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Autore: cartacciabianca    20/01/2010    2 recensioni
[ SOSPESA ]
Giocatori, siete nell'Anno del Signore 1232.
Luigi VIII, appena di ritorno sconfitto dall’Inghilterra, punta le lance in resta contro Tolosa, dimora di Raimondo VII. Impadronitosi di quelle terre ne coglie l’intera giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla Francia. Il Leone di Francia viene meno nell’inverno di quell’anno, e il potere succede così ad un piccolo Re, all’epoca solo dodicenne. Luigi IX, detto il Santo per la sua calorosa religiosità e collezione di reliquie, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui è circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 giunge ad un compromesso con Raimondo VII, e nel 1229 promette al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi. La Crociata Albigese si conclude definitivamente nel 1229.

A Phoenix e Châtel-Argent sono trascorsi 17 anni. Ian e Daniel varcano la soglia della quarantina e conti come Granpré stanno per raggiungerli. Non si sentono vecchi o stanchi, ma solo maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno di più. Mettiamo alla prova il coraggio di una ragazzina e l’ambizione del suo migliore amico. Il risultato è una fan fiction esilarante che ce la metterà tutta pur di mostrarsi degno tributo alla trilogia di Cecilia Randall.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Intanto, nella Francia del XIII secolo…

Il grido del falco spaventò uno stormo di uccelli appollaiato tra i rami. Questi spaziarono per un istante tra gli alberi del bosco, poi fuggirono via tra le fronde e le foglie librandosi nell’azzurro limpido cielo.
La piccola volpe rossa schizzava da un arbusto all’altro come una freccia. Le zampette velocissime trattavano metri e metri di suolo in pochi secondi, la coda tra le gambe, i muscoli tesi e scattanti, il muso allungato e le orecchie basse. Sfiatava verso il riparo più vicino, annusava l’aria fresca del bosco senza fermarsi mai. Inseguita dal trottare intenso di alcuni cavalli sul selciato selvaggio a poche spanne da lei, fuggiva disperata. La caccia si era aperta così.
-Dannazione, Ian, maledetto quel tuo falco, l’ha spaventata! Ancora poco e l’avrei centrata con l’arco!- si lamentò il cavaliere in testa al gruppo. Era un uomo dal volto tirato e determinato, la chioma mossa lunga e castana. Busto eretto, talloni ben piantati verso il basso nelle staffe. Indosso portava speroni e stivali, assieme all’emblema di famiglia sotto il mantello da caccia. L’arco in una mano, le redini nell’altra, mentre il suo palafreno manteneva un galoppo onorevole.
-Guarda il lato positivo, Etienne! Così è più divertente!- ridacchiò il compagno d’armi che galoppava alla sua sinistra. Costui era Henri de Granpré, la cui capigliatura fluente e castana preferiva tenerla corta. Il viso era quello di sempre: eternamente solare e fanciullesco, anche così avanti negli anni. Occhi scuri di giovane Falco che anche lui era sempre stato.
-Vediamo quanto ti divertirai, Henri, ad inseguire quella maledetta volpe in un buco di terra grande quanto la tua testa!- sbottò amaro Sancerre.
Henri lasciò che il cavallo di Etienne lo portasse più avanti nella corsa e, accostandosi alle tre figure rimaste poco più indietro, assunse in viso un’aria poco serena.
-Non è mai stato così… truce- commentò Granpré verso di Ian.
-Lascia che si sfoghi almeno nella caccia- sospirò quest’ultimo. –È solo parecchio contrariato dal fatto che Donna gli abbia “regalato” un’altra bambina-.
-Etienne desidera un figlio maschio al quale insegnare l’arte della guerra che tanto lo appassiona- spiegò Granpré. –Tre figlie femmine. Questo non gli ci voleva-.
-E a quanto pare io non basto a fargli compagnia- intervenne un giovane del tutto nuovo. Il ventisettenne che aveva appena parlato era Louis de Sancerre, primo ed unico erede del conte Guillaume de Sancerre, e nipote di Etienne.
-Louis, non per scoraggiarvi, ma siete già troppo vecchio- intervenne un quarto cavaliere.
-Marc, ma ti sembra il modo di rivolgerti ad un feudatario maggiore?- eruppe Ian fulminando il ragazzo con un’occhiataccia.
-Perdonatemi, padre- Marc abbassò lo sguardo sullo sterrato e si limitò a portar dritto il suo cavallo.
-Suvvia, siamo tra amici- sorrise Louis amichevole verso il più giovane del gruppo.
Padre e figlio indietreggiarono ancora, lasciando andare avanti i conti di Granpré e Sancerre, che accorsero a recuperare Etienne a vagare da solo nel bosco.
Ian proseguì al passo, e Marc tirò le redini facendo altrettanto. Il conte de Ponthieu e il suo cadetto furono avvolti dalla quiete della foresta.
-Non voglio che tu ti permetta certi colpi di testa come tuo fratello Michel. Anche se è Louis stesso a dartene il consenso, non devi rivolgerti a lui come uno stretto consanguineo. Speravo che almeno questo ti fosse entrato in zucca- lo rimproverò.
Marc tese le spalle incassando l’accusa. –Chiedo venia: non intendo certo insabbiare il confine che distingue me da mio fratello, tantomeno le responsabilità che competono a ciascuno di noi-.
Ian sospirò. Non riusciva proprio a punire con tanta rigidità chi era così uguale a lui in tutto. Marc de Ponthieu, il diciassettenne che aveva dinnanzi, dagli occhi ai capelli, dalla corporatura ai vestiti, era una sua fotocopia.
E pensare che ormai faccio fatica a ricordare cosa sia una fotocopiatrice! Scoprì Ian con un sorriso.
Marc se ne accorse. –Cosa vi rallegra, padre?- domandò sereno.
-Nulla- assentì vago il conte. –Piuttosto, vedi di tenere a mente cosa ti ho detto. E da oggi, voglio che porti più rispetto anche ad Etienne. Sta passando un brutto periodo- convenne partendo al trotto, e Marc lo imitò.

Etienne fermò il cavallo, tese l’arco, incoccò, e in una frazione di secondo puntò la sua preda. Accompagnò con un grido di liberazione la freccia, che sibilò nell’aria immobile della foresta e colpì la volpe prima che questa raggiungesse la sua tana. L’animale si accasciò contro le radici dell’albero con uno schianto per via del colpo ricevuto in pieno costato. Ansimò per qualche istante dissanguando in terra, poi tacque e morì.
Granpré e il nipote di Etienne, Louis, giunsero alle spalle del signore di Séour fermandogli accanto i cavalli.
-Bel colpo- ammise Louis con sincera ammirazione.
Etienne non rispose, smontò dalla sella e si chinò sulla carcassa.
Ian e Marc apparvero nel momento in cui Etienne estrasse la freccia dai muscoli ancora caldi e tesi dell’animale. Marc corrugò la fronte e le labbra a quella truce visione, ma si trattenne dal commentare così come, con un’occhiata eloquente, gli aveva chiesto suo padre.
Alla piccola Alix avrebbe fatto piacere un animaletto di compagnia… pensò nel contempo Ian, amaro. Se solo Etienne si fosse degnato di lasciar vivere quella povera bestia e portarla al castello.
-Qualcuno di voi sente lo stomaco brontolare?- domandò invece Louis con una certa ironia.
Granpré si permise un mezzo sorriso. -Sarebbe ora di rientrare- suggerì Henri. –Certamente siamo attesi per pranzo alla tavola di madame Donna-.
-Infatti- sbottò Etienne liberandosi della carcassa della volpe in un cespuglio vicino. Dopodiché rimontò in sella e fece strada per il ritorno.

Nel mondo moderno…

Gabriel armeggiò con esperienza nel menù di avvio e impostò data, ora e località secondo delle coordinate già predefinite.
-E se mio padre si accorgesse della partita modificata?- chiese Hellionor con un moto di ansia che le si agitava nello stomaco, compatta nel casco che indossava per la prima volta sulla testa.
-Ho aperto un nuovo caricamento, ‘sta tranquilla. Della vecchia partita ho ricalcato solo l’ambientazione. Ho inserito il dischetto coi dati del mio personaggio, mentre per creare il tuo volevo aspettare di averti accanto- disse cordiale.
-Tu cosa sei?- domandò Hellionor.
-Per ora la mia esperienza in questo tempo del gioco mi permette di essere un soldato comune. Appartengo però al casato di un nobile cavaliere francese vissuto in quell’epoca. Ho studiato il profilo del Cadetto giusto ‘sta mattina. Un certo…- Gabriel ci pensò qualche istante avviando in contemporanea il caricamento. –Scusa, mi sfugge il nome-.
-Perfetto! Servi un Signore di cui nemmeno conosci il nome. Che vergogna- ridacchiò istericamente la ragazza.
-E dai, tanto a chi vuoi che importi? Il nostro sarà solo un giretto turistico. Appena entriamo ti spiego i comandi-.
Hellionor annuì e serrò i pugni testando la comodità dei guanti.
In una decina di minuti, ecco forgiato dal nulla il personaggio che Gabriel creò per lei in base ai gusti della ragazza, tenendo però fede alla somiglianza del viso per quanto le texture del gioco potessero permetterlo.
-Soddisfatta?- chiese lui durante una nuova procedura di caricamento.
Hellionor si sistemò più comoda sulla sedia. –Penso di sì…-.
La musichetta medievale di sottofondo discrepò il suo volume poco a poco, poi lo schermo all’interno del casco si fece tutto buio come la notte, mentre una voce elettronica femminile presentava data e luogo della partita.
-Saltiamo l’introduzione, va’…-.
-No, aspetta!- Hellionor scattò in avanti con un braccio teso.
Troppo tardi, ma Gabriel, spaventato dal gesto improvviso della ragazza, sobbalzò sulla sedia. –Che c’è?! È una parte di storia che già conosciamo- ridacchiò. –Tranquilla! Il baldo soldato non permetterà alla povera giovane contadina di finire in pasto ai leoni-.
-Intanto, non penso che nella selva francese incontreremmo mai dei leoni. Come seconda cosa…- esitò. –Ho un brutto presentimento-.
-Ma non dire sciocchezze, e smettila di farti schiava del senso di colpa. Sei troppo una brava ragazza, Helly. Tuo padre non lo verrà a scoprire, vedrai. Per sicurezza il salvataggio della partita lo terrò con me nel mio dischetto, così non lasceremo tracce-.
-C’è sempre la cronologia del computer, e…-.
-Helly- sospirò Gabriel sollevando il visore del casco. Fece altrettanto a quello della ragazza e la guardò negli occhi.
Hellionor era rigida come un palo di legno sulla sedia. Apriva e chiudeva i palmi nervosamente a contatto coi guanti di fibra.
-Finché non ti calmi non avvio la partita- la minacciò il ragazzo.
-E allora non farlo-.
-Rilassati!- le strinse le spalle. –È finzione, diamine, non sentirai dolore se qualcuno dovesse tagliarti un dito!- rise. –Comunque, tanto per farti stare tranquilla, ho impostato la partita senza un obbiettivo preciso. In Francia si vive dopotutto un certo periodo di Pace, se metti da parte i contrasti tra la corte Luigi IX e quei taccagni del sud bravi solo a far pregiudizi. Il Re partirà per la Settima Crociata solo tra qualche anno. Entriamo in gioco come turisti, quindi per adesso goditi il viaggio. Poi, ne sono certo, non potrai più farne a meno!-.
Hellionor non sapeva cosa l’attendesse oltre la soglia del mondo reale, al confine tra storia e fantascienza. Hyperversum era sempre stato per lei un luogo ostile e segreto, una parte di mondo che, fin dalla prima adolescenza e negli anni successivi, non l’aveva mai attratta a tal punto da desiderare di mettervi le mani. Sia per gusti personali che per costrizione dei parenti, Hellionor non provava curiosità e interesse alcuno nel mondo al di là del grande muro della fantasia. Lo scenario, come detto da Gabriel, poteva anche ricalcare in dettaglio l’epoca medievale che stavano studiano, ma sarebbe rimasto tutto a livello di gioco, nell’immaginazione di un pazzo che fumandosi chissà cosa aveva inventato quell’aggeggio.
Eppure, si ritrovò a pensare quanto fosse strana quella situazione. Daniel Freeland giocava su un unico scenario ambientato nella Francia del XIII secolo da diciassette anni. Poteva suo padre interessarsi tanto…
Ad interrompere il filo dei suoi pensieri fu l’immagine del pianeta Terra visto dallo spazio. Davanti agli occhi della ragazza, l’inquadratura si avvicinava alla terra sempre più velocemente, traversando le nubi dell’atmosfera e le nuvole del cielo, andando a circoscrivere un determinato tracciato di terra all’interno dello stato Francese.
-Dove stiamo andando di preciso?- chiese la ragazza.
-Un castello nella Francia settentrionale. Borgogna, penso…- annunciò la voce di Gabriel attraverso l’auricolare incorporato nel casco. –Dalle immagini mi è sembrato un bel posto-.
I due personaggi si materializzarono in aperta campagna, durante una fresca mattina estiva. Sopra le loro teste c’era un cielo azzurro limpido come uno specchio. Sotto i loro piedi un sentiero che portava sino alla prima cinta di mura del grande e magnifico maniero, le cui torri svettavano nell’immenso proiettando la propria ombra nella pianura attorno. Il sole rischiarava l’orizzonte fin dove la qualità delle texture del gioco lo permetteva, con un dettagli grafico sensazionale.
Hellionor restò del tutto a bocca asciutta di fronte la spettacolare vista che le si prospettava dinnanzi. Oltre al castello, i cui emblemi blu e bianchi sventolavano al vento, la gente trafficava viva sull’ingresso per la cittadella.
In un breve lasso di tempo, durante il quale Gabriel arrestò lo scorrere delle lancette nel gioco, il ragazzo spiegò ad Hellionor i comandi basilari per governare il suo personaggio. Freeland imparò in fretta, non senza riscontrare qualche difficoltà sui primi passi, ma col trascorrere dell’esperienza, la rasserenò Gabriel, sarebbe diventata capace quasi senza accorgersene.
Riprese tra le mani le briglie del gioco, soldato e contadina seguirono lo sterrato fino alle mura della città. Com’era abitudine nel gioco, ma anche storicamente, si registrarono coi propri nomi di battesimo al posto di guardia.
-E’ incredibile! Sembra di essere davvero nel medioevo…- mormorò Hellionor.
-Vieni, facciamo un giro in città- suggerì Gabriel, e condusse avanti il suo personaggio.
Hellionor gli andò dietro come fosse la sua ombra.
-Sei una contadina, calati nella parte- ridacchiò il ragazzo.
-E voi, messere, potreste anche spiegarmi come mai, dopo tanti studi assieme, non siete ancora in grado di riconoscere lo stemma dei Sancerre sulla vostra e sulla divisa di tutti i soldati qui attorno!- si beffò la ragazza con una nota di rimprovero.
Effettivamente Gabriel portava sul petto la figura araldica dei Sancerre: una barra bianca obliqua in campo blu, e come lui tutte le guardie per la città.
-Ah! Ma certo!- il personaggio del ragazzo mimò il gesto di battersi una mano in fronte. –Sancerre, Etienne e Guillaume de Sancerre!-.
-Per rimediare al votaccio dovrai rispondere a questa domanda: chi dei due affiancò il Falco d’Argento nella Battaglia di Bouvines?-.
-Etienne, ovviamente. I due erano grandi amici-.
-Che bravo, meriti una stellina- fece una smorfia. –E chi dei due è ancora in vita se questo è l’anno 1232?-.
-Etienne! Ma adesso smettila di fare storia e guardati attorno!- il suo personaggio allargò le braccia accogliendo tutta la città. –Non è meraviglioso?-.
La ragazza annuì col sorriso sulle labbra, e il suo personaggio fece altrettanto.
Girovagarono allungo per la cittadella fortificata, bazzicando qua e là tra una bancarella e l’altra, conversando coi mercanti e interpellando i passanti. Hellionor si stupì dell’incredibile varietà di voci, vestiti, accessori e caratteri di cui disponeva Hyperversum. Ciascuna persona aveva le sue fattezze, le sue espressioni, il suo tono di voce, l’età e un posto ben collocato all’interno dell’attività del castello.
-Séour- annunciò Hellionor ad un tratto.
-Come?- chiese Gabriel riscosso dai suoi pensieri, mentre traversavano la zona del mercato.
-Séour- ripeté la ragazza con un sorriso radioso stampato in volto, e il suo avatar teneva incredibilmente fede. –Dimora di Etienne de Sancerre. Siamo a Séour- annunciò con chiarezza.
Il personaggio di Gabriel si accarezzò la maglia con l’emblema della nobile famiglia sul petto. –Che onore- pronunciò orgoglioso.
Dopo un interminabile minuto di silenzio, Gabriel si rivolse di nuovo a lei:
-Ti piace- constatò beffardo.
Hellionor fu costretta ad annuire. –Non pensavo fosse così… reale- sospirò.
-E questo è niente. Aspetta di entrare in battaglia e maneggiare una spada-.
La ragazza gli tarpò subito le ali con una smorfia. –No grazie, credo che quel genere di cose non faccia per me-.
-E va bene- rifletté Gabriel. –Se le lame ti spaventano, il tuo personaggio potrebbe sempre farsi una certa fama come arciere-.
-Sono una donna, e comunque sarei negata anche in quello-.
-In Hyperversum non conta se sei una donna. Devi mettere da parte la storia al gioco, Hellionor- eruppe più serio.
-La contadina mi piace- insisté lei.
-Guarda che anche l’aratro è pericoloso- l’ammonì Gabriel.
-Se devo scegliere tra le campagne e la guerra, scelgo la prima- arrise l’altra.
-Non hai nemmeno provato. Smettila di andare avanti a pregiudizi!- ridacchiò.
-Non sono pregiudizi, solo… non voglio sciupare tutto e subito. La vita tranquilla, anche quella virtuale, mi piace, la preferisco di gran lunga-.
-Tutte uguali voi femmine- blaterò, ed Hellionor gli scoccò un’occhiataccia.
Gabriel svoltò d’un tratto in una stradina più buia, lasciando interdetta l’amica. -Vieni, avviciniamoci al castello-.
-Non credo sia una buona idea- sibilò la ragazza, costretta però a seguire col proprio avatar il compagno di viaggio. –Sicuramente è una zona privata e controllata dalle guardie-.
-Non preoccuparti: dopotutto sono uno di loro e mi faranno passare-.
-Già, a te sì…- brontolò lei.
-Sei sempre così pessimista. Se ti spacci per la mia dama di compagnia, forse combiniamo qualcosa-.
-Dama di compagnia?!- le si rizzarono i capelli.
Gabriel scoppiò in una fragorosa risata. Hellionor, invece, era ancora tesa come una corda di violino, non riuscendo a dissimulare l’ansia che le si agitava nello stomaco sotto forma di fastidiose farfalle. Finzione, Hellionor! Finzione! Smettila di essere così nervosa. Infondo, cosa può capitarci di tanto male? Spero solo di non dover giocare con un avatar senza un dito per il resto della mia vita…
Il cortile dell’alta corte era vicinissimo. Il torrione al centro del castello svettava imponente. Gli stemmi dei Sancerre sventolavano nel vento appesi ai davanzali delle finestre oppure in alto tra i merli delle mura.
-Basta, Gabriel, siamo abbastanza vicini. Dai, torniamo indietro…- Hellionor cominciava ad inquietarsi. Gli occhi digitali ma così ben fatti delle ronde di guardia e degli arcieri sui bastioni erano solo su di loro. Qualcosa, inoltre, le faceva tremare la terra sotto i piedi. Inizialmente credé che si trattasse di una sua impressione dovuta al nervoso che le circolava nel sangue, ma poi, lo scalpiccio frenetico di zoccoli si fece sempre più vicino.
-Sta’ tranquilla- sbuffò Gabriel continuando dritto. -Hyperversum delle volte lo fa a posta. Mette sotto pressione i giocatori, così un gesto o un passo falso…-.
-GABRIEL!-.
Il ragazzo si voltò per vedersi venire addosso quattro cavalieri in corsa sui possenti palafreni.
Hellionor si gettò su di lui e lo spinse via dalla strada, giusto in tempo perché la carica di cavalli li sfiorasse entrambi di un pelo. Il dolore della caduta l’assalì all’improvviso. Percepì i gomiti sbucciarsi, le ginocchia premere sulla pietra della terra anche attraverso il tessuto ruvido e spoglio della gonna. Suoni, profumi, voci sembravano aver assunto una sfumatura più percettibile, più… reale: il puzzo di sterco di un vicolo vicino, il frastuono degli zoccoli dei cavalli e il loro nitrire spaventati. E poi il francese, parlato dalla gente… ovunque.
Proprio in mezzo all’autostrada! Gemé Hellionor riaprendo gli occhi. Ancora non aveva osato muoversi di un centimetro quando si accorse di essere completamente stesa sopra il suo amico. Gabriel era a terra pancia all’aria e mugolava qualcosa a che fare col suo fondoschiena.
-Scema, mi sei saltata addosso davvero e sono caduto dalla sedia!- lagnò Gabriel.
Hellionor sollevò la testa, poi si mise in ginocchio, mentre il cuore in petto le batteva sempre più forte. Sbatté le palpebre più volte, fissando un punto dritto davanti a sé.
Il gruppo di cavalieri si era fermato nel bel mezzo della strada, circondato dalla gente curiosa che aveva assistito alla scena e udito le urla. Il cerchio di donne, uomini e bambini si stringeva attorno ai due ragazzi a terra. Uno dei passanti offrì la propria mano per aiutare Hellionor ad alzarsi. Nel frattempo, con un accento e parlato straniero, diceva qualcosa che la ragazza non riusciva a comprendere.
Hellionor rifiutò scuotendo la testa, non sapendo che altro fare. -Gabriel…- mormorò esangue. Allungò una mano a carezzare il tessuto dell’uniforme che indossava l’amico: la sentì calda, e solida come la vera cotta di maglia che portava sottostante all’usbergo con l’insegna dei Sancerre. Gli diede uno scossone. –Gabriel…- singhiozzò. Nel guardarlo in faccia, quando il ragazzo si mise seduto, stava ormai per svenire. –Gabriel, non sei caduto dalla sedia, Gabriel…-.
-Che botta- gemé il giovanotto massaggiandosi i gomiti indolenziti, e fu allora che anch’egli si accorse di avere addosso almeno tre chili di ferro su ginocchia, braccia e petto.
Guardò verso l’amica a bocca aperta, e sembrò impiegare qualche istante per leggere attraverso i suoi occhi, ora reali, azzurri come diamanti e lucidi per le lacrime che si andavano a creare. Dopodiché Gabriel si tastò il volto, quasi schiaffeggiandosi le guance, aprì e chiuse i palmi dieci volte, si guardò attorno boccheggiando in assenza d’aria.
Hellionor prese a tremare come una foglia. –Dimmi che non siamo dove penso che siamo…- frignò sentendo improvvisamente freddo, e le forze anche solo per stare seduta a terra le venivano meno.
-Oh merda…- imprecò Gabriel. –È impossibile… cosa… ma… non capisco… dove siamo?-.
Spariti i guanti.
Sparito il casco.
Culo a terra, chissà come, nel vero mondo medievale.
Ecco dove siamo… Hellionor scoppiò in un silenzioso pianto isterico.

   
 
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