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Autore: red queen    29/01/2010    6 recensioni
EDIT: aggiungo un sequel,perchè...Ci stava bene. Per ora comunque, penso che questa storia si concluderà qui, in futuro, chissà :P Fic un po' malinconica ambientata in un ipotetico futuro post Impel Down. Non ci sono dei veri e propri spoiler, ma questa storia tiene conto degli avvenimenti fino al capitolo 560.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Portuguese D. Ace, Smoker
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Smoker entrò nella sua cabina sbattendosi la porta alle spalle. Tashigi gli aveva timidamente ricordato, per l'ennesima volta, che sulla sua scrivania giaceva una pila di documenti a cui avrebbe dovuto almeno dare un'occhiata. Alla fine della giornata, il commodoro era arrivato tristemente a corto di pretesti per evitare quel noiosissimo lavoro. Non aveva mai amato la burocrazia, in quei giorni poi, l'amava ancora di meno. Era sempre la solita, lunga sfilza di rapporti su inutili scontri tra pirati e marines che erano solo uno spreco di risorse, e di certo non risolvevano nulla. E peggio ancora, causavano danni ai malcapitati civili che per qualche motivo si trovavano coinvolti quando gli scontri avvenivano troppo vicini alla terraferma. 


Ogni volta che leggeva uno di quei resoconti, Smoker si sentiva nauseato ed impotente. Ogni volta, era un elenco di morti e feriti da entrambe le parti. Ogni volta, gli tornavano in mente gli occhi neri e malinconici di un certo giovane pirata, e la conversazione, se così poteva chiamarla, che avevano avuto l'ultima volta che si erano incontrati. Oramai parecchie settimane prima. 


Inevitabilmente poi, si ritrovava a pensare a come si era concluso quell'incontro. Quello stupido idiota aveva osato baciarlo, anche se doveva ammettere di non aver fatto molto per fermarlo. Però aveva capito anche che quello stesso stupido, stupido, stupido pirata si era preso il disturbo di sentirsi in colpa per la guerra ancora in atto, mentre i veri responsabili probabilmente non provavano neppure un briciolo di rimorso. 

Questa era la cosa che più era rimasta impressa a Smoker, dopo averlo incontrato.


 Ace stravolgeva l'idea che da sempre, si era fatto dei pirati. Era così assurdo, che dovesse essere proprio quel ragazzo, l'unica persona che condivideva la sua visione del mondo, come era in diventato in quei giorni, e che fosse proprio un pirata l'unico a comprendere il suo disgusto per quello che era diventato. Ma soprattutto era tremendamente ingiusto, che una sola persona dovesse portare il peso di una responsabilità così grande. Ace in fondo, era solo un ragazzo. Un ragazzo con una taglia stratosferica sulla testa ed un potere spaventoso, e forse lui, commodoro della marina, non avrebbe dovuto provare nessun interesse per le sue sorti, ma di tanto in tanto quei pensieri si insinuavano nella sua mente, facendolo sentire ancora più a disagio, e lui non poteva proprio farci niente. 


Cercò di scacciare quelle idee scomode, temendo che presto si sarebbero trasformate in un'ossessione, e si concentrò sul lavoro. Ma era talmente noioso che probabilmente non avrebbe resistito a lungo. Si mise a sfogliare pigramente i documenti che aveva davanti, masticando distrattamente i suoi sigari, almeno per poter andare a letto con la coscienza pulita, di aver fatto il suo lavoro, ma come previsto, non c'era nulla di diverso dal solito. Nulla su cui valesse la pena sprecare del tempo. 


Stava per rinunciare ai buoni propositi, quando finalmente qualcosa catturò la sua attenzione, e quasi avrebbe preferito che non fosse andata così. Gli era capitato tra le mani un rapporto su uno scontro avvenuto tra una nave della marina, e caso strano, proprio quella della persona che stava cercando di dimenticare. Portgas D. Ace. Doveva succedere, prima o poi. 

Un mucchio di parole inutili per sintetizzare quanto era successo giusto un paio di giorni prima: una scaramuccia tra la nave pirata e quella di un giovane capitano della marina, di cui Smoker conosceva a stento il nome; troppo inesperto per essere all'altezza dei nemici in cui era incappato. Avrebbe potuto essere una vera e propria strage, ma stando a quanto era scritto, i pirati si erano ritirati prematuramente dallo scontro, e la nave dei marines era uscita solo un po' malconcia, ma senza nessuna vittima.


"Stupido pirata" disse Smoker a se stesso "è così che vuoi vincere una guerra?" Prese un'ampia boccata dai suoi sigari, e si alzò dalla scrivania. Ma non si soffermò a pensare a quanto fosse segretamente compiaciuto all'idea che Ace avesse lasciato andare i suoi nemici, perchè era ovvio che se avesse voluto, avrebbe potuto arrostirli tutti con uno schiocco delle dita. Così come non volle stare a riflettere sul perchè avesse immediatamente chiamato Tashigi, e le avesse comunicato l'ordine di invertire la rotta e spingere la nave al massimo. 

Non avrebbe comunque sottratto tempo a niente di particolarmente utile. Il compito che aveva ricevuto a sua volta, era semplicemente di sorvegliare l'area. Smoker non aveva mai fatto mistero delle sue idee e non aveva mai fatto passare inosservato il suo dissenso nei confronti dei suoi superiori, e probabilmente gli avevano affidato quel noioso pattugliamento come punizione, oppure con lo scopo di tenerlo a bada. Ma almeno, poteva sfruttare la situazione a suo vantaggio.

Due giorni non erano pochi da recuperare, ma una nave come la sua poteva farcela.







Era una bella giornata di sole, ma Ace se ne stava nella sua cabina a fare niente. Aveva trascorso parte della mattinata sul ponte con i suoi uomini, a chiacchierare, bere e giocare a carte, ma più per tranquillizzare loro dopo gli avvenimenti più recenti, che perchè ne avesse veramente avuto voglia. 

Pochi giorni prima erano stati attaccati da una nave della marina, e le cose non erano andate esattamente come tutti si sarebbero aspettati.

Ace si era subito accorto che non sarebbe stato un incontro alla pari. I marines sembravano disorientati, disorganizzati, incerti sul da farsi, e quando dopo una prima scaramuccia il pirata si era trovato faccia a faccia con il loro capitano, aveva subito capito cosa c'era che non andava. Aveva di fronte un ragazzo che poteva avere al massimo un paio di anni più di lui, evidentemente alla sua prima missione importante, e altrettanto evidentemente, sconcertato nel trovarsi di fronte ad un pirata della sua fama. 


Chi lo sa quanto era andato vicino a trovarsi al suo posto, aveva immediatamente pensato Ace. Se per uno scherzo del destino avesse deciso di seguire le orme di suo nonno, e non avesse mai mangiato il frutto del diavolo, magari adesso poteva esserci lui lì, invece di quel giovane con il terrore negli occhi azzurro cielo, a  combattere dall'altro lato della barricata. Ma d'alta parte, aveva pensato poi amaramente, se le cose fossero andate davvero così, quella stupida guerra probabilmente non sarebbe mai neppure scoppiata.  Ace provò un dolore amaro e talmente intenso da sembrargli quasi fisico, a quell'idea, come gli succedeva sempre quando si ritrovava a considerare certi pensieri, e allora non aveva avuto più alcun dubbio, aveva ordinato subito la ritirata. 


I suoi erano rimasti incerti e perplessi per il suo comportamento, era una battaglia vinta in partenza, e il loro odio nei confronti dei marines era drasticamente aumentato dopo quello che avevano fatto al loro capitano, ma alla fine, sia pure a malincuore, avevano obbedito al suo ordine, come sempre. Ma questo non aveva fatto altro che alimentare la loro preoccupazione nei suoi confronti. Che non era più quello di un tempo, oramai lo sapevano tutti, e lo capivano. Non gliene davano alcuna colpa, e aspettavano e speravano che prima o poi le cose tornassero alla normalità, ma nel frattempo, avrebbero voluto almeno la certezza che stesse bene. Invece non era così.  


Ace mentiva bene, ma non abbastanza da ingannare le persone con cui viveva a contatto giorno per giorno, i suoi amici, e lo sapeva anche lui. Poteva capirlo dagli sguardi di sottecchi che quelli gli lanciavano quando credevano che non guardasse, dal modo in cui gli si stringevano attorno anche durante le battaglie insignificanti, pronti a difenderlo a costo della loro vita, dalle visite più frequenti di Marco, che lo prendeva in giro anche più di prima, ma sembrava aver bisogno di accertarsi che fosse davvero ancora lì con loro. E se doveva essere sincero almeno con sé stesso, doveva ammettere che il lasciare andare i marines che aveva praticamente in pugno, era stata una follia dal punto di vista di qualsiasi pirata della Grand Line. Ma proprio non riusciva a pentirsi della sua scelta. Li odiava, li odiava davvero, ma infierire sui più deboli non era mai stato il suo forte. 


Ace era immensamente grato a tutti per la lealtà che gli dimostravano, anche quando non potevano capire le sue scelte. Avrebbe voluto spiegargli quel senso di colpa che oramai lo accompagnava sempre, come un brutto vizio di cui non riusciva a liberarsi. Ma non sapeva come fare. Anche se razionalmente lo aveva capito, oramai, che non era lui il responsabile di tutto quel casino, almeno non il solo, il suo cuore non faceva che dirgli l'esatto contrario. 


Per quel motivo, quella mattina, aveva trascorso tanto tempo coi i suoi, finchè aveva potuto, ma poi aveva provato una strana stanchezza. Fingere poteva essere davvero faticoso, a volte, e aveva allora deciso si starsene un po' da solo per conto suo. Così, col pretesto di andare a fare un riposino nella sua cabina, se n'era andato. Gli altri lo avevano preso in giro come sempre, raccomandandogli di non addormentarsi strada facendo, e fingendo che tutto fosse normale, ma mentre si ritirava, Ace aveva sentito forti e chiari i loro sguardi fissi sulla sua schiena, come tanti spilli acuminati su quelle cicatrici che proprio non volevano andare via.


Non aveva dormito, alla fine, era solo rimasto un bel po' sdraiato sul letto a pensare a nulla in particolare, godendosi il placido dondolìo delle onde. Poi però, aveva sentito dei rumori provenire dal ponte, il vociare dei suoi uomini, di cui però non riusciva ad afferrare le parole, e i loro passi concitati. Stava succedendo qualcosa. Si alzò pigramente, e uscì dalla cabina, ma fece a stento a tempo a chiudersi la porta alle spalle, che si vide arrivare incontro il suo primo ufficiale, alquanto agitato.


"Capitano" disse quello, trafelato "c'è una nave della marina che ha alzato bandiera bianca. Hanno appena mandato un messaggio, chiedono...Di parlare."


Ace trovò la cosa abbastanza strana, ed in effetti era una circostanza insolita; quando pirati e marines si incontravano, in genere le uniche parole che si scambiavano, erano insulti e minacce. 


"Chi è al comando?" chiese.


"Il commodoro Smoker" rispose l'altro pirata, e forse aggiunse qualche altra cosa, o forse no, Ace non lo seppe mai. Nel momento in cui aveva sentito pronunciare quel nome, qualcosa dentro di lui era scattato, e fu come se per qualche minuto, il resto del mondo non esistesse più. Non era neppure sicuro di cosa stesse provando all'idea di rivedere il marine. Gioia? Paura? Perchè il Commodoro era lì? Perchè chiedeva di vederlo, invece di attaccare? E se fosse stata una trappola? Cosa potevano dirsi, dopo il loro ultimo incontro? E dopo quel bacio? 


"...Hum, Capitano?" il primo ufficiale chiedeva la sua attenzione, e riportò Ace al presente.


"Va bene" disse solamente Ace, ancora con le idee confuse. Ma si ricordò di come era stato bene dopo aver incontrato Smoker l'ultima volta, e desiderò immensamente poter provare ancora quella sensazione, anche se soltanto per poco tempo. Anzi, più che un desiderio, era una necessità.


"Cosa?" l'altro era a quel punto, confuso anche lui.


"Hum, ok. Accetto di parlare col lui. Il commodoro sarà mio ospite" aggiunse Ace per maggiore chiarezza, cercando di darsi una calmata e di assumere un'aria professionale. L'altro lo guardò poco convinto, ma poi corse ad eseguire l'ordine appena ricevuto senza discutere. 

Ace invece, non badò a quello sguardo, tanto ormai ci era abituato, e tornò per qualche minuto nella sua cabina, cercando di riordinare le idee, e con l'occasione, recuperò anche il suo fido cappello. Lo indossò, e subito si sentì più sicuro di sé, quindi uscì sul ponte, ad aspettare che l'altro arrivasse. Pensò ancora una volta al loro primo ed unico bacio, e gli venne da sorridere, il Commodoro lo aveva minacciato di morte subito dopo, ma prima, non lo aveva respinto. E se anche fosse stato un caso isolato, anche se non fosse mai più successo, ed era la cosa migliore, che non succedesse mai più, Ace custodiva con cura quel ricordo così bello.






Smoker approdò sulla nave pirata, chidendo a sè stesso per l'ennesima volta, se fosse impazzito, ma fu distratto dalla visione della ciruma di Ace che lo osservava con aria poco amichevole. Nessuno fiatava, l'ostilità era nell'aria, e l'unico rumore che si sentiva sul ponte, oltre al vento che smuoveva le vele, era quello di una lama che strisciava sinistra contro qualcosa. Smoker notò che a pochi passi da lui, un pirata stava affilando un coltello assurdamente grosso, e intanto non gli staccava gli occhi di dosso. Un messaggio inequivocabile: alla prima mossa sospetta, si sarebbe ritrovato quella lama conficcata in qualche organo vitale. Ma il marine non si lasciò affatto impressionare, non era lì per quella marmaglia, e non intendeva perdere tempo con loro. 


Ben presto però, trovò l'oggetto delle sue ricerche. Ace era appoggiato con la schiena ad uno degli alberi, affiancato da alcuni dei suoi, con le braccia conserte, ed un sorriso arrogante. E Smoker fu proprio sul punto di dirgli che poteva levarsi di dosso quell'aria strafottente, tanto a lui non la dava a bere, ma per fortuna non ebbe tempo di parlare. Ace gli andò incontro, e lo anticipò.


"Benvenuto sulla mia umile nave, Commodoro" disse sarcastico, aggiustandosi la falda del cappello "cosa posso fare per lei?"


"Dobbiamo parlare" fu la laconica risposta del marine.


Ad Ace scappò un altro sorriso. Il commodoro non era tipo da perdersi in inutili convenevoli, sempre dritto al punto. Per non essere da meno, si voltò e fece strada verso la sua cabina, facendogli segno di seguirlo. Gli altri pirati restarono un po' delusi, avrebbero preferito una battaglia. 

Mentre camminavano in silenzio, Ace provò di nuovo una strana sensazione, non si sentiva completamente a suo agio. Non aveva idea di cosa potesse volere da lui Smoker, ma ebbe improvvisamente il presentimento che quella conversazione sarebbe stata difficile.


Quando furono nella cabina, Ace chiuse la porta, e non disse nulla, rimase in attesa che fosse l'altro a fare la prima mossa, mentre Smoker notò subito che il ragazzo sembrava teso, però almeno si era tolto quel sorriso falso dalla labbra. Non spaeva perchè adesso che erano soli, il pirata non sentisse più l'esigenza di fingere, ma era tanto meglio così, forse questo avrebbe facilitato le cose. 


Ace intanto, lo stava osservando con un'aria vagamente interrogativa, aspettando che fosse lui a parlare per primo, e visto che era stato il marine a chiedere quel colloquio, era anche logico. Il problema era che Smoker non era esattamente andato lì con un piano preciso, e a voler parlare di logica, era assurdo che ci fosse andato, tanto per cominciare. Quella situazione si stava facendo ridicola, ridicola e imbarazzante. Infatti mano mano che i minuti passavano senza che accadesse nulla, l'espressione del pirata si stava trasformando da interrogativa in divertita. Così, quando Ace si schiarì la gola, forse in procinto di dire qualcosa, almeno per rompere il silenzio, Smoker decise di seguire semplicemente l'istinto.


"Non è colpa tua" disse semplicemente, di getto. Anche perchè aveva la sensazione che se avesse lasciato incominciare Ace, difficilmente poi sarebbe riuscito a fermarlo.


"Uh?" Il pirata non aveva idea di cosa volessero dire quelle parole, e non erano neppure quello che si aspettava di sentire. In realtà non sapeva cosa aspettarsi, ma lo stesso quella frase sembrava priva di senso.


Smoker era esasperato. Non era facile fare quel discorso, e non era neppure sicuro che spettasse a lui farlo; in effetti, era abbastanza certo del contrario. Ma oramai era lì, e doveva andare fino in fondo. Forse così si sarebbe definitivamente liberato del pensiero di quel ragazzo.


"Tutto il casino che è successo, non è stato colpa tua." Non ci fu bisogno di specificare, dal modo in cui Ace si era irrigidito, aveva serrato la mascella ed aveva spostato lo sguardo, seppe che aveva capito perfettamente.


Al pirata non piacque affatto la piega che stava prendendo quel discorso. Non era un argomento di cui gli facesse piacere parlare, con nessuno. Tanto meno con un marine, che per di più, era alla fine praticamente uno sconosciuto. 


Con le braccia incrociate sul torace, come se volesse inconsciamente proteggersi da qualcosa, Ace guardò dritto negli occhi il marine, e dopo qualche secondo di silenzio, con un'aria spavalda ed un sorriso conzonatorio, disse "è solo per questo che sei qui? Sei stato gentile, ma hai sprecato il tuo tempo, lo so già."


E poi rise ancora, mentre Smoker rimaneva serio ed impassibile a fissarlo, con la voglia di prenderlo a pugni. Pensava davvero che avrebbe creduto a quella sceneggiata? Credeva davvero che quel sorriso sembrasse sincero? Che non avrebbe visto da lontano un miglio la disperazione nei suoi occhi? 

Sentì la rabbia crescergli dentro. Era arrabbiato con Ace, troppo testardo per chiedere aiuto, con quelli che aveva attorno, che si accontentavano di aspettare e sperare che la burrasca passasse da sola, mentre il loro capitano sprofondava sempre più in fondo, e soprattutto era infuriato con tutti quelli che avevano contribuito a creare quella situazione. 

Incluso sé stesso. Anzi, era doppiamente arrabbiato con sè stesso, per il modo assurdo in cui aveva preso a cuore le sorti di un criminale.


"Certo che per un pirata, sei davvero un disastro a mentire" stavolta fu il suo turno di prendere in giro Ace, ma non era divertente per niente. 


Il ragazzo tornò subito serio. Non aveva più la forza di continuare con quella farsa. Andava avanti da troppo tempo, ormai. Le poche parole del marine, avevano inaspettatamente avuto l'effetto di consumare le sue ultime energie.

 Era come se mille campanelli d'allarme si fossero messi a suonare tutti insieme nel suo cervello, ma non c'era niente e nessuno ad indicargli una via di fuga. Nessuna freccia luminosa, nessuna uscita di sicurezza opportunamente segnalata, nessuna mano tesa per aiutarlo. Non era pronto per quella conversazione, e forse non lo sarebbe stato mai. Aveva voluto rivedere il marine, forse anche più di quanto inizialmente si fosse reso conto lui stesso, ma adesso, avrebbe pagato per vederlo andare via senza aggiungere altro. Si mise a camminare nervosamente su e giù per la cabina, mentre Smoker lo osservava pronto...A qualunque cosa. Non sapeva bene come avrebbe reagito il ragazzo, ma aveva tutta l'alria di una tigre in gabbia. Una tigre molto inferocita che aspettava solo il momento per lanciarsi all'attacco. 


"Portgas" si azzardò a dire solamente, dopo un po'.


"Vai al diavolo" Ace non rideva più, neppure per finta. Si era fermato a guardare il mare dalla finestra della cabina, desiderando più di ogni altra cosa, di essere in qualunque altro posto, piuttosto che lì. Fosse anche il fondo dell'oceano. Senza neppure curarsi del fatto che stava voltando le spalle ad uno dei suoi nemici più pericolosi, anche se il nemico in questione, non sembrava affatto essere venuto a minacciarlo. Ma ad Ace importava poco comunque, come non gli importava più di nulla, in quei giorni. E pure sentì una rabbia feroce crescergli dentro. Era diverso dall'apatia che normalmente lo accompagnava, tanto da essere quasi piacevole. Era il sentimento più forte e vero che avesse provato negli ultimi tempi, ed erano bastate solo un paio di parole del marine, per risvegliarlo in lui.


"Chi diavolo credi di essere?" gli chiese chiese allora, trattenendosi a stento dall'alzare troppo la voce, per non attirare l'attenzione dei suoi, perchè a quel punto la situazione sarebbe sicuramente finita fuori controllo.


"Cosa?" stavolta era Smoker a non capire.


Ace si girò di scatto verso di lui, furioso. Che diritto aveva quell'uomo, di venire lì da lui, ad aprire le sue ferite, e spargerci del sale sopra? Non ne aveva già passate abbastanza grazie alla marina? Non si era guadagnato il diritto di comportarsi da vigliacco per una sola, maledettissima volta, e di ritirarsi in un angolo a piangersi addosso?

Tutte le piacevoli sensazioni che aveva provato accanto all'altro uomo l'ultima volta, sembrarono ad Ace solo un pallido ricordo, così sbiadito che si chiese anche se fosse reale. Ora sentiva solo rabbia. E paura. E si odiava ancora di più per questo. Ma non poteva sfogare quella rabbia su sé stesso. A parte buttarsi in mare, l'unica soluzione plausibile, era di prendersela col solo bersaglio disponibile.


"Chi diavolo ti credi di essere?" ripetè "con che diritto sei qui? Cosa vuoi da me? Cosa vuoi sentirti dire?"


Smoker alzò gli occhi al cielo, esasperato. Quello stupido, stupido ragazzino egocentrico.


"Non cercare di cambiare argomento, pirata, non si tratta di me" disse, cominciava ad essere abbastanza arrabbiato anche lui. "Voglio che ti ficchi in quella tua testaccia di legno una volta per tutte, che non è stata colpa tua, ti hanno solo usato, lo capisci?"


E forse aveva altro da aggiungere, o forse no, ma non ne abbe il tempo, Ace lo colpì con un pugno al viso, così veloce che Smoker non potè fare niente per fermarlo. Avrebbe solo voluto restituirglielo, bruciava letteralmente dalla voglia di farlo, ma riuscì a controllarsi, pensando che almeno uno dei due, doveva comportarsi da adulto, altrimenti le cose sarebbero finite molto male. Si limitò allora a guardare il pirata con aria glaciale, senza dire una parola. 


Ace allora lo spinse con tutte le forze, costringendolo ad indietreggiare di alcuni passi, come se volesse mettere la maggiore distanza possibile tra sé e l'altro. Sapeva di star agendo come un bambino capriccioso, ma Smoker ancora non reagiva, e il pirata, ormai esasperato a sua volta per non essere riuscito a provocarlo, ripetè il gesto, finchè l'altro non andò a sbattere contro la parete alle sue spalle, con un sonoro rimbombo.

 

A quel punto, fu costretto a fermarsi. "Vaffanculo, marine! Non hai il diritto di venire qui a dirmi tutte queste stronzate, e poi perchè parli di loro? Come se la cosa non ti riguardasse, come non fossi anche tu della stessa fottuta razza."


Smoker ne aveva avuto abbastanza dei modi del pirata, ed era stato sul punto di colpirlo mandando al diavolo le sue buone intenzioni, ma le parole di Ace lo avevano bloccato. Già, non aveva senso parlare di loro, era una distinzione stupida ed ipocrita. Era un marine anche lui, e non importava quante volte fosse stato in disaccordo con gli ordini dei suoi superiori, quante volte li avesse persino ignorati, finchè avesse continuato ad indossare quella divisa che aveva scelto tanti anni addietro, e di cui era sempre stato orgoglioso, fino a poco tempo prima, doveva assumersi le sue responsabilità.


"Lo so" disse con un sospiro rassegnato, senza guardare il ragazzo negli occhi, e senza rendersi conto che in pratica, aveva dato al pirata la stessa risposta che prima aveva ricevuto da lui.


Ma a quelle due semplici parole, Ace sembrò calmarsi tutto ad un tratto. Aveva voluto ferire il marine, e dal suo sguardo, capì che ci era riuscito. Ma non ne fu per niente contento, anzi, l'unica sensazione che provò, fu il rimorso. Si accorse che Smoker era molto più vicino a lui, in quel momento, di quanto potessero esserlo persino i suoi amici più fidati. Perchè era l'unico che poteva conoscere quel doloroso senso di colpa, e tutta la frustrazione nell'essere incapace di risolvere la situazione. E capì finalmente perchè era andato lì da lui. Come una rivelazione improvvisa, seppe che Smoker era lì per cercare di salvare il salvabile, perchè se non riusciva a perdonare sé stesso, almeno forse potreva aiutare Ace, anche se probabilmente neppure lo sapeva. 

Era una gran testa di legno anche lui, un'altra cosa che avevano in comune.  


E provò a sua volta il desiderio di dirgli che non poteva essere responsabile per le decisioni di altre persone, che doveva essere fiero di quello che era, di riuscire a pensare con la sua testa, che anche il disgusto che provava per quella guerra, lo rendeva molto migliore di tanti altri. Ma gli parvero parole vuote e assolutamente insufficienti, tanto che non le disse mai, ma soprattutto perchè non sapeva se poteva ancora fidarsi della sua stessa voce. Sentiva come un nodo in gola, e un bruciore sospetto in fondo agli occhi ed ebbe la certezza assoluta che se Smoker in quel momento l'avesse anche solo guardato con quei suoi occhi grigi e intensi, non lo avrebbe sopportato.


Fece allora l'unica cosa che gli venne in mente, per scongiurare quel pericolo, e baciò il marine. Come aveva fatto durante il loro ultimo, strano incontro, senza stare a pensare troppo al perchè quell'uomo avesse il potere di sconvolgerlo in tal modo anche con poche, semplici parole, e al perchè fosse così difficile non mettergli le mani addosso. 

Solo che questa volta non fun un bacio affrettato, ed Ace non fuggì dalla finestra subito dopo. Smoker non lo attaccò e non lo minacciò, ma dopo i primi istanti di sorpresa, ricambiò il bacio, e quando sentì sulle labbra oltre il sapore di quelle di Ace,  anche quello salato delle sue lacrime, lo strinse ancora di più a sè. Sentì in un attimo tutta la tensione abbandonare il proprio corpo, e lentamente, anche il pirata si rilassò tra le sue braccia. 


Non appena dovettero separarsi, Ace si affrettò ad asciugarsi gli occhi con il rovescio della mano, pur sapendo che oramai era troppo tardi, ma Smoker non gli diede il tempo di star lì a contemplare i frantumi della sua dignità, perchè gli sollevò il viso con una mano e lo baciò di nuovo, profondamente e dolcemente, prima di spingerlo indietro lentamente, finchè non furono arrivati al letto di Ace. 


Il pirata aveva pensato, fino ad allora, che la semplice idea di farsi toccare da qualcun altro, da un marine, per di più, dopo quello che aveva passato a Impel Down, fosse semplicemente ributtante, ma invece si rilassò subito sotto il calore delle carezze di Smoker, e desiderò immediatamente averlo più vicino.

Si stese sul letto, ed attirò verso si sé il commodoro, che si lasciò guidare docilmente. Quando si ritrovò disteso sotto al suo corpo, Ace si sentì al sicuro e in pace come non era mai stato, ma i baci dell'altro lo distolsero immediatamente da qualsiasi pensiero.







La giornata stava volgendo al termine, e Smoker pensò che fosse ora di ritornare sulla sua nave, oppure Tashigi avrebbe finito con l'impazzire per la preoccupazione e fare qualcosa di stupido, come ordinare un inutile attacco in grande stile, a scopo di salvataggio. Solo che non era facile come aveva sperato, lasciare il letto su cui era sdraiato supino, mentre Ace utilizzava la sua spalla come cuscino. Si disse che avrebbe dovuto pensarci, prima di compromettersi con un pirata, ma ormai era troppo tardi. E poichè sentiva che nelle ultime settimane, avendo contribuito ad un inutile scempio, la sua integrità era già ridotta in brandelli, era ipocrita starsi a preoccupare anche di quello.


Il pirata non dormiva, stava solo tranquillo a godersi il momento, guardando fuori, mentre riviveva con la mente quello strano pomeriggio. Il calore delle mani del marine sulla sua pelle, il sapore dei suoi baci, e quel piacere infinito che gli aveva donato.  Sarebbe stato bello, pensò, se quegli attimi fossero durati per sempre, se la guerra fuori non fosse mai esistita, se avesse potuto rimanersene lì, sotto le coperte nel suo comodo letto, ad ascoltare il battito regolare del cuore di un certo commodoro, che doveva per forza avere qualche strano potere, oltre quello del rogia, se riusciva a farlo stare così bene con la sua sola presenza, anche se il loro incontro non era cominciato nel migliore dei modi.


E poi quelle parole 'non è stata colpa tua'. Tutti i suoi amici glielo avevano detto, anche il suo capitano, suo padre. Ma aveva avuto bisogno di sentirselo dire dal suo  nemico naturale, perchè diventassero vere. Aveva cercato di respingerle, di non ascoltarle, perché non poteva essere così facile, giusto? Non lo meritava. Un peccato grande come il suo non poteva essere assolto con poche, semplici parole. Ma erano state pronunciate da qualcuno che in teoria avrebbe dovuto odiarlo, che non poteva aver alcun interesse nel farlo sentire meglio, che aveva corso anche un grosso rischio solo per venirgliele a dire. 


Almeno Smoker non aveva rischiato invano, Ace si sentiva diverso, quasi come rinato, e cominciava ad accettare l'idea che il commodoro avesse ragione.


Avrebbe voluto restarsene chissà quanto ancora, abbracciato all'uomo che aveva saputo farlo sentire veramente bene dopo chissà quanto tempo, perchè era spaventato all'idea di vederlo andar via. Ma bisognava tornare alla realtà. Sapeva bene che Smoker doveva rientare quanto prima, o almeno dare notizie di sè. Era stato un bel sogno, ma come tutti i sogni, era destinato a finire. 


Con un sospiro si tirò sù, prima di cambiare idea, e si appoggiò ad un gomito per guardare il marine. Il suo sguardo non gli piacque, ma non fu una sorpresa.


"Stai per dirmi che devi andare, giusto?"


"Già" disse quello, un po' a malincuore. Era stato anche lui lì a pensare a quello che avrebbero potuto avere insieme, se le circostanze fossero state diverse, se loro fossero stati diversi. Ma non ci si poteva fare niente, quindi era inutile rammaricarsene.


Ace gli sorrise, sincero, gli diede un ultimo bacio e poi si alzò per rivestirsi. Il marine fece altrettanto, e nel frattempo, nessuno dei due disse una sola parola.


Quando fuorno pronti, e in procinto di uscire, Smoker disse "Portgas, questa cosa...Finchè dura questa guerra, non dovrà succedere mai più." 


A quelle parole Ace avrebbe potuto arrabbiarsi, o sentirsi ferito, ma dal tono con cui il commodoro le aveva pronunciate, e dal suo sguardo, capì che non ne era contento neppure lui, ma non si poteva fare altrimenti. Smoker aveva ragione, era troppo rischioso per entrambi, per come stavano le cose in quel momento. Sapeva che dopo quello che avevano passato per strapparlo alle grinfie della marina, i suoi non avrebbero capito. E come potevano, se faceva fatica a comprendere anche lui? Quanto a Smoker, Ace poteva ben immaginare che col caratteraccio che aveva, probabilmente non era molto popolare tra gli alti ranghi, un'accusa di fraternizzazione con un pirata non avrebbe giovato sicuramente alla sua causa. 


Inoltre probabilmente, presto o tardi si sarebbero incontrati di nuovo, ma in battaglia, da nemici. Ace seppe con incredibile lucidità, in quel momento, che non avrebbe mai potuto uccidere il marine, e non solo per quello che era appena successo tra loro. Era affetto? Amore? Gratitudine? Bisogno di sapere che c'era almeno un'altra persona, al mondo, in grado di provare quello che lui provava?  In grado di perdonarlo? 

Si ritrovò a sperare che fosse lo stesso anche per Smoker, e non per avere salva la vita, ma perchè cominciava a piacergli l'idea, che il commodoro ricambiasse almeno in parte i suoi sentimenti, qualsiasi fossero. Ma anche se non fosse stato così, non importava, nulla avrebbe cambiato come lui si sentiva.


Si limtiò ad annuire, "ok, finchè dura questa guerra" disse ridendo. Non sapeva se Smoker aveva veramente inteso dire che dopo, poteva essere tutto diverso anche per loro, o se il suo era stato solo un modo di dire, ma la sua espressione imbarazzata divertì decisamente Ace, e il suo sorriso si trasformò in una risata.


"Imbecille" si limitò a borbottare Smoker, e poi fece per aprire la porta della cabina, chiedendosi in che razza di guaio si fosse cacciato.


Ma il pirata lo fermò ancora una volta, prendendolo per un braccio.


Era tornato di nuovo serio "Fino ad allora...Starai bene?"


Il marine lo guardò vagamente divertito, con un sopracciglio alzato "Tsk, bada ai fatti tuoi, pivello" e quella volta uscì davvero.


Ad Ace non sfuggì il sottotesto, che voleva dire 'vedi di non farti ammazzare' e promise al marine, anche se solo nei suoi pensieri, che sarebbe rimasto vivo, e anche che non avrebbe più perso tempo a flagellarsi coi suoi sensi di colpa, voleva farsi trovare in forma quando si fossero rivisti.  

Non aveva dubbi che quel momento sarebbe arrivato.





FINE






Ciao a tutti! Eh si lo so, avevo pensato a 'Guilt' come una one shot, ma poi la musa è tornata a darmi il tormento, che ci posso fare...Spero abbiate gradito il sequel! Anche perché è stata una faticaccia scriverlo ^^'


Ma ora, con somma gioia, posso ringraziare chi ha commentato il precedente capitolo :-)


fujiima: ed ecconti il sequel ^^ Eh si, anche a me questi due mancano tanto, peccato che il fandom sia un po' latitante ultimamente -__-


Haku: oh carissima, ricambio l'abbraccio stritolante ^^ Non riesco più a beccarti su msn, sigh, spero di avere maggior fortuna in futuro!


 Devileyes: grazie 1000 anche a te!! Spero che leggerai e apprezzerai anche il secondo capitolo ^^


 Beatrix: interpretare i pensieri dei personaggi non è facilissimo, per cui mi rassicura sapere che anche tu li vedi come li vedo io, grazie :D


 maya_90: hem, confesso di averne anche io abbastanza di Zoro e Nami, con tutto il rispetto per i fans...E' che quasi non si vede altro ^^' Viva Ace e Smoker :PpP


Crow: maledetta uni che sottrae troppo tempo al fandom! Hehe vabbè, io aspetto fiduciosa, tanto prima o poi arriveranno le vacanze LOL


missele: 'la più bella che abbia mai letto' OMG che complimentone! /me arrossisce come...La cosa più rossa del mondo! Spero che questo sequel sia vagamente all'altezza delle aspettative >.<



E in anticipo, grazie mille anche a tutti coloro che leggeranno o commenteranno questo capitolo. Vi adoro *__*





  











   
 
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