Credits:FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.
Nessun aggiornamento, solo qualche modifica al testo.
Rumore.
“Perché lo hai fatto?”
Roy mi fissa col suo sguardo serio. Ostentando disapprovazione e preoccupazione
mentre i suoi occhi mi scrutano. Non per tutto c’è una motivazione in fondo.
Non so perché l’ho fatto né tanto meno perché mi dispiace tanto non esserci
riuscito. La vita a volte è semplicemente tanto, troppo pesante. Se sforzo un
po’ la vista riesco a vedere un tubo dal diametro di un centimetro e mezzo
uscire fuori dalle mie labbra, tenuto fermo da del nastro adesivo bianco. Ai
piedi del letto, sulla stessa linea del mio naso posso intravedere Al. Ha gli
occhi rossi di chi ha pianto fino poco prima.
“Ed, guardami …”
Non mi è concesso nemmeno nascondermi dietro uno sguardo o il silenzio. Il
sensore del mio battito accelera lievemente prima di tornare stabile. Sempre lo
stesso suono. Sempre la stessa cadenza. Sempre la stessa nauseante storia. Io
che studio. Io che cerco, io che combatto ed alla fine mi ritrovo sempre con lo
stesso pugno di mosche. Fosse stato un pugno di lenticchie avrei anche potuto
rivenderlo.
“Perché lo hai fatto?”
Lo ripete. Me lo ripeterà sino a quando non avrà la sua fottuta risposta.
Perché pure gli dessi quella vera non gli basterebbe. Vuol sentirsi dire che
sono pazzo. Che ho perso la testa, che non lo farò mai più e che ho bisogno
d’aiuto. Ma non è così. Non ho bisogno di aiuto. Non voglio nessuno accanto a
me. Io e la mia solitudine andiamo d’amore e d’accordo. Volevo soltanto
togliermi quel metallo.
Roy sospira abbassando la testa ed intrecciando le mani prima d’alzarsi. Mi
fissa dall’alto. Deve aver pianto anche lui.
“Hai riportato delle ferite gravi, Acciaio …” Non mi fai paura. “… Strappando
via l’automail della gamba sinistra hai anche
distrutto i nervi principali che servivano per farlo muovere. In pratica pure
te ne si costruisse un altro non servirebbe a nulla. In quanto alla spalla hai
perso molto sangue, e si è infettata andando in cancrena … i medici temono che
non supererai la notte … “
Sto per morire. Quali dolci e soavi parole quelle che sento. Morirò. Morirà qui
ogni centimetro di me. Chiudo gli occhi e non so perché. Per quale strano
motivo, piango.
Con la mano sinistra, quella sana, cerco tremante il blocchetto e la penna. Alphonse, puntuale, si alza di scatto reggendomi gli
appunti così che possa agilmente, per modo dire, scrivere. Poche parole. Poche
lettere.
-Non voglio più soffrire-
Al esplode a quel punto.
“Non vuoi più soffrire?!” Sbotta tornando a singhiozzare. “… così lasci che gli
altri soffrano per te?! Sei un egoista Niisan! Un
egoista! Se tu muori tanta gente piangerà ed anche io piangerò. Winry piangerà. Tutti piangeremo e soffriremo e ti avremo
sulla coscienza per sempre! Io ti avrò sulla coscienza per non avere capito!
Sei un egoista! Egoista!” Urla quell’ultima parola lanciando via il blocchetto
degli appunti ed uscendo. Sbatte la porta. Silenzio. Chiudo gli occhi. Non
voglio più vedere la luce del giorno.
Sopravvivo alla notte. Ed
anche la notte successiva e quella dopo ancora. Passa una settimana, il
tubicino ficcato in gola lo tolgono da un giorno all’altro. Posso parlare, ma
non parlo. Non ho voglio di dire nulla. Non voglio ascoltare le parole
confortanti di nessuno. Men che meno quelle dello
psichiatra. Roy Mustang viene a trovarmi tutti giorni allo stesso orario. Mi
racconta un po’ di come Hughes lo tormenta con le foto della sua bambina ormai
quasi adolescente. Di Riza, che non gli permette un
ritardo di nemmeno un minuto. Mi racconta tutto. Convinto che la quotidianità
delle sue azioni mi sproni a voler tornare a farne parte. Ma non voglio far
parte di niente e di nessuno. Voglio soltanto silenzio. Tanto silenzio. E tutti
invece stanno lì a parlare, a mostrare il loro dispiacere, a dirmi cosa dovrei
fare, come dovrei comportarmi. Mi dicono che saranno sempre lì per qualsiasi
bisogno. E allora perforatemi i timpani non voglio più sentirvi.
Due settimane dopo sono
fuori la terapia intensiva, finisco in una stanza con un comodino e dei fiori
dentro un vaso. Le tende azzurre e la stanza color lillà. Il colonnello ha
convinto Al a tornare a casa per dormire quella notte nel sul letto. Dice che
starà lui a sorvegliarmi.
Quando di notte tutto è
silenzio ed il colonnello è uscito dalla stanza, convinto che io dorma, per
prendersi un caffè o qualcosa che lo tenga sveglio, io agisco. Le orecchie mi
fanno male. Stanno ancora lì sempre a parlarmi. Lo psichiatra poi, è
logorroico. Mi spiega come le prime fasi della depressione siano l’isolamento,
la mal nutrizione ed il poco sonno. E continua a chiedere, chiedere e chiedere.
Parlare, parlare, parlare. La mano sana trema ancora una volta ed il mio
secondo gesto folle si svolge nel silenzio. Quando allungo il braccio verso il
comodino, ed acchiappo la penna. Quando me la spingo dentro l’orecchio
sinistro. E’ come se accoltellassi. Come se stessi uccidendo. Come quando,
fuori di testa, picchi qualcuno. Il sangue comincia a sgorgare. Ma non
m’interessa. Voglio soltanto silenzio. Ed è in quel silenzio d’oro che l’urlo
di disapprovazione di Roy mi prende alla sprovvista. Credevo che le macchinette
fossero più lontane. Mi ferma. Mi blocca e getta via per terra la penna.
“Maledizione, Ed.. “ Ringhia. Non è arrabbiato con me, ma con se stesso. Per
avermi lasciato solo quel minuto che è bastato per agire indisturbato. Tiene il
polso del mio braccio con una mano, mentre con l’altra pigia il tasto per
chiamare l’infermiera. Mi volta la faccia.
“Cazzo.. Ed … cazzo … perché.. perché?” La voce gli trema mentre io ricado con
la testa sul cuscino. Le coperte macchiate di rosso.
“Tutto è.. troppo rumoroso …” Parlo a fatica. La gola mi brucia per quello
sforzo mentre continua a guardarmi sgomento. Il tempo in questa stanza è fermo.
Non c’è alcun modo di contare i secondi. I giorni o i mesi. Sono soltanto il
susseguirsi di avvenimenti e gesti malati come questi che mi lasciano intendere
quanto tempo sia passato e quanto lontano sia dalla realtà.
E’ passata una settimana.
Ancora una. Sono stato legato al letto e chi mi viene a trovare non porta più
con se né una rivista né un mazzo di fiori. Al viene ogni giorno tutti i
giorni. Anche se non lo dice, so perfettamente che avrà odiato il colonnello
per non avermi tenuto sott’occhio. Lo so io come lo sanno tutti. E la cosa per
certi aspetti mi diverte. Lo psichiatra cerca in ogni modo di farmi parlare
spronandomi con domande stupide. Ho capito d’avere davanti uno stupido quando
ha chiesto che rapporto avessi con mio padre e che influenze sessuali
serpeggiassero dentro la mia mente. Cominciano a credere che goda nel
provocarmi dolore? Che stupidi.
Chiudo gli occhi in questa mattina fredda. Il paesaggio fuori è bianco. Ha
nevicato praticamente tutta la notte senza mai smettere un secondo. Ho sentito
il suono della neve cadere sulle strade sino da qui. A quanto sembra quella
penna non è riuscita a fare danni. Per cui ancora la notte non riesco a dormire
come vorrei.
E in un pomeriggio, mentre
fingo di dormire coricato su di un fianco, con Al seduto davanti a me che
stringe la mia mano, Roy Mustang si presenta con un pacco regalo. Ha sulla
faccia il sorriso. Come se avesse la soluzione in mano.
“Tirati su, Acciaio..” Il suo tono divertito lascia intendere che soltanto mio
fratello è l’unico imbecille che crede ancora che io dorma. Per cui apro
lentamente gli occhi. Pian piano comincia a darmi fastidio anche la luce. Passo
da un fianco a supino mentre Al continua a non volermi lasciare la mano.
Il colonnello scuote in una mano il pacchetto. Rumore di oggetti piccoli.
Ancora rumore. Non si aspetta che dica qualcosa. Scarta il regalo, sempre che
lo sia, al posto mio e ne tira fuori un piccolo mangia dischi. A dire il vero non ne avevo mai visti di così
piccoli.
“Le tue notti insonni stanno per finire …” Allarga il petto tutto orgoglioso
dell’idea che ha appena avuto e poi ci mette dentro un disco nero lucido.
Inizialmente è soltanto un suono gracchiante ed indefinito, poi lentamente, con
cautela, come se temesse di farsi ascoltare, la musica viene fuori. Un violino.
Le note di un pianoforte ed un flauto. Tre strumenti compongono la melodia.
Rimango lì immobile. Mentre il respiro mi si fa regolare, allo stesso ritmo
lento e dolce della musica. Passano meno di pochi minuti quando mi perdo nel
buio dei miei sogni.
“Crede che lo dovrei portare
a Reesempool?”
Al mi si affianca in questa sera d’inverno. E’ quasi natale, ed io sto qui in
ospedale a fare da balia ad uno stupido nano. Mi volto a fissare il fratello
minore, appunto del nano, il quale mi guarda di rimando aspettando una
risposta. Povero piccolo Elric. Destinato a non
godere della sua pace e del suo corpo.
“Credo dovrebbe deciderlo lui..” Rispondo mostrando la mia disapprovazione nel
prendere decisioni così affrettate.
“Non sono sicuro sia in grado di … come dire, Decidere..” Si tortura le mani il
minore senza avere la forza di guardarmi negli occhi.
“Allora aspetta che lo sia …”
“Sempre se tornerà ad esserlo …”
Una smorfia sul mio volto a sentire le sue parole.
“Alphonse tuo fratello ha solo bisogno di tempo,
starà bene …”
Lo vedo indeciso, non mi crede e la cosa mi fa perdere le staffe. Ma non lo
lascio a vedere.
“Vai a casa … sei stanco anche tu … vedrai che acciaio starà buono come un
agnellino …”
Riluttante annuisce prima di sparire oltre il corridoio per raccattare le sue
cose in camera del fratello.
Quando apro gli occhi la
luce della stanza mi ferisce. Fuori il paesaggio continua ad essere innevato e
la voce del colonnello mi prende alla sprovvista. Ma senza infastidirmi.
“Finalmente…” Sospira divertito. Mi volto a fissarlo.
“Ben svegliato, Acciaio …” Sorride adesso.
“Quanto ho dormito?” Domando stropicciandomi gli occhi con l’unica mano che mi
è rimasta. Noto in lui un’espressione stupita. La mia voce risulta calma,
tranquilla.
“Trentadue ore …”
“Wow …” Annuisco cercando di mettermi seduto, lui si alza dalla sedia accanto
al letto e mi sorregge la schiena aggiustando i cuscini dietro di me. Rimaniamo
in silenzio per qualche secondo.
“Lo so che … era una balla quella dei nervi … non è vero che non potrò più
farmi impiantare l’automail…”
Ridacchia grattandosi la punta del naso. “Lo so che lo sai.. speravo di farti
sentire abbastanza in colpa da rinsanire..”
Sbuffo un risolino ed il mio stomaco brontola a gran voce.
“Ti porto il pranzo?” Mi chiede lui ed annuisco ancora una volta. Per cui si
stiracchia. Al non è in stanza evidentemente anche lui mandato via a riposare.
Chissà che non abbia dormito trentadue ore come me.
“Mi lascia solo? Non teme che possa fare qualcosa di stupido?” Domando. Lui si
blocca e scuote la testa.
“Bentornato Acciaio…” Pronuncia soltanto uscendo
dalla stanza e sparendo oltre il corridoio.
SECOND END
Angolo off: Ho scritto un secondo capitoletto di questa storia che
realmente non aspetta né un vero inizio né una vera fine. Soltanto immagini,
sprazzi di un futuro folle ed inventato che potrebbe esistere e come no. Ad essere sincera mi ha ispirato tanto
leggere alcune doujinshi di una ragazza giapponese
che crea storie divine, doujinshi su FMA, lei si chiama SEINA RIN, in arte IDEA. La storia in particolare è PRECIOUS WONDER #2
Cmq spero la storia vi piaccia, scritta nei buchi della giornata, quei pochi
che rimangono ringrazio tutti per gli auguri, Oreste cresce a vista d’occhio :)
Baci ed alla prossima.