Your
joy is your sorrow unmasked.
And the selfsame well from which your laughter rises
was oftentimes filled with your tears.
And how else can it be?
The deeper that sorrow carves into your being, the
more joy you can contain.
Is not the cup that holds your wine the very cup that
was burned in the potter's oven?
And is not the lute that soothes your spirit, the very
wood that was hollowed with knives?
When you are joyous, look deep into your heart and you
shall find it is only that which has given you sorrow that is giving
you joy.
When you are sorrowful look again in your heart, and
you shall see that in truth you are weeping for that which has been
your
delight.
From
"The Prophet" Kahlil Gibran
Traduzione a cura di besemperadreamer e Erika91
“Ciao,”
lo salutò allegramente Abigail,
quando arrivò dentro la stanza. Era di un inusuale buonumore
quel giorno.
Piton
annuì semplicemente in
risposta, come era sua generale abitudine.
“Buona
giornata anche a lei,” disse
con una certa dose di riservata gentilezza, aspettando pazientemente la
sua
reazione.
Durante le
ultime due settimane
aveva capito che, nonostante lei provasse a mantenere la facciata di
una
persona controllata, era in realtà molto emotiva.
“Puoi
parlare...” rimarcò lei con
eccitazione. Per quanto Severus ne sapeva, lui non le andava molto a
genio,
eppure era genuinamente felice della sua ripresa. Ce l’aveva
di carattere.
“Già,” disse rimarcando il dato oggettivo.
Perché lei stesse facendo tutte quelle storie su qualcosa di
così poco conto,
andava al di là della sua comprensione.
“Wow!
E' un bel traguardo! Non ne
sei… non so… felice?” gli chiese,
camminando verso il suo letto.
Lui
scrollò le spalle. “E' un
piacevole miglioramento.”
“Un piacevole miglioramento?!” ripeté le sue parole con fare sdegnoso. “Allora come mai non sembri contento?”
Severus come
previsto ignorò la sua
domanda. Lei non si diede per vinta, comunque. “Va bene
sentirsi felici di
qualcosa, sai” Abigail gli scoccò uno sguardo
strano. Era chiaro che lo
considerava piuttosto ingrato e oltremodo insopportabile.
“Mi
è piaciuto il libro che mi ha
dato,” cambiò bruscamente l'argomento lui.
Lei
sbatté le palpebre, guardandolo
confusa per quell'improvvisa svolta nella conversazione. “Non
mi aspettavo che
ti sarebbe piaciuto. Non so molto di te, ma non credevo che ti
piacessero gli autori
contemporanei.”
“Non
pensavo che questo lo fosse.”
si accigliò lui, guardando il libro sospettosamente.
“Temo
proprio di sì.”
“Bene,
fortunatamente non l'ha reso
evidente.”
Gli rivolse un
sorrisetto sbilenco,
che doveva essere interpretato come ironico. “E’
vero, è vero! Hai letto quella
parte sulla Gioia e la Tristezza?”
“Era
un passo del libro, no? Allora
direi che può presumere con sicurezza che io l'abbia
letto.” le rivolse
un'occhiata tagliente.
“Sei
acido,” osservò Abigail. “E
scortese,” fece una piccola pausa pensando, “e non
sei un granché a fare
conversazione.”
“E
dunque?”
“E'
divertente.”
“Bene,
sono lieto di essere capace
di divertirla.”
“E tu
non lo sei adesso?” sorrise e
si incamminò verso il letto di sua zia.
Le loro
chiacchierate divennero
sempre più frequenti. All'inizio sembrava che lei si
sentisse obbligata a fare
conversazione per comune decenza, dopo aver scoperto del recupero della
sua
voce, ma presto le loro conversazioni diventarono più lunghe
e meno
impersonali.
Per qualche ragione per lui inspiegabile, da irritato lei lo trovava estremamente divertente. Ma ciò che lo rendeva maggiormente perplesso era che Abigail non sembrava essere intimidita dalle sue maniere scostanti. Occhiatacce e commenti sarcastici in genere funzionavano bene con gli studenti, che si rimpiccolivano e si contorcevano sotto lo scrutinio dei suoi occhi taglienti, mentre lei si limitava a rivolgergli un sorrisetto compiaciuto e replicare con un’eguale frecciatina derisoria. Questo atteggiamento nei suoi confronti era senza precedenti. Forse era questo che lo intrigava e che l'aveva portato in primo luogo a istaurare un qualche tipo di dialogo con lei. Abigail, invece, aveva un'altra teoria.
“No,
davvero sei una persona con cui
è facile parlare...”
“Forse
voleva dire che sono una
persona con cui è facile discutere?” lui
arcuò un sopracciglio in sua
direzione. “Bisogna fare attenzione a queste sfumature
linguistiche, alcune
volte fanno tutta la differenza.”
“E'
così, Professore? Per qualche
ragione mi deve essere sempre sfuggito, grazie per avermi illuminato adesso. Sono
la proprietaria di un negozio di libri, sa. Ma, ecco, è
venuto in mio possesso
solo per una fortuita coincidenza. Le ho già menzionato di
essere illetterata?
E' veramente una situazione tragica,” lei alzò gli
occhi al cielo.
“Ne
dubito. Legge piuttosto
fluentemente.” replicò lui.
“Mi
compiaccio nel sapere che le mie
abilità di lettrice soddisfino i suoi standard, ma potrei
informarla, con molta
gentilezza e rispetto, che lei è forse la persona
più scortese che abbia mai
avuto il piacere di conoscere?” gli disse, sorridendogli
divertita.
“Non
sono stato scortese,” replicò
piuttosto indignato.
“Fino
ad adesso ho potuto osservare
solo due umori del suo indubbiamente ampio repertorio: terribilmente
irritato e
oltremodo infastidito dal troppo stare a letto.”
“Be,
c'è ne un terzo.”
“E
quale sarebbe?”
“Divertente,”
disse con una serietà
mortale ed il volto perfettamente inespressivo.
Lei rise.
“Attento, Severus!
Scherzare così potrebbe compromettere la tua
reputazione.”
“Non
che ne sia rimasta molta
comunque,” disse cupo. Aveva il talento di raffreddare
immediatamente l'atmosfera
come nessun altro. Il sorriso le si freddò sulle sue labbra
e la sua risata
morì lentamente.
“Mi
dispiace. Sembra che sia
riuscita a esagerare ancora,” lei disse con rimorso.
“Non
importa,” scacciò via la sua
scusa con un gesto spiccio della mano, come se fosse una mosca
fastidiosa che gli
ronzava intorno alla testa. “Quindi, cosa stava
dicendo?” chiese Piton,
cambiando deliberatamente l'argomento.
“Ah, già. Allora,” disse dopo un attimo di riflessione. “Dicevo…che quando conosci una persona all’inizio ti aspetti chissà cosa, o magari già ci parti diffidente, ma comunque cerchi sempre di dare una buona impressione. Tra noi, invece, non c’è stato niente di tutto questo…Possiamo dire che ci siamo dati reciprocamente la peggior prima impressione di tutti i tempi, no? Non credi che sia stato meglio così?
***
Abigail si
tirò dietro la porta e
iniziò a camminare lungo il corridoio, seguita dal rumore
dei suoi tacchi sul
pavimento. Gli angoli della sua bocca si stavano lentamente arricciando
in un
sorriso soddisfatto. Lei si accigliò, provando a scacciare
via il pensiero, ma
non vi riuscì, e si fermò di colpo. Come era
successo? Perché si sentiva tutto
ad un tratto così felice?
Un'infermiera
la sorpassò nel
corridoio, ignara del suo dilemma. Si scambiarono un saluto veloce, poi
l'infermiera se ne andò, lasciando Abigail da sola con i
suoi pensieri. Non era
previsto che andasse così.
Era stato
facile odiarlo. L’aveva
voluto fare sin dal momento in cui aveva visto il Marchio Nero sul suo
braccio,
eppure eccola lì a sorridere perché le era
piaciuto parlare con lui.
Le piaceva? Un
uomo che riusciva allo
stesso tempo ad essere ovviamente antipatico e subdolamente piacevole.
La parte
subdola si poteva scorgere nei sorrisi rivolti quando credeva che lei
non lo
vedesse, nel mostrarsi intelligente e dall'ingegno vivace. Era il
partner di
scambi verbali che non aveva mai avuto e che non credeva di volere.
Eppure il suo
passato, quell'oscuro
piccolo dettaglio, stava in agguato dietro l’angolo.
Aveva la
sensazione che prima o poi
avrebbero dovuto farci i conti, ma per il momento poteva solo fidarsi,
e non
era facile dopo tutto quello che aveva passato: in fuga per
più di un anno e trovata
alla fine dai Mangiamorte. Anche se, doveva ammettere, non avevano
esagerato
nel torturarla.
Si erano
limitati a picchiarla e
deriderla, ma non avevano nemmeno estratto la loro bacchetta. Avrebbero
fatto
di peggio, se non fossero stati convocati dal Signore Oscuro. Con molta
probabilità era ancora viva grazie a pura fortuna e perfetto
tempismo. Se
l'avessero catturata qualsiasi altra notte non sarebbe stata
lì.
Quindi
sì, non era particolarmente
felice all'idea che lui fosse stato un Mangiamorte, ma c'era sempre
quel
ragazzino, Potter, che parlava in suo favore. Beh, ragazzino era un po'
inappropriato invero. Era già un giovane uomo. Pensarlo la
fece sentire
vecchia, sebbene fosse solo sulla trentina.
“D'accordo,
che amicizia sia”. Annuì
e riprese a camminare.
Il giorno in
cui fu dimesso gli
portò un paio di sorprese. La prima fu che ricopriva ancora
la posizione di
insegnante di Pozioni a Hogwarts. Infatti nelle prime ore della
mattinata aveva
ricevuto una lettera da Minerva McGranitt, ora preside, nella quale
esprimeva
la sua gioia nell’apprendere della sua rapida guarigione,
sperando che avrebbe
potuto tornare presto a scuola ed iniziare ad insegnare di nuovo.
Ovviamente,
aveva accettato. Nonostante sentisse un profondo disgusto per ognuno di
quei
mocciosetti di Hogwarts che si sentivano geni incompresi, traeva ancora
conforto dai dintorni familiari del suo laboratorio di pozioni, dove,
dopo una
lunga giornata di scuola, poteva concedersi uno dei suoi esperimenti
oppure
perdersi semplicemente nei suoi pensieri. Non conosceva altra vita e
sospettava
che non ne avrebbe voluta un’altra.
La seconda
sorpresa fu un pacco avvolto
da semplice carta marrone. Una delle infermiere, la più
fastidiose di tutte,
per coincidenza - non si era preoccupato di imparare i nomi ma solo di
attribuire a ciascuna diversi livelli di odiosità - glielo
porse con il
commento “Dalla sua amica” e un dolce sorrise
nauseante. Lui l’aveva solo
guardata e gliel’aveva tolto dalle mani.
Lo
aprì solo quando fu fuori dai
confini dell’ospedale, togliendo meticolosamente
l’involto. Era un volume
rilegato in pelle, sulla quale il titolo del libro, “De
Profundis”, era
impresso in lettere d’oro. Fece scorrere le dita su di esso,
assaporando la
sensazione, prima di aprire la prima pagina. Su di essa c’era
scritto qualcosa
con una scrittura tondeggiante piuttosto femminile. Senza dubbio un
messaggio
da parte sua. Lui non aveva mai visto la sua scrittura, ma se
l’era immaginata
proprio così.
Diceva:
“Caro Severus.” Non le aveva
mia permesso di chiamarlo per nome, ma stranamente sembrava che lei
avesse
presunto che andasse bene farlo. Apparentemente le veniva naturale.
“Ho la sensazione
che questo sarà di tuo gradimento più della prosa
che hai dovuto sorbirti
quando leggevo a mia zia, nel corso delle ultime settimane. Nel caso
esaurissi
il materiale di lettura, sai dove trovarmi…”
Si era
assicurata di far si che lo
potesse fare mettendo strategicamente il suo biglietto da visita nel
libro. Lo
prese in mano e lo guardò sospettosamente come se fosse
stato in procinto di
morderlo. Si presentava abbastanza bene. Il davanti era nero patinato,
con il
nome della sua libreria e l’indirizzo scritto in lettere
bianche, mentre il
retro era semplicemente bianco. Ci aveva scritto sopra qualcosa.
All’iniziò
aggrottò le sopracciglia quando lo lesse, ed un sorriso di
sbieco apparve
brevemente sul suo viso, prima di riporlo al sicuro in tasca.
“Veniamo
incontro anche alle
esigenze di pentiti tirapiedi del male.” Nessuno avrebbe
potuto chiamarlo così
e sopravvivere, eccetto Abigail. A conti fatti, era il tipo di
insolenza su cui
passava sopra quando proveniva da lei, perché trovava che
fosse … cercò
velocemente il termine adatto… piuttosto accattivante.
Finì
il libro in una notte. Abigail aveva avuto ragione, sembrava che fosse
stato
scritto per lui. Il fatto che lei avesse indovinato in modo
così intuitivo,
tuttavia, le trattenne dall’accogliere la sua offerta di
andare a trovarla.
Così si lasciò distrarre dalla
familiare routine di
correggere temi, preparare lezioni e assegnare punizioni. Vivendo in
una scuola
collegiale, era abbastanza facile isolarsi dal resto del mondo.
Hogwarts era un
microcosmo pienamente funzionale che provvedeva a qualunque cosa i suoi
abitanti avessero bisogno: biblioteca, cibo, partite di Quidditch, gran
quantità di pettegolezzi, che non apprezzava
particolarmente, ma che erano a
quanto pareva un male necessario…
Il giorno del
suo ritorno sentì che
nulla era cambiato. Aveva indossato una volta ancora le sue familiari
lunghe
vesti nere e quando aveva messo piede nella classe il familiare odore
di gesso
e legno, mischiato ad una leggera nota di reagenti acidi che sembrava
essere
penetrata in ogni angolo della classe di Pozioni grazie agli
innumerevoli
esperimenti che vi aveva condotto, lo aveva immediatamente circondato.
Era a
casa. Era come un guanto della misura giusta.
Per un
po’ era stato comodo
rifugiarsi nella quotidianità, ma chissà come non
trascorse una sola sera senza
che lui prendesse in mano il suo biglietto da visita, rigirandolo
pensieroso.
Avrebbe davvero rifiutato l’unica amica che si era fatto
in… quanto? Dieci
anni? Di più?
Infine la sua
decisione di vistare
Diagon Alley arrivò all’improvviso, in modo quasi
impulsivo. Una sera
semplicemente ne ebbe abbastanza di starsene seduto a pensare alle
opportunità
passate. Senza pensarci troppo si buttò addosso il mantello
e scivolò fuori dal
castello. Una volta fuori si Smaterializzò e
arrivò presto a Diagon Alley.
I negozi
stavano per chiudere, era
un giorno feriale e pochissime persone stavano facendo compere
dell’ultimo
minuto. Trovò il suo negozio abbastanza facilmente, ci era
passato un paio di
volte prima della guerra. Nonostante avesse sempre trovato i libri
esposti in
vetrina piuttosto interessanti, si era sempre ammonito silenziosamente
di non
permettere che il suo sguardo indugiasse troppo a lungo. Non sarebbe
stato
consigliabile per un Mangiamorte fissare la vetrina di un negozio con
libri
Babbani. Sicuramente il Signore Oscuro avrebbe avuto da ridire.
Dopo un breve
momento di esitazione
entrò nel negozio, scivolando attraverso la porta
principale, col mantello nero
che gli svolazzava dietro in modo teatrale. Sarebbe stata senza dubbio
un’entrata impeccabile, ma sfortunatamente fu rovinata della
musica da alto volume
che rimbombava dentro il negozio. Abigail stava in mezzo al corridoio,
dandogli
le spalle, cantando da sola a pieni polmoni.
Presa dal ritmo
della musica, presto
iniziò anche a ballare. Il modo in cui si muoveva ricordava
vagamente la danza
di un serpente. I suoi movimenti rimasero fluenti come onde fino al
momento in
cui la canzone culminò in un rimbombante assolo di basso.
Lui dovette mordersi
la guancia per non iniziare a ridere senza controllo. Un minuto prima
l’avrebbe
definita aggraziata, ma il ballo in cui si stava esibendo ora ricordava
vagamente una di quelle danze tribali. Senza dubbio avrebbe piovuto il
giorno
dopo, se avesse continuato così.
Come se non
fosse abbastanza,
l’infame canzone che lei stava urlando apparentemente
s'intitolava “Puttana”
o qualcosa di ugualmente assurdo, perché il ritornello era
“Sono una
puttana, sono un’amante, sono una bambina, sono una madre.”
Era sufficiente
a ridicolizzarla a
vita. Improvvisamente fu estremamente felice di aver scelto quel
particolare
momento per la sua visita. Ora, comunque, era tempo di rendere nota la
sua presenza.
Realizzando di non poter sovrastare con la voce il rumore dello stereo,
estrasse la sua bacchetta e la puntò a
quell’offensivo aggeggio elettronico. “Silencio!”
sibilò. Immediatamente la musica si affievolì.
Lei smise di
muoversi e si guardò
intorno confusa, prima di tutto verso lo stereo che si era
improvvisamente
azzittito. Girandosi, i suoi occhi lo incontrarono. Non aveva mai visto
nessuno
arrossire così tanto. La bocca di lei si apriva e chiudeva
mentre cercava di
dire qualcosa.
“Beh,
suppongo che tu stia
certamente augurandoti di non aver spedito il tuo invito,”
commentò seccamente,
incapace di trattenere una certa quantità di derisione.
Lei
tossì. “Severus?” chiese,
dandogli un’occhiata veloce come per accertarsi che lui fosse
realmente lì.
“Sì,”
rispose lui, assaporando
l’occhiata sconcertata sul suo viso.
“Hai
un bell’aspetto. Riposato.”
“E
lei sembra agitata,” rimarcò
tranquillamente.
“Sì?”
lei si sfregò il collo
imbarazzata. “Da quanto sei qui?”
Le
lanciò un’occhiata derisoria e
con grande sorpresa lei scoprì che lui stava sorridendo
leggermente.
“Merda,”
sussurrò sottovoce, mentre
la cima delle sue orecchie diventava sempre più rosa.
“Bene, cosa posso fare
per te oggi, Severus? Eccetto essermi umiliata davanti a te e averti
concesso
il momento più divertente di tutta la tua vita,
ovviamente,” disse Abigail,
iniziando lentamente ad arrabbiarsi.
“Cosa
per la quale è quasi valsa la
pena la visita, devo dire.”
Abigail si
lasciò quasi scappare un
borbottio frustrato, ma si morse la lingua. “Quindi?
C’è altro?” chiese
bruscamente, perdendo lentamente la pazienza.
“Ha
altri consigli?” chiese lui
piuttosto formalmente.
“Solo
quelli che mi sento in obbligo
di darti,” disse Abigail fissandolo. “Blake, Byron,
Keats, Coleridge, Shelley e
un po’ di Rossetti.”
Lui
aggrottò le sopracciglia, cosa
che la incoraggiò a illuminarlo. “Anche i sarti
prendono le misure, no?”
In mezz'ora,
vicino all’ora di
chiusura, avevano assemblato una pila ordinata di libri. Dopo averli
depositati
alla cassa, lei affrettò il passo per recarvisi dietro e
iniziò a rovistare in
modo affaccendato.
“Il
compendio di Bellini delle Erbe
e delle Pozioni,” mormorò Abigail a se stessa
mentre sollevava un grosso
catalogo sul tavolo. Si mise gli occhiali, aprì il libro e
seguì la colonna con
l’indice. “Non in magazzino. È un
peccato,” mormorò. “Ma so dove
capitarlo…
Devo solo prendere la Metropolvere…”
Severus decise
di schiarirsi la gola
per ricordarle la sua presenza. “Oh, mi dispiace,”
sorrise. “Ero di nuovo
sovrappensiero, vero? Beh, a proposito del libro. Posso riuscire a
recuperarne
una copia per te, ma ci vorranno un paio di giorni. Vuoi che ti arrivi
per
consegna?”
“Sono
sorpreso che lei riesca a
ottenerne una copia. Il signor Slug, in fondo alla strada, mi ha
detto…”
“Oh,
quel vecchio pipistrello! Manca
di quella finezza diplomatica necessaria a svolgere il
lavoro…”
“Mi
dica, la prego, che tipo di
finezza diplomatica è necessaria a ottenere una delle rare
copie del Compendio
di Bellini?”
Lei gli
lanciò un sorriso
cospiratorio. “Prima di tutta, devi saper parlare italiano,
poi devi saper
parlare dolcemente, e terzo, e più importante, devi essere
una donna. Se
ricordo correttamente le suddette caratteristiche non si applicano al
vecchio
Slug, il che rappresenta il motivo della sua incapacità ad
ottenerne una…
Consegna, quindi?”
“Ehm…
sì, grazie.”
“Dammi
più o meno una settimana.”
“E
riguardo a questi,” indicò la
pila di libri sulla cassa di fronte a lui. “Quanto le
devo?”
Lei
arricciò il naso con disapprovazione,
chiaramente scontenta dell’idea di parlare di denaro con lui,
anche se non
poteva proprio permettersi di essere troppo schizzinosa. Dopotutto era
una
libreria, non una biblioteca. “50% di sconto,”
disse velocemente.
Lui gli
rifilò un’occhiata affilata.
“Non sono scontati,” disse lentamente.
“Lo
sono se lo dico io. Oh, e
comunque, si suppone che funzioni così - tu, come cliente,
chiedi di abbassare
il prezzo, non di alzarlo.” spiegò con calma.
Nota
dell'Autrice: Oh, ho dimenticato di dire che la canzone che canta Abby
è
“Bitch” di Meredith Brooks.
NdTraduttrici
Grazie a chi ha inserito la traduzione fra le storie seguite e preferite.
Grazie a Biancalupin, Ernil e Dogma per i complimenti.
Ernil: i capitoli saranno 19, e tenteremo di postare regolarmente. Ti assicuro che Piton (abbiamo deciso di mantenere il nome italiano perchè EFP è un fandom italiano) rimarrà IC, e Abigail non è affatto una Mary Sue, mentre Harry non avrà un gran ruolo. Ci farebbe piacere sapere dove la traduzione si inceppa, almeno in generale: nei dialoghi, o nelle parti narrative?
Dogma: molte grazie per i complimenti, ti piacerà come si evolverà il rapporto tra i due.
Una curiosità: perchè vi piace tanto il nome Abigail?
A presto