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Autore: beanazgul    07/07/2005    2 recensioni
di PlasticChevy traduzione di: beanazgul aka Adûnaphel Nota: Questa è la traduzione della storia originale in inglese “The Captain and the King”, scritta da PlasticChevy, un’autrice di fanfiction dotata di grande talento. E' ispirata al mondo del Signore degli Anelli, ma si tratta di un’ AU, cioè una versione alternativa del testo di Tolkien, i cui eventi prendono una strada diversa ad Amon Hen....se vi è sempre dispiaciuto vedere Boromir morire alla fine del primo libro/film, allora questa storia fa per voi! Se avrete la pazienza di avventurarvi in questa miriade di capitoli vi assicuro che non ve ne pentirete: vi lascerà senza fiato! PlasticChevy mi ha gentilmente dato il permesso di tradurla e io ho cercato di fare del mio meglio per rendere giustizia alla sua bravura, anche se è un lavoro molto impegnativo perché la storia è molto complessa e mi rendo conto che una traduzione non è mai all’altezza dell’originale! Disclaimer: Il Signore degli Anelli e tutti i suoi personaggi sono proprietà di J.R.R. Tolkien e dei suoi eredi. Li sto utilizzando solo per divertimento, non per vendita o profitto.
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Aragorn, Boromir, Merry, Saruman
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Il Capitano e il Re
Il Capitano e il Re

Capitolo 18: La via prosegue senza fine

Al sorgere del giorno, gli Uomini di Rohan portarono il corpo del loro Re caduto dai Luoghi Sacri attraverso la città con solenne cerimonia. Ai lati del feretro camminavano re Éomer e sua sorella, Éowyn, accompagnati da Meriadoc, scudiero di Théoden. Dietro di loro venivano i soldati di Gondor e la grigia compagnia dei Dúnedain, con le armi sguainate in segno di saluto, come guardia d’onore. Tra di loro vi erano Re Elessar e il suo Sovrintendente, Gandalf, Legolas l’elfo, Gimli il nano, e una piccola figura vestita nella livrea della Torre di Guardia. Éomer in persona aveva chiesto che si unissero all’ultima marcia di Re Théoden, in ricordo delle battaglie che avevano affrontato insieme nei giorni oscuri.

Le strade erano affollate di persone, come lo erano state di recente solo in occasione dell’arrivo a Minas Tirith della Regina. Ma in questo mattino d'estate non c'erano fiori né canzoni, solo un rispettoso silenzio, e volti tristi e gravi. Nessuno in città aveva dimenticato il suono dei corni nel vento o gli elmi d’argento che scintillavano nella luce mentre Rohan cavalcava in aiuto di Gondor. Nessuno aveva dimenticato il prezzo che Rohan aveva pagato per quella vittoria.

Lentamente, il corteo uscì dai cancelli nei campi di Pelennor, dove il resto della scorta attendeva. A un segnale di Éomer, la portantina di Théoden fu sollevata sopra un carro sopra il quale sventolava lo stendardo con il cavallo bianco di Rohan. Poi il Re del Mark salì a cavallo, imitato dal suo seguito.

Merry lasciò in silenzio il suo posto a fianco di Théoden per avvicinarsi a Boromir, che stava in piedi accanto a Fedranth. Prima di partire dalla Via Silente davanti alle Case dei Re, Merry aveva chiesto a Éomer questo favore – di poter percorrere l’ultimo miglio verso il Rammas Echor insieme a Boromir. Éomer aveva sorriso e posato una mano sulla testa di Merry, dicendo, “A Re Théoden non dispiacerà se lo lascerai per un miglio. Vai pure”.

Così lo scudiero di Théoden non salì sul carro accanto al suo signore, ma montò in sella insieme al Sovrintendente di Gondor. Poi, dall’alto della sua posizione, si voltò verso nord, lasciandosi alle spalle le bianche mura di Minas Tirith, verso il viaggio che lo aspettava. Le sue mani si posarono su quelle di Boromir, aiutandolo a dirigere il cavallo, e i suoi occhi si inondarono di lacrime.

Il carro di Théoden segnava il passo della loro cavalcata. Fedranth rimase al seguito del corteo, senza mai andare oltre il passo, e Merry ebbe tutto il tempo di guardarsi attorno. Lui e Boromir cavalcavano insieme al resto della Compagnia, leggermente in disparte rispetto al gruppo principale. Alla testa del gruppo vi erano i Dúnedain di Grampasso e i figli di Elrond. Merry riusciva a intravedere il riflesso dell’oro oltre le loro sagome che indicava il punto in cui cavalcavano Galadriel e Celeborn insieme agli Elfi di Lórien. Non riusciva a vedere la regina Arwen, ma immaginò che Elrond l’avesse tratta in disparte per parlare con lei in privato. Faramir e Imrahil cavalcavano insieme a Éowyn, accanto al corpo del Re, e una compagnia della Guardia della Torre chiudeva il corteo.

Erano davvero i più saggi e i più potenti della Terra di Mezzo, quelli che erano riuniti in quella piccola compagnia. Se non fosse stato per le sue esperienze nei mesi passati, Merry avrebbe potuto essere intimidito dallo spiegamento attorno a sé. Ma ora poteva guardare le divise di Gondor e Rohan, l’elegante bellezza degli elfi e l’austero coraggio degli Uomini provando solo meraviglia e ammirazione.

In realtà Merry non era molto interessato ai suoi futuri compagni di viaggio. Tutti i suoi pensieri andavano a colui che avrebbe dovuto presto lasciare indietro, e all’addio che avrebbe dovuto pronunciare di lì a poco.

Anche se lento, il loro viaggio era stato comunque troppo breve per Merry. Davanti a sé vide il muro di pietra di Rammas Echor, e il cuore nel suo petto si fece greve. Il sole non aveva ancora raggiunto lo zenit, quando il corteo funebre si fermò innanzi al cancello che li avrebbe introdotti nell’Anórien. Il luogo in cui infine i Nove Viandanti della Compagnia dell’Anello avrebbero preso strade diverse. Questo era soltanto uno dei molti addii che sarebbero dovuti seguire, ma per almeno due di loro, sarebbe stato il più amaro.

Gandalf e Aragorn spronarono i cavalli in avanti attraverso le fila silenziose di Uomini ed Elfi, verso il Cancello, seguiti dalla Compagnia. Merry teneva gli occhi fissi sulle pallide torce che ardevano accanto al corpo del re, cercando ostinatamente di ignorare la compassione e il dolore sui volti di quelli che superavano. Quando si affiancò a Éomer, vide che i signori degli Elfi e i Principi di Gondor erano davanti a lui, in attesa di prendere commiato dal Sovrintendente.

Durante gli addii che seguirono, Merry rimase seduto in sella a Fedranth, in silenzio, a capo chino. Non gli importava sentire i loro discorsi di vittoria, di amicizia, di commiato. L’unica cosa di cui era consapevole era che ogni persona che sfilava davanti a lui, stringendo la mano di Boromir e dicendogli addio, lo portava sempre più vicino al momento del suo commiato. La maggior parte dei presenti si congedò a cuor leggero, in previsione di un rapido ritorno. Altri, come Faramir e Aragorn, avevano già detto in altra sede ciò che dovevano, e si limitarono a un veloce abbraccio e poche parole all'orecchio di Boromir. Tra la Compagnia, solo Gandalf e gli hobbit indugiarono nei saluti, poiché erano quelli che viaggiavano più lontano, e che avevano meno speranze di rivedere mai più Gondor o il suo Sovrintendente.

Merry sopportò in silenzio senza capire una parola di quello che veniva detto, perso nella sua tristezza, cercando disperatamente le parole adatte per separarsi dal suo signore, e la forza per pronunciarle senza vacillare. Fallì in entrambi i tentativi, e il suo cuore venne meno quando alzò gli occhi per vedere un solo cavaliere davanti a sè. Con sua sorpresa, vide che si trattava di Éowyn.

Quando gli occhi di Merry incontrarono i suoi, lei sorrise, ma c’era tristezza sul suo volto. “Cavalcherai con me, mastro Holbytla? Sarei fiera di essere in tua compagnia ancora una volta.”

Merry cercò di rispondere, ma non ci riuscì. La guardò per un attimo a bocca spalancata, poi si voltò per guardare l’uomo seduto dietro di lui. Boromir gli mise una mano sulla spalla, gentilmente.

"Va’con lei, Merry," disse.

"Non siamo più fuggiaschi”, disse Éowyn, "e non andiamo verso guerra e morte. Eppure il nostro futuro è sconosciuto, e dietro di noi sono dolore e lutto. Credo che potremo esserci di reciproco conforto. Non vuoi cavalcare di nuovo con Dernhelm ?"

Merry osservò la dama, orgogliosa e bella in sella al suo destriero, e si chiese se quella era davvero lo stesso Dernhelm che aveva conosciuto. Non sembrava esserci traccia di quel ragazzo disperato nella graziosa dama vestita di bianco, con un mantello verde sulle spalle e i capelli biondi che le scendevano sulle spalle. Era sempre esile e bella, diritta e luminosa, ma più simile a un fiore su un alto stelo che a una lama affilata. Si era addolcita al tepore del sole. Ma quando lo guardò con i suoi occhi che parevano riflettere anni di oscurità senza fine, grevi di dolore eppure troppo remoti e fieri per mostrarlo, Merry riconobbe in lei il suo compagno d’armi di un tempo.

"Andiamo, Merry. Terremo compagnia al nostro re caduto lungo il suo viaggio verso casa”.

Merry non riuscì ancora a rispondere, ma fu Boromir a mettere fine a quel momento. Scese agilmente di sella, poi fece scendere anche lo hobbit, e disse, risoluto, "Vieni, è il momento".

Merry obbediente si lasciò posare a terra, ma una volta sceso non si diresse verso Windfola. Afferrò invece le mani di Boromir, facendolo inginocchiare sulla strada davanti a lui. Rimasero a lungo in silenzio, stringendosi le mani.

"Ho cercato di trovare le parole giuste”, disse infine Merry.

Boromir scosse la testa. “Non esistono”.

Lasciò andare le mani di Merry per cercare qualcosa a tentoni tra le pieghe del suo mantello.Poi, lentamente, tese la mano, mostrando un oggetto nel palmo aperto, che Merry guardò attraverso un velo di lacrime. Era un corno – più piccolo di quelli dei soldati di Gondor, ma grazioso ed elegante, decorato con fili d’argento, appeso a un balteo di velluto e cuoio lavorato.

Boromir porse il corno a Merry, e lo hobbit lo prese con riluttanza. Sapeva che era un dono d’addio, e, nel suo dolore, non voleva alcun oggetto a sottolineare il momento del commiato. Il corno era freddo e solido, e si adattava perfettamente alla sua mano. Scintillava nella luce del sole, attirando il suo sguardo al delicato intreccio dell’argento. Attraverso le lacrime, vide che vi era incisa l’immagine dell’Albero Bianco, e una singola runa. La osservò, troppo annebbiato dal dolore per capire il suo significato. Poi, lentamente, capì: era la prima lettera del nome di Boromir.

"Apparteneva a me. Mi fu dato quando indossai per la prima volta l’uniforme di Gondor per andare al confine ad imparare il mio compito”, disse Boromir. “Guarda su entrambi i lati”.

Merry, obbediente, girò il corno. Dall’altro lato l’argento era lavorato in modo simile, ma la runa stavolta era una M, incisa da poco e ancora non consumata dagli anni di uso. Merry sospirò.

"Ora è tuo, amico mio. Ma ho lasciato la mia iniziale su di esso, così che ricordi da dove viene, e il figlio di Gondor che un tempo lo portava".

"Io... io ricorderò", sussurrò Merry.

"Se mai avrai bisogno di me, suona il corno. Io lo sentirò”.

"E se sarai tu ad avere bisogno di me?"

"Tu lo saprai”. Boromir sollevò un dito per toccare il centro del petto di Merry. “Come sempre. Addio, Meriadoc della Contea. Prego che tu non abbia mai più bisogno di usare il corno o la spada, e che tu viva in pace tutti giorni della tua vita!”

Merry scoppiò a piangere, e prendendo la mano di Boromir tra le sue, la baciò come aveva fatto un tempo. E come allora, Boromir non si ritrasse, anche se il suo viso divenne più triste, e chinò il capo. "Non posso lasciarti", gridò lo hobbit. "Come farai senza di me?"

"Sarà difficile," ammise il Sovrintendente di Gondor, con un sorriso che però tradiva le lacrime nella sua voce, “ma imparerò. E tu devi andare a casa, mio caro Merry. Devi andare, finchè riesco a lasciarti andare”.

Merry piangeva apertamente, il suo viso rigato dalle lacrime. Attorno a lui, i grandi della Terra di Mezzo attendevano in rispettoso silenzio, con espressioni gravi, distogliendo lo sguardo per non intromettersi nel loro commiato e nel loro dolore. Solo Pipino incrociò lo sguardo di Merry, mentre questo si guardava attorno come per cercare aiuto, ma anche negli occhi di Pipino c'era solo dolore.

Si voltò di nuovo verso Boromir e disse, supplicante, “Lascia che ti riaccompagni in città... almeno fino al cancello! Lascia che sia ancora per un po’ la tua guida!”

"No, Merry, quello non è più il tuo posto. E io... non posso sopportare tutto questo una seconda volta." Sciogliendosi dalla stretta di Merry, Boromir si alzò in piedi, sollevò lo hobbit tra le braccia e lo consegnò nelle mani di Éowyn. Mentre Merry si sistemava in sella, Boromir si voltò verso Fedranth. Il cavallo strofinò il muso contro la sua mano, e Boromir lo accarezzò, nascondendo il viso contro il collo dell’animale. Rimase così per un momento, celando il suo dolore, poi raddrizzò le spalle, sollevò il capo, e montò in sella.

Una volta a cavallo, Boromir si affiancò a Éowyn, seguendo il suono dei singhiozzi di Merry, e posò la mano sulla testa dello hobbit. La sua voce era un sussurro, che nessuno a parte loro tre udì, ed era ruvida per le lacrime che non poteva piangere. “Sii felice, Merry. Che la tua vita sia piena di canzoni, cibo e gioia, come sarebbe sempre dovuta essere. E quando penserai a me...”

Noncurante dell’altezza a cui si trovava, Merry si sporse pericolosamente dalla sella per abbracciare di nuovo Boromir. Premendo il viso nel velluto della sua tunica fino a sentire la maglia di ferro sotto di esso, gridò, “…ricorderò il più grande uomo e il migliore amico che abbia mai conosciuto!”.

Boromir chinò il capo, sussurrando, “Se ricorderai che ti voglio bene, sarà sufficiente”. Poi, gentilmente, scostò Merry da sè, rimettendolo a posto sulla sua sella. Éowyn gli mise un braccio attorno alla vita, sia per confortarlo che per trattenerlo. “Addio”.

"Ritornerò! Lo prometto!” Come a un implicito segnale, la truppa di cavalieri si mise in marcia. “Addio, Boromir!"

Éowyn spronò il suo cavallo, unendosi alla colonna, e Merry fu portato inesorabilmente attraverso il cancello di Rammas Echor. Si voltò all’indietro sulla sella mentre superavano le mura, cercando con lo sguardo la figura di Boromir, immobile sul grigio destriero di Rohan, con una schiera di soldati alle sue spalle. Boromir non poteva vederlo, ma in quel preciso istante, sollevò una mano in segno di saluto.

"Addio!" Gridò Merry, con voce acuta per la disperazione. “Addio!”, poi si voltò, sollevando il cappuccio per nascondere il suo viso, e pianse.

Continua...

  
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