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Autore: Lady Anderson    26/01/2010    7 recensioni
“Lasciami andare, Jacob, o ti salto alla gola.” -Renesmee Cullen-
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Cap. 1 – RENESMEE CULLEN

 

Chi sono io?

Un’emerita idiota. Ecco chi sono.

 

 

Forks, Stato di Washington.

Alcuni raggi del pallido sole mattutino di gennaio filtravano dalle nuvole cupe e cariche di pioggia, attraversando la persiana chiusa della finestra della mia camera, arrivandomi dritto sul viso. Un odore forte ed intenso attraversava l’aria, seguito da un leggero rumore metallico. “Oh, no…un altro lunedì…” pensai. Con tutte le forze che una mezza-vampira potesse avere alle 7 di mattina mi misi a sedere, rimanendo a fissare, senza vederlo realmente, l’immenso armadio a muro che mia zia Alice aveva riempito – di nuovo – di vestiti appena comprati. Per un secondo l’idea di rimettermi a dormire mi schizzò nella mente, veloce come un fulmine…Idea che fu prontamente scacciata via da mia madre. “Buon giorno, dormigliona. Posso entrare?”. Appena riuscii a metterla a fuoco annuii, scostandomi per farla sedere vicino a me. “’Giorno, mamma…”, le dissi sbadigliando. Lei mi sorrise, prima di avvicinare le sue labbra ghiacciate alla mia fronte. “Ti ho preparato un bel caffè caldo. Dai, vieni, tuo padre ti sta aspettando…”. Ancora troppo assonnata per mettere insieme più di due parole in modo da formare una frase, le appoggiai una mano sulla guancia, mostrandole la mia gratitudine. L’abitudine umana di fare colazione prima di andare a scuola mi era sempre piaciuta…Senz’altro una cosa che avevo ereditato dalla mamma. “Ti aspettiamo in cucina.”, mi ripeté, prima di darmi un altro bacio sui capelli e andare nell’altra stanza. Dopo ancora qualche minuto mi alzai e mi vestii: infilai i jeans, la maglietta e presi il maglione. Non che ne avessi avuto bisogno, ma faceva parte dei miei “attrezzi di scena”. Nessuno se ne andava in giro in T-shirt a gennaio…Appena mi resi un po’ più presentabile andai in cucina, dove una bella tazza di caffè fumante mi attendeva sul tavolo. Mio padre si illuminò appena mi vide entrare, ancora un po’ intontita, e si fiondò a darmi un bacio. Non c’era volta – mattina o sera che fosse – che non approfittasse di dimostrarmi il suo affetto. “Buon giorno papà.”. Lui sorrise, dopo aver letto i miei pensieri, e mi lasciò andare. “Mattinata frenetica, tesoro?” “No mamma…almeno, non per me. Oggi abbiamo il compito di Spagnolo. Credo che la professoressa Muñoz abbia già scritto 10 vicino al mio nome nel suo registro…”. Immersa nella mia tazza, vidi con la coda dell’occhio che entrambi i miei genitori avevano assunto un’aria di orgoglio. All’improvviso, mio padre si alzò e si avvicinò alla porta. Gettandomi un’occhiata divertita alzò la mano, imitando con le dita un conto alla rovescia. Appena la sua mano si chiuse a pugno, indicando lo 0, si udirono dei tonfi pesanti sulla porta di casa. Papà allora mi sorrise, aprendo la porta. L’imponente figura di una delle persone più importanti della mia vita apparve sulla soglia di casa e accennò un saluto: “Edward…” “Ciao Jake. Vieni, entra.”. Sentendo la sua voce, un sorriso si aprì sul mio viso. Jacob entrò, coprendo con tre grandi passi la distanza tra la porta e la cucina. Subito mi cercò con lo sguardo, per poi sorridere a sua volta quando lo incrociò con il mio. Jacob era una persona fantastica: era sempre accanto a me, e faceva di tutto per rendermi felice..Tutto dovuto all’imprinting, una strana magia da lupi. Ma in fondo, cosa nel mio mondo non era magico e strano? Mi alzai per salutarlo, e quando lui mi strinse forte a sé sentii un sibilo venire dal divano. “E dai mamma..Ormai dovresti esserci abituata, no?. Senza né muoversi né ribattere la mamma iniziò a ridere: “Lo sono, piccola..Però è una cosa che mi diverte un sacco!”. Lei fu subito appoggiata da papà, che si unì alla sua risata cristallina prima di zittirla con un bacio. Con il passare del tempo quei due non erano cambiati affatto..Ma se prima le loro effusioni non mi toccavano minimamente, adesso mi mettevano sempre un po’ in imbarazzo. Di nuovo papà lesse nella mia mente ciò che stavo pensando, così lasciò perdere quello che stava facendo e venne a portarmi lo zaino. “Ecco qui, Nessie. Mi raccomando Jacob, non fare cose azzardate..E guai a te se la porti in moto!” “Non cambierai mai, eh, succhiasangue?”, rispose scherzosamente il mio licantropo preferito. Detti un’occhiata all’orologio, notando che erano già le 8 meno un quarto..Se non mi fossi sbrigata sarei arrivata in ritardo. Salutai i miei con un sonoro bacio, per poi prendere Jake per un braccio e trascinarlo fuori. Senza nemmeno metterci d’accordo iniziammo a correre tra gli alberi, con il vento che mi passava veloce tra i capelli e mi sferzava le guance accalorate. Il correre mi provocava sempre una bellissima sensazione, rafforzata ancora di più dalla presenza di Jake. Ad un certo punto lo sentii rallentare, così feci lo stesso anche io. “Nessie, fermiamoci. Non puoi arrivare a scuola correndo..Vieni!” “Jake…..Lo sai che papà ti ucciderà se mi succederà qualcosa…” “Sinceramente sono più preoccupato di tua madre…”, mi rispose lui dopo aver acceso la moto, porgendomi il casco. Era una protezione inutile, se fossi caduta era molto probabile che sarebbe stato l’asfalto a farsi del male..Ma serviva a tranquillizzare i miei, quindi misi il casco senza protestare e mi aggrappai alla maglia di Jacob, che sgassò lasciando una nuvola di foglie secche dietro di sé. Arrivammo davanti al liceo di Forks alle 8 in punto: l’entrata fu scandita dal suono irritante della campanella. Jacob si fermò, mi fece scendere e mi porse lo zaino. “Nessie, oggi all’uscita viene Bella a prenderti. Io devo andare in perlustrazione con Seth e Quil…” “Ok! Anche se avrei preferito tornare con te…”, gli dissi, facendolo arrossire. Gli sorrisi e mi incamminai verso alcune mie compagne di classe, poi mi voltai e gli mandai un bacio con la mano. Anche se ero abbastanza distante, lo vidi sorridere prima di impennare con la moto e sparire in fondo alla strada. “Caspita Nessie, sei davvero fortunata..Anche io vorrei un ragazzo che mi portasse a scuola in moto! E poi Jacob è così figo…”. E te pareva. Tutte le mattine era la stessa storia…La mia migliore amica, Amy, non faceva altro che ripetermi che il mio ragazzo era figo, era affascinante, era misterioso…“Amy, ti ho già detto un milione di volte che Jake NON è il mio ragazzo. Te lo vuoi mettere in testa o no?” “Sarà..Ma lui ti guarda in un modo così dolce…”.

Piccola, ostinata di una Amy. Se non le avessi voluto bene come ad una sorella e non fossi stata abituata a bere sangue animale, probabilmente le sarei saltata alla gola molto tempo fa. All’improvviso mi strattonò, strabuzzando gli occhi mentre mi indicava qualcuno che si stava avvicinando: “Oddio, eccolo che arriva!! Non sai cosa darei per avere il tuo armadietto, Nessie…Tutte le fortune capitano a te. La bellissima e ineguagliabile Renesmee Cullen! Via, sarà meglio che vada a prendere i miei libri..Ci vediamo in classe, ti tengo il posto vicino a me!”. Mi mollò un bacio sulla guancia e si diresse al suo armadietto. Scossi la testa sospirando, senza negarmi un sorriso. Aprii il mio e presi i libri che avrei dovuto usare alle prime due ore: “Anatomia per principianti” e “Il corpo umano – studio dei sistemi principali”. Che bello..Un’altra lezione da passare a fare disegni sul quaderno. La roba che quei libri tentavano di spiegare l’avevo già imparata quando avevo appena 5 anni. O meglio..Quando dimostravo, 5 anni. Tecnicamente adesso ne avevo 17, è vero, ma la mia nascita era avvenuta appena 7 anni prima. Un’altra cosa strana e magica che mi caratterizzava..Comunque, lo studio di  nonno Carlisle era pieno di libri molto interessanti, ma fu lui stesso ad insegnarmi tutti i segreti del corpo umano. Rimasi per un secondo a fissare i libri che tenevo in mano prima di chiudere l’armadietto, ritrovandomi così faccia a faccia con colui che aveva mandato in fibrillazione Amy. “Oh. Ciao Nathan.” “Renesmee..” “Passato una bella giornata ieri?”, gli chiesi cortesemente. “Mmmhhh..Se stare tutto il giorno a casa con una bambina di 5 anni che urla e schiamazza senza lasciarmi in pace un attimo vuol dire passare un bel pomeriggio..Beh, penso proprio di si.”. Come al solito. Ci fosse un giorno che rispondesse in modo gentile. Nathan era un bravo studente e un ottimo sportivo, ma quando si trattava di essere cortese si trovava all’ultimo livello della scala della cavalleria. “Ah, ok. Ho capito. Ci vediamo in classe.”, gli dissi prima di perdere la pazienza, avviandomi a lezione. Fino a quando non entrai in classe, sentii il suo sguardo sulla schiena. Come se fosse una cosa nuova…Nathan non era l’unico a fissarmi come un idiota; da quando avevo messo piede al liceo, non c’era stata persona che non fosse rimasta a guardarmi insistentemente, come se fossi un fenomeno da baraccone. Dopo aver stretto le prime amicizie, ma soprattutto dopo aver conosciuto Amy, le chiesi il perché: “Mi chiedi il perché, Renesmee? Tu provochi complessi di inferiorità alle altre ragazze, me compresa. I maschi non guardano nemmeno dove camminano se ci sei tu nelle vicinanze - giuro di aver visto Jordan andare a sbattere contro la porta del bagno dopo essere rimasto a fissarti mentre camminava..- e ti domandi il perché?”. Sorrisi a quel ricordo così buffo, soprattutto quando nella mia mente si formò la faccia stravolta di Amy quando le dissi che non avevo la minima idea di quello che stava dicendo. “Oh, Nessie..Forse non ti sei accorta che sei di una bellezza devastante…Guardati, sei perfetta! – mi fece girare su me stessa – Hai un corpo mozzafiato, i tuoi capelli sono bellissimi, i tuoi occhi sembrano due cioccolatini..E ti chiedi perché le persone ti fissano come se fossero un branco di ebeti?”. Mi ci vollero circa due secondi per collegare la mia perfezione (merito di papà vampiro e di mamma ancora umana al tempo della gravidanza) agli sguardi bavosi, prima di scoppiare a ridere insieme alla mia migliore amica..Comunque, ritornando al presente, sentivo che lo sguardo di Nathan  era diverso…Non era desideroso o invidioso, come quello degli altri. Non sapevo come definirlo. Arrivai in classe soprappensiero e nervosa, notando appena Amy che si sbracciava dal banco alla penultima fila. La raggiunsi, sbattendo pesantemente i libri. “Maledetto Whellens.”, sibilai tra i denti. Amy scosse la testa, parlandomi con tono rassegnato: “Forza..Cosa ti ha detto adesso Nathe?” “Niente. Le solite risposte silurate e scortesi. Un giorno di questi mi farà saltare i nervi.” “Dai Nessie, non sei contenta che il ragazzo più ambito della scuola ti rivolga spesso la parola? Credo che tu sia una delle poche..Se non l’unica. Certo, se fosse un po’ più cortese..Ma è comunque bellissimo..” “Amy, c’è qualcuno che tu non ritenga sia figo o bellissimo?” “Si, certo che c’è. Credo che Jordan sia uno di quelli che io reputo ‘sfigati’.” “Mah..Da quante volte lo nomini potrei farmi anche un’idea diversa, sai?”. Amy mi squadrò con occhi omicidi, ma appena stava per urlarmi contro piena di imbarazzo arrivò il professore in classe, così si limitò a passarsi un dito lungo la gola, facendomi capire che mi avrebbe strangolato se solo mi fossi permessa di ridire una cosa simile. Io le sorrisi divertita, ma appena vidi Nathan sedersi a due banchi di distanza dal mio sentii salire nuovamente il nervosismo.

Io e Nathan ci conoscemmo il primo giorno di scuola dell’anno attualmente in corso, il quarto. Era nella mia stessa classe, e gli avevano assegnato l’armadietto vicino al mio, cosicché ci trovavamo sempre a prendere i libri insieme. Già dall’inizio mi era sembrato un tipo scorbutico, asociale, che non aveva nessunissima voglia di relazionarsi con qualcuno, a meno che non fosse la sua mazza da baseball. Aveva qualche amico, ma nessuno sembrava andargli particolarmente a genio. Si era appena trasferito da Detroit, e adesso stava dai suoi zii a Port Angeles. Veniva a scuola qui  perché a loro non piaceva per niente il liceo che c’era in città. Avendo trascorso “cinque magnifici anni” nel liceo di Forks, Angela e Ben Cheney, gli zii di Nathan appunto, niente meno che amici di mia madre e mio padre, avevano deciso di mandare il loro nipote qui. Tutto questo ovviamente lo seppi dalle voci di corridoio, perché le nostre conversazioni si limitavano solo ai saluti. Tuttavia, c’era qualcosa in lui che mi aveva colpito fin dal primo incontro: mi pareva che la sua sfacciataggine nascondesse in realtà una persona più fragile di quello che voleva dimostrare agli altri. Comunque non approfondii la mia ipotesi, limitandomi, come faceva lui, a rivolgergli la parola solo per salutarlo.

“Nessie? Mi stai ascoltando?”, Amy diede un colpo al mio gomito, facendomi ridestare dai miei pensieri. “Non hai capito una parola di quello che ho detto, vero?”, mi sussurrò, guardandomi con aria scocciata. “Scusa, Amy, stavo pensando..Dicevi?” “Ecco, devo iniziare tutto da capo..Dicevo, hai presente Matthew, quello della sezione B? Bene..Mentre tu eri fuori a prendere i libri è venuto qui in classe e mi ha chiesto se volevo vederlo, uno di questi giorni!”. La guardai, inarcando le sopracciglia. Cercai di inquadrare il ragazzo, e appena la sua faccia prese corpo nella mia testa le risposi: “Ah, Matthew..Si, mi sembra un tipo a posto. Quand’è che dovreste uscire?” “Domani. Beh, in realtà non è una vera e propria uscita..Mi ha detto che il professore di Chimica ha chiesto una specie di collaborazione tra classi, per il progetto di Scienze che dobbiamo consegnare venerdì. Ed è venuto a dirmi che io dovevo  farlo insieme a lui..Ho accettato, ovviamente!”. Amy, Amy..Sempre stata così lei..Perennemente a caccia del ragazzo giusto!

Alla fine della lezione, il professore di Chimica venne in classe, per comunicarci della collaborazione tra gli studenti di sezioni diverse di cui mi aveva parlato Amy. Ci spiegò che non tutti potevano collaborare con uno studente dell’altra classe, poiché noi eravamo più numerosi. Quindi, mise una lista sulla cattedra, con i nomi delle coppie di studenti. A differenza degli altri, io aspettai che la fila si smaltisse, prima di andare a vedere a chi ero stata abbinata. Scorsi la lista con il dito e appena trovai il mio nome sbiancai, più di quanto la mia pelle quasi diafana consentisse. “Signorina Cullen! Sono sicuro che lei e il Signor Whellens farete un gran bel lavoro!”, disse il professore, sorridendomi. Io rimasi a guardarlo con gli occhi spalancati. “Certo, signore.”, gli risposi, prima di tornare incredula al mio posto. Appena mi sedetti affondai il viso nelle mani, scuotendo la testa rassegnata. “Oddio, con tutti quelli del nostro anno dovevo capitare proprio con lui…”, dissi a me stessa, più che alla mia compagna di banco. Ad un certo punto mi sentii chiamare: “Ehi, Cullen.”. Ecco, ci mancava solo questo. Nathan si avvicinò al mio banco, facendo quasi svenire Amy. “Pare che io e te dobbiamo fare il progetto insieme. Neanche io sono molto felice, credimi. Troviamoci alle tre e mezzo qui davanti, andiamo a casa dei miei zii. Sii puntuale.”. Lo guardai, prima confusa e poi indignata, prima di ribattere: “Cosa ti fa pensare che io esegua i tuoi ordini senza fiatare? Non hai pensato che forse posso avere degli impegni?” “Senti bellezza, prima faccio questo progetto prima mi libero di te. Non ho nessuna voglia di passare più di due pomeriggi con te, chiaro? E poi, se lavoriamo insieme, a questo giro ci scappa anche la lode. Ci vediamo.”, disse a mò di spaccone, prima di tornare al suo posto. Quella era stata la conversazione più lunga che avessimo avuto. Sentii la rabbia invadermi, ma mi imposi di rimanere calma. O perlopiù, di non andare a staccargli la testa a morsi. Amy, ancora allibita, mi disse: “L’ho detto io che tu sei la ragazza più fortunata di Forks…”.

Il resto della mattinata trascorse abbastanza bene; nonostante il pessimo umore riuscii a fare un compito di Spagnolo eccellente. All’uscita da scuola trovai la mamma appoggiata alla Volvo nel parcheggio, libera di esporsi in pieno giorno grazie alle nuvole che sembravano non voler abbandonare la piccola Forks. Notai che era l’oggetto di osservazione di gran parte delle persone presenti nel parcheggio; appena mi avvicinai a lei sentii che adesso gli oggetti da osservare erano due. Sembravamo sorelle, più che madre e figlia..Entrambe imprigionate per l’eternità nel corpo di due adolescenti, lei per un motivo, io per un altro. “Ciao mia bellissima principessa! Ci sei mancata tanto sai? Dovevi vedere Jake, era disperato..Adesso deve aspettare la cena per vederti!”. Mi abbracciò forte e mi dette un bacio sui capelli. “Ciao mamma..Mi dispiace per Jake.”, le risposi io, in tono monocorde. Avevo appena visto Nathan salire in macchina e andare via, cosa che mi guastò nuovamente l’umore. La mamma se ne accorse, ma non disse niente. Solo quando arrivammo vicino casa parlò: “C’è qualcosa che non va, Nessie?” “No, mamma..Sono solo un po’ nervosa.” “Sicura?”, mi chiese, con fare indagante. Era impossibile nascondere qualcosa alla mia brillantissima mamma vampira. Sospirai, prima di parlare di nuovo: “Tranquilla, mamma. Ah, senti, alle tre e mezzo devo essere di nuovo a scuola. Devo fare un progetto di Scienze con un compagno di classe. Il nipote dei Cheney, hai presente?”. Mamma sorrise al ricordo dei suoi amici, mentre girava nel viottolo che ci avrebbe portato a casa dei nonni. “Ok, tesoro. Ti darà uno strappo la zia Rose. Io, tuo padre, la zia Alice e lo zio Jasper siamo a caccia fino a dopodomani..La nonna ha già avvertito Jacob di venire qui, non ti preoccupare.”, mi disse, prima di parcheggiare. Mio padre, apparso dal nulla, mi aprì la portiera aiutandomi a scendere, prima di fare la stessa cosa con la mamma. Solo che, come sempre, la loro permanenza in giardino durò molto più della mia. Il nonno mi aprì la porta sorridente, accompagnandomi direttamente in sala da pranzo, dove la tavola (apparecchiata solo per me) era imbandita di piatti, ognuno con dentro qualcosa di diverso. “Nonno, hai cucinato per un esercito!” “Non ti preoccupare, Nessie…Seth, Quil e Jacob più tardi vengono a farci visita, dopo la perlustrazione.”, mi rispose allegro, prima di tornare alla sua poltrona. Non c’era che dire..Nonno Carlisle, come anche mamma e papà , era davvero un cuoco provetto. Mangiai di tutto, godendomi il primo giorno della mia nuova settimana di “dieta umana”. Il nonno aveva infatti proposto di alternare la caccia ai pasti umani, cosicché il mio organismo fosse abituato a entrambi. Dopo aver finito, aiutai la nonna a lavare i piatti, prima di salire a cambiarmi per andare a casa di Nathan. La zia Alice non mi avrebbe mai permesso di uscire di casa due volte con gli stessi abiti..Per fortuna anche a casa dei nonni c’era un armadio gigantesco. Appena dieci minuti dopo andai a lavarmi i denti e a risistemarmi i capelli; con l’umido dell’aria i miei boccoli bronzei erano ancora più attorcigliati (cosa che piaceva particolarmente alla zia Rose). Come se avesse intercettato le mie parole, la mia bellissima zia comparì sulla soglia della porta del bagno, offrendosi silenziosa di pettinarmi i capelli. Passammo quasi venti minuti chiuse li dentro: spazzolarmi era uno dei suoi passatempi preferiti, fin da quando ero piccola. Ad un certo punto, la risata fragorosa dello zio Emmett risuonò in tutta la casa, seguita da una specie di canto della vittoria. La zia sospirò sorridendo, e dopo aver posato la spazzola e avermi accompagnata fuori dal bagno si precipitò in salotto, dove lo zio stava rinfacciando a zio Jasper di aver perso un’altra delle loro scommesse. Anche io mi unii a loro; mentre ero al piano di sopra tutta la mia famiglia si era riunita in salotto. Quel momento mi fece dimenticare tutto ciò che era successo quella mattina: il mio malumore se ne andò guardando gli zii che si rincorrevano per tutta la casa, accompagnati dalle nostre risate..La mia stupenda famiglia di vampiri.

È risaputo, comunque, che il tempo passa più in fretta quando ci si diverte. La mamma, dando di sfuggita uno sguardo al grande camino che occupava gran parte di una parete del salotto, si girò verso di me: “Piccola..Sono le tre e venti. Non dovresti già essere vicino la scuola?”. Porca paletta. Sentii il sangue gelarmi nelle vene. I miei rapporti con Nathan erano già abbastanza tesi per conto proprio, se fossi arrivata in ritardo sarebbe stata la fine. Mi alzai di scatto, volando al piano di sopra a prendere il giubbotto. Salutai tutti velocemente e mi precipitai fuori, dove trovai la zia Rose già al volante della sua M3 rosso fiammante. Appena la portiera si chiuse la macchina sgommò, e la lancetta del contachilometri arrivò a sfiorare i 150 Km/h. Per fortuna i vampiri erano elettrizzati dalla velocità..La zia era davvero una pilota eccellente: sembrava persino che si stesse divertendo! Non so come, ma alle tre e ventisette minuti raggiungemmo il parcheggio della scuola. Nathan era già li, seduto sul cofano della sua Alfa 147 nera metallizzata. Aveva buon gusto il ragazzo…Italiana, sicuramente d’importazione, aggressiva e sportiva..Insomma, una gran bella macchina. Appena la zia parcheggiò lo sentii emettere un lungo fischio di ammirazione. Si, aveva decisamente buon gusto. Salutai e scesi dalla macchina, ringraziandola per il passaggio-record. Sospirando pesantemente mi voltai verso Nathan, che nel frattempo aveva acceso la sua auto. “Ciao Nathan. Sono stata puntuale, visto?”. Mi salutò con un cenno, invitandomi a salire. Uscì dal parcheggio e iniziò ad accelerare; per un secondo pensai che fosse un vampiro anche lui, tanto era ipnotizzato dalla velocità. Il viaggio fu abbastanza breve ma molto, molto silenzioso. “Bella macchina, quella di prima. Era tua zia?” “Si, mia zia Rosalie..Amiamo le macchine di grossa cilindrata.”, le uniche parole che ci scambiammo. Distratta dal paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, mi ridestai solo quando sentii l’auto rallentare: eravamo arrivati. “Ma non stavi a Port Angeles?”, gli chiesi mentre scendevamo di macchina. “Preferivi sorbirti mia cugina fino a stasera?”, mi rispose scontroso, ma con un leggero sorriso sul viso..Forse il primo che gli avevo visto fare da quando lo avevo conosciuto. “I miei zii stavano qui prima di trasferirsi a Port Angeles. La casa è di loro proprietà, ci vengo ogni tanto a studiare..Per starmene da solo, sai.”. Ehi..Che stava succedendo al ragazzo più burbero della scuola? Sbaglio o il tono della sua voce era cambiato? Mi sembrava di aver percepito un velo di tristezza nelle sue parole…“Ho capito…beh, anche io perderei la pazienza se ci fosse qualcuno che urla mentre studio..”. Mentre scrivevo un messaggio a mia madre, per avvertirla che ero sana e salva (eh si, non voleva proprio abbandonare la paura che mi facessi male..), sentii di nuovo lo sguardo di Nathan addosso: con un’occhiata rapidissima, invisibile all’occhio umano, vidi che mi stava osservando da capo a piedi; tuttavia non era uno sguardo avido e bramoso, come quello di tutti i maschi che incrociavo. Era timido, quasi si stesse vergognando di quello che stava facendo. Questo suo gesto mi mise in imbarazzo, tanto che sentii le guance avvampare. Lo guardai, facendolo tornare in sé: “Hai intenzione di stare qui fuori? Non è che faccia così caldo, sai?” “Oh. Si, si..Scusami.”, rispose lui con un velo di imbarazzo. Prese le chiavi di casa e aprì la porta, dirigendosi verso la sala da pranzo. “Permesso…”, sussurrai, mentre lo seguivo dentro quella piccola ma carinissima abitazione. Posai le mie cose sul divano, come aveva fatto Nathan e lo guardai sistemare un sacco di fogli e materiali sul tavolo. “Bene, prima iniziamo, prima finiamo. Dai, siediti…”. Si. Gli stava decisamente succedendo qualcosa. Non riuscivo a spiegarmi il perché, ma quel cambiamento mi aveva fatto vedere Nathan con occhi diversi; per la prima volta mi soffermai veramente sui suoi tratti: i suoi capelli scompigliati erano castano chiaro, il suo viso non era molto spigoloso (le sue guance erano coperte da una finissima barba, quasi invisibile) e i suoi occhi avevano un colore davvero affascinante: un verde tenue, quasi confondibile con l’azzurro. Il suo fisico poi era ben scolpito. Rimasi meravigliata da me stessa..Non mi era mai capitato di analizzare così attentamente un ragazzo che non fosse Jake. Di solito era lui il mio oggetto di osservazione preferito. Prima che si accorgesse che lo avevo guardato con molto interesse mi sedei di fronte a lui, fingendo noncuranza. “Ok. Da dove partiamo?”, gli chiesi con un sorriso, ancora scombussolata dalla via che i miei pensieri avevano preso. Pensavo che tutto sarebbe stato molto forzato ed imbarazzante, invece scoprii che il Nathan che avevo davanti era una persona completamente diversa da quello che incontravo tutti i giorni a scuola. Tutti i miei gesti, le mie parole, adesso erano molto naturali e spesso venivano accompagnate da sorrisi e battute da parte di Nathan..Amy sicuramente non mi avrebbe creduto. Dopo un’oretta che lavoravamo al progetto – la diffusione della corrente all’interno di un circuito – e dopo una ciotola di patatine svuotata, mi tornò in mente una conversazione che ebbi con mio padre qualche tempo prima: ero tornata da scuola furiosa, sempre per colpa delle risposte scortesi di Nathan. “Nessie, non prendertela così con quel ragazzo…” “E perché non dovrei? È odioso, sbruffone, acido come un limone acerbo e…”. Mio padre mi fermò con una mano, chiedendomi quanto effettivamente sapevo di Nathan. “Beh..So che stava a Detroit, che è figlio unico e che adesso abita a Port Angeles dai vostri amici, i Cheney. Perché mi fai questa domanda?” Papà sospirò, proseguendo la sua spiegazione: “È buona educazione, Nessie, non giudicare le persone dalle apparenze. Molto spesso possiamo farci un’idea sbagliata, rimanendo impigliati nei pregiudizi, quando dietro la maschera si potrebbe celare qualcuno di gran lunga differente. Impara a conoscere Nathan, forse potrai trovare in lui un ottimo amico.”. Inarcai le sopracciglia, pensando che sarebbe stato un vero miracolo se fossimo riusciti a diventare qualcosa che fosse anche lontanamente simile all’essere amici. Papà sorrise alla lettura dei miei pensieri: “Se proprio vedi che non vuole essere tuo amico, lascialo perdere. Non preoccuparti, piccola…”. Mi diede un bacio ghiacciato sulla fronte e mi lasciò sola, persa nei miei pensieri.

“Ehi, Renesmee? Ti stai addormentando? Di questo passo non arriveremo neanche a metà del lavoro!”, mi disse Nathan, richiamandomi alla realtà. “Che hai? Ho detto qualcosa che non dovevo?”. Io lo guardai disorientata per un attimo, cercando di arrivare ad una conclusione logica su cosa facesse di lui un ragazzo così strafottente ma al tempo stesso tenero… “Oh, no Nathan, non ti preoccupare. Stavo solo pensando ad una conversazione con mio padre…Dai, continuiamo.” “Ok..Ma per favore, non chiamarmi ancora Nathan…Nathe va bene, è più corto!”, mi disse con un sorriso.  “Nessie. Renesmee è più complicato..Ma non lo dire a mia madre, potrebbe arrabbiarsi un bel po’..”, risposi, sorridendo a mia volta. Continuammo a scrivere ogni minima cosa che succedeva a quel circuito, fino a che Nathan mi fece una domanda che mi spiazzò: “Nessie..Sei felice di stare qui? A Forks?” “Si, certo! È un posto tranquillo, e poi ho tutte le persone a cui voglio bene vicino…”. Vidi un’ombra attraversargli gli occhi. Cavolo..Avevo detto qualcosa che non avrei dovuto dire. Dopo una breve pausa Nathe continuò: “Capisco. Ma dimmi, hai mai pensato a come sarebbe stata la tua vita se non avessi avuto nessuno?”. Lo guardai, senza sapere che dire. La risposta ai miei pensieri stava arrivando con la forza d’impatto di un meteorite. “Io..Beh, veramente no..Ti senti molto solo, vero?”. Non mi rispose e abbassò lo sguardo. Poi disse: “Nessie…Io ho perso i genitori. Ad agosto. È per questo che sono così..Non so perché ma tu sei l’unica con cui riesco a parlare, in un modo o nell’altro…Ti chiedo scusa, per tutte le volte che ti ho fatto arrabbiare. Provocarti era l’unica maniera che mi impedisse di scoppiare…”. Ecco, la forza devastante della realtà era arrivata. Sentivo un peso immenso schiacciarmi il petto, come se stessi soffocando. “Mi dispiace tantissimo Nathe…Non sapevo che…”. Le parole mi si bloccarono in gola. Lui si immobilizzò, gli occhi persi nel vuoto. Dopo un po’ alzò lo sguardo fino ad incontrare il mio; rimanemmo senza dire niente per qualche secondo, fino a che non vidi delle piccole perle trasparenti formarsi agli angoli dei suoi occhi, per poi precipitare sul suo viso come piccoli ruscelli. “Scusa, io non  volevo tirarti in mezzo ai miei problemi..Scusami, Nessie.” “Nathe..Io..”. Non riuscii a continuare: vederlo così distrutto mi fece male. La maschera di sbruffonaggine era crollata definitivamente. Lui si alzò, poggiandosi al muro, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Così, senza pensarci due volte mi alzai dal mio posto, avvicinandomi. Con un movimento quasi automatico, mentre sentivo gli occhi bruciare, gli portai lentamente le braccia intorno al collo,stringendolo. Quello che mi lasciò ancora di più senza parole, fu sentire le sue lunghe braccia salirmi lungo la schiena, prima di chiudersi dolcemente intorno a me. Anche se il momento era tutt’altro che appropriato, non potei fare a meno di rimanere stordita dal profumo di Nathe..Sapeva di menta fresca e limone…Grazie al cielo erano anni che non bevevo sangue umano. Scacciai disgustata da me stessa quel pensiero, sentendo che i singhiozzi del ragazzo si stavano riducendo ad un respiro profondo. Molto delicatamente lo scostai, per riuscire guardarlo negli occhi. Lui intercettò il mio sguardo, rimanendo sorpreso dalle scie umide che segnavano le mie guance: “Ehi, Cullen..Non credevo che fossi così sentimentale..Dai, di piagnucoloni ne basta uno solo…”, mi disse sorridendo, prima di passarmi le dita sul viso per portare via le lacrime. Non appena le sue mani mi sfiorarono mi sentii andare a fuoco…Cosa diavolo mi stava succedendo? Io non avevo occhi che per Jacob, il mio licantropo preferito fin da quando ero nata..Perché adesso sentivo il cuore impazzirmi, mentre quando ero con Jake provavo solo un senso di profonda tranquillità? Come se questa ondata di emozioni non bastasse, rimasi sconvolta dalla forza con cui i miei occhi rimanevano incatenati a quelli di Nathe…Silenzioso, lui iniziò ad avvicinarsi al mio viso. Molto pericolosamente. Nessie non puoi…Nessie, tu vuoi bene a Jacob…Renesmee Cullen non fare ca…Buio assoluto. La mia mente aveva esposto il cartello “Chiuso per ferie”. Le morbide labbra di Nathan Whellens si erano posate dolcemente sulle mie. Dentro di me sentii un’esplosione di emozioni farsi strada, senza riuscire a decifrarne nessuna. Fu un bacio casto, senza pretese di andare oltre a quello che stava già succedendo, nel quale riuscii a percepire una profonda gratitudine. Quando Nathe si allontanò dal mio viso lo vidi sorridere, per poi sussurrarmi: “Grazie Renesmee…”. Il tono rotto della sua voce mi fece sussultare; non riuscivo a credere a quello che era appena successo. Come se volessi ripagarlo con la sua stessa moneta, sentii il bisogno di annullare di nuovo la distanza fra noi, avvicinando così le mie labbra alle sue. Non c’era niente che gli facesse intendere che volessi andare oltre, quindi mi staccai dopo poco. “Non c’è di che.”, gli dissi imbarazzata ma sorridente, prima di sciogliere la stretta che ci teneva ancora legati, per poi tornare a sedermi al tavolo inondato di fogli pieni di appunti. Trascorremmo l’ora successiva a mettere in ordine tutto quello che avevamo annotato, senza riferimenti a quello che era successo prima. All’improvviso sentii vibrare il cellulare nel giubbotto: era mia madre che voleva sapere quando avrebbe dovuto venire a prendermi. “Nessie, se vuoi ti accompagno io a casa..Tanto rimango qui stanotte.”, mi disse Nathe gentile. La mamma si dimostrò d’accordo, avvertendomi di stare attenta e di dire a Nathe di andare piano. Risi alle sue parole, pensando tra me che lei e tutta la mia famiglia vampiresca non avevano la benché minima idea di cosa volesse dire andare piano in macchina. Beh, se per questo nemmeno i mezzi-vampiri…“Non ti preoccupare mamma, starà attentissimo. Ci vediamo fra poco…Si, anche io ti voglio bene…Ciao.”. Nathe scoppiò a ridere quando vide la mia espressione rassegnata mentre si infilava il giubbotto, già con le chiavi dell’Alfa in mano, avviandosi verso la macchina. Presi le mie cose, passando in rassegna tutto per vedere se avevo dimenticato qualcosa e lo seguii. Rispetto al viaggio di andata, quello di ritorno fu davvero piacevole: Nathe era davvero un’altra persona..Si mise perfino a cantare una canzone del cd che stavamo ascoltando. Quando arrivammo nei pressi del vialetto che conduceva a casa dei nonni gli dissi di accostare, inventando la scusa che mio padre sarebbe venuto a prendermi. “Sei sicura di voler scendere qui? È quasi buio, non mi fido degli elementi che possono essere in giro a quest’ora…” “Tranquillo Nathe, fra poco arriva papà..Tti ringrazio comunque.” “Ok, come vuoi..Ah, senti Nessie..Riguardo a oggi pomeriggio..” “Non dirò niente né ad Amy, né alle altre mie amiche…” “No, non è per questo..Anzi, forse e meglio che rimanga tra me e te…Comunque, volevo ringraziarti per essermi stata vicino…”. Che tenero Nathe…Adesso si che lo vedevo davvero. “Ma figurati, non dirlo nemmeno per scherzo! Quando vuoi io ci sono, Nathe…”. Mi sorrise, prima di dirmi che per me valeva la stessa cosa. Prima di scendere dall’auto mi avvicinai a lui, dandogli un leggero e veloce bacio sulla guancia. Lui rimase immobile per mezzo secondo, poi mi salutò con un cenno della testa e partì. Dopo neanche aver fatto 20 metri tornò indietro fermandosi di nuovo vicino a me, con il finestrino abbassato: “Ehi, Cullen..Te l’ha mai detto nessuno che hai delle labbra morbidissime?” “NATHAN WHELLENS!!!”, sbraitai indignata e rossa quasi quanto i miei capelli. Nathe scoppiò a ridere, facendomi l’occhiolino prima di ripartire a tutta velocità verso casa. Rimasi a fissare l’auto che si allontanava con i denti digrignati, facendo scorrere nella mente il fiume di imprecazioni che rivolsi a quello sbruffone, prima di iniziare a correre lungo il viale di casa Cullen. Appena entrai in casa dei nonni, papà mi venne incontro con aria preoccupata, chiedendomi perché mai avessi iniziato ad elencare un sacco di parole molto poco adatte ad una ragazza. “Niente papà…Anzi, scusami per averlo fatto.”. Sapendo che se avessi pensato al pomeriggio sarebbe venuto a conoscenza di quello che era successo (con conseguenze non proprio felici per Nathe), iniziai a figurarmi nella mente tutti gli appunti di Scienze. Andai in camera mia a posare lo zaino, prima di essere raggiunta dalla mamma. “Ciao piccola…Allora, come è andata oggi?” “Molto bene..Abbiamo già svolto più della metà del lavoro. Dobbiamo solo riordinare tutto e consegnare il progetto.” “Certo, non poteva essere altrimenti…Però devi darmi un buon motivo per non andare a sbrindellare il tuo compagno.”. La guardai, confusa. Lei proseguì sussurrandomi all’orecchio: “Perché hai pianto, Nessie?”. Mi inchiodò con il suo sguardo dorato, cercando di trovare sul mio viso la risposta alla sua domanda. Subito sentii invadermi dall’imbarazzo…Non avevo segreti con la mamma. Era sempre stata un’ottima osservatrice. Mi voltai, dandole le spalle, cercando di trovare le parole per spiegarle nel modo migliore ciò che era accaduto senza farla arrabbiare. Fraintendendo il mio silenzio, mi disse: “Ho capito, non ne vuoi parlare…Ti va di mostrarmelo?”. Tornai a guardarla negli occhi, prima di avvicinarmi a lei e posarle una mano sulla guancia. Dopo un attimo vide attraverso la mia mente ogni momento di quel pomeriggio…Appena i miei ricordi arrivarono alla parte più imbarazzante mi sentii avvampare. Sentii la mamma trattenere il respiro, seguito subito da un sibilo che le uscì dai denti digrignati. Quando i ricordi finirono le chiesi mentalmente di non dire una parola a nessuno su quello che aveva visto, nemmeno a papà. Sarebbe stato il primo a correre verso la casa di Nathe per staccargli la testa. Mamma era immobile come una statua, e mi fissava passandomi da parte a parte. Lei sarebbe corsa sicuramente per seconda. Le assicurai che non c’era niente tra noi, e che non aveva importanza. Vedendo la mia implorazione mentale, accompagnata dallo sguardo supplichevole che le riservavo sempre quando si trattava di mantenere un segreto, si rilassò, stringendomi una mano. “Nessie, spero ti renda conto della situazione in cui ti sei cacciata…Come la metti con Jacob?”. Giusto..Come la mettevo con Jacob? Lui era sempre stato il mio punto di riferimento principale, era fondamentale per me. Quello che era successo tra me e Nathe non aveva importanza, era stata una cosa imprevista e soprattutto dettata dalla situazione che si era creata. Alzai le spalle, mostrandole che avrei presto chiarito tutto. “Jake fra poco sarà qui. Spiegagli come stanno le cose, sono certa che capirà…” “Va bene mamma…Grazie.”. Lei mi sorrise, prima di scendere giù ad aprire la porta al suo amico licantropo. L’odore di Jacob, mischiato a quello di Seth e Quil, si fece strada in casa; una paura improvvisa si impadronì di me, ma decisi che non potevo stare confinata in camera fino a che fossero andati via. Così mi feci coraggio e scesi le scale, facendo finta di niente. Jacob mi aspettava in fondo, con un grande sorriso stampato in volto. Oltre alla paura adesso c’era anche il senso di colpa. Appena arrivai all’ultimo gradino Jake mi abbracciò, sollevandomi da terra e stampandomi un bacio rovente sulla guancia. Gli sorrisi imbarazzata, prima di prenderlo per mano e dirigermi verso la sala da pranzo. Come al solito, il nonno aveva cucinato per uno squadrone: una quantità industriale di antipasti, tre tipi di primo, quattro secondi e come se non bastasse, anche una crostata al cioccolato immensa. Alla fine però i suoi conti si rivelarono esatti…Non rimase nemmeno una briciola di quello che aveva preparato: i tre licantropi avevano mangiato come se fossero 5 persone a testa! Dopo la cena, Jake disse agli altri due di andare senza di lui, chiedendo a mio padre il permesso di portarmi giù a LaPush. “Te la riporto prima dell’alba, promesso!” “Prima dell’alba? Ma sei impazzito? Massimo le 3…Domani Nessie deve andare a scuola, te ne sei dimenticato?” “Come vuoi, Edward…Bella, non ti preoccupare, sarò puntualissimo!”, disse a mia madre che lo stava guardando severa. “Lo spero per te, Jake…”, rispose lei quasi divertita. Poi, senza farsi vedere da mio padre, mi fece l’occhiolino per ricordarmi la promessa che le avevo fatto prima. Io annuii in risposta, prima di uscire di casa ed iniziare a correre affiancata dall’enorme lupo rossiccio. Come sempre, quando correvo i pensieri sembravano svanire dalla mia mente: era un gran bel metodo per sfogarsi. 

Arrivati alla spiaggia della riserva, Jake si ritrasformò, lanciandomi una sfida: “Il primo che prende l’altro vince. Ci stai, mostriciattolo?” “Preparati alla sconfitta, Black. Ti catturerò ancora  prima che tu te ne accorga!”, gli dissi guardandolo con aria trionfante. “Al mio tre allora. Uno..Due..TRE!”, annunciò Jake. Non fece in tempo a finire di parlare che io ero già scomparsa in mezzo agli alberi scuri. Grazie alle mie percezioni sensoriali ampliate riuscii ad individuare subito Jake, evitando tutti i suoi tentativi di cattura. Anche lui però era molto bravo a sfuggirmi..Quel gioco era uno di quelli che facevamo da quando ero nata, l’allenamento ormai era molto avanzato. All’improvviso lo vidi sbucare da un cespuglio e ritrovarsi in spiaggia. Io ero sottovento, acquattata su un ramo di abete norvegese alto almeno 30 metri. Silenziosa come un felino durante la caccia mi spostai in modo da prenderlo alle spalle: con uno scatto mi lanciai verso di lui e gli saltai addosso, imprigionandolo con braccia e gambe. “Brutta mezza-vampira imbrogliona! Non si attacca alle spalle!”, disse cercando inutilmente di liberarsi dalla mia stretta. “Ma dai Jake, lo sai che l’ho fatto con le intenzioni più buone..e comunque..HO VINTO IO!!!”, replicai prendendolo in giro, alzando al cielo un pugno in segno di vittoria. Pessima mossa. Jacob riuscì a liberare una mano, iniziando così la più malefica delle torture: il solletico. Devastata dalle risate allentai la presa, così lui mi afferrò con un movimento agile bloccandomi, senza smettere un attimo di farmi il solletico. Per tenermi ancora più ferma mi intrappolò sulla sabbia: adesso non avrei avuto nessuna via d’uscita, tranne usare i denti. Ipotesi che scartai subito, dato che avrei corso il rischio di strappargli la carne dalle ossa.. “Ok, ok, basta..Mi sono vendicato abbastanza!”, disse Jake soffocando le risate. Il loro suono era profondo ma chiaro: una delle cose che mi piacevano più di tutte di lui. In fondo, volevo davvero bene a Jake. Imprinting o meno, mi era sempre stato vicino..Prima come fratello maggiore, poi come amico…E adesso? I pensieri iniziarono ad occuparmi di nuovo la testa, come una massa ingombrante di scatoloni pieni di roba. “Ti sarai anche vendicato Jacob, però non puoi negarmi la vittoria…”, gli dissi, sistemandomi meglio sulla sabbia fresca della spiaggia. Lui fece lo stesso, stendendosi accanto a me. Con noncuranza iniziò ad accarezzarmi i capelli, spostandomi alcune ciocche boccolose dal viso. Era bello stare li, in silenzio. Silenzio che fu rotto dalla voce improvvisamente bassa e roca del ragazzo: “Sai, prima quando ho detto che eri brutta…Beh, stavo scherzando. Sei bellissima, Nessie…”. Sentii il cuore mancare un battito. Aveva espresso molte volte apprezzamento per me, ma mai con quel tono..Mai in quel tipo di situazione. Continuava ad accarezzarmi, passando dai capelli agli zigomi, dagli zigomi alle labbra, dalle labbra al mento. Il suo respiro iniziò a farsi più veloce, mentre il suo sguardo stava diventando sempre più profondo ed intenso. “Nessie..Penso che tu lo sappia già..Sento comunque il bisogno di dirtelo, impazzirò se mi trattengo ancora.” “Jake..Senti, non devi..”. Mi zittì posandomi un dito rovente sulle labbra. Poi prese un respiro e mi passò la mano enorme sulla guancia e poi sulla nuca. La tachicardia si ripresentò, accompagnata dal respiro veloce. Vidi il volto di Jacob farsi sempre più vicino al mio…Come un lampo che squarcia il cielo, un paio di occhi verde tenue, arrossati dalle lacrime passò nella mia testa. Poi, una serie di immagini si susseguì in rapida successione, come se qualcuno stesse mandando una serie di diapositive avanti a velocità innaturale. Alla fine l’odore di menta fresca e limone si impadronì di me, ricordandomi il sapore di un paio di morbidissime labbra. Jacob aveva quasi annullato la distanza fra noi, quando mi ritrassi bruscamente. Lui mi guardò con uno sguardo confuso: “Nessie, che succede?” “Non posso farlo Jake. Mi dispiace..Io..Non so cosa mi sia preso. Scusa.”. Mi alzai, con ancora l’immagine di quegli occhi verdi impressa nella memoria, confusa e disorientata. “Nessie cos’hai? Pensavo fosse quello che volevi anche tu…” “Jacob, lo vorrei, davvero, ma adesso sono un po’ confusa…” “Confusa? E da cosa?”. Era arrivato il momento che sapesse cosa era successo… “Jake, non arrabbiarti…Oggi ero a casa di un amico e…”. Imbarazzata sentii le parole troncarsi in gola. Lui sembrò capire, perché lessi sul suo viso un ondata di dolore. “No, Nessie..Dimmi che non è vero..” “Jake, mi dispiace..Io ti voglio bene, sei…” “Mi vuoi bene? Mi vuoi bene e basta, Renesmee? Non ci posso credere..Tutto questo tempo buttato all’aria…” “No Jacob, non fraintendermi..Tu sei molto importante per me, solo che adesso quello che vuoi tu non è quello che voglio io.”. Vidi con terrore che le sue mani stavano iniziando a tremare. “Renesmee, tu lo sai che io ho avuto l’imprinting con te…Io ti amo, dannazione! Credevo che anche tu mi amassi…Sono solo uno stupido!” “Jake, calmati per favore..Tu per me sei..” “COSA SONO IO PER TE? DIMMELO, RENESMEE..SONO SOLO UN COMPAGNO DI GIOCHI? IL TASSISTA CHE TI PORTA A SCUOLA? DIMMELO, DANNAZIONE!”. Le lacrime iniziarono a rigarmi il viso..Avevo paura, non sapevo che fare..Non lo avevo mai visto così. “Jake mi dispiace..Non voglio che succeda questo tra noi…” “È già successo Nessie..È troppo tardi ormai!”. Il dolore mi schiacciò la testa, non sapevo che fare. “Ti sto chiedendo solo un po’ di tempo..Nient’altro. Per favore Jacob, ascoltami..” “Devi dirmelo adesso, Nessie..COSA DIAVOLO SONO IO PER TE?”. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. “Non lo so, Jacob.”, gli dissi scoppiando definitivamente a piangere, prima di voltarmi e sparire tra le ombre scure degli alberi di LaPush. Dopo nemmeno un minuto, il silenzio della notte fu squarciato da un ululato straziante, che attraversò inesorabile la foresta.

   
 
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