Ehm… devo dedicare assolutamente questo capitolo alla mia
betuccia Vladimira, perché… ho… come dire… scordato che compiva gli anni.
Scena:
Vlad: Grazie per il libro
Me: o.O che libro? Vlad! Straparli!
Vlad: Il tuo regalo
Me –sempre più perplessa-: Eh?
Vlad: Marto… il compleanno
Y___Y
Me: Ooooooooooooooooooh,
già ^///^
Scusa ancora, Vale. L’anno prossimo me lo ricorderò.
Promesso.
TERMINATO IL CONTO ALLA ROVESCIA: QUESTO è IL –1 (=___=)
XVIII.
Immagino che la sveglia potesse essere veramente suonata e
che noi, profondamente addormentati, non l’avessimo sentita trillare col suo
fastidiosissimo rumore. Ma é più comodo scaricare la colpa sulla sveglia,
aggeggio infernale che tanto fomenta il mio odio e la mia avversione profonda
nei confronti della mattina.
Il risveglio alle sette è qualcosa di traumatico,
soprattutto se ti addormenti alle sei e mezza.
Comunque sia, penso che se anche ci fossimo
malauguratamente svegliati, ci saremmo girati dall’altra parte.
Giulio mi abbracciava, stretto a sé, quasi a volermi
proteggere col suo corpo da minacce sconosciute. Ma forse era una mia
impressione. Ero io, in fondo, il suo angelo custode.
‘Spegnila –‘ Biascicai dal mio rifugio caldo e
confortevole.
Lui allungò un braccio nell’aria fredda del mattino e
scostando le coperte lasciò che la luce di mezzogiorno ci investisse, perché
nell’urgenza bruciante di poche ore prima non avevamo pensato a chiudere le
imposte delle finestre. Poco male.
‘E’ il telefono.’ Si tirò a sedere. Mi dispiacque molto
sciogliere quell’abbraccio accogliente.
Giulio parlava con qualcuno che ci aspettava in Stazione
Centrale da minuti e che non ci aveva visti arrivare col treno che avremmo
dovuto prendere.
‘Ma che ore sono?’ Aveva chiesto Giulio. Lo vidi fare una
smorfia di incredulità, cercare a tentoni l’orologio nella confusione che
regnava sovrana sul comodino, alzare un sopracciglio e rimettere tutto “a
posto”.
Chiese educatamente scusa e riattaccò.
‘Abbiamo perso il treno, mi sa.’
‘Fammi indovinare: dovremmo già essere arrivati?’
‘Sì.’
‘Qui si sta meglio. Prenderemo un altro treno. Ci sarà un
altro treno!’
Lui scrollò le spalle. ‘Ci penseremo tra un’oretta, ora
voglio rimanere qui a riposare.’
‘E’ mezzogiorno?’
‘Sì.’
Mezzogiorno. Data teoretica. Il sole raggiungeva lo zenit
in uno dei giorni più caldi dell’anno, l’edera rampicante luccicava sotto i
raggi benigni, il gatto miagolava.
Sarebbe bastato un banale pensiero ricorrente perché tutti
i tasselli del nostro mosaico riacquistassero il loro posto consueto,
ordinario, noi ci rivestissimo e in completo e pacifico accordo facessimo finta
di ignorare vicendevolmente quello che era successo.
‘Bisogna
avere in sé ancora il caos per partorire una stella danzante’ Pensai.
Strana meditazione percorribile nel disegno ignoto che
veniva finemente tessuto come il filato di un ragno, ed aveva carattere
trascendentale, mistico nella cura e nella perfezione commuovente dei ricami
adamantini che ne costituivano sia la trama complessa e tesa al limite della
rottura, sia la brodérie accuratissima e sofisticata, precisa come i minuscoli
meccanismi di un orologio, come la tela di un virtuoso pittore rinascimentale.
In un barlume evanescente di coscienza coscienziosa e di
inequivocabile incertezza, come se il piedistallo stabilissimo sul quale mi ero
adagiato da perfetto anacoreta fosse stato ribaltato in una folata di vento
gelido e tagliente, devastante nella sua potenza e velocità, mi accorsi da
lontano di quanto il movimento violento che avevo impresso al mio
personalissimo cosmo, innaturale e del tutto sconosciuto, stava muovendo le
sfere concentriche della mia anima in direzioni che non avrei mai e poi mai
immaginato e che stranamente non facevano attrito. Suonavano deliziosamente e
non sapevo più cosa ne originasse il moto. In fondo, speravo potesse essere perpetuo.
Sì, sfiorai la mia piccola luce interiore con la punta
delle dita, e fu un attimo di contemplazione estatica ma solenne.
Poi decisi che per una volta nella mia vita era il caso di smettere di pensare e così feci, anche se non potei fare a meno di pregare affinché l’arazzo tessuto del mio destino, che avevo avuto il coraggio di esporre alla consunzione, non si disfacesse in un unico tocco diabolico.
--- Capitolo brevino. Ma è il penultimo, e fa da anticamera alla conclusione ^_^
Oh, beh, sto rivedendo il finale. Non sono brava nei finali Y___Y datemi sostegno morale. E meno male che pensavo di finire Bénédiction entro Maggio. Ho avuto parecchi contrattempi. Che giorno è? Il 10 Luglio? Ho ancora, esattamente, un giorno per postare la fine, che sarebbe il 27, la vigilia della mia depature verso lidi lontani – e freddi.
Ieri ho fatto un Sudoku. Ero al bar a fare colazione e leggevo il giornale. Non ci son riuscita, così sono scesa a comprare lo stesso giornale del bar, nonostante ne avevo già comprato uno (Marto! Cos’è che adesso compriamo due quotidiani al giorno! ß My mum Su, che fa bene, leggere i giornali ß io) Morale: ho speso così tutto il mio pomeriggio. Era diventata una questione di principio, una guerra tra me e il Sudoku… quando ho finito mi sono accorta di averci impiegato la bellezza di tre ore e mi sono sentita stupida come non mai T___T. Voi in quanto lo fate il Sudoku? Tra l’altro persino i miei genitori hanno attaccato a correggere il mio misero difetto di pronuncia (al posto di ‘ti’, tipo: ‘ti dico, ti porto’, dico una cosa strana che è una via di mezzo tra ‘ci’ e ‘tzi’) Ma mi sento veramente mongola, non ne avete idea.
Domani parto per Londra, speriamo di non esplodere in metropolitana. Fatemi gli auguri. Buone vacanze a chi parte ^_^ io sono più stressata di prima >:-P
Marto