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Autore: FightClub    25/01/2010    4 recensioni
“Non volevo.. lo giuro, non volevo.. “
Singhiozzò il biondo, prendendo ancora la mano sana sulla ferita aperta del braccio.
E scuoteva il capo, strizzando gli occhi. La testa rivolta leggermente indietro. Disperato.
“Sei stato tu?” La voce di Roy Mustang tremò per un attimo come non gli succedeva da tempo, mentre guardava il sangue esplodere copioso.

-Aggiungi 2° capitolo-
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Credits:FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved. Nessun aggiornamento, solo qualche modifica al testo. Rumore.

 

“Perché lo hai fatto?”
Roy mi fissa col suo sguardo serio. Ostentando disapprovazione e preoccupazione mentre i suoi occhi mi scrutano. Non per tutto c’è una motivazione in fondo. Non so perché l’ho fatto né tanto meno perché mi dispiace tanto non esserci riuscito. La vita a volte è semplicemente tanto, troppo pesante. Se sforzo un po’ la vista riesco a vedere un tubo dal diametro di un centimetro e mezzo uscire fuori dalle mie labbra, tenuto fermo da del nastro adesivo bianco. Ai piedi del letto, sulla stessa linea del mio naso posso intravedere Al. Ha gli occhi rossi di chi ha pianto fino poco prima.
“Ed, guardami …”
Non mi è concesso nemmeno nascondermi dietro uno sguardo o il silenzio. Il sensore del mio battito accelera lievemente prima di tornare stabile. Sempre lo stesso suono. Sempre la stessa cadenza. Sempre la stessa nauseante storia. Io che studio. Io che cerco, io che combatto ed alla fine mi ritrovo sempre con lo stesso pugno di mosche. Fosse stato un pugno di lenticchie avrei anche potuto rivenderlo.
“Perché lo hai fatto?”
Lo ripete. Me lo ripeterà sino a quando non avrà la sua fottuta risposta. Perché pure gli dessi quella vera non gli basterebbe. Vuol sentirsi dire che sono pazzo. Che ho perso la testa, che non lo farò mai più e che ho bisogno d’aiuto. Ma non è così. Non ho bisogno di aiuto. Non voglio nessuno accanto a me. Io e la mia solitudine andiamo d’amore e d’accordo. Volevo soltanto togliermi quel metallo.
Roy sospira abbassando la testa ed intrecciando le mani prima d’alzarsi. Mi fissa dall’alto. Deve aver pianto anche lui.
“Hai riportato delle ferite gravi, Acciaio …” Non mi fai paura. “… Strappando via l’automail della gamba sinistra hai anche distrutto i nervi principali che servivano per farlo muovere. In pratica pure te ne si costruisse un altro non servirebbe a nulla. In quanto alla spalla hai perso molto sangue, e si è infettata andando in cancrena … i medici temono che non supererai la notte … 
Sto per morire. Quali dolci e soavi parole quelle che sento. Morirò. Morirà qui ogni centimetro di me. Chiudo gli occhi e non so perché. Per quale strano motivo,  piango.
Con la mano sinistra, quella sana, cerco tremante il blocchetto e la penna. Alphonse, puntuale, si alza di scatto reggendomi gli appunti così che possa agilmente, per modo dire, scrivere. Poche parole. Poche lettere.
-Non voglio più soffrire-
Al esplode a quel punto.
“Non vuoi più soffrire?!” Sbotta tornando a singhiozzare. “… così lasci che gli altri soffrano per te?! Sei un egoista Niisan! Un egoista! Se tu muori tanta gente piangerà ed anche io piangerò. Winry piangerà. Tutti piangeremo e soffriremo e ti avremo sulla coscienza per sempre! Io ti avrò sulla coscienza per non avere capito! Sei un egoista! Egoista!” Urla quell’ultima parola lanciando via il blocchetto degli appunti ed uscendo. Sbatte la porta. Silenzio. Chiudo gli occhi. Non voglio più vedere la luce del giorno.

Sopravvivo alla notte. Ed anche la notte successiva e quella dopo ancora. Passa una settimana, il tubicino ficcato in gola lo tolgono da un giorno all’altro. Posso parlare, ma non parlo. Non ho voglio di dire nulla. Non voglio ascoltare le parole confortanti di nessuno. Men che meno quelle dello psichiatra. Roy Mustang viene a trovarmi tutti giorni allo stesso orario. Mi racconta un po’ di come Hughes lo tormenta con le foto della sua bambina ormai quasi adolescente. Di Riza, che non gli permette un ritardo di nemmeno un minuto. Mi racconta tutto. Convinto che la quotidianità delle sue azioni mi sproni a voler tornare a farne parte. Ma non voglio far parte di niente e di nessuno. Voglio soltanto silenzio. Tanto silenzio. E tutti invece stanno lì a parlare, a mostrare il loro dispiacere, a dirmi cosa dovrei fare, come dovrei comportarmi. Mi dicono che saranno sempre lì per qualsiasi bisogno. E allora perforatemi i timpani non voglio più sentirvi.

Due settimane dopo sono fuori la terapia intensiva, finisco in una stanza con un comodino e dei fiori dentro un vaso. Le tende azzurre e la stanza color lillà. Il colonnello ha convinto Al a tornare a casa per dormire quella notte nel sul letto. Dice che starà lui a sorvegliarmi.

Quando di notte tutto è silenzio ed il colonnello è uscito dalla stanza, convinto che io dorma, per prendersi un caffè o qualcosa che lo tenga sveglio, io agisco. Le orecchie mi fanno male. Stanno ancora lì sempre a parlarmi. Lo psichiatra poi, è logorroico. Mi spiega come le prime fasi della depressione siano l’isolamento, la mal nutrizione ed il poco sonno. E continua a chiedere, chiedere e chiedere. Parlare, parlare, parlare. La mano sana trema ancora una volta ed il mio secondo gesto folle si svolge nel silenzio. Quando allungo il braccio verso il comodino, ed acchiappo la penna. Quando me la spingo dentro l’orecchio sinistro. E’ come se accoltellassi. Come se stessi uccidendo. Come quando, fuori di testa, picchi qualcuno. Il sangue comincia a sgorgare. Ma non m’interessa. Voglio soltanto silenzio. Ed è in quel silenzio d’oro che l’urlo di disapprovazione di Roy mi prende alla sprovvista. Credevo che le macchinette fossero più lontane. Mi ferma. Mi blocca e getta via per terra la penna.
“Maledizione, Ed.. “ Ringhia. Non è arrabbiato con me, ma con se stesso. Per avermi lasciato solo quel minuto che è bastato per agire indisturbato. Tiene il polso del mio braccio con una mano, mentre con l’altra pigia il tasto per chiamare l’infermiera. Mi volta la faccia.
“Cazzo.. Ed … cazzo … perché.. perché?” La voce gli trema mentre io ricado con la testa sul cuscino. Le coperte macchiate di rosso.
“Tutto è.. troppo rumoroso …” Parlo a fatica. La gola mi brucia per quello sforzo mentre continua a guardarmi sgomento. Il tempo in questa stanza è fermo. Non c’è alcun modo di contare i secondi. I giorni o i mesi. Sono soltanto il susseguirsi di avvenimenti e gesti malati come questi che mi lasciano intendere quanto tempo sia passato e quanto lontano sia dalla realtà.

E’ passata una settimana. Ancora una. Sono stato legato al letto e chi mi viene a trovare non porta più con se né una rivista né un mazzo di fiori. Al viene ogni giorno tutti i giorni. Anche se non lo dice, so perfettamente che avrà odiato il colonnello per non avermi tenuto sott’occhio. Lo so io come lo sanno tutti. E la cosa per certi aspetti mi diverte. Lo psichiatra cerca in ogni modo di farmi parlare spronandomi con domande stupide. Ho capito d’avere davanti uno stupido quando ha chiesto che rapporto avessi con mio padre e che influenze sessuali serpeggiassero dentro la mia mente. Cominciano a credere che goda nel provocarmi dolore? Che stupidi.
Chiudo gli occhi in questa mattina fredda. Il paesaggio fuori è bianco. Ha nevicato praticamente tutta la notte senza mai smettere un secondo. Ho sentito il suono della neve cadere sulle strade sino da qui. A quanto sembra quella penna non è riuscita a fare danni. Per cui ancora la notte non riesco a dormire come vorrei.

E in un pomeriggio, mentre fingo di dormire coricato su di un fianco, con Al seduto davanti a me che stringe la mia mano, Roy Mustang si presenta con un pacco regalo. Ha sulla faccia il sorriso. Come se avesse la soluzione in mano.
“Tirati su, Acciaio..” Il suo tono divertito lascia intendere che soltanto mio fratello è l’unico imbecille che crede ancora che io dorma. Per cui apro lentamente gli occhi. Pian piano comincia a darmi fastidio anche la luce. Passo da un fianco a supino mentre Al continua a non volermi lasciare la mano.
Il colonnello scuote in una mano il pacchetto. Rumore di oggetti piccoli. Ancora rumore. Non si aspetta che dica qualcosa. Scarta il regalo, sempre che lo sia, al posto mio e ne tira fuori un piccolo mangia dischi.  A dire il vero non ne avevo mai visti di così piccoli.
“Le tue notti insonni stanno per finire …” Allarga il petto tutto orgoglioso dell’idea che ha appena avuto e poi ci mette dentro un disco nero lucido.
Inizialmente è soltanto un suono gracchiante ed indefinito, poi lentamente, con cautela, come se temesse di farsi ascoltare, la musica viene fuori. Un violino. Le note di un pianoforte ed un flauto. Tre strumenti compongono la melodia. Rimango lì immobile. Mentre il respiro mi si fa regolare, allo stesso ritmo lento e dolce della musica. Passano meno di pochi minuti quando mi perdo nel buio dei miei sogni.

 

“Crede che lo dovrei portare a Reesempool?”
Al mi si affianca in questa sera d’inverno. E’ quasi natale, ed io sto qui in ospedale a fare da balia ad uno stupido nano. Mi volto a fissare il fratello minore, appunto del nano, il quale mi guarda di rimando aspettando una risposta. Povero piccolo Elric. Destinato a non godere della sua pace e del suo corpo.
“Credo dovrebbe deciderlo lui..” Rispondo mostrando la mia disapprovazione nel prendere decisioni così affrettate.
“Non sono sicuro sia in grado di … come dire, Decidere..” Si tortura le mani il minore senza avere la forza di guardarmi negli occhi.
“Allora aspetta che lo sia …”
“Sempre se tornerà ad esserlo …”
Una smorfia sul mio volto a sentire le sue parole.
Alphonse tuo fratello ha solo bisogno di tempo, starà bene …”
Lo vedo indeciso, non mi crede e la cosa mi fa perdere le staffe. Ma non lo lascio a vedere.
“Vai a casa … sei stanco anche tu … vedrai che acciaio starà buono come un agnellino …”
Riluttante annuisce prima di sparire oltre il corridoio per raccattare le sue cose in camera del fratello.

 

Quando apro gli occhi la luce della stanza mi ferisce. Fuori il paesaggio continua ad essere innevato e la voce del colonnello mi prende alla sprovvista. Ma senza infastidirmi.
Finalmente…” Sospira divertito. Mi volto a fissarlo. “Ben svegliato, Acciaio …” Sorride adesso.
“Quanto ho dormito?” Domando stropicciandomi gli occhi con l’unica mano che mi è rimasta. Noto in lui un’espressione stupita. La mia voce risulta calma, tranquilla.
“Trentadue ore …”
“Wow …” Annuisco cercando di mettermi seduto, lui si alza dalla sedia accanto al letto e mi sorregge la schiena aggiustando i cuscini dietro di me. Rimaniamo in silenzio per qualche secondo.
“Lo so che … era una balla quella dei nervi … non è vero che non potrò più farmi impiantare l’automail…
Ridacchia grattandosi la punta del naso. “Lo so che lo sai.. speravo di farti sentire abbastanza in colpa da rinsanire..”
Sbuffo un risolino ed il mio stomaco brontola a gran voce.
“Ti porto il pranzo?” Mi chiede lui ed annuisco ancora una volta. Per cui si stiracchia. Al non è in stanza evidentemente anche lui mandato via a riposare. Chissà che non abbia dormito trentadue ore come me.
“Mi lascia solo? Non teme che possa fare qualcosa di stupido?” Domando. Lui si blocca e scuote la testa.
“Bentornato Acciaio…” Pronuncia soltanto uscendo dalla stanza e sparendo oltre il corridoio.

SECOND END

Angolo off: Ho scritto un secondo capitoletto di questa storia che realmente non aspetta né un vero inizio né una vera fine. Soltanto immagini, sprazzi di un futuro folle ed inventato che potrebbe esistere e come no.  Ad essere sincera mi ha ispirato tanto leggere alcune doujinshi di una ragazza giapponese che crea storie divine, doujinshi su FMA, lei si chiama SEINA RIN, in arte IDEA. La storia in particolare è PRECIOUS WONDER #2
Cmq spero la storia vi piaccia, scritta nei buchi della giornata, quei pochi che rimangono ringrazio tutti per gli auguri, Oreste cresce a vista d’occhio :)

 

Baci ed alla prossima.

  
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