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Autore: Pichichi    23/01/2010    4 recensioni
La mia ragazza – adoravo chiamarla così – aveva deciso che quella sera, per comprare le scarpe e farmi un regalo, saremmo andate in un paese distante quaranta minuti di viaggio.
-Dai, così passiamo una serata a fare shopping.
Quella voleva essere una proposta allettante?
Be’, avrebbe potuto proporre di meglio.
-Urrà- commentai accendendo il motore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Inizialmente avevo pensato di rendere il tutto con un unico capitolo, ma poi ho preferito dividerlo in tre parti. Ora, facendo un po' di calcoli, il prossimo capitolo sarà l'ultimo, anche se non so di preciso quando lo pubblicherò.




Eravamo appena all’inizio del corso, e io già ne avevo le scatole piene del suo saltellare, camminare voltando la testa a destra e sinistra e commentare con entusiasmo qualsiasi cosa avesse un prezzo.

Io avevo indossato un semplice cappotto di colore nero, dei jeans e degli scarponcini pure neri, e anzi rimpiangevo di non aver scelto delle scarpe di tela, meno eleganti ma più comode, in previsione della lunga camminata che avrei dovuto affrontare.
Lei, dovendo scegliere delle scarpe che facessero concorrenza a quelle della sua amica, si era vestita nel modo migliore, nella maniera che potesse provare l’accostamento dei suoi abiti migliori con i vari modelli di scarpe.
Per quel motivo si era abbottonata nel suo sciccoso montgomery blu, aveva applicato le lenti a contatto, si era lisciata i capelli e truccata con attenzione.
Camminavamo sottobraccio, io con le mani infilate in tasca e il collo del cappotto alzato per ripararmi dal freddo, lei con la mano agganciata al mio braccio e lo sguardo perso fra le luci dei negozi.
Notai che era piuttosto assorta nel suo guardarsi attorno, e che se ne stava in silenzio dubbioso, così domandai:
            -Cosa guardi?
            -Sto cercando di capire da dove iniziare- mi rispose, con una smorfia.
            -Questo?- mi fermai davanti ad un negozio che esponeva in vetrina un manichino abbigliato con giubbotto e jeans.
Lei sbirciò la vetrina, e storse il naso.           
            -È troppo popolare, sembra un outlet.
La mia proposta venne immediatamente bocciata, ma con mio grande orrore l’attimo dopo lei si fermò al negozio successivo.
            -Vieni qua!- mi tirò di forza contro di lei, per guardare un altro manichino, stavolta femminile, che indossava una gonna corta e nera, sui cui erano state applicate numerosi paillettes.
            -Non trovi che ti starebbe benissimo?- mi domandò, con un sorriso larghissimo.  
Ebbi per un momento voglia di ridere, pensando che stesse facendo del sarcasmo, ma la voglia mi passò quando l’attimo dopo mi trascinò dentro.
            -No, no!- mi opposi, facendo resistenza.
Io e le gonne mantenevamo un rapporto abbastanza controverso, che non aveva motivo di essere ancora danneggiato; semplicemente, ci tenevamo alla larga evitandoci, ben sapendo di essere incompatibili.
            -E dai, che ti costa? Provatela almeno, no?- mi invitò lei.
            -Non se ne parla! Sai da quand’è che non metto una gonna?
            -Da esattamente due mesi. Ed è un vero peccato...- sospirò teatralmente.
Feci per allontanarmi dall’entrata, ma lei mi prese per un braccio e mi tirò a sé.
            -Fallo per me.
Purtroppo la sua faccia tremendamente invitante e tenera mi indusse per un momento a tentennare. Ecco, lei astutamente approfittò di quel mio attimo di esitazione per tirarmi dentro, guardandomi bene negli occhi in modo che non potessi ribattere.
Così, prima di potermi rendere conto del mio madornale sbaglio, mi trovai davanti a quel manichino.
            -Avete bisogno?
            -No, veramente...- cominciai io, puntualmente interrotta da lei, che con un gran sorriso indicò la gonna nera e piena di brillanti.
            -Avete la taglia media di questa?
La commessa la squadrò per bene, poi domandò:
            -È per te?
            -No, per lei.
            -Ah, allora va bene.
Questa non l’avevo proprio capita: perché mai per me sarebbe dovuta andare bene e invece se fosse stata destinata a lei ci sarebbero stati dei cambiamenti?
Mi accigliai ed ebbi l’impulso di andarmene lasciandola di punto in bianco così, ma lei mi attorniò la vita con un braccio e mormorò al mio orecchio:
            -Mi prometti che la indosserai?
            -Non so nemmeno se mi piace- replicai, cercando di scrollarmela di dosso.
            -Sono sicura che sei bella.
Mi diede un leggero bacio sulla guancia che non contribuì a far diminuire il mio scetticismo.
            -Non m’hai ancora detto il perché vuoi farmi un regalo- dissi, sciogliendomi dal suo abbraccio.
            -Ma come perché? Per festeggiare!
            -Per festeggiare cosa?- domandai spaesata, non capendo dove voleva andare a parare.
            -Per festeggiare il fatto che finalmente tu e le gonne avete fatto pace!
L’allontanai con una manata, facendo un verso scettico.
            - Che scema.
La commessa di prima tornò porgendomi il sosia del modello esposto, e mi indicò i camerini. Seguita dalla mia ragazza, presi fra le mani la minigonna e mi avviai con scarso entusiasmo a provarla.
Mi sembrava troppo corta, troppo luccicante e soprattutto troppo costosa, quando sbirciai il prezzo.
            -Non posso spendere tanti soldi per un misero pezzo di stoffa che non mi copre nemmeno mezza gamba!- dissi, voltandomi e facendo per restituirla.
Lei però con mano ferma mi prese il polso, scostò la tenda del camerino e mi ci buttò dentro a forza.
            -Piantala di brontolare e ficcati questa gonna!- mi sibilò, alzando un sopracciglio.
Mi chiuse la tenda, lasciandomi sola con lo specchio che mi stava di fronte.
Sporsi la testa fuori per dirle:
            -Ehi, non posso provarla!
            -Perché no?-
            -Perché ho la cicatrice ancora fresca sul ginocchio, maledizione, e tu vuoi farmi prendere in giro da tutte queste deficienti?- alludevo ovviamente alle ragazze che come noi giravano per il negozio e provavano, mettendo in mostra un fisico magrissimo, i vari capi d’abbigliamento.
Lei mi fece un sorriso dolce, poi entrò assieme a me nel camerino e senza darmi preavviso mi baciò sulla bocca. Tentai di liberarmi, perché temevo che qualcuno potesse scoprirci da un momento all’altro, ma poi il lavoro della sua bocca umida ed esperta riuscì a farmi rilassare.
Si staccò con fare malizioso, poi uscì dicendomi:
            -Consideralo come un anticipo.
Niente male, pensai sorridendo come un’ebete, e mi convinsi che in fondo provare una semplice gonna non poteva essere tanto terribile.
Slacciai la cintura del cappotto, lo sbottonai e poi, siccome sfilarmi i jeans mi pareva troppo faticoso, mi limitai ad abbassarne la cerniera e calarli fino alle caviglie.
            -Fatto?- lei infilò la testa dentro proprio nel momento in cui mi stavo chiudendo la cerniera della gonna, e mi guardò con curiosità.
            -Ecco qua, contenta?- mi guardai a mia volta nello specchio per confrontarmi col mio riflesso.
Lei piegò la testa da un lato e mi guardò da dietro.
            -Non sei male- commentò, alzando le spalle.
            -Cos’è, sono più bella di te e quindi ti senti in difetto?
Ridendo schivai il pugno che aveva minacciato di colpirmi, portandomi fuori dal suo raggio d’azione.
            -Se l’avessi provata io si sarebbe perfettamente adattata, piuttosto che strizzarsi sui tuoi muscoli- mi sbeffeggiò, alzando un sopracciglio con fare strafottente, e richiuse la tendina.
Se stuzzicata su questioni personali, sapeva ribattere in maniera velenosa, non curandosi dei danni che provocava.
Mi riguardai nello specchio e improvvisamente le mie gambe mi apparvero più magre di quanto già non fossero, ma le cosce ora nascoste dalla gonna come per magia si ingrandirono a dismisura.
Rapidamente mi sfilai quel pezzo di stoffa nero e una volta rivestita uscii dal camerino.
Lei mi stava aspettando appoggiata al muro, con aria risentita e superiore.
Sapevo che quando faceva così, nervosa, era preferibile ignorarla e lasciare che le passasse naturalmente; lasciai la gonna sul bancone, trascinandola fuori e salutando.
Una volta tornate nella via principale, al freddo, mi azzardai a parlare.
            -Andiamo, stavo scherzando.
Non ottenni risposta, ma solo un muso più lungo di prima.
            -Lo so che sei tu la più bella, cosa credi? Stavo scherzando, era per farti arrabbiare! Era ovvio che stessi scherzando- spiegai, stringendomi nelle spalle.
            -Be’, d’accordo, meglio così. Comunque non mi piaceva un granché come ti stava quella gonna.
Proseguimmo per il resto della via stando per un po’ in silenzio. Io temetti di averla fatta arrabbiare, e ciò mi dispiaceva; stavo rimuginando su un modo per chiederle scusa e farla ridere, quando notammo una ragazza che si stava avvicinando.
            -Ciao!
Vestita di un giubbotto grigio argentato, l’esaltata abbracciò la mia ragazza, baciandola sulle guance.
            -Ciao!- ricambiò lei, sorridendo tutto ad un tratto – che fai qui? –
            -Niente, compere – ovviamente mi stava ignorando.
Rimasi poco distante da loro, osservandole con un broncio leggermente geloso, poiché non mi piaceva che lei giocasse a quella maniera con le sue cosiddette amiche.
            -Ah, ma ci sei anche tu!
Complimenti per la scoperta, mi venne voglia di ribattere, ma preferii star zitta e pronunciarmi in un sorriso tirato.
            -Volevo comprarmi un paio di scarpe, e senza di lei sicuramente spenderei troppo- lei si voltò nella mia direzione e mi fece un sorriso.
Quel gesto fu capace di rendermi le guance rosse e di farmi aprire in un vero, piccolo sorriso, compiacendomi che non fosse arrabbiata come credevo.
            -Perché, è tirchia?
Personalmente detestavo quella definizione che mi affibbiavano sempre. In realtà, a diffondere la voce era stata proprio lei, la mia ragazza, dopo aver scoperto che avevamo una diversa concezione su come impiegare il denaro. Per esempio, lei si recava regolarmente una volta al mese dall’estetista, cosa che io non avrei fatto nemmeno pagata.
            -No, è che mi aiuta a scegliere bene.
            -Ho capito. Be’, buon proseguimento!
            -Ciao, ci vediamo!
            -Ciao.
L’esaltata tornò sui suoi passi, camminando su quei tacchi scintillanti come fosse stata un’equilibrista.
Io rimasi a fissarla corrucciata per un po’, domandandomi ancora cosa caspita ci facesse la mia ragazza con persone del genere.
            -Dai- mi prese per una mano e mi tirò per farmi camminare.
Il fatto che fosse tornata a rivolgermi la parola in maniera rilassata mi fece dimenticare ogni pensiero.
            -Che hai contro di lei?- mi domandò, notando che mi ero incupita dopo quel loro scambio di battute.
Mi strinsi nelle spalle e le diedi un’occhiata storta.
            -Nulla, è che non mi va tanto giù che ci parli.
            -Perché no?
            -Così- assunsi un’aria indifferente, distogliendo lo sguardo.
Lei fece un gran sorriso e mi strinse di più la mano, facendole dondolare entrambe. Per qualche motivo, la mia affermazione sembrava averla gettata in una felicità estrema, anche se non ne capivo il motivo.
Lei si fermò bruscamente davanti ad una vetrina di scarpe, che volle esaminare attentamente.
            -Ecco guarda! Quali ti piacciono?
Sinceramente, più che i vari modelli di scarpe, io mi sporsi per sbirciare i prezzi. I cartellini erano stati sapientemente voltati per non far intravedere nulla, ma alzandomi sulle punte fingendo di guardare una scarpa che era posta più in alto lessi il prezzo di uno scarponcino simile al mio.
Dopo che ebbi letto un numero due seguito da un quattro e uno zero, impallidii e tentai di distogliere la mia adorata fidanzata da quella vetrina.
            -Ehm, perché non andiamo a vedere lì?- indicai col capo un negozio dalla parte opposta della strada, che pure vendeva scarpe -lì si vendono anche giubbini, credo-
Questa mia affermazione parve convincerla, perché si voltò a guardare il negozio che le avevo proposto.
            -Mmm, ma qui hanno la marca di scarpe che voglio comprarmi.
            -Sì ma...
            -Ma che?
Ma qui ne usciremo derubati, avrei voluto dirle; sapevo però che si sarebbe arrabbiata e perciò con un gemito fui costretta a seguirla dentro.
Non appena entrò dentro, guardando le mensole illuminate e piene di borse e scarpe verniciate, sembrò a sua volta illuminarsi e batté le mani, soddisfatta.
Mi tirò verso il lato sinistro, dove le scarpe di una nota marca erano esposte in vari colori. Ero costretta ad osservarle anche io, perché lei mi teneva sottobraccio.
            -Ti piacciono queste?
Mi indicò col dito un paio di scarpe a tratti verniciate, a tratti scamosciate guardandomi negli occhi con espressione invitante.
            -Insomma...- temevo che un paio di scarpe del genere costasse molto, ma effettivamente in quel negozio non sembrava potesse esserci nulla di economico.
            -A me piacciono- dichiarò lei, prendendole in mano.
Qualche minuto dopo, mentre la osservavo provarsi le scarpe, facevo rapidamente il conto di quanto sarebbero costate in totale.
            -Che ne pensi?
Lei era davanti allo specchio ed esaminava il suo riflesso, chiedendomi un parere sulle sue scarpe.
Tossicchiai, dandole uno sguardo e sperando che capisse che non potevo parlare di fronte alla commessa.
            -Scusi, può prendermi il trentanove di quell’altro modello?- domandò lei, per farla allontanare.
Una volta che la ragazza si fu dileguata, mi avvicinai a lei e le mormorai:
            -Costano un occhio della testa, maledizione.
Lei si imbronciò, dondolando la scarpa nuova che stava provando.
            -Ma se ti ho detto che me le pago io- obiettò.
            -Be’ ma a me paiono un po’ troppi soldi per un semplice paio di scarpe.
Lei sembrò volermi dire qualcosa, ma poi sospirò e disse:
            -Magari da qualche altra parte le troviamo meno costose.
            -Ecco, così mi piace sentirti parlare.
La commessa scoprì con grande dispiacere che nemmeno il modello che le aveva proposto andava bene, perché la mia ragazza si mostrò falsamente indecisa, e alzò le spalle.
            -Mah, insomma... non mi convincono tanto.
            -Eppure lo stiamo vendendo tantissimo, questo modello.
Notai il barlume di desiderio che era apparso negli occhi di lei, mentre guardava la scarpa che aveva scelto all’inizio. Temetti che volesse comprarla ugualmente, ma poi, evidentemente con sforzo, si sedette per togliersela.
            -Be’, in caso ripassiamo dopo.
 
            -Sono molto fiera di te- le dissi più tardi, una volta uscite dal negozio, con un gran sorriso sulla faccia.
            -Sì, davvero?
Non pareva esattamente entusiasta quanto me, poiché stava facendo una smorfia dispiaciuta. Prima di uscire dal negozio, aveva raccomandato alla commessa di mettergliele da parte, in caso avesse avuto dei ripensamenti, e questo mi faceva pensare che nonostante avesse deciso di non comprarle, dentro di sé le desiderasse ardentemente.
            -Uhm...- feci una smorfia pensierosa, guardandola – cos’hai?-
A quel punto lei alzò la testa, e fece un sospiro molto artificioso.
            -Nulla- disse infine, con l’aria di chi invece ha molto da dire.
Mi dispiacque vederla in quello stato e dissi:
            -Be’, se c’è qualcosa dimmi.
            -Ecco, mi piacerebbe... vorrei... no no, fa nulla.
Detestavo quando cominciava una frase e poi subito dopo la interrompeva, mi faceva andare fuori dai gangheri.
            -Spara.
            -Ma niente, una sciocchezza...
Si fermò in mezzo alla strada e abbassò gli occhi come una bambina che si vergogna a chiedere qualcosa.
            -Dimmi- la invogliai.
            -Ecco, vorrei entrare in quel negozio lì- me ne indicò uno dall’altra parte della strada, dove erano esposte delle borse e delle cinture luccicanti – ma forse anche quello è troppo costoso-
Mi guardò con una smorfia invitante e sbattendo più volte artificiosamente le ciglia.
Oh no, pensai dentro di me. Era la stessa tattica che aveva adottato quel pomeriggio per farmi alzare dal divano, la stessa che utilizzava quando voleva indurmi a fare qualcosa, quando voleva suscitare in me i sensi di colpa.
Ora mi stava implicitamente dando la colpa della sua insoddisfazione.
            -Sì, esattamente, è troppo costoso. Andiamo avanti, per favore- risposi senza farmi turbare da quei suoi occhi imploranti, e le diedi una spintarella in avanti.
            -Dai andiamo.
            -Aspetta.
Lei tornò davanti alla vetrina del primo negozio per ammirare ancora una volta quel bel paio di scarpe, poggiando le mani sul vetro nemmeno fosse una bambina.
Io alzai un sopracciglio, sapendo che lo stava facendo apposta perché io le dessi il permesso, e per questo guardai da tutt’altra parte, ignorando la sua sceneggiata.
            -Oh, non sono bellissime?- commentò ancora una volta, cercando una mia risposta.
            -Andiamo, per cortesia?
Non ottenni risposta se non un sospiro desideroso e rumoroso, e fu allora che persi la pazienza. Mi avvicinai a lei e prendendola per la mano la tirai, o meglio strattonai, via dalla vetrina, costringendola a seguirmi.          
            -No, aspetta! Ancora un minuto!- protestò teatralmente.
            -Ma smettila...
Indifferente delle sue chiacchiere riguardo un suo personale fondo destinato alle spese private da cui poteva attingere, attraversai la strada con lei appresso.
Ad un certo punto smise di parlare, e questo suo silenzio mi turbò. La guardai di sbieco e la vidi piuttosto concentrata; sembrava che stesse pianificando qualcosa.
Ad un certo punto si fermò e mi guardò con espressione decisa.
            -Quanti soldi ti sei portata appresso?
            -Perché vuoi saperlo?
            -Così dividiamo il costo delle scarpe per due, no?- dopo questa domanda le scappò un sorriso divertito.
            -E che facciamo, ne mettiamo una io e una tu?
            -Certo!- rise, mi prese sottobraccio e mi diede un bacio sulla guancia, mentre io cercavo nella tasca del cappotto il portafoglio.
Mi sembrava di averlo preso, prima di uscire di casa, eppure non c’erano tracce della sua presenza. Tastai anche l’altra tasca, e dopo un momento di riflessione mi illuminai.
            -Ah, l’ho lasciato in macchina, maledizione!
            -Mmm, perché non vai a prenderlo un attimo? Io ti aspetto qui- propose lei.
Stavo quasi automaticamente per allontanarmi verso il parcheggio, quando una vocina interiore mi parlò all’orecchio, inducendomi ad essere più sospettosa.
Se solo mi fossi allontanata di qualche metro lasciandola sola, lei si sarebbe precipitata in quel negozio e avrebbe speso tutti i soldi che aveva appresso per quel paio di scarpe.
Dovevo ammettere che questa volta me l’aveva quasi fatta. Fortunatamente però ero riuscita ad accorgermi in tempo dell’errore che stavo per commettere.
Mi strinsi nelle spalle e ripresi a camminare.
            -Be’ non importa, credo che i tuoi soldi basteranno- risposi con nonchalance.
Avrei giurato che avesse per un momento stretto le labbra, irritata, ma l’attimo dopo riprese a camminare insieme a me come se nulla fosse.
Fu così che arrivammo davanti ad un altro negozio di scarpe, meno assortito del primo. La mia ragazza esaminò attentamente la vetrina, e con mia immensa gioia, anche i prezzi dei vari modelli.
            -Be’, entriamo.
Il negozio era stato suddiviso in un piano inferiore, e un piano superiore; al piano inferiore erano disposte le borse, le cinture, i portafogli e vari accessori di pelletteria, mentre al piano superiore erano ordinatamente esposte le scarpe.
Guardandomi attorno esaminai i vari modelli di borse, poiché avevo in mente di comprarne una per un regalo ad una mia amica.
Vedendomi forse intenta a guardare, lei lasciò la mia mano e si diresse di sopra.
            -Vado a vedere le scarpe, okay?
            -Okay.
Mi sembrava un negozio abbastanza giusto come prezzi, poiché lo conoscevo già, e perciò mi sentivo sicura a lasciarla libera di scegliere.
In particolare, mi era piaciuta una borsa di pelle nera, piuttosto grande e stavo considerando proprio l’idea di andare a prendere quel portafoglio in macchina e comprarla, per poi regalarla alla mia amica. Istintivamente mi voltai per chiederle cosa ne pensasse, ma non trovandola ricordai che m’aveva detto che sarebbe andata a vedere le scarpe, al piano di sopra.
Salendo gli scalini e spostandomi nella parte superiore del negozio, incontrai una ragazza piuttosto esile che scendeva di corsa.
            -Permesso, scusate...- faceva, scansando i vari clienti.
Non mi curai di sapere cosa stesse facendo, perché fui troppo occupata ad osservare la mia ragazza seduta su un pouf che si stava slacciando le scarpe.
            -Hai già scelto?- domandai sorpresa, stupita della sua rapidità: di solito ci metteva molto tempo prima di scegliere, poiché il suo divertimento stava proprio nell’esaminare le varie possibilità.       
            -Sì, ho fatto.
Non alzò il viso per rispondermi, né si preoccupò di informarmi su quale fosse il modello di scarpa; solo, si slacciò il cappotto e me lo porse.
            -Tieni qua.
Era strano che si fosse sfilata il cappotto, non capivo il perché di questo suo gesto, né del successivo, quando si aggiustò meglio la maglia svolazzante e trasparente.
            -Ecco, sono le ultime rimaste.
La ragazza esile che avevo incrociato prima per le scale e che sembrava avere molta fretta, ad osservarla meglio, sembrava avere la nostra stessa età.
Indossava un paio di occhiali dalla montatura nera e spessa, come piacevano alla mia ragazza, e un maglioncino rosso dal quale spuntava il colletto di una camicia.
Lei allungò le mani per ricevere il paio di scarpe, sfiorando leggermente le dita della ragazzina, e poi slacciò i lacci del modello che aveva scelto.
Io la guardai accigliata, non capendo né il suo essere divenuta ad un tratto fredda, né il provarsi quelle scarpe che erano in tutto e per tutto, tranne che per il marchio riportato di lato, uguali a quelle del negozio precedente.
Lei si alzò e  si guardò nello specchio, voltandosi a destra e a sinistra per confrontare i due profili.
            -Ti stanno benissimo- esordì la ragazza.
            -Davvero?- lei si aprì all’improvviso in un sorriso che più finto non si poteva.
            -Sì sì.
Imbronciata la guardai mentre sorrideva alla giovane commessa, compiaciuta di quel complimento e pavoneggiandosi con disinvoltura.
Sulle prime non capivo proprio perché le dedicasse tutta quella attenzione, poiché non mi pareva che avesse detto nulla di speciale: se me l’avesse domandato, certamente anche io le avrei confermato che era molto bella.
Non mi degnò di un solo sguardo, mentre chiedeva ripetute conferme alla ragazza che la stava servendo.
            -Ma ho paura che mi facciano il piede troppo grosso.
            -Ma no, lo vedi che qui- la ragazza si chinò e toccò la parte anteriore della scarpa – stringono bene?
Che sciocca, mi dissi. Non avevo ancora capito che lo stava facendo apposta?
Lei stava appositamente domandando tutte quelle delucidazioni, si mostrava insicura per ricevere ovvi complimenti, mi ignorava di proposito, unicamente perché si era offesa.
Si era offesa perché non le avevo permesso di comprare quelle scarpe che tanto le piacevano, anche se non capivo perché avesse dovuto per questo misurarsi quelle scarpe e giocherellare come una fanatica con quella commessa.
Mi voleva forse fare ingelosire, cosicché cedessi alle sue richieste?
            -Perché non le provi anche tu, queste?- all’improvviso mi sorrise indicando il modello.
            -Ne volete un altro paio?- domandò gentilmente la commessa.
            -No no, bastano queste.
Aveva fatto tutto da sola, mi aveva proposto (ma implicitamente ordinato) di misurare quelle scarpe che tanto le piacevano, il tutto con uno strano sorriso accomodante.
Io sapevo che dietro quel sorriso non si nascondeva nulla di buono, ma non potevo fare marcia indietro e rifiutare, così mio malgrado mi sedetti accanto a lei e sfilai i lacci dei miei scarponcini.
Ora, avevamo lo stesso numero di scarpe, eppure c’era un motivo se io non amavo quelle zeppe altissime e scomode, preferendo delle semplici scarpe da tennis.
C’era un motivo, e lei lo conosceva.
Infilai quella scarpa color testa di moro, verniciata, e mi misi in piedi, sentendo subito il piede protestare per essere stato costretto in una posa scomodissima.
            -Che pensi?- mi chiese lei, mettendo la mano a reggere il mento, pensosa.
Mi strinsi nelle spalle, guardando lo specchio per vedere come mi stavano addosso, e immediatamente conclusi che non era proprio nel mio stile indossare quelle scarpe.
            -A chi vanno meglio?
Lei mi si affiancò nello specchio, dondolando a destra e a sinistra la scarpa uguale a quella che stavo provando, e guardò la commessa.
Diedi alla mia ragazza uno sguardo dubbioso, non capendo dove volesse arrivare.
La commessa ovviamente, dovendo scegliere, preferì lei.
            -Be’, diciamo addosso a lei- indicò me – sembrano un po’ troppo... come dire, grosse-
            -Dici?
            -Sì.
Io feci un passo e osservai il mio riflesso compiere lo stesso movimento.
            -Non so, è come se si sfaldassero, come se la pianta le abbattesse.
La mia ragazza e la commessa guardarono come la scarpa, mentre camminavo, perdeva la sua rigidità e si faceva enorme tutto ad un tratto.
            -Possiamo prendere il numero più piccolo- propose lei.
            -Non credo cambi qualcosa. È proprio il tipo di scarpa che non va bene.
La commessa indicò il mio scarponcino nero che mi ero sfilata.
            -Infatti, se uno è sempre abituato ad indossare scarpe larghe, è logico che il piede si sforma.
Grazie mille, avrei voluto aggiungere io, ma mi limitai a stringermi nelle spalle e osservare impotente il mio riflesso.
            -In effetti, mi sembrava che ti stessero un po’ male- fece lei, con finta aria critica.
            -Se il piede è fatto in un certo modo, non lo si può cambiare.
            -Già.
            -Per esempio io che ho il piede secco, le scarpe da tennis non riesco proprio a calzarle- aggiunse la commessa, scambiando un’occhiata con la mia ragazza.
Non potei fare null’altro che incassare tutte quelle umiliazioni senza dire nulla, anche se avrei proprio voluto sapere cosa ci fosse di male nelle piante dei miei piedi.
La cosa peggiore, poi, era che lei dava corda senza difendermi alla ragazza, come se l’avessero concordato precedentemente.
Allargai le braccia come a dire ‘fate voi’ e più velocemente che potei mi tolsi le scarpe; la mia ragazza scambiò qualche altra amichevole parola con la giovane commessa, prima di confermare l’acquisto delle scarpe.
Accigliata la osservai tirare fuori il portafoglio e porgere la somma stabilita alla ragazza, che con un sorriso e un ‘arrivederci’ si congedò.
Camminavamo, pochi minuti dopo, sempre lungo quel corso interminabile, io con le mani in tasca e la fronte corrugata a domandarmi quanto potessero essere sottili e vendicative le ragazze, e lei tutta felice per l’acquisto, apparentemente indifferente al mio stato d’animo.
Anche se mi ero ripromessa di non litigare con lei e di sorvolare su ogni piccola cosa, non riuscivo proprio a credere che lo avesse fatto apposta per umiliarmi e farmela così pagare.
Oltretutto aveva acquistato proprio quelle scarpe che a quanto pareva io non avrei mai potuto indossare.
            -Ora sei contenta?- le domandai con una specie di ringhio.
            -Sì, perché? Perché me lo chiedi?
            -No dico, dopo avermi fatto fare la mia bella figura sei contenta?
            -Quale figura?
Detestavo quando fingeva di non capire e mi rendeva perciò polemica.
            -Dovevi proprio farmi misurare quelle scarpe? Lo sai benissimo che stanno meglio a te che a me, quindi che bisogno c’era di farmele provare?
Lei non si scompose, anzi fece la faccia più innocente del mondo e replicò:
            -Visto che disapprovi sempre tutto quello che compro, volevo farti provare le scarpe e farti rendere conto che sono belle.
            -Ah, e va bene.
Ero molto risentita per quel suo colpo basso, così annuii ironicamente e guardai da tutt’altra parte, crucciata. Lei a quel punto si accigliò, fermandomi con una mano.
Oh, com’era brava a rigirare le situazioni come le piacevano!
            -Scusa, non ho comprato quelle scarpe più costose per farti un piacere, ho misurato delle scarpe di qualità molto inferiore, te le ho fatte provare per avere il tuo consenso e ora è colpa mia?
            -No no, lascia... non mi fare innervosire...
Levai una mano in aria, sentendo che se solo avesse detto un’altra parola mi sarebbero saltati i nervi: avevo ricevuto la mia bella umiliazione, sentendomi dire che in pratica le uniche scarpe adatte a me erano grossolane e dozzinali; non ero proprio entusiasta di passare un’intera serata in giro per negozi; inoltre, precedentemente mi aveva fatto notare con cattiveria di come io e le gonne non fossimo proprio compatibili.
Non mi serviva molto per arrabbiarmi, ma sentivo di averne tutte le ragioni.
            -Non capisco che ho fatto- disse lei, continuando a mantenere la calma, facendomi passare per nevrotica.
            -Sei davvero così superficiale da aver bisogno che ti ricordi costantemente e in tutte le maniere possibili che sei più femminile di me?
In realtà non volevo portare il discorso su quel piano, poiché sapevo si sarebbe arrabbiata di brutto, ma ero veramente offesa per la sua mancanza di riguardo nei miei confronti.
            -Se è la verità non è colpa mia.
Ma quella risposta, pronunciata quasi con noncuranza, pose fine alla mia pazienza.
            -Ca**o, se ti serve una leccapiedi che ti ripeta ogni due per tre che sei bella e sei figa e sei tutto, va******lo esci con le tue amichette!
Quando mi arrabbiavo e perdevo leggermente il controllo, purtroppo, incominciavo a gesticolare e ad alzare la voce senza rendermene conto.
La mia ragazza non si spaventò del mio cambio di tono, né per la mia sfuriata mi domandò scusa; anzi, strinse le palpebre come per volermi studiare e disse con tono molto freddo:
            -Cos’ hai contro le mie amiche, non l’ho mai capito.
            -Cos’ho contro di loro? Nulla, a parte che ti ronzano attorno solo perché hai un bel po’ di soldi...- risposi, facendo una smorfia.
            -È un problema?
Non sapevo se lo faceva apposta a rispondermi a quella maniera, ma sembrava che fosse abbastanza sincera.
            -Fai un po’ tu- dissi, alzando le spalle e facendole un sorriso cattivo – poi non chiedermi perché ti do della superficiale-
Questo la fece arrabbiare, perché si accigliò e finalmente si decise a contrastarmi seriamente, alzando pure la voce.
            -Se ti do fastidio che cavolo ci fai ancora qui? Cos’è, vuoi dei soldi?
            -Io non t’ho mai chiesto un solo centesimo!- alcuni dei passanti mi guardarono a questa affermazione convinta – sai quanto me ne può fregare dei tuoi soldi! Ma guarda tu... pensi che sono come le tue “amiche”, che ti basta schioccare le dita per trovartele intorno, tutte ai tuoi comandi?
            -Be’ però i ragazzi quando guardano me non hanno paura di essere menati a sangue...- ribatté con un sorriso falso, consapevole dei propri mezzi.
Be’ non me ne vantavo, ma possedevo una certa forza e quando volevo, picchiavo forte, almeno a quanto dicevano i miei fratelli più piccoli.
            -Al diavolo- le dissi, guardandola come stupita della sua perfidia – vai a quel paese, te lo dico con tutto il cuore, davvero-
Lei sembrò soppesarmi per un attimo con aria sufficiente, poi domandò:
            -Sei seria quando mi dai della superficiale?
            -Certamente, tutto quello che dico lo penso veramente, non come te che spari ca**ate sapendo di attirarti così la simpatia degli altri.
            -Be’ secondo me invece sei una grandissima ipocrita, pensa un po’ ai tuoi, di difetti. Almeno io riesco a mantenere un comportamento decente in pubblico.
Non sapevo come eravamo giunte a litigare a quel modo, certo era che quel piccolo battibecco aveva tirato fuori questioni ben più importanti, e nessuna di noi due era intenzionata a rivedere la propria posizione per fare pace.
Così mi allontanai  un po’, dicendo:
            -Non so proprio che cavolo ci faccio ancora qui a perdere tempo con una bambina viziata.
            -E io non so perché ho speso mezz’ora con te inutilmente...
            -Bene, allora se ritieni che la mia presenza sia inutile, vaffan***o. Se ti fa sentire realizzata, chiama una delle tue amichette, fatti dire quanto sei bella- le rimandai con un ghigno cattivo.
            -Va’ al diavolo. Mi supplicherai di perdonarti- minacciò tutta seria.
Io feci una faccia strafottente, sorridendo sorniona e alzando un sopracciglio.
            -Non so nemmeno cosa significhi, supplicare.
Detto ciò lei mi levò contro il dito medio e raccogliendo la busta delle scarpe mi voltò le spalle, tornando sui suoi passi.
Con ancora addosso lo spirito da litigata, sorrisi nel vederla allontanarsi a quel modo, compiaciuta di averla mandata via.





Mille grazie a quelle che l'hanno messa nei preferiti, quelle che la seguono, e a chi ha recensito il primo capitolo: ad Nlc (okay, ammetto che forse i comportamenti della voce narrante, come il guardare partite di calcio, non voler fare un cavolo il sabato sera, essere tirchia, odiare lo shopping, possono trarre in inganno, ma qui si parla di due ragazze. Er... non so se è un problema, comunque ho apprezzato la tua recensione), Emmps3 (grazie per la precisazione), hacky87 (non è proprio una storia, è una cavolata buttata giù dopo aver aspramente litigato a causa dello shopping, appunto), reby94 e Mizar19 (come già detto, non sarà una storia lunga, e per questo non ho dato nomi ai personaggi. Spero che tu l'abbia persa, la partita, così ci arriva un nuovo capitolo della tua storia...).
   
 
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