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Autore: Glance    18/01/2010    3 recensioni
Sei mesi, la conoscevo da soli sei mesi. Eppure potevo dire di esistere veramente solo da quando il battito del suo cuore scandiva ogni momento che passavo con lei. Sei mesi e oggi sarebbe stata la ricorrenza della sua nascita, il suo compleanno. Il fatto che fosse nata era qualcosa per cui festeggiare, qualcosa che bastava a giustificare la creazione dell’intero mondo.(Quello che di Edward non é stato scritto in NEW MOON)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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La capacità di ricordare in maniera nitida con dovizia di dettagli era una tratto caratteristico di ciò che eravamo. Fosse passato un minuto, un giorno, un anno, o tutta l’eternità io avrei potuto ricordare ogni più piccolo particolare di quello che mi era successo nitidamente, come se si fosse appena verificato, come se lo stessi vivendo in quell’istante.
Quel giorno sarebbe rimasto inciso nella mia mente, nei miei ricordi, come l’attimo in cui si era svolto.
Suo padre era rientrato, aveva portato la pizza per non permettere a Bella di cucinare anche il giorno del suo compleanno, mentre sembrava non stupirsi del fatto che io per l’ennesima volta declinassi l’invito a cenare con loro, gli chiesi con garbo il permesso di poter avere Bella con noi quella sera per festeggiare il suo compleanno. Se mi avesse detto di no, se solo avesse rifiutato il suo permesso, adesso non starei vivendo in questo incubo.
Già. Chi lo aveva detto che per noi non fosse possibile avere degli incubi? Io ci stavo sguazzando in mezzo da tempo immemorabile, sveglio, perfettamente vigile e presente, nel mio incubo personale, ma mai era stato terrificante come in quel momento che avrei visto ripetersi davanti ai miei occhi per sempre come la scena di un film mandata indietro e riavviata.
Lei che giaceva in terra tra schegge di vetro e con una lunga ferita sul braccio sanguinante.
I miei fratelli che cercavano di tenere a bada Jasper preso dalla frenesia del sangue di Bella.
La difficoltà di tutti a poter respirare con la stanza satura del suo odore. Un invito troppo allettante per potere resistere. Rabbia e vergogna che si erano impossessati di me.
Come avevo potuto essere così idiota? come avevo potuto non prevedere quella situazione?
Semplicemente mi ero rilassato, avevo abbassato la guardia. Per un attimo avevo sperato che una convivenza tra i nostri due mondi fosse possibile, ed avevo rischiato la tragedia.
Avevo sottoposto la mia famiglia a quell’umiliazione, li avevo esposti al pericolo di essere scoperti, ma la cosa che non riuscivo a perdonarmi era che avevo messo lei in pericolo e che la morte le sarebbe potuta arrivare da quello che consideravo mio fratello. Il più debole di tutti noi, quello che maggiormente aveva bisogno del nostro aiuto per resistere a ciò che era.
Non avevo rispettato nessuno in questa storia agendo da egoista. Avevo calpestato tutti.
Dicevo di amarli e guarda che cosa avevo provocato, ma la disperazione più grande stava nel fatto che ero venuto meno a tutte le promesse fatte e lei.
Le avevo detto che l’avrei protetta, che le sarei stato accanto per fare in modo di non metterla più in pericolo e invece avevo voluto dimenticare che il vero pericolo per lei ero solo io.
Non aveva voluto regali per il suo compleanno, ed io da perfetto innamorato gliene avevo fatto uno a sorpresa. La festa di compleanno che non avrebbe dimenticato per il resto della sua vita, dove per un banalissimo incidente, un’insignificante taglio su un dito con un foglio di carta da regalo aveva rischiato di morire.
Era bastata quella piccolissima goccia di sangue per farmi smettere di respirare e scatenare la sete incontrollabile di mio fratello.
Solo un attimo prima eravamo davanti alla grande villa a scherzare sul suo dubbio se saremmo apparsi o meno sulle fotografie che aveva scattato a casa sua prima di uscire, stavamo ammirando il lavoro fatto da Alice per addobbare a festa la casa in suo onore, la stavo pregando di non fare troppo la difficile e non negarci la possibilità di festeggiare un compleanno, cosa impossibile da fare ormai per tutti noi, l’ultimo a festeggiare era stato Emmett, ma parlavamo del 1935.
Le avevo anche chiesto di essere paziente con Rosalie perché sapevo quanto fosse difficile per lei gestire i rapporti con mia sorella. “ non preoccuparti” le avevo detto “ farà del suo meglio”.
La stavo tenendo per mano stuzzicandola sul fatto che non volesse accettare in regalo una macchia più veloce e poi mi aveva fatto innervosire ricordandomi che da me avrebbe voluto solo un regalo, quello di diventare ciò che ero io. - Questo non sarà il tuo ultimo compleanno Bella. – Le avevo risposto accompagnando quell’affermazione con un suono cupo e minaccioso che mi era nato spontaneamente dal petto, al solo pensiero che lei potesse desiderare una cosa del genere. Dovetti sforzarmi per ritrovare la calma alla sua risposta, quel suo “ Non è giusto!” Pronunciato con risentimento e delusione mi aveva fatto digrignare i denti serrando le mascelle.
Che gesto da eroe la mia indignazione a quell’affermazione, a quella richiesta che mi offendeva.
Non capiva, non voleva capire che io non avrei mai messo fine alla sua vita, non avrei mai permesso che diventasse come me.
Quanto ero stato ingenuo a poterlo solo sperare, a credere che non sarebbe potuto succedere.
Con me lei non sarebbe mai stata al sicuro. Io non potevo decidere di scegliere di non mettere fine alla sua vita, il solo fatto di avermi fatto entrare nella sua esistenza, ne decretava automaticamente la fine in un modo o nell’altro, se non per mano mia, sarebbe potuto succedere in qualsiasi altro modo. Era già successo prima con James, ora con Jasper, domani forse io stesso non sarei stato in grado di controllare il mostro che albergava in me.
Mio padre era stato costretto a metterle dei punti e poi io l’avevo riportata a casa vestita in maniera diversa da come era uscita, da come suo padre me l’aveva affidata e per la seconda volta, fidandosi di me, l’avevo messa in pericolo.
Pensavo a questo mentre ritornavamo, a questo e a come la mia famiglia aveva cercato di scusarsi, ma che comunque continuava a rappresentare insieme a me un pericolo reale per la sua vita.
Erano mortificati, lo sapevo, io ero invece furioso con me stesso. Jasper continuava a chiedermi di perdonarlo, i pensieri di Rosalie inespressi risuonavano nella mia testa.
Ma quello che mi continuava a dilaniare era l’atteggiamento di Bella. Si sentiva responsabile. Non ci dava nessuna colpa, non accusava me per tutto quello che era costretta a subire da quando mi conosceva, anzi se ne addossava tutta la responsabilità. Era stata la sua sbadataggine la causa di tutto a sentire lei.
Fu quella sera che quel pensiero s’insinuò nella mia mente, che presi la decisione di sradicarla da ogni fibra del mio essere. Sapevo che mi avrebbe annientato, ma il suo bene, la sua salvezza erano prioritari per me. Lei veniva prima di ogni mio egoismo, desiderio o bisogno.
Avrei rinunciato a lei per permetterle di vivere la sua vita, normalmente e felice, lontano da qualcuno come me.
Iniziai a staccarla da me, quella sera stessa. Dal mio sguardo, cominciando a sfuggire il suo, dai miei gesti, l’avrei toccata il meno possibile. Nel tono della voce con cui mi sarei rivolto a lei.
Non potevo permettermi cedimenti, non sarebbe stato facile di questo ne ero convinto.
L’avrei guardata negli occhi e sarei stato deciso, chiaro e irremovibile. Sarei sparito dalla sua vita, per sempre.
Quella sera rimasi con lei, come avevo previsto aveva capito che qualcosa era cambiato tra di noi e aveva bisogno di tranquillizzarsi.
Volle che le dessi il suo regalo di compleanno. Avevo inciso un cd con le note della sua ninna nanna, quella melodia che era scaturita una sera che mi ero seduto al piano pensando a lei. Stentava ad addormentarsi faceva i capricci come una bambina, nel tentativo di ricreare quel qualcosa che aveva avvertito di stare perdendo.
Poi venne la richiesta di un bacio, un desiderio da esaudire per il suo compleanno che aveva deciso che smettessi di ignorare.
Per me era chiaro, la conoscevo, il suo intuito verso ciò che mi riguardava, ci riguardava, era forse pari alla mia capacità di leggere nella mente. In qualche modo sapeva.
- Sei avida questa sera.- Le risposi.
- Si lo sono.- Disse – ma per favore, non farlo se non lo desideri davvero.- Aggiunse risentita.
Risi sospirando amaramente.
- Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia.- La mia risposta assunse il tono della disperazione che precede un addio.
Le presi il mento con la mano e avvicinai il suo viso al mio. All’inizio fu un bacio cauto come al solito, mentre sentivo il suo cuore perdere il controllo.
Poi, come mi era già capitato la primavera precedente quando l’avevo salutata costretto a lasciarla senza sapere quando e se l’avrei rivista, per allontanarla dal pericolo di James, come allora, le dissi addio, prolungando quel bacio e indugiando più del dovuto e nella maniera che di solito non concedevo mai a noi due di avere . Infilai la mano libera tra i suoi capelli cercando di tenerne più allungo possibile la sensazione di morbidezza che sentivo tra le dita e trattenendo la sua testa contro la mia. Malgrado le sue mani fossero già sui miei capelli e la sentissi sul punto di oltrepassare il confine della prudenza che solitamente imponevo, non la fermai, nonostante a dividerci ci fosse solo lo spessore della coperta lasciai che si stringesse a me impetuosa.
Quello era il mio rinunciare a lei, silenzioso e disperato. Poi il contatto divenne veramente insostenibile per me a tal punto da temere per il mio autocontrollo e bruscamente mi staccai da lei afferrandola con dolcezza e decisione.
Sentivo il suo fiato corto, vedevo la sua confusione nello sguardo. Crollò sul cuscino.
- Scusa- Le dissi anche io senza fiato.- Ho esagerato.- Ma la sua risposta non mi stupì.
- Non m’importa.- Semplicemente questo. Non le importava come non le era importato mai niente di tutto quello che le era capitato per causa mia, ma se lei era così avventata, io dovevo rinsavire e cercare di avere buon senso sufficiente per tutti e due.
Aggrottai le sopracciglia a quell’ennesima affermazione che non teneva in nessun conto se stessa.- Cerca di dormire Bella.- Risposi.
- No, voglio che mi baci ancora.- Replicò testarda. - Sopravvaluti il mio autocontrollo.- Ribadii fissando un punto indistinto sul soffitto. Avvertivo il suo smarrimento, il suo aggrapparsi con tutte le forze a quei tentativi per cercare di ristabilire un equilibrio che sentiva sbilanciato, ma non dovevo spaventarla più del dovuto. Non sarei stato capace di contenere e contrastare la sua disperazione.
- Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?- Domandò e capii nella sua voce l’ansia trattenuta di chi percepisce un presagio.
Mi sfuggì un sorriso.- L’uno e l’altro.- Affermai per tornare subito serio.- Ora perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?- Acconsentì.
- Va bene.- Rispose e si rannicchiò contro di me, era esausta potevo sentirlo. Era stata una giornata lunga e tremendamente difficile per entrambi. Avvicinò il braccio ferito alla mia spalla e la sentii tremare mentre si abbandonava arrendendosi alla stanchezza.
Quello sarebbe stato l’inizio della mia fine, ma dovevo dirle addio.
  
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