...Every
time we touch
Corri. M’intimai,
nonostante sapessi già di essere
al limite delle possibilità a me consentite in pubblico. Provare a
seminarli
non era così difficile. Era riuscirci, che diventava un tantino più
complesso.
Vidi un furgone fermo, e senza
farmi vedere vi salii a bordo. L’autista richiuse le porte, e pochi
istanti
dopo sentii il rombo del motore.
Mi sentii quasi al sicuro, in
quel poco tempo in cui viaggiai, nascosta nell’oscurità.
Ma non riuscii nemmeno a tirare
un sospiro, che mezzo si fermò.
L’uomo aprì le porte, afferrò
uno
dei tanti scatoloni, e mentre lo scaricava, ne approfittai per
sgattaiolare
fuori dall’abitacolo.
Alzai lo sguardo, e rimasi
pietrificata: quell’auto nera era lì, loro
mi aspettavano appoggiati alla portiera della macchina, uno affianco
all’altro,
con un ghigno in volto.
No!
Pensai, in panico.
Iniziai a correre sotto la
pioggia più veloce di un qualsiasi essere umano, nella direzione
opposta a loro.
Volevo fuggire, volevo salvarmi.
Sentivo i loro passi ciabattare
non troppo lontano da me. Accelerai, mandando a quel paese tutte le
raccomandazioni fatte dalla mia istruttrice.
Allungai una mano in fronte a
me, concentrandomi su un bidone della spazzatura, e all’improvviso esso
cominciò a fluttuare, per poi scaraventarsi contro uno dei due
individui. Meno uno.
Sapevo di averlo solo abbattuto
momentaneamente, e che poi sarebbe tornato a rincorrermi, ma era meglio
di
nulla.
Scivolai, e cercando di non
volare a terra, misi male il piede. Strinsi forte i denti, e proseguii.
- promettimi che riuscirai a
scappare Bella. Promettimi che lotterai fino all’ultimo, e non ti
arrenderai
mai. So che sarà difficile, ma devi riuscirci. –
- sì, nonna. Te lo prometto:
mai -
Ripresi a correre, ignorando il
dolore alla caviglia, ignorando i miei polmoni che parevano avessero
preso
fuoco e ignorando il mio cuore che mi scalpitava furioso nel petto.
Non mi dovevo arrendere.
Ma non era semplice, per una
come me. Quei due mi stavano alle calcagna, non cedevano terreno. E
questo mi
metteva ancora più panico. E sotto pressione, io non combinavo mai
nulla di
buono. Mai. Non riuscivo ad essere razionale.
Vidi un boschetto, e m’inoltrai
tra le piante. Qui avrebbero certamente rallentato. I ramoscelli
sporgenti non
m’infastidivano e non mi rallentavano assolutamente. Misi il campo di
forza, una
specie di barriera trasparente che niente poteva scalfire. La boscaglia
era
sempre più fitta, la luce veniva meno e gli alberi non aiutavano il
passaggio
dei raggi solari.
Inciampai in una radice, e
caddi a terra. Come sempre, la mia goffaggine si faceva sentire nei
momenti
assolutamente meno opportuni. Sentii distintamente del calpestare di
ramoscelli
e foglie secche: mi avevano raggiunta. Ma a quel punto, pensai di
mollare: che
differenza avrebbe mai fatto?
Pov Edward
Ero stranamente agitato. Avevo
uno strano presentimento, o meglio, una strana paura. Ed io
raramente provavo
quell’emozione così sgradevole. Forse perché sapevo che niente avrebbe
mai
potuto farmi realmente male, oppure perché avevo una fiducia cieca
nelle mie
capacità e nella protezione della mia famiglia.
Ma quel gelido giorno
invernale, nella mia casa calda e riparata, nel mio minuscolo e poco
popolare
paesino, con tutti i miei familiari lì con me, avevo paura.
E non sapevo assolutamente perché.
Avvertii i miei familiari che
andavo a farmi una dormita, magari sarebbe servito a qualcosa. Mi
sdraiai sul
mio divano di pelle nera, con le braccia dietro alla testa, provando a
rilassarmi. Cercai di allontanare i pensieri altrui dalla mia mente, e
chiusi
gli occhi.
Lei. Quella persona che ormai
da dieci anni, occupava i miei sogni, e la maggior parte dei miei
pensieri,
ricomparve nei meandri dei miei sogni anche quella volta.
Chi era? Perché la
sognavo? E perché sentivo l’assoluto bisogno di proteggere quella
persona che
nemmeno conoscevo? Eppure, mi sentivo molto legato a lei. Sarà che dopo
tutto
quel tempo, era difficile pensare ad un mio sogno in cui lei non ci
fosse.
La cosa che vedevo chiaramente, erano i suoi occhi. Due
bellissimi, profondi espressivi occhi color cioccolato. Il resto era
avvolto da
una leggera foschia, e mi era impossibile vedere il viso completo.
Quel giorno, erano spaventati,
ansiosi, diversamente dal solito, tristi e spenti. Perché aveva
paura,ora?
Benché
non sapessi chi fosse, ero dipendente
da quella persona, se sentivo che lei era felice lo ero anch’io. I
nostri
sentimenti, le nostre emozioni erano collegate, erano le stesse
dell’uno e
dell’altro.
Gli occhi svanirono, e tutto si
fece buio.
Mi ero svegliato con il cuore
scalpitante, il respiro accelerato, e l’ansia era cresciuta a vista
d’occhio.
Ora ero consapevole che ero preoccupato per lo sconosciuto, o la
sconosciuta,
dei miei sogni.
Mi misi una mano sul cuore come
per fermarlo, poi passai l’altra nei capelli. Cosa le stava per
accadere?
Una visione di Alice mi entrò
prepotentemente nella testa.
Alberi.
Sembravano quelli di Forks. C’era una figura che correva. Dei passi
dietro
di lei: stava scappando.
Cosa stava vedendo mia sorella,
e soprattutto, perché?
La
persona cadde a terra. I suoi occhi, si potevano distinguere
chiaramente. Erano
quegli occhi. E le
persone che la inseguivano erano
sempre più vicine.
Non riuscii a finire di
guardare. Mi buttai giù dalla mia finestra, non avevo tempo di fare
tutto
correttamente, e iniziai a correre per il bosco. Pensai al luogo che
aveva
mostrato la visione. In poco tempo mi trovai lì.
Quella a terra era una ragazza,
i cui lunghi capelli castani incorniciavano il viso dalla pelle
diafana. Era la
creatura più bella che avessi mai visto. Era qualcosa di strabiliante,
nella sua
imperfezione, nella sua fragilità. Ma non persi tempo a guardare il suo
aspetto. Era lei, la ragazza dagli occhi castani.
E i due uomini che la
seguivano, l’avevano raggiunta. Le puntavano contro delle pistole; uno
di loro
premette il grilletto, e nello stesso istante mi buttai su di lei per
proteggerla.
Pov Bella
No,
pensai.
Sentii qualcuno buttarsi
accanto a me. Era un ragazzo, che aveva avuto la sventata idea di
salvarmi. Ma
non avrei permesso che quel ragazzo, che aveva messo addirittura a
rischio la
sua vita per proteggermi senza nemmeno conoscermi, venisse uccisa da
quei due
farabutti.
Alzai lo scudo, e la pallottola
ci sbatté contro, per poi cadere a terra.
Il ragazzo alzò lo sguardo, e
incontrò il mio.
Incredibile,
aveva gli stessi…
Possibile che lui fosse
l’angelo dei miei sogni, quello che con i suoi occhi mi aveva convinto
ad
andare avanti? Erano di un verde meraviglioso, smeraldino.
<< cosa sta succedendo?
>> chiese una voce maschile, quasi angelica. Il ragazzo si scostò
un po’
da me, e si voltò verso quell’uomo. E così, notai i capelli erano
castano-ramati, spettinati, che incorniciavano le sue iridi.
<< calma, dobbiamo
prendere solo la ragazza. Ragazzo, togliti è pericolosa! >> disse
un
tizio. Il ragazzo non si mosse.
<< Edward. >> fece
l’uomo
che aveva parlato prima. Biondo, austero, guardando il ragazzo accanto
a me. Vicino
a lui, c’era una donna dal viso dolcissimo incorniciato da dei capelli
color
caramello, e con degli occhi azzurri che in quel momento trasmettevano
tutta la
sua ansia e la paura. Dietro a lei, c’erano due bellissime ragazze.
Una
alta, statuaria, dal fisico mozzafiato. Bionda, e dagli occhi azzurro
ghiaccio.
L’altra era minuta, dai tratti delicati, e pareva un folletto. Aveva
gli occhi
azzurrissimi, stupendi, e dei capelli corvini, corti e tutti
scompigliati.
Accanto a loro, c’erano due ragazzi: uno alto e nerboruto, con i
capelli neri e
ricci, l’altro alto e muscoloso, meno dell’altro, biondo con gli occhi
azzurri.
Che cosa
mi mettevo a fare la radiografia, in un momento del genere?
<< ragazzo, davvero
potrebbe farti del male. >> mentì l’altro.
<< io non sono pericolosa
>> dissi piano. Il ragazzo si voltò ad osservarmi, << io
non sono
pericolosa! >> insistetti.
<< e perché, allora i
tuoi genitori ti hanno abbandonata in quell’orfanatrofio?! >>
fece quello
di prima.
<< non mi hanno
abbandonata! >> le lacrime mi annebbiarono la vista, <<
siete stati
voi a ucciderli! Mi avete portato via le persone a cui volevo bene.
Loro mi
volevano proteggere! >> dissi, mentre singhiozzavo. La rabbia e
il dolore
facevano sentire con più chiarezza ogni fibra del mio corpo, ed anche
un
controllo maggiore sui miei poteri. << smettetela di farmi del
male! >> Mi alzai, e il ragazzo si scansò
di
un po’. Ormai vedevo tutto rosso, ma comunque chiaramente, anche
piangendo.
Stringevo i pugni lungo i fianchi. Il ragazzo dai capelli ramati mi
guardava
stupito, meravigliato, e spaventato.
<< voi. Non dovete
nemmeno nominare i miei genitori!
>> urlai. Vedendo che iniziavo a tremare, segno che stavo per
scoppiare,
i due mi puntarono contro di nuovo le armi. Illusi,
non potevano farmi niente.
<< santo cielo, Carl!
>> esclamò la donna dal viso dolce, accanto a quello biondo con
la voce
meravigliosa. << non possiamo far niente.. >> sussurrò alla
donna.
Io ignoravo quegli scambi di battute. Strinsi maggiormente i pugni. Un
masso lì
vicino cominciò a fluttuare, incerto. Mi sentivo potente,
volevo fargliela pagare per avermi
portato via la mia famiglia.
Le persone lì presenti
guardavano la scena attonite, ma non spaventate. All’improvviso uno dei
due
uomini cadde a terra stordito, mentre l’altro veniva come percosso da
qualcosa
d’invisibile. E io non centravo nulla. Anch’egli finì a terra,
tramortito.
Le forze, intanto, cominciavano
a venirmi meno.
Ero forte, ma non a tempo
indeterminato. Mi stancavo molto velocemente.
Le energie si esaurirono del tutto, e mi lasciai andare, trascinata nell’oscurità.