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Autore: Glance    18/01/2010    3 recensioni
Sei mesi, la conoscevo da soli sei mesi. Eppure potevo dire di esistere veramente solo da quando il battito del suo cuore scandiva ogni momento che passavo con lei. Sei mesi e oggi sarebbe stata la ricorrenza della sua nascita, il suo compleanno. Il fatto che fosse nata era qualcosa per cui festeggiare, qualcosa che bastava a giustificare la creazione dell’intero mondo.(Quello che di Edward non é stato scritto in NEW MOON)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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“A cosa pensi?” mi aveva chiesto nella sua stanza “ Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato.” Le risposi e quella considerazione non aveva lasciato per un istante la mia mente.
Cosa era veramente giusto e sbagliato?
Era giusto che l’avessi voluta per me, era giusto che mi amasse, era giusto che sapesse del mio mondo, farle correre tutti quei pericoli? Era giusto privarla della sua normalità, di attimi preziosi della sua vita per stare con me? Ciò che era sbagliato lo sapevo bene, ma avevo cercato di tenermelo nascosto, di ignorarlo.
La volevo come non avevo mai desiderato niente in tutta la mia esistenza solitaria e vuota e l’amavo come non credevo fosse possibile amare, ma non potevo non considerare che chiunque sarebbe stato più degno e migliore di me per lei.
Il mio pensiero era volato a Mike Newton se si fosse tagliata a casa sua insieme a Jessica, Angela e gli altri suoi amici normali quali rischi avrebbe corso? Forse solo di non trovare le bende.
Se fosse caduta su una pila di piatti di vetro inciampando anche senza che qualcuno ce l’avesse scaraventata, anche in quel caso cosa avrebbe rischiato, di sporcare i sedili della macchina di suo padre mentre la portava all’ospedale? Magari Mike Newton le avrebbe potuto tenere la mano mentre la ricucivano e sarebbe potuto rimanere lì senza combattere contro l’istinto di ucciderla.
Lei però pensava che fosse colpa sua. Come faceva? Si era solo tagliata con della carta, nessuno poteva condannarla per questo, ma lei continuava a ritenersi l’unica responsabile, lei e il suo essere sbadata e maldestra e questo non faceva che rendermi ancora più nauseato di me stesso.
Pensavo veramente che Mike sarebbe potuto essere l’alternativa più salutare ad uno come me e glielo dissi.
- Preferirei morire che stare con Mike.- Protestò – Piuttosto che stare con chiunque non fossi tu.- Quelle parole mi risuonavano nella testa mentre tornavo a casa dopo averla salutata con un bacio veloce sulla fronte mentre ancora dormiva.
Ero furioso con me stesso e la notte trascorsa non era servita a lenire quel sentimento di disgusto e impotenza verso qualcosa che non poteva essere cambiato neanche impegnandomi all’infinito. Per sempre immutato e immutabile. Niente sarebbe intervenuto a modificarmi, niente ci sarebbe riuscito mai, neanche lei e il suo amore incosciente.
Non potevo fare a meno di ripensare ai suoi ingenui tentativi per calmarmi, a come era rimasta in silenzio senza protestare quando mi misi alla guida del suo Pick-up per riportarla a casa a come non aveva fatto commenti sul regalo di Emmett che faceva bella mostra di sé sul cruscotto della sua macchina e al tentativo impacciato di fare sparire il grande fiocco rosso che vi era stato posto sopra, facendolo scivolare sotto il sedile. Aveva resistito senza parlare in quel silenzio che gridava tutto il mio tormento fino a non poterne più.
“Di’ qualcosa” implorò, mentre guidavo come nessuno sarebbe stato in grado di poter fare nel suo mondo.
Ma cosa avrei potuto dirle? Scusarmi per la milionesima volta di qualcosa che non avrei mai potuto tenere lontano da lei? Il pericolo che rappresentavamo era reale e innegabile e tutto l’amore dell’intero universo non sarebbe servito a tenerla al sicuro.
Alla mia risposta fredda su cosa volesse che le dicessi la sentii rabbrividire ed aggiungere che voleva il mio perdono.
Quella esclamazione mi rese furioso. Come poteva pensare che fosse colpa sua. Accidenti! Non si poteva scusare del fatto che stava per essere uccisa. Alle mie considerazioni su cosa fosse più salutare per lei lontano da me, mi diede del ridicolo.
Cercava in tutti i modi di minimizzare per salvare la serata me ne rendevo conto, ma fino ad ora i suoi tentativi erano falliti e capivo che stava rimuginando su come fare a strapparmi da quel dolore in cui mi stavo crogiolando.
Arrivati davanti a casa sua non riuscii a staccare le mani dal volante erano contratte in uno spasmo di rabbia repressa. Avrei voluto spaccare tutto.
Poi la sua voce che aveva il potere di calmarmi come un balsamo.
Quella richiesta a restare con lei, nonostante tutto.
Continuava a volermi accanto a sé, ma sapevo che non era il caso.
Non riuscii a negarglielo e l’accompagnai per un tratto portandole i pacchetti. L’avrei aspettata nella sua stanza. La sua espressione ogni volta che mi rivedeva anche solo dopo pochi minuti mi lasciava sempre stupefatto, era sempre come se ritornasse a respirare solo quando le ero accanto. Anche per me il tempo e lo spazio smettevano di esistere, sembrava quasi che galleggiassi nel nulla senza di lei.
Si precipitò tra le mie braccia accoccolandosi sul mio petto. Era spaventata, intimorita da ciò che intuiva.
Quel pensiero della necessità di dover agire esclusivamente per il suo bene e quella sensazione che faceva seguito alla mia decisione talmente inevitabile quanto necessaria, non servì a lenire minimamente quel senso di sgomento che invadeva tutto il mio essere.
Appena avevo realizzato quale fosse la cosa giusta da fare il mio cuore che non batteva da quasi un secolo all’improvviso ebbi l’impressione che fosse sparito. Al solo pensiero di allontanarla da me una voragine si era impadronita del mio petto. Un enorme vuoto che non avevo mai sentito prima di allora si aprii in maniera fulminea e così violenta da farmi avere l’impressione che una mano mi avesse afferrato quel mio cuore muto strappandolo via.
Tornai a casa a cambiarmi per andarla ad aspettare a scuola come facevo sempre.
Sarebbero stati gli ultimi momenti che mi concedevo e cercavo nel frattempo di farle arrivare di quella situazione piccole avvisaglie, ma non troppo. Il momento dell’addio volevo che fosse inaspettato, ma non del tutto.
Ero accanto a lei, ma doveva cogliere la differenza del cambiamento senza avere la certezza di quello che stava succedendo.
Al mio arrivo a casa la situazione che trovai non fu semplice. Non avevo voglia di parlare o di spiegare nulla e sapevo già che avrei dovuto sicuramente subire il terzo grado da Alice e le sue rimostranze. Certamente aveva già visto quale strada avrei intrapreso e non aveva mancato d’informarne gli altri.
Con mia grande sorpresa non fu lei che trovai ad aspettarmi sotto il grande portico.
Seduto sui gradini con lo sguardo basso, i gomiti poggiati sulle gambe trovai Jasper.
Scesi dalla macchina e m’incamminai verso di lui con andatura da umano. In quel momento qualsiasi cosa mi riportasse a ciò che ero mi era insopportabile.
Arrivato davanti a mio fratello stavo per passare oltre per entrare ed andarmi a cambiare. Volevo fare come se nulla fosse. Nei suoi pensieri leggevo tutto il suo disaggio nei miei confronti.
-…Edward- mi chiamò. Mi fermai accanto a lui che continuando a tenere la testa bassa aspettava cercando le parole da dire che nella sua testa sentivo vorticare tutte insieme rumorosamente.
-Lo so… Jasper, che ti dispiace, ma non devi…se c’è un responsabile a tutto questo, quello sono soltanto io. Tu non c’entri. Non devi sentirti a disaggio con me.- Alzò lentamente la testa e mi guardò dritto negli occhi.
- Edward non devi, sarebbe un errore. Te ne pentiresti. Stai agendo d’impulso e credimi te lo dice uno che sa di cosa parla.- Sorrisi amaramente.
- Jasper hai fatto solo quello che la nostra natura ti ordina. Non è facile sfuggire da questo. Stai tranquillo so quello che dico. Anche io all’inizio ho rischiato di comportarmi così con lei, ma ora ho capito. Non possiamo essere altro se non questo. Possiamo inventare tutte le personalità che vogliamo, giocare agli umani quanto ci pare…non potrà cambiare mai niente Jasper, niente.- Sentivo i miei muscoli pronti a scattare da un momento all’altro tanto mi costava il dover prendere atto di quella realtà così allungo rinnegata. Mai mi ero sentito così furioso contro quello che ero.
- Non è stata colpa tua, come non è colpa mia. Non è colpa nostra se siamo questo. Certo nessuno di noi ha voluto diventare ciò che siamo, ma non possiamo sfuggire da noi stessi.- Gli poggia una mano sulla spalla. “ Andrò via” Il suo pensiero mi arrivò con quel tono mortificato che mi ferì. Stava soffrendo e mi dispiaceva, sapevo quanto aveva lavorato su se stesso, quanta volontà e auto controllo. Tutto vanificato per colpa mia.
- Bella non farà più parte del mio mondo comunque.- Risposi. Pensò solo “mi dispiace” e tornò ad assumere la posizione di un attimo prima.
Sospirai ed entrai. Li trovai tutti nel salone che mi aspettavano.
- Tesoro, sei tornato. Come sta Bella?- La prima a parlare fu mia madre Esme.
La guardai e poi rivolsi il mio sguardo in circolo sugli altri.
- Meglio, risposi. La conosci non si lamenta mai. Vedo che siamo in piena riunione. Cosa c’è all’ordine del giorno?- Feci con noncuranza.
- Lo sai Edward, lo hai già letto nelle nostre menti appena entrato.- Disse Carlisle.
- Già, uno dei vantaggi di essere un vampiro.- Sorrisi indolente. - Pensavo solamente che sarebbe stato più facile per voi parlare.-
- Perché questo sarcasmo figliolo?- Scrollai il capo. – Ti sembro sarcastico?- Mi guardò con il suo sguardo bonario e paterno.
- Si.- Rispose attendendo la mia reazione.
- Perché. Carlisle, mi domandi il perché del mio sarcasmo?Perché odio tutto ciò che sono, perché provo vergogna di me stesso, perché dovrei essere solo il ricordo di qualcuno, un’immagine sbiadita di una vecchia fotografia e invece sono qui a rovinare la vita della creatura più delicata e splendida che possa mai essere nata. Perché solo per averla guardata l’ho sporcata, ma non mi sono accontentato, no, come avrei potuto! Sono un egoista e l’ho reclamata per me.- Ero fuori di me sentivo montare la rabbia ad ogni parola e il rumore che scaturiva dal mio petto si faceva sempre più minaccioso.
- Siamo una famiglia Edward, troveremo una soluzione insieme.- Perché non voleva capire. Quello non era più affare suo. Loro ormai non c’entravano niente. Spettava solo a me decidere e io avevo deciso che volevo la salvezza di Bella in tutti i sensi e con me non lo sarebbe mai stata.
- Cosa Carlisle.Come farai. Mi morderai nuovamente per farmi tornare quello che ero?- Mi pentii immediatamente di quelle parole.
“Ecco, questo era quello che temevo. In un modo o nell’altro la tua umana sta distruggendo la nostra famiglia.” Mi voltai verso Rosalie furente.
- Smettila ringhiai, lei non sta rovinando proprio niente, se c’è un colpevole sono io. Prenditela con me.- Vidi Emmett farsi più vicino a lei. “Calma fratello, la conosci è solo preoccupata.” Il viso di mia madre era addolorato quando tornai a posare il mio sguardo su di lei e Carlisle si era posizionato al mio fianco.
- Calmati Edward, capiamo benissimo il tuo dolore e credimi se potessi fare qualcosa, qualunque cosa lo farei per te. Sin dalla prima volta che ti ho visto consumato dalla febbre in quel letto d’ospedale. Non potevo concepire che qualcuno come te non esistesse più. Ti guardo e vedo la tua forza, la tua bontà, la luce che irradi ovunque e questo non fa che rafforzare la speranza, la fede. Non è possibile che per te non ci sia qualcosa di più Edward. Ho sempre saputo che eri diverso. Quello che ho fatto mi sono chiesto mille volte se sia stato giusto e credimi se tornassi indietro lo rifarei mille altre volte. – Mi posò le mani sulle spalle.- Ti prego Figliolo…non ne fare una tragedia, non essere ostinato, non è successo niente.- Sospirai.
- Scusami Carlisle, so che hai agito mosso da buone intenzioni. Ti chiedo di scusare il mio sfogo, non pensavo veramente quello che ho detto.- Sorrise.
- Non fa niente anche se tu dovessi pensarlo, so che non è facile, ci sono passato prima di te. Vedrai che si sistemerà tutto.- Lo guardai determinato.
- No, - dissi – quello che è successo poteva essere molto più grave e io lo avrei dovuto prevedere. Prima o poi potrei non essere in grado di proteggerla e non voglio che debba essere la mia natura, il mondo dal quale provengo un pericolo costante per lei. Non è come noi, non appartiene a questo mondo…- I pensieri di Alice prima nelle mia mente poi sulle sue labbra per dare a tutti la possibilità di ascoltare.
- Io l’ho visto Edward! Sarà come noi, perché ti ostini a non volere che accada. Sarebbe tutto più semplice.- La guardai minaccioso.
- Alice ti voglio bene, ma non toccare questo tasto è un argomento chiuso. Non se ne parla nemmeno.- La vidi farsi vicina.
- Sei cocciuto, perché vuoi costringerti a soffrire così? Sai che sarà tremendo e sai che lei da sola non può farcela, l’annienterai lasciandola. Farà una pazzia.- Sorrisi mesto.
- Non puoi saperlo, non sa cosa ho deciso.- Sostenne il mio sguardo con sfida.
- La conosco meglio di quanto dimostri di conoscerla tu. Vive per te.- Scrollai la testa.
- Dimenticherà, se ne farà una ragione con il tempo. La loro memoria diventa piena di buchi man mano e il dolore si attenuerà.- Il mio sguardo si perse nel vuoto. Quelle parole mi laceravano. Alice mi guardò.
- E tu Edward, tu cosa farai. Hai pensato a questo? Sarà come smettere d’esistere. Perderai il senso di tutto.- Abbassi lo sguardo.
- In qualche modo farò.- Risposi. – Andrò via lontano da lei.- Al solo pensiero mi sentii cedere le gambe.
- Non sarà facile consolarla, sarò costretta a non lasciarla da sola mai. Vuol dire che viaggerò molto tra Jasper e lei…-Alzai una mano per farle cenno di tacere.
- No.- Risposi deciso.- Andremo via tutti Alice. Di noi non dovrà rimanere traccia nella sua vita.- Gli occhi di tutti si puntarono su di me interrogativi ed increduli.








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