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Autore: Kokky    26/01/2010    5 recensioni
Un mondo parallelo e antico, popolato da vampiri che si muovono nell'ombra e umani troppo ciechi sui nemici succhiasangue. L'esercito, i positivi e gli alchimisti sono gli unici che possono proteggere l'umanità da ciò che stanno bramando i vampiri...
Un'umana insicura. Due piccoli gemelli. Un vampiro infiltrato. Una squadra di soldati. Una signora gentile e un professore lunatico. Una bella vampira e il capo. Due Dannati. L'Imperatore e i suoi figli. Una dura vampira. E chi più ne ha più ne metta!
Di carne sul fuoco ce n'è abbastanza :)
Provare per credere!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Positive Blood' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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91 – Gelidi tramonti

La Dieta si riunì la sera dopo, poiché la notte precedente erano rimasti pochi minuti di buio assoluto prima dell’alba e i vampiri negativi non sopportavano la luce del Sole.
Juliet e Gabriel sedevano sui loro scranni, mentre gli altri giacevano sui divanetti posti in circolo. Tutto esattamente come prima.
Cain si mise accanto a Juliet, con un sorriso soffice sul viso. Il conte Aaron e Armelia, invece, stavano alla destra di Gabriel.
Fu il capostipite dei Gray ad aprire la discussione, come di consuetudine: «Bentornati alla Dieta. Ieri notte abbiamo deliberato di mostrarci agli umani con un rapimento – probabilmente verrà presa Eve dei Burnside, la più amata dal popolo».
«Che ne dici di una strage?», ripropose Cain, con nonchalance, interrompendo il suo discorso.
«Insieme al rapimento?», intese Juliet, squadrandolo con silenzioso interesse.
«Subito dopo, lasciamogli due giorni», disse Gabriel.
«Sì, così che la speranza finisca dritta in un baratro senza via d’uscita», concluse Cain.
«E allora non avranno più dubbi sulle nostre intenzioni. Saranno spazzati dal vento di discordia e morte portato dai vampiri», approvò Isaac Craigavon, con inesorabile teatralità.
«Che idiozie!», borbottò Mary Anne Tyndale, una vampira dal visino dolce e l’animo duro. «Come se già non lo sapessero. È una perdita di tempo».
«Tendono a dimenticare, gli umani», ribatté Cain. «Non sono immortali come noi, non hanno la nostra memoria né le nostre leggende – sono caduchi e dimenticano in fretta».
«Noi no», sibilò Gabriel, alzatosi dal suo scranno.
Juliet osservò il consorte con apprensione e gli carezzò la schiena.
Armelia si mosse sul suo sedile, rammentando perché Gabriel aveva deciso di iniziare quel progetto di conquista secoli prima. Roba vecchia. Ma non per loro.
Comunque era meglio non far notare l’irrigidimento di Gabriel agli altri vampiri – non svelare perché lui aveva provato tanto a convincerli a fare lotta agli umani e alla fine ce l’aveva fatta.
Li salvò una voce. L’arrivo di un ospite ritardatario.
«Noto che c’è ancora la tendenza a valutare i vampiri migliori degli esseri umani», borbottò qualcuno dietro di loro.
Cain sorrise nuovamente e guardò il nuovo arrivato: era all’apparenza un bambino negativo, dagli abiti bianchi ed eleganti, i capelli scuri ben ordinati e un viso angelico.
«Samuel, si sieda», sbottò Gabriel con sorpresa, inchinandosi al vampiro con rapidità sovraumana.
Il bimbo annuì e si avvicinò al circolo, mettendosi accanto a Cain. I due vampiri erano più antichi degli altri presenti, se non di pochi, e avevano una presenza carismatica che attraeva ogni sguardo ghiacciato su di loro.
Samuel aveva gli occhi rosi, ma così vuoti da renderli trasparenti come vetro.
«Non c’è nulla di cui esultare, Cain, se non della prevista sconfitta», sussurrò opacamente.
Nei gesti composti non ricordava affatto il bambino che era. Era passato troppo tempo dalla sua infanzia spensierata.
Tutti quanti, pure Gabriel, avevano paura di lui, Samuel l’Uccisore, anche più di Cain stesso.
Cain era solo il Primo, il positivo più puro, un Dannato che aveva vissuto spargendo morte e Caos... Samuel, invece, era uno dei primi vampiri in assoluto, su di lui aleggiava un alone di mistero, perché ben pochi erano sopravvissuti fino ad allora.
Con Samuel le tracce dei vampiri si perdevano in una notte senza stelle, in una leggenda senza protagonisti né volti.
Era lui che aveva distrutto ogni prova passata, ogni vampiro esistente in quel periodo.
Si era vendicato per la propria trasformazione e per la morte della sua famiglia, causata da una lotta per possedere le terre a Nord di Alesia, tremila anni prima.
Lui aveva sterminato la sua stessa specie, per il dolore che sentiva in petto. Aveva risparmiato solo pochi, ormai stremato dal suo compito. Era bruciato troppo in fretta, fuoco appassionato e distruttivo.
Ed era per questo che tutti ne avevano paura, anche se Samuel, dopo aver compiuto la sua vendetta, si era spento in un laconico mutismo. Aveva perso ogni scintilla di vita – era divenuto un automa senz’anima, con una posizione invidiabile tra i vampiri.
Il nome di “mito” gli era stato ricamato sopra.
«Samuel caro, non essere come al solito pessimista – qua vogliamo divertirci», ridacchiò Cain, che era l’unico a rivolgersi in quel modo al vampiro.
Samuel fece per sorridere e annuì. «Non c’è bisogno di festeggiare, vampiri in panciolle. Sai da cosa si nota la decadenza in una società? Dalle abitudini della gente. Adesso guardaci, Cain. Possiamo bere come e quando vogliamo – e se ci dà noia, se è faticoso cacciare, sai una cosa?, puoi chiedere a qualche madonna, un’umana che controlla una casa di donatori, ovviamente illegale. C’è anche questo, anche se nessuno lo sa o finge di non sapere. Trovi i bambini venduti dai genitori per un po’ di denaro e noi, ricchi vampiri annoiati, ce li compriamo con facilità. Se vuoi divertirti esistono le ville, puoi provare ad assaltarle. Ma... rinchiudere i positivi? Controllarli? E la caccia dove finirà? Sarà tutto un processo meccanico? Mi chiedo se siamo più vampiri e le nostri abitudini dicono di no. Controllare il mondo? E per cosa, poi?», domandò con scetticismo.
Gabriel ringhiò prima di potersi trattenere, ma poi il rispetto gli serrò la gola e annuì. Rispose rocamente: «Per vendetta, Samuel, perché siamo stanchi di essere limitati».
Cain rise in modo cristallino e Samuel lo fissò con indifferenza. In realtà, di questa vicenda non gli importava poi molto, anzi. Solamente gli sembrava giusto informarli.
«Sai sempre quando è giunta l’ora di autodistruggersi, per poter sorgere più forti, vero?», chiese Cain divertito.
«Non è questo. È che non vedo un senso... eppure la vendetta è un buon motivo, posso dirlo con certezza», affermò Samuel.
Sembrava poco convinto. Il suo viso non esprimeva nulla di nulla, era una fredda maschera di cera, incrollabile.
Gli altri vampiri avevano avuto gli stessi dubbi di Samuel, in precedenza, ma ora erano convinti che Gabriel li avrebbe portati a qualcosa di unico: il potere assoluto.
Per questo si erano riuniti. Erano pronti a preparare l’esercito.

Fu stabilito che Eve fosse rapita da Armelia e la sua più stretta amica, Violet Gray, che per gli umani era considerata sua cugina da parte di madre. Sarebbero state aiutate da un altro vampiro e avrebbero portato l’umana a casa Liddell.
In più, l’esercito si sarebbe raggruppato vicino alla villa di Gabriel, in attesa che Armelia si informasse sulle mosse dell’Imperatore e degli umani. Br>Cain propose di stringere la cerchia intorno ad Alesia, quindi di distruggere un paese lì vicino.
L’unica a non appoggiare più il progetto fu Mary Anne Tyndale, cara parente di Samuel, che si convinse con le sue parole dell’inutilità dell’impresa. Nulla impediva una rivolta degli umani, dopo la conquista del loro Impero, nulla assicurava il successo.
Gli umani dimenticavano in fretta, ma erano pieni di una carica ardente che nessun vampiro sapeva provare.
Gabriel non fu felice della scelta di Mary Anne, però per fortuna nessuno seguì il suo esempio.
Samuel ascoltò l’incontro con apatia, ma se solo fosse stato un po’ più preso, avrebbe morso ben più di un presente.

Quando la riunione fu finita, Gabriel si stiracchiò con soddisfazione. La sua vendetta si stava attuando, la sua promessa si stava realizzando.
Armelia lo guardò attentamente, per un solo istante, pronta a dirgli qualcosa, ma lasciò che Juliet raggiungesse il suo consorte. Gabriel sapeva già cosa avrebbe voluto dirgli.
*


92 – How you remind me

Luna si svegliò di soprassalto. Aveva sognato di quando i vampiri avevano attaccato la sua villa. Quelli del nord erano molto più violenti, si muovevano a loro agio sul ghiaccio, erano più liberi di vivere come volevano, lontani dalla capitale degli umani.
Luna controllò la stanza: Rupert dormiva nel letto di Ryan e tutto sembrava a posto.
Luna era figlia unica e non poteva immaginare la perdita della propria metà, del proprio fratello gemello... però aveva perso entrambi i genitori per l’influenza meridionale, che si era diffusa quando aveva tre anni. Ad aumentare l’alone di disgrazia attorno a lei, la sua cara amica Jane, una trentenne positiva che l’aveva trattata come una figlia, era morta quando i vampiri avevano attaccato la loro villa. Ma lei era molto ottimista, una bambina silenziosa, eppure dal cuore caldo e votato alla felicità. Non avrebbe mai smesso di sorridere.
Si alzò e andò a lavarsi; tornata dal bagno, trovò Rupert sveglio. Anche lui, lei lo sapeva, era un topo ottimista. Con il suo aiuto generoso, il bimbo si sarebbe risollevato.
Luna conosceva la morte – grazie alla perdita dei suoi cari – e sapeva come guarire i cuori infranti, anche se era così piccola. Certo, era difficile prendersi cura di chi aveva subito l’amputazione di una parte di se stesso, però poteva farcela.
«Andiamo a colazione, devi mangiare», ordinò dolcemente. Rupert annuì e saltò giù dal letto.
Luna riconosceva le persone amiche da quelle nemiche: quel bimbo le era subito parso come un ottimo potenziale compagno di giochi e sofferenze.

Violet guardò con circospezione la propria stanza e non notò niente di strano. Si era svegliata dal suo stato di dormiveglia con una strana sensazione.
Anche i vampiri sognano, pur non possedendo, di solito, sogni da realizzare e voglie da appagare, e lei aveva avuto un incubo. Un enorme orsetto, il suo, la inseguiva, stringendo nella bocca il corpo esangue di un bimbo, i cui occhi sbarrati e morti erano di un azzurro ceruleo e i capelli ricordavano il bianco.
Sbuffò e acconciò i propri capelli viola con una gardenia candida, applicata ad un elastico lillà. Fece scivolare le mani sull’abito verde chiaro e uscì dalla stanza.
Nei corridoi c’erano i vampiri-sentinella in uniforme nera, che la squadrarono in silenzio. Alcuni li conosceva di persona, ma nessuno osava parlarle, se non per questioni importanti. Era troppo diversa per essere vista di buon occhio, anche dalla sua stessa specie.
La Dannata arrivò nel salone da pranzo, dove erano radunati tutti i positivi per fare la colazione.
Controllò per bene la situazione e notò Rupert, seduto in un tavolo alla sua destra. La bambina accanto a lui, Luna, alzò lo sguardo su di lei e la fissò con odio – come se sapesse la sua colpa.
“Sarà perché sono un vampiro, solo per questo mi guarda così”, pensò Violet, ma comunque fece una smorfia stizzita ed uscì dalla sala.
Aveva… aveva paura di rivedere il gemello di Ryan, di risentire quella pietà nel guardarlo, identica copia del bimbo morto.
Si sentiva stranamente umana, quasi fragile... percepiva l’odore della morte su di sé, ciò che aveva fatto l’ossessionava. Era la prima volta.
Aveva ucciso molte persone durante la sua lunga esistenza da vampira, ma Ryan, probabilmente, le ricordava se stessa. Quella bambina la cui famiglia era stata assassinata, la Dannata circondata da dei vampiri ancora affamati, secoli prima, quando era ancora viva e innocente.
Per questo gli aveva lasciato l’orsacchiotto, lo sapeva.
«Ehi», la chiamò una voce. Era Maximilian, vestito con la sua uniforme scura. «Sei uscita subito dalla sala, non hai neanche perso tempo a studiare un po’ la merce... mi mancherà cacciare, visto che dovremo solo scegliere», disse per fare conversazione. Beh, avevano una selezione di qualche migliaia di individui. Il salone da pranzo era immenso proprio per contenerli tutti.
Violet lo fissò con i suoi occhi d’ametista e sussurrò glaciale: «Non dovresti fare la sorveglianza, ora?».
Lui la guardò confuso. «Hai di nuovo cambiato atteggiamento», borbottò con boria. «E anche se fosse?», chiese lei. Non aveva voglia né di prediche né di giochi... per la prima volta, dopo molto tempo, non solo aveva il rimorso dell’uccisione, ma anche il desiderio di ricevere un po’ di quel calore che aveva avuto da viva. Odiava i suoi genitori – e allo stesso tempo li amava – per averla cresciuta con pietà per la paura di un senso di colpa; li odiava per averla rinchiusa in una gabbia d’oro, anche se quello era l’unico modo per salvarla dalla gente (avevano avuto il terrore delle maldicenze o le avevano voluto bene?), eppure ricordava gli abbracci caldi di quel periodo. Si sentiva sempre più piccola.
«Niente, sei solo una bambina viziata. Però non pretendere che tutti stiano al tuo gioco, dolcezza, perché c’è chi si stufa di dover rincorrere la gente», sbottò Max.
Anche lui era lunatico, decisamente.
Violet ghignò in risposta.
«Pensavo che… sai, essendo uguali, io e te… tu non hai provato nulla, vedendomi? Siamo entrambi Dannati e... bah, forse era soltanto una mia fantasia», mormorò lui, prima di svanire celermente.
Violet guardò stralunata il vampiro andarsene con velocità sovraumana, di corsa, e non le restò che sorridere.
Lei era viziata e capricciosa, ma di certo lui non era rose e fiori.
Scacciando dalla mente il pensiero di Ryan e della propria infanzia, la bimba pensò come far cambiare idea a Maximilian. Quel vampiro era un’ottima distrazione.

Maximilian finì il suo turno da sentinella qualche ora dopo e, infastidito, uscì dalla struttura destinata agli umani, dirigendosi fuori dalla cava.
Non gli ci volle molto per accorgersi di essere seguito da qualcuno. Si fermò in una radura circondata da alti platani ingialliti, una mezzaluna formata da un morbido prato un po’ rinsecchito dall’estate.
Max non aveva nulla da temere e si voltò a vedere chi era il suo inseguitore, ma non vi era nessuno in vista.
«Mostrati. So che sei qui da qualche parte», disse il Dannato, guardando qua e là fra gli alberi.
Una risatina riecheggiò nella radura e Violet sbucò dietro di lui, muovendosi con passo veloce e aggraziato. Gli diede un colpetto sul braccio destro per farsi notare.
«Ah, sei tu», esclamò Maximilian con falsa delusione. Guardò la bimba con un’espressione indifferente e si voltò verso di lei.
«Sì, sono io e dovresti essere felice di vedermi», ribatté la Dannata con un ghigno.
Ignorò il fatto che il prato doveva essere sporco e che avrebbe potuto macchiarsi gli abiti – per questo si era messa dei pantaloni grigi e una magliettina nera, e non i soliti indumenti bianchi – e si sedette sull’erba. Con un cenno della mano fece capire a Maximilian di imitarla.
Lui le si mise di fronte di malavoglia. Appariva scocciato. Probabilmente aveva deciso di non voler più sottostare a lei, né di cedere alla sua indole lunatica.
«C’è il fresco di settembre, stanotte», sussurrò Violet, adocchiando il cielo stellato. La luna era calante e smorta, magrolina nella sua forma pallida.
«Già. Cosa che a noi non tange», ribadì Max, osservandola di sottecchi.
Violet concentrò il suo sguardo su quello di lui e sorrise leggermente. Fece finta di distrarsi per un istante, guardando il limitare del bosco, e attese in silenzio che lui parlasse.
«Perché mi hai seguito?», chiese infine lui, sospirando rumorosamente.
Il Dannato, ancora giovane rispetto a lei, aveva vissuto una vita solitaria, una vita da isolato; non sapeva trattare con la gente, anzi gli piaceva stare da solo, nel suo privato mondo, e difficilmente si apriva a qualcuno. Andava d’accordo con Hassan perché il vampiro era come lui, voleva divertirsi correndo alla ricerca della libertà, sapeva essere pacato e non faceva mai troppo domande né parlava troppo.
Violet, invece, aveva secoli d’esperienza su di sé. Nonostante questo, non aveva mai saputo intraprendere un rapporto normale con un suo simile – con Armelia giocava come una sorellina minore, con Adam si mostrava potente e capricciosa e con Gabriel era solo una sottoposta volenterosa.
«Perché mi andava», rispose lei ed era vero. Aveva solo pensato che, inseguendolo, avrebbero risolto il disguido di qualche ora prima.
«Interessante. E perché ti andava?», domandò Max, lasciandosi sfuggire un sorrisetto ironico.
«Sei un tipo strano, non sei male, mi stai simpatico. Perciò... boh, mi è venuto istintivo. Non avevo altro da fare, poi, e… tu mi hai detto che avevi provato qualcosa, incontrandomi», borbottò lei con tono duro e al contempo insicuro. Corrucciò le sopracciglia e con una mano andò alla ricerca del suo orsacchiotto da stringere. Peccato che non ci fosse.
Maximilian rimase in silenzio e la guardò, sgranando gli occhi blu elettrico. Tese una mano verso di lei, ma la bambina rifiutò il suo tocco.
«Sei un Dannato come me», continuò Violet. «Sei diverso e così io stessa. Non sono soltanto i capelli o gli occhi dissimili dagli altri, non è mai stata una questione di colore. È qualcosa di più profondo che va al di là di quanto la gente possa immaginare, ma che si percepisce a pelle... ci allontanano perché sentono che siamo diversi, e basta. E… anche io ho sentito qualcosa, vedendo che c’era qualcuno come me», sussurrò piano, non guardandolo affatto, pronta a fuggire.
Subito dopo quelle parole avrebbe voluto correre via, andare da qualche parte a massacrare qualcuno, un uomo qualsiasi – mordere e dimenticare il gusto di Ryan, vedere un volto soffrire, un volto che non fosse quello del bambino... sfogarsi.
Eppure sapeva di dover crescere, almeno nel profondo, e aveva pensato che confrontarsi con Maximilian, colui che le assomigliava così tanto, avrebbe portato a un suo miglioramento.
Ammazzare altra gente non vuol dire dimenticare gli assassinii passati. Non si scordano mai quei visi... quelle pene passate sotto i tuoi denti.
Maximilian tese di nuovo la sua mano verso di lei e le carezzò i capelli, come si fa con una bambina da consolare. Sfiorò per la prima volta quelle ciocche viola, tanto strane quanto i propri ciuffi blu.
«È come se stessi maturando tutta d’un colpo, a causa della mia ultima preda. Voglio tornare a divertirmi», piagnucolò Violet con odio. Non s’azzardò a guardarlo, però, dopo che lui aveva osato sfiorarla.
«Puoi ancora farlo. Puoi tornare a non pensare. Ai vampiri non fa bene ragionare sulle proprie colpe... abbiamo l’eternità davanti, rimuginare troppo ci fa solo sentire dei bastardi. È nella nostra natura essere così… ci nutriamo di sangue e basta, non possiamo fare altro. Non siamo buoni, noi Dannati meno di tutti», borbottò in risposta Max, ragionando.
«Gli ho dato il mio portafortuna… non l’ho perso, l’ho donato», ribatté lei, quasi fosse stato un gesto di bontà.
«Dopo averlo condannato», ghignò Maximilian.
Violet alzò lo sguardo d’ametista e sogghignò, tornando se stessa, piena di convinzione e orgoglio. «Giusto. Cosa dicevi sul andare a divertirsi?», domandò.
Max si lasciò sfuggire una risatina. «Beh, potremmo andare a caccia, se ti va. Oppure potremmo correre. O se hai qualche altra proposta, puoi dirmi pure».
Violet annuì, muovendo la propria mano sui soffici fili d’erba e ragionando simultaneamente.
Pochi istanti dopo le si illuminò il volto di consapevolezza, avendo trovato ciò che cercava, un’idea. «Ho qualcosa di meglio in testa», esordì.
Maximilian la guardò con curiosità, non immaginando cosa poteva aver pensato. «Sì, dimmi tutto».
La bimba gli si avvicinò piano e gli mise una mano sul volto, carezzandogli la guancia fredda. Gli occhi blu di Max scorsero le dita sottili sul suo naso e sulla sua bocca.
«Ho... ho una cosa da dirti, prima di non poter più parlare», celiò il Dannato, stringendole il polso con la mano sinistra.
Violet lo osservò, scocciata d’essere stata interrotta, e annuì. «Sii veloce».
«Quando andrai a divertirti, quando vorrai scappare via, correre il più rapidamente possibile, quando sceglierai la tua preda, quando prenderai un donatore dal complesso nella cava, quando... quando ti servirà un portafortuna, io sarò il tuo», mormorò tutto d’un fiato.
Violet gli rise in faccia e Max la fissò torvamente, ma notò che, successivamente, la bimba lo guardava con più dolcezza.
«Sì, il mio personale portafortuna. Posso usarti anche da tappetino, qualche volta?», ironizzò la Dannata, passandogli una mano fra i capelli corti e a spazzola.
«Se riuscirai a non farti trasformare in uno zerbino, sì», annunciò Maximilian, prima di baciarla.
Violet lo abbracciò e si distesero sull’erba.
Un’ottima distrazione, quel vampiro era davvero un portafortuna, un unguento per le ferite. Qualcuno che poteva diventare importante, se Violet avesse avuto il coraggio di ammetterlo.
Per il momento, insieme non erano più diversi, non erano qualcuno da adocchiare con terrore o sprezzo; erano un’unica entità, un’unione che superava il visibile.
Erano la felicità nella disgrazia.
*














Ed eccomi tornata *ò* felici tutti quanti di vedermi di nuovo su questi schermi?
Io lo sono, ad essere sincera XD. Ho anche dei motivi per questo colossale ritardo da colossal u__ù (ehh? xD), infatti questo mese ho avuto un virus ._. e ho dovuto portare il pc dal dottoVe... e poi non si connetteva -.-
Ma adesso sono qui °w° e quindi godetevi questi due capitoli. Amo le introspezioni vampiresche e grazie a Samuel ho potuto far vedere un altro tipo di vampiro, di visione, e nel secondo cap... beh, Violet ha dei sensi di colpa per ciò che ha fatto per capriccio e, anche se si risolve tutto con il “torniamo a come eravamo, siamo vampiri, bla bla”, mi è piaciuto farla penare un po’ *__*. Ma lei è una stronza bimba e non può perdere troppo tempo sui rimorsi, eh.
Comunque, ringrazio chi ha recensito ♥, i preferiti, i seguiti, i lettori occasionali, chi c’è proprio passato per caso, chi ha adocchiato nelle Storie Scelte e ha visto PB lì che gli faceva l’occhiolino, chi lo ama in segreto, chi lo odia, chi lo legge tanto per passare tempo, chi sbava dietro Adam, chi non lo caga nemmeno... tutta la gente che non si fa sentire, ma c’è +_+. E ringrazio la mia Cloud e la mia Livia per i vari appoggi/conforti/aiuti. Per farmi prendere coscienza di me, di PB, di ciò che posso fare.
Ringrazio tutti.
Dal prossimo capitoli si ritorna sui soldati. Alleluia.
Ah, e ringrazio anche i Muse che, come dice – ahimè – la Meyer, sono degli dei ispiranti. Sono una Musa ;) Però io con la Meyer non voglio spartire proprio nulla è_é (e così se ne andarono tutti i lettori amanti della saga).
Fa nulla, ormai quella donna ha modificato il modo di vedere i vampiri. Ma viva i vecchi succhiasangue bastardi.
Okay, me ne vado. Recensite, mi raccomando, per la felicità di questo Cookie rinsecchito.
Vostra (?) Kò delirante.
   
 
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