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Autore: Teanni    13/01/2010    4 recensioni
Piton è sopravvissuto all'attacco di Lord Voldemort, grazie ad uno sfacciato colpo di fortuna e ad un certo Signor Paciock.
Ma il fato è crudele: costretto a letto, deve sopportare la presenza di una giovane donna irritante che lo odia profondamente.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Mi diverte farti spaventare

Traduzione a cura di besemperadreamer e erika91

Alcuni secondi dopo il suono della campanella gli studenti si riversarono fuori dalla classe. Lei dovette velocemente scansarsi per evitare di essere travolta dal tornado. I ragazzini, la maggior parte intorno ai dodici anni, stavano chiacchierando allegramente tra di loro e Abigail colse alcuni brandelli di conversazione quando le passarono vicino. “Ohi, amico, che avrà mai quell’untuoso bastardo? Sembra quasi umano di questi tempi. Non si è nemmeno accigliato quando il calderone di Chandler è traboccato.”

"Ma ha tolto lo stesso dieci punti da Corvonero con tutta tranquillità. ”

“Eppure niente sguardi torvi, niente filippiche, niente di niente.” 

“Credi sia un miglioramento?”

“Sicuro, forse è andato al San Mungo e gli hanno fatto finalmente un trapianto di cuore.” 

“Mi sembra strano.”

Abigail sorrise con enfasi a quel dialogo e i ragazzini le scoccarono occhiate divertite quando le passarono davanti. Indossava vestiti babbani – un paio di blue jeans strappati e scoloriti e una camicetta bianca. Il suo aspetto era decisamente strano per una scuola magica. Questo e il fatto che avesse ovviamente qualcosa a che fare con il Professor Piton, che secondo l'opinione dei ragazzini non era nemmeno consapevole dell'esistenza delle donne, fu abbastanza per far sbizzarrire la loro immaginazione. Le lanciarono occhiate sospettose e iniziarono a bisbigliare mentre continuavano a camminare lungo il corridoio. Abigail li guardò andare via con uno sguardo pensieroso sul viso, poi velocemente entrò dentro l’aula, adesso vuota. 

“Toc Toc?” gridò nella larga stanza. Le tavole di legno che ricoprivano il pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi. Annusò un poco l'aria, inalando il fetore acre di un esperimento andato male. Gli altri calderoni stavano ancora bollendo lentamente senza problemi. Che cosa vi era dentro? Pozione Corroborante, si leggeva sulla lavagna, di cui ogni centimetro era ricoperto dalla scrittura ordinata di Severus. Lei avanzò verso la scrivania, aggiustando la presa sul “Compendio di Bellini” che era ordinatamente avvolto in un drappo di tessuto rosso.

Era un tomo piuttosto pesante. A pensarci adesso, avrebbe dovuto rimpicciolirlo durante il viaggio, ma a volte i libri magici, specialmente quelli vecchi, non reagivano bene agli incantesimi, così aveva preferito farne a meno. Lo depositò sul tavolo, solo allora notò la porta sul muro dietro di essa. Era stata lasciata socchiusa e probabilmente portava a una qualche sorta di ripostiglio per gli ingredienti delle pozioni. 

“Severus?” Abigail chiamò con una nota di curiosità nella voce, ancora una volta, prima di incamminarsi verso la lavagna. Afferrò un pezzo di gesso e disegnò uno scarabocchio sull'angolo in alto a sinistra, solo per cancellarlo pochi secondi dopo. Aspettare non era il suo forte, perché tendeva a perdere piuttosto velocemente la pazienza, così iniziò a passeggiare avanti e indietro nella classe per tenersi occupata. Mentre camminava lungo le file di tavoli, distrattamente iniziò a giocherellare con il gesso, tirandoselo da una mano all'altra.

Senza che lei se ne accorgesse, lui scivolò nella stanza, proprio mentre lei stava osservando con meraviglia delle stupide incisioni che alcuni studenti avevano lasciato sul tavolo dell'ultima fila.  

“Abigail,” disse con tono piatto.

Lei si voltò con un sorriso sul volto, che lui sentì essere totalmente immeritato.

“Severus!” chiamò e avanzò alcuni passi in sua direzione. Il suo entusiasmo era inquietante, come sempre. 

“Un incidente con una pozione?” chiese con curiosità.

“Hai un certo talento per rimarcare le ovvietà,” sottolineò senza nessuna nota di divertimento. “Chandler ha deciso di graziarci con un altra dimostrazione della sua idiozia.” 

“Oh, avanti, non può essere così male.”

“Voleva aggiungere dell'erba ascorbica ad una Pozione Corroborante,” argomentò, il suo sopracciglio sinistro sollevato cinicamente. 

Abigail fece una smorfia. “Afferrato il concetto. Persino io so che non è un'idea molto intelligente e non sono certamente un’esperta di pozioni,” fece un gesto verso la direzione generale della scrivania, “Comunque ti ho portato il Compendio di Bellini.”

“Grazie,” disse notando il tomo che giaceva sul tavolo per la prima volta. Piton lo uscì dal drappo rosso con attenzione, quasi con reverenza. “E' perfetto,” rimarcò, con qualcosa simile alla meraviglia nella voce, mentre con la mano accarezzava la copertina. 

“Lo so,” disse lei con aria compiaciuta “Impressionato?”

“Quasi completamente,” la traccia di un sorrisetto era udibile nella sua voce. 

“Abbastanza da cenare con me?” chiese Abigail. “Hai una pausa adesso, no?”

Lui ponderò brevemente la sua proposta. “Si, ma non credo che me la prenderò. Ne ho abbastanza di quei piccoli marmocchi per oggi.” 

“Seriamente?! Mi hai lasciato venire fino a qui e non mi offri nemmeno di rimanere a cena?” Lei sembrava vagamente seccata, ma poi i suoi occhi ricaddero sul calderone accanto a lei e la sua espressione mutò in una che lasciava presagire solo guai.

“Mi domando che cosa potrebbe succedere se un pezzo di gesso cadesse dentro questo calderone,” disse Abigail innocentemente.

“La pozione si coagulerebbe e poi esploderebbe, coprendo l'intero laboratorio, compresi noi, di sudiciume appiccicoso,” ringhiò. 

“Sembra veramente drammatico,” lei stese il suo braccio con in mano il pezzo di gesso al di sopra del calderone.

“Stavo solo parlando ipoteticamente, sai. É probabilmente la fame che sta parlando. E io sto seriamente morendo di fame. Le persone tendono a dire un sacco di cose stupide quando hanno carenza di zuccheri. È piuttosto freddo qui, vero? Mi sento le ginocchia un po' deboli,” Abigail si portò la mano libera sulla fronte con un finto gesto drammatico. 

“Non oserai,” Piton le scoccò uno sguardo ammonitorio.

“Non ne sarei tanto sicuro. Oltretutto quello che devi fare per evitare la catastrofe è semplicemente cenare con me.” 

“Dammi quel pezzo di gesso in quest'istante!” pretese con maggiore veemenza, camminando verso di lei con la mano protesa. Senza alcun dubbio i suoi studenti avrebbero tremato di terrore in quel momento, ma in qualche modo il suo comportamento autoritario riusciva solamente a portar fuori il peggio di lei.

“Mi sento più debole ogni minuto che passa,” gli disse fissandolo. 

“Spero che tu sia consapevole del fatto che, se tu decidessi veramente di perseverare, trascorrerai il resto della serata carponi a pulire quest'aula fino a farla splendere.”

“Dimentichi una cosa. Non sono uno dei tuoi studenti. Non mi puoi dare punizioni.” 

“Avresti potuto fuorviarmi. Forse è il tuo comportamento immaturo che mi lascia momentaneamente malgiudicare la tua maturità,” replicò lui. “Inoltre non puoi semplicemente entrare in questa stanza e distruggere le proprietà della scuola.”

“Stai facendo il melodrammatico. L'esplosione causerebbe solo un po' di confusione. Questo è tutto. Capirai!” 

“Non di meno dovrai pulire.”

“E chi si assicurerà che lo farò?” 

“Una domanda piuttosto superflua, non credi? Sarò felice di supervisionare personalmente il tuo lavoro.”

“Certamente.” gli rivolse un sorrisetto compiaciuto. “Non hai cose migliori da fare che rimanere nell'Aula di Pozioni oltre il necessario?” 

“In realtà, sì. Quindi preferirei piuttosto che tu non andassi avanti con il tuo stupido, insulso progetto.”

“Allora? Che cosa faremo? Cena o Punizione? E' decisamente una situazione in cui ci rimetti comunque se ci pensi un attimo. Ma almeno durante la cena sarò troppo occupata a mangiare per assillarti con il mio annoiante chiacchiericcio.” 

“Su questo punto devo darti ragione,” le concesse. “E hai condotto un’argomentazione piuttosto arguta, devo aggiungere.”

“Esattamente. Ma ricorda che questo ti ha fatto avere il Compendio di Bellini. Allora?” 

Lui la fisso pensieroso per un secondo, poi emanò il suo verdetto. “Va bene.” Stese la sua mano di nuovo, con impazienza. “Dato che ho ceduto ai tuoi comportamenti infantili, saresti così gentile da ridarmi il pezzo di gesso ora?”

“Certamente,” lo lasciò cadere sul suo palmo. Le punte delle sue dita sfiorarono la pelle di lui e rimasero lì più a lungo del necessario. Il cuore di Abigail cominciò a galoppare. I loro occhi si incontrarono e per un breve momento entrambi rimasero a corto di parole. Poi lei velocemente ritirò la sua mano, come se si fosse bruciata. 

“Bene.” La sua voce risuonò senza fiato quando parlò di nuovo. “Possiamo andare?” Abigail incrociò le braccia sul suo petto e lo guardò in aspettativa. Non aveva mai notato quanto fosse alto fino ad adesso. Ma, appunto, non erano mai stati così vicini. Le punte delle sue dita stavano ancora formicolando slealmente. Chiuse e  riaprì la mano. Non ci fu un grande miglioramento.

“Si, certo, lasciami mettere velocemente via il libro.” Si voltò bruscamente, afferrò il tomo dalla scrivania e uscì dalla stanza. Era andato via solo da pochi secondi, ma fu abbastanza perché lei si rimproverasse mentalmente di agire come una stupida adolescente del tutto cotta. 

Quando ritornò, le passò oltre. “Vieni o pensi di stare tutto il giorno lì a fissare il vuoto?” le disse oltre la sua spalla, mentre con forza apriva la porta che conduceva fuori dalla classe.

“Arrivo,” disse e si affrettò per stargli dietro. Dopo aver chiuso a chiave la porta dietro di loro, lui s'incammino per il corridoio, le sue vesti nere che svolazzavano dietro di lui. Lei stava avendo qualche problema a stare al suo passo, anche se indossava scarpe da ginnastica. 

“Ti dispiacerebbe non trasformarla in una disciplina Olimpica?” gli gridò Abigail.

“Si chiama camminare, non strisciare. Prova solo a tenere il passo,” disse con sufficienza. 

“Se sei preoccupato dei pettegolezzi che la mia comparsa causerà, pensa allora di che natura saranno se arriverai a cena con una donna accaldata e sudata.”

Appena sentì questo si fermò bruscamente e l'aspettò per farla camminare al suo fianco. Era sua impressione, o c’era una traccia di rossore sulle sue guance? Era riuscita a imbarazzare Severus Piton con un'allusione sessuale? 

Il resto della camminata fino alla Sala Grande fu fatta in silenzio. Arrivati lì, con un gesto cortese le fece cenno di entrare prima, il che la lasciò leggermente sospettosa. La ragione di quell'improvvisa mostra di buone maniere le fu chiara anche troppo velocemente. Quando lui entrò dietro di lei, tutte le teste si voltarono nella loro direzione.

“Spero che tu sia felice adesso,” le bisbigliò conducendola verso il tavolo dei professori che si trovava dall'altra parte della Sala. 

“Non pensavo che sarebbe stato così grave.”

“Beh, come puoi ben vedere, apparentemente lo è. Ma non ti preoccupare, il meglio deve ancora venire...” 

Stava per scoprire velocemente che cosa significassero le sue parole criptiche. La maggior parte degli insegnanti la stavano rimirando per assicurarsi che fosse reale.

Una robusta donna dai capelli grigi con vesti marroni balzò in piedi, più che entusiasta di stringerle la mano. “Chi è questa tua affascinante amica, Severus?” disse stendendo la mano ad Abigail, mentre tutti al tavolo si zittirono, in vigile attesa di cosa avrebbe detto Piton.  

“Abigail Carter, lascia che ti presenti la Signora Sprite, la nostra insegnante di Erbologia.”

“Piacere di conoscerla.” disse Abigail educatamente e presto la sua mano fu catturata nella presa d'acciaio dell'altra donna. 

“Oh, è un tale piacere conoscerla!” esclamò la Sprite.

“Certo che lo è,” Piton mormorò e alzò gli occhi al cielo. 

“Madama Bumb,” gridò la Sprite al tavolo, “Puoi sederti qui così da far sedere la Signorina Carter accanto a Piton?”

L'altra donna annuì e velocemente si spostò. Le presentazioni vennero ripetute, mani vennero strette e poi entrambi vennero spostati al centro del tavolo. “Mi dispiace tanto,” sussurrò Abigail a Severus mentre lui la conduceva verso i loro posti. “Non sapevo che avrebbero fatto una tale confusione.” Lei poteva dire dal suo cipiglio quanto fosse profondamente scontento dell'intera situazione. 

“Troppo tardi per essere dispiaciuti adesso.”

Scostò la sedia per lei. Un gesto che sapeva aveva fatto, non per farle piacere, ma perché ci si aspettava questo da lui. 

“Preside,” annuì verso la McGranitt, che sedeva alla sua sinistra, prima di sedersi lui stesso.

“Severus,” l'anziana donna reciprocò il breve gesto del capo, poi spostò la sua attenzione ad Abigail. 

“Come ho potuto capire dalle precedenti conversazioni, il suo nome è Abigail Carter.”

“Si, signora.” disse. 

“Benvenuta al nostro tavolo, Signorina Carter.”

“Grazie, signora.” 

“Non è uno dei nostri studenti. Può chiamarmi Minerva.” disse la preside, enfatizzando le sue parole con un cenno del capo breve ed energetico.

“Sono Abigail.” 

Presto la loro conversazione fu interrotta da un piatto fumante di deliziosa zuppa di zucca collocato davanti a loro e improvvisamente Abigail non si sentì più tanto rammaricata di aver incastrato Severus a portarla a cena. Dopotutto l'agitazione che avevano scatenato quando erano entrati insieme si era dissolta.

“Quindi, come vi siete incontrati voi due?” trillò il professor Vitious alla sua destra.

“Ero andata a trovare mia zia. Divideva la camera con Severus.”

Vitious alzò un sopracciglio alla casualità con cui la donna aveva usato il nome proprio del collega, ma non commentò. Pochissime persone si davano del tu con il sinistro professore di pozioni.

“Come si chiama tua zia?” chiese la McGranitt.

“Miriam Priestly.”

“Quella Miriam Priestly?

“Sì, proprio così.”

“Lavori anche tu con gli incantesimi?”

“No, temo di non dimostrare un particolare talento, quando si tratta di incantesimi. Mi sono diplomata in Babbanologia e Antiche Rune. Possiedo una libreria a Diagon Alley.”

“Carter?” ripeté pensosamente la direttrice. “Orazio Carter? Tuo padre ha studiato a Hogwarts, giusto? Era qui, quando ho iniziato a insegnare. Un giovane uomo brillante. Se ricordo correttamente era un Serpeverde. ”

“Sì, lo era.” Rispose Abigail a monosillabi. Suo padre non era un argomento di cui amava parlare.

Il tono apatico della sua voce catturò l’attenzione di Piton. La conosceva da poco, ma il suo disagio era quasi palpabile per lui.

“E cosa ne è stato di lui?” chiese curiosamente la McGranitt.

“Beh, ha incontrato mia madre, una Babbana tra l’altro, si sono sposati. La sua famiglia non apprezzò particolarmente l’idea. Purosangue, capite bene. Era un brav’uomo, ma per quanto fosse stato ribelle in giovinezza, non riusciva a scuotersi di dosso più di vent'anni dedicati al conservatorismo, profondamente radicato nella sua mente. Non mi incoraggiò molto ad esplorare le mie radici Babbane. Sfortunatamente, più provava ad allontanarmi da quel mondo, più me ne interessavo.”

La maniera in cui tentennava sulla sua storia diede a Piton la sensazione che stese sorvolando sugli aspetti più delicati.

“Beh, non capisco cosa ci sia di sbagliato nel cercare di scoprire di più sulle proprie origini.” rimarcò la donna più anziana.

“Questo è molto gentile da parte tua.”

“Spero che il signor Carter alla fine sia ritornato sui suoi passi.  Dopotutto sembri una giovane donna piuttosto realizzata.”

“Sì, ora è tutto a posto,” disse lei piuttosto enigmaticamente, pulendosi la bocca con il tovagliolo.

***

“Ti accompagnerò a Hogsmeade. I visitatori a volte hanno difficoltà a ricordare la strada. E non vogliamo che tu abbia uno spiacevole incontro con il Platano Picchiatore o che tu finisca per sbaglio nella Foresta Proibita, no?”

Abigail lo guardò interrogativamente, cercando di scoprire perché all’improvviso meritasse la sua gentilezza. Era quasi del tutto certa che lui stesse complottando qualcosa. All’inizio della cena, le aveva rivolto delle strane occhiate.

“Non voglio scomodarti,” disse infine in modo evidente.

“Non mi sarei offerto di accompagnarti, se non lo avessi voluto.”

La notte era ormai scesa e loro avevano iniziato a camminare attraverso i corridoi scarsamente illuminati della scuola, fianco a fianco. Al contrario di quanto era accaduto prima, cercava di adattarsi alla velocità di lei e di non catapultarsi avanti.

“È tutto a posto? Non sei più arrabbiato, vero?” lei gli lanciò un’occhiata di sbieco. I suo lineamenti appuntiti erano accentuati dalla semioscurità che li circondava. Lui non rispose immediatamente, così lei continuò a camminare. “Se lo avessi saputo, non ti avrei tormentato per offrirmi la cena. Davvero! Mi dispiace.”

“Va tutto bene.”

“Davvero?”

“L’ho appena detto, no?”

Rimase zitto a lungo, e proprio quando lei iniziava a pensare che avrebbero passato in silenzio la passeggiata, lui parlò di nuovo. “Così tuo padre era un Serpeverde…”

“Sì”

“Ed è venuto a Hogwarts. Forse l’ho incontrato.”

“Non essere ridicolo! Hai solo sette anni in più di me, è altamente improbabile…”

“E allora perché non ho mai incontrato te?”

“Forse perché non sono mai stata a Hogwarts.”

“Hai studiato a casa?”

“Già. Ti crea problemi?”

“No, non direi.”

“Ma il modo in cui l’hai detto…”

“Sei piuttosto irritabile, oggi?” Le lanciò un’occhiata derisoria. “È già quel periodo del mese?”

“Non mi piace parlare del passato. È tutto. O dobbiamo parlare del tuo?” chiese con enfasi.

Lui aggrottò le sopracciglia, con disappunto. “Ho notato che ti comportavi stranamente mentre parlavi di tuo padre, durante la cena. Ero preoccupato.”

“Davvero?” Ora si erano fermati. Lei lo guardò aggressiva, cercando di capire se stesse dicendo la verità. Come si aspettava, lui incontrò i suoi occhi con risolutezza. Non poteva leggere niente in quegli occhi neri. La luce ondeggiante dei corridoi, che scendeva dai candelabri che pendevano dal soffitto lo facevano sembrare decisamente inquietante. Le ombre cadevano sul suo viso, cancellando la poca morbidezza che c’era. A lui non piaceva il Severus che lei conosceva. E in quel momento lei poteva quasi immaginare perché gli studenti fossero così terrorizzati da lui.

“Sì,” disse infine. La sua voce, per una volta, era libera dall’onnipresente tono derisorio. Il suo timbro sincero crebbe sotto la pelle di lei e le fece credere a quanto lui aveva appena detto.

“Beh, puoi chiedermi del mio passato se io posso chiederti del tuo…”

Lui alzò un poco la testa, squadrandola pensosamente con gli occhi stretti per qualche secondo. “Se questo è necessario per farti parlare… Ma non ti aspettare che io risponda a tutte le tue piccole assillanti domande.”

Lei sapeva quale sforzo dovesse costargli un tale compromesso. Lui non era molto loquace in generale, ma quando si arrivava al suo passato, l’espressione “muto come una tomba” si adattava perfettamente. Ogni volta che la loro conversazione aveva costeggiato quell’argomento, lui aveva sempre cercato di allontanarla da lì al meglio delle sue possibilità. Lei rispettava il suo desiderio inespresso, anche perché di solito le importava più del presente che del passato.

Abigail si lasciò sfuggire un lungo sospiro trattenuto. “Mio padre mi ha buttato fuori di casa quando avevo sedici anni. Gli avevo annunciato di voler vivere con i miei nonni per un po’ per conoscere meglio lo stile di vita dei Babbani. Per un anno intero ho vissuto senza magia. È stato davvero affascinante. Pensiamo sempre che senza magia ogni cosa vada in pezzi, ma in realtà non è così,” gli diede un’occhiata gravosa come se stesse aspettando che lui commentasse, ma con sua sorpresa rimase in silenzio.

“Quando sono tornata, mio padre si era calmato abbastanza da parlarmi di nuovo. Mia madre era contentissima. Sfortunatamente non era cambiato molto. Io ero solo diventata più categorica nel volere imparare di più sulla cultura Babbana, mentre mio padre voleva che studiassi qualcosa di rispettabile come Incantesimi o Divinazione, e così via. Apparentemente la mia decisione di diplomarmi in Babbanologia e Antiche Rune è stata, per lui, l’ultima goccia. Mi ha diseredato. Non avrei più potuto vedere lui e mia madre fino a quando non avessi cambiato idea. La mamma ha pianto per settimane. Almeno, questo è stato quel che zia Miriam mi ha detto, dato che io non ero più la benvenuta…”

Per quanto la riguardava, quella era la fine della storia. Parlare del suo passato le era costata moltissima fatica. Si era trattenuta dal citare il disgusto per se stessa e il senso di colpa per il bene di Severus, perché sapeva che piangersi addosso l’avrebbe messo molto a disagio. Pensandoci, avrebbe messo a disagio anche lei.

“Capisco,” disse lui dopo un po’. In confronto a quanto lei gli aveva appena raccontato, era una risposta deludente. “Da allora non hai più parlato a tuo padre?”

“No, è morto tre anni fa.”

“Mi dispiace.”

“Beh…,” lei prese un lungo e tremolante respiro. “Così va la vita. Raramente c’è il lieto fine.”

“La tragedia è che speriamo sempre che ce ne sia uno.”

“Un altro idealista deluso,” lei lo guardò con sorpresa.

“Qualcosa del genere… Il tuo libro suggerisce che c’è ancora speranza per noi. Com’era? Più profondamente il dolore scava il tuo essere, più gioia è in grado di contenere.”

“Hai prestato attenzione.” Abigail era impressionata.

“Il San Mungo non è di certo un luogo di intrattenimento. Non c’era niente di meglio da fare.” scrollò casualmente le spalle, cercando di sorvolare sul quella piccola crepa della sua facciata ruvida e indifferente.

“Quindi cosa ne pensi? Pensi che sia  vero?” Per qualche ragione lui era determinato a scoprire cosa ne pensasse lei.

“Spero di sì. Tu?”

“Non so se posso radunare abbastanza energia per sperare ancora.”

“Io credo do sì. Sarebbe davvero triste se non potessi,” gli lanciò un piccolo sorriso. Una piccola smorfia della sua bocca fu il solo segnale che lui aveva provato a contraccambiare.

Avevano raggiunto il Punto di Smaterializzazione. Era una chiara notte d’autunno. L’aria era frizzante e non c’erano nuvole nel cielo che nascondessero la luna piena. Da qualche parte, lontano sullo sfondo, la sagoma nera del Platano Picchiatore si delineava contro lo scuro cielo notturno.

“Okay,” disse lei infine. “Grazie per avermi accompagnato fin qui.”

“Prego.”

“Ci vedremo ancora?” chiese Abigail insicura.

“Suppongo di sì.”

Lei rise. “Allegro come sempre, eh?”

Catturata da quel momento di leggerezza, impulsivamente si avvicinò per dargli un abbraccio come segno di saluto. Per lei non era una gran cosa, perché abbracciava sempre i suoi amici. D’altra parte nessuno come l’uomo che aveva davanti le aveva mai dato la sensazione di averne un terribile bisogno.

Lo sentì irrigidirsi tra le sue braccia, ma non lo lasciò.

“Hai bisogno di rilassarti, Severus. Dopotutto non sto mica cercando di conficcarti un pugnale nella schiena,” scherzò, cercando almeno di fargli abbassare un po’ la guardia.

Con sua sorpresa lui lo fece, e le sue braccia, che fino a quel momento pendevano impassibili ai fianchi, si allungarono per circondarla. Era un semplice gesto, ma nonostante questo la fece sentire felice. Nonostante l’arai fresca della notte si sentì improvvisamente calda e percossa da brividi.

“Hai un buon profumo,” rimarcò lei quando indietreggiò. “Pozioni e sapone.”

Lui le rivolse un’occhiata strana. “Non è ciò che la maggior parte della gente definirebbe piacevole.”

“Io non sono la maggior parte della gente.”

“Ovviamente no.”

“E questo cosa significa?”

“Non dovevi forse tornare a casa?”

“Non adesso, no.”

“Quindi preferisci piuttosto stare qui in piedi al freddo e litigare su cose senza senso.”

Lei gli lanciò uno di quei sorrisi brillanti che sapeva lui trovasse snervanti. “Sì.”

“Sei esasperante,” disse lui cupamente.

“Non è ciò che la maggior parte delle persone troverebbe piacevole. Eppure sei ancora qui…”

“Non ho mai detto di trovarlo piacevole,” disse, gli angoli della sua bocca curvati in un piccolo sorriso compiaciuto.

Lei non lo aveva mia visto sorridere, figuriamoci ridere, per cui fu momentaneamente presa in contropiede. Era un uomo piuttosto minaccioso, ma non quando sorrideva. Le fece credere che da qualche parte nel suo profondo ci fosse qualcosa di più di un sarcastico musone. Era qualcosa che sospettava già da tempo o non avrebbe cercato la sua amicizia.

“Se questo è tutto quello che serve a farti chiudere la bocca…” rimarcò lui.

“Un modo dei tanti, se non altro,” disse lei, lanciandoli un sorriso impertinente, prima di Smaterializzarsi, lasciandosi dietro un pensieroso professore di pozioni. Lui passò il suo ritorno al castello considerando tutti i possibili significati della frase. Alcuni di essi lo fecero sorridere leggermente.

  
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