Orazio Carter? Tuo padre ha studiato a Hogwarts,
giusto? Era qui,
quando ho iniziato a insegnare. Un giovane uomo brillante. Se ricordo
correttamente era un Serpeverde. ”
“Sì,
lo era.” Rispose Abigail a
monosillabi. Suo padre non era un argomento di cui amava parlare.
Il
tono apatico della sua voce
catturò l’attenzione di Piton. La conosceva da
poco, ma il suo disagio era
quasi palpabile per lui.
“E
cosa ne è stato di lui?”
chiese curiosamente la McGranitt.
“Beh,
ha incontrato mia madre,
una Babbana tra l’altro, si sono sposati. La sua famiglia non
apprezzò
particolarmente l’idea. Purosangue, capite bene. Era un
brav’uomo, ma per
quanto fosse stato ribelle in giovinezza, non riusciva a scuotersi di
dosso più
di vent'anni dedicati al conservatorismo, profondamente radicato nella
sua
mente. Non mi incoraggiò molto ad esplorare le mie radici
Babbane.
Sfortunatamente, più provava ad allontanarmi da quel mondo,
più me ne
interessavo.”
La
maniera in cui tentennava
sulla sua storia diede a Piton la sensazione che stese sorvolando sugli
aspetti
più delicati.
“Beh,
non capisco cosa ci sia di
sbagliato nel cercare di scoprire di più sulle proprie
origini.” rimarcò la
donna più anziana.
“Questo
è molto gentile da parte
tua.”
“Spero
che il signor Carter alla
fine sia ritornato sui suoi passi.
Dopotutto sembri una giovane donna piuttosto
realizzata.”
“Sì,
ora è tutto a posto,” disse
lei piuttosto enigmaticamente, pulendosi la bocca con il tovagliolo.
***
“Ti
accompagnerò a Hogsmeade. I
visitatori a volte hanno difficoltà a ricordare la strada. E
non vogliamo che
tu abbia uno spiacevole incontro con il Platano Picchiatore o che tu
finisca
per sbaglio nella Foresta Proibita, no?”
Abigail
lo guardò
interrogativamente, cercando di scoprire perché
all’improvviso meritasse la sua
gentilezza. Era quasi del tutto certa che lui stesse complottando
qualcosa.
All’inizio della cena, le aveva rivolto delle strane
occhiate.
“Non
voglio scomodarti,” disse
infine in modo evidente.
“Non
mi sarei offerto di
accompagnarti, se non lo avessi voluto.”
La
notte era ormai scesa e loro
avevano iniziato a camminare attraverso i corridoi scarsamente
illuminati della
scuola, fianco a fianco. Al contrario di quanto era accaduto prima,
cercava di
adattarsi alla velocità di lei e di non catapultarsi avanti.
“È
tutto a posto? Non sei più
arrabbiato, vero?” lei gli lanciò
un’occhiata di sbieco. I suo lineamenti
appuntiti erano accentuati dalla semioscurità che li
circondava. Lui non
rispose immediatamente, così lei continuò a
camminare. “Se lo avessi saputo,
non ti avrei tormentato per offrirmi la cena. Davvero! Mi
dispiace.”
“Va
tutto bene.”
“Davvero?”
“L’ho
appena detto, no?”
Rimase
zitto a lungo, e proprio quando
lei iniziava a pensare che avrebbero passato in silenzio la
passeggiata, lui
parlò di nuovo. “Così tuo padre era un
Serpeverde…”
“Sì”
“Ed
è venuto a Hogwarts. Forse
l’ho incontrato.”
“Non
essere ridicolo! Hai solo
sette anni in più di me, è altamente
improbabile…”
“E
allora perché non ho mai
incontrato te?”
“Forse
perché non sono mai stata
a Hogwarts.”
“Hai
studiato a casa?”
“Già.
Ti crea problemi?”
“No,
non direi.”
“Ma
il modo in cui l’hai detto…”
“Sei
piuttosto irritabile, oggi?”
Le lanciò un’occhiata derisoria.
“È già quel periodo del mese?”
“Non
mi piace parlare del
passato. È tutto. O dobbiamo parlare del tuo?”
chiese con enfasi.
Lui
aggrottò le sopracciglia, con
disappunto. “Ho notato che ti comportavi stranamente mentre
parlavi di tuo
padre, durante la cena. Ero preoccupato.”
“Davvero?”
Ora si erano fermati.
Lei lo guardò aggressiva, cercando di capire se stesse
dicendo la verità. Come
si aspettava, lui incontrò i suoi occhi con risolutezza. Non
poteva leggere
niente in quegli occhi neri. La luce ondeggiante dei corridoi, che
scendeva dai
candelabri che pendevano dal soffitto lo facevano sembrare decisamente
inquietante. Le ombre cadevano sul suo viso, cancellando la poca
morbidezza che
c’era. A lui non piaceva il Severus che lei conosceva. E in
quel momento lei
poteva quasi immaginare perché gli studenti fossero
così terrorizzati da lui.
“Sì,”
disse infine. La sua voce,
per una volta, era libera dall’onnipresente tono derisorio.
Il suo timbro
sincero crebbe sotto la pelle di lei e le fece credere a quanto lui
aveva
appena detto.
“Beh,
puoi chiedermi del mio
passato se io posso chiederti del tuo…”
Lui
alzò un poco la testa,
squadrandola pensosamente con gli occhi stretti per qualche secondo.
“Se questo
è necessario per farti parlare… Ma non ti
aspettare che io risponda a tutte le
tue piccole assillanti domande.”
Lei
sapeva quale sforzo dovesse
costargli un tale compromesso. Lui non era molto loquace in generale,
ma quando
si arrivava al suo passato, l’espressione “muto
come una tomba” si adattava
perfettamente. Ogni volta che la loro conversazione aveva costeggiato
quell’argomento, lui aveva sempre cercato di allontanarla da
lì al meglio delle
sue possibilità. Lei rispettava il suo desiderio inespresso,
anche perché di
solito le importava più del presente che del passato.
Abigail
si lasciò sfuggire un
lungo sospiro trattenuto. “Mio padre mi ha buttato fuori di
casa quando avevo
sedici anni. Gli avevo annunciato di voler vivere con i miei nonni per
un po’
per conoscere meglio lo stile di vita dei Babbani. Per un anno intero
ho
vissuto senza magia. È stato davvero affascinante. Pensiamo
sempre che senza
magia ogni cosa vada in pezzi, ma in realtà non è
così,” gli diede un’occhiata
gravosa come se stesse aspettando che lui commentasse, ma con sua
sorpresa
rimase in silenzio.
“Quando
sono tornata, mio padre
si era calmato abbastanza da parlarmi di nuovo. Mia madre era
contentissima.
Sfortunatamente non era cambiato molto. Io ero solo diventata
più categorica nel
volere imparare di più sulla cultura Babbana, mentre mio
padre voleva che
studiassi qualcosa di rispettabile come Incantesimi o Divinazione, e
così via.
Apparentemente la mia decisione di diplomarmi in Babbanologia e Antiche
Rune è
stata, per lui, l’ultima goccia. Mi ha diseredato. Non avrei
più potuto vedere
lui e mia madre fino a quando non avessi cambiato idea. La mamma ha
pianto per
settimane. Almeno, questo è stato quel che zia Miriam mi ha
detto, dato che io
non ero più la benvenuta…”
Per
quanto la riguardava, quella
era la fine della storia. Parlare del suo passato le era costata
moltissima
fatica. Si era trattenuta dal citare il disgusto per se stessa e il
senso di
colpa per il bene di Severus, perché sapeva che piangersi
addosso l’avrebbe
messo molto a disagio. Pensandoci, avrebbe messo a disagio anche lei.
“Capisco,”
disse lui dopo un po’.
In confronto a quanto lei gli aveva appena raccontato, era una risposta
deludente. “Da allora non hai più parlato a tuo
padre?”
“No,
è morto tre anni fa.”
“Mi
dispiace.”
“Beh…,”
lei prese un lungo e
tremolante respiro. “Così va la vita. Raramente
c’è il lieto fine.”
“La
tragedia è che speriamo
sempre che ce ne sia uno.”
“Un
altro idealista deluso,” lei
lo guardò con sorpresa.
“Qualcosa
del genere… Il tuo
libro suggerisce che c’è ancora speranza per noi.
Com’era? Più profondamente il
dolore scava il tuo essere, più gioia è in grado
di contenere.”
“Hai
prestato attenzione.”
Abigail era impressionata.
“Il
San Mungo non è di certo un
luogo di intrattenimento. Non c’era niente di meglio da
fare.” scrollò
casualmente le spalle, cercando di sorvolare sul quella piccola crepa
della sua
facciata ruvida e indifferente.
“Quindi
cosa ne pensi? Pensi che
sia vero?”
Per qualche ragione lui era
determinato a scoprire cosa ne pensasse lei.
“Spero
di sì. Tu?”
“Non
so se posso radunare
abbastanza energia per sperare ancora.”
“Io
credo do sì. Sarebbe davvero
triste se non potessi,” gli lanciò un piccolo
sorriso. Una piccola smorfia
della sua bocca fu il solo segnale che lui aveva provato a
contraccambiare.
Avevano
raggiunto il Punto di
Smaterializzazione. Era una chiara notte d’autunno.
L’aria era frizzante e non
c’erano nuvole nel cielo che nascondessero la luna piena. Da
qualche parte,
lontano sullo sfondo, la sagoma nera del Platano Picchiatore si
delineava
contro lo scuro cielo notturno.
“Okay,”
disse lei infine. “Grazie
per avermi accompagnato fin qui.”
“Prego.”
“Ci
vedremo ancora?” chiese
Abigail insicura.
“Suppongo
di sì.”
Lei
rise. “Allegro come sempre,
eh?”
Catturata
da quel momento di
leggerezza, impulsivamente si avvicinò per dargli un
abbraccio come segno di
saluto. Per lei non era una gran cosa, perché abbracciava
sempre i suoi amici.
D’altra parte nessuno come l’uomo che aveva davanti
le aveva mai dato la
sensazione di averne un terribile bisogno.
Lo
sentì irrigidirsi tra le sue
braccia, ma non lo lasciò.
“Hai
bisogno di rilassarti,
Severus. Dopotutto non sto mica cercando di conficcarti un pugnale
nella
schiena,” scherzò, cercando almeno di fargli
abbassare un po’ la guardia.
Con
sua sorpresa lui lo fece, e
le sue braccia, che fino a quel momento pendevano impassibili ai
fianchi, si
allungarono per circondarla. Era un semplice gesto, ma nonostante
questo la
fece sentire felice. Nonostante l’arai fresca della notte si
sentì
improvvisamente calda e percossa da brividi.
“Hai
un buon profumo,” rimarcò
lei quando indietreggiò. “Pozioni e
sapone.”
Lui
le rivolse un’occhiata
strana. “Non è ciò che la maggior parte
della gente definirebbe piacevole.”
“Io
non sono la maggior parte
della gente.”
“Ovviamente
no.”
“E
questo cosa significa?”
“Non
dovevi forse tornare a
casa?”
“Non
adesso, no.”
“Quindi
preferisci piuttosto
stare qui in piedi al freddo e litigare su cose senza senso.”
Lei
gli lanciò uno di quei
sorrisi brillanti che sapeva lui trovasse snervanti.
“Sì.”
“Sei
esasperante,” disse lui
cupamente.
“Non
è ciò che la maggior parte
delle persone troverebbe piacevole. Eppure sei ancora
qui…”
“Non
ho mai detto di trovarlo
piacevole,” disse, gli angoli della sua bocca curvati in un
piccolo sorriso
compiaciuto.
Lei
non lo aveva mia visto
sorridere, figuriamoci ridere, per cui fu momentaneamente presa in
contropiede.
Era un uomo piuttosto minaccioso, ma non quando sorrideva. Le fece
credere che
da qualche parte nel suo profondo ci fosse qualcosa di più
di un sarcastico
musone. Era qualcosa che sospettava già da tempo o non
avrebbe cercato la sua
amicizia.
“Se
questo è tutto quello che
serve a farti chiudere la bocca…”
rimarcò lui.
“Un modo dei tanti, se non altro,” disse lei, lanciandoli un sorriso impertinente, prima di Smaterializzarsi, lasciandosi dietro un pensieroso professore di pozioni. Lui passò il suo ritorno al castello considerando tutti i possibili significati della frase. Alcuni di essi lo fecero sorridere leggermente.