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Autore: KH4    03/02/2010    6 recensioni
Il mio sogno è trovare un sogno. Cercarlo significa vivere? Non lo so perchè io non so se ho il diritto di questa mia vita o di questo mio desiderio. Non so cosa sia un sogno ma lo desidero così tanto perchè forse può darmi la felicità che non ho. Anche se cammino, respiro, osservo...sto forse vivendo come dovrei fare? Non lo so.Ho paura a trovare la risposta.Ho paura a guardare indietro. Ho paura di quello che sono. Ma io....chi sono?(prologo del cap.14).
La vita di Ace prima ancora che entri a far parte della ciurma di Barbabianca e durante la permanenza sulla nave di quest'ultimo, accompagnato da un dolce ragazza dal passato oscuro e ingiusto. Buona lettura a tutti!(introduzione modificata)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Barba bianca, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno a tutti!eccoci finalmente arrivati a mercoledì!un ringraziamento speciale a tutti quanti,spero che la storia continui a piacervi e che continuiate a seguirla!faccio un saluto particolare a Yuki689 per la stupenda riuscita della sua fict “Ambizione e fuoco”,decisamente una storia che merita di essere letta e riletta.Ragazza,sei grande!!Ah,ovviamente,saluto anche le carissime che mi recensisco,tranquille non mi sono dimenticata di voi!!

Beatrix:cara,sono contenta che il capitolo(per quanto triste sia stato)ti sia piaciuto,ma se tu hai provato nausea solo a leggerlo,io avrei dovuto auto-flagellarmi mentre lo scrivevo.Come hai detto tu,è una capitolo fondamentale e hai azzeccato anche il fatto che per riuscire a sbrogliare questa situazione,ci vorrà tempo.Non tutto può essere risolto con una manciata di secondi e di parole.E’ vero,ci ho messo tanto e l’ho messa sul tardi questa parte ma unicamente perché prima non ci sarei riuscita.Mi occorreva un momento particolare,non saprei dirlo con esattezza.Se svelavo tutto subito o a pezzi,non mi sarei gustata al meglio il mio risultato,quindi ho preferito farvi tenere sulle spine,e qui in effetti sono stata un pochino cattiva…Sai che sono d’accordo con te sul fatto di alcune persone che credono che queste cose siano da bambini?ma che si facciano gli affari loro:noi siamo quel che siamo e non è mica un reato guardare cartoni o scrivere fict su di essi:guarda me,ho 20 e piuttosto di farmi passare per una che va in discoteca ogni sabato (non è vero,le odio) preferisco sedermi col mio migliore amico e giocare alla paly,wii che sia oppure andare in fumetteria e immergermi alla ricerca di qualche nuovo bel manga da leggere(One piece lo seguo su internet,ormai vivo di spoiler!)

Maya90:ehilà,eccomi qua!non avevo idea che tu vivessi di flashback specie i commoventi ma a pensarci bene sono le parti che ti fanno più piangere se questi sono veramente tristi.Il fumetto che mi hai indicato lo già sentito ma non l’ho mai letto:per caso il sottotitolo era “il demone dell’illusione”?credo fosse così ma comunque ne ho solo sentito parlare.Di che scena si tratterebbe?sono curiosa perché magari adesso scopro di aver erroneamente imitato qualcuno…

Angela90:eh si,carissima!ci sono voluti la bellezza di 13 capitoli ma finalmente ci siamo arrivati!purtroppo ti dico subito che non rivelerò cosa Sayuri ha visto sul giornale,per il semplice fatto che questo elemento mi occorre per una parte che verrà più in là.Se l’avessi messo qui,avrei dovuto riscrivere quasi tutti i capitoli e credimi sarebbe stato un duro lavoraccio!Comunque ho messo qual cosina che sicuramente ti farà piacere ma non ti dico niente perché se no rovino la sorpresa!

Yuki689: immagino di aver sortito un effetto scioccante su di te,sicuramente ti saranno serviti i defibrillatori o qualcosa del genere.Non sai la gioia che ho provato nel leggere la tua recensione,tutti quei complimenti,tuoi che degli altri,mi hanno fatta arrossire…!Se devo essere sincera,non ho trovato difficile trattare un simile argomento,anche se al momento,mentre scrivevo ascoltavo musica molto triste e mi immedesimavo nel personaggio.Volevo qualcosa che nel mondo di One piece risultasse normale ma al tempo stesso terrificante,perché lì è normale che i figli dei pirati vengano trattati a quella maniera (li manderei tutti al rogo!) e non pensavo che avrei riscontrato un accomunanza con Ace perché questa parte l’avevo pensata prima di sapere tutto l’ambaradam sul vero padre di Ace (cavolo,lì è stato veramente un momento di shock,chi se lo aspettava!).Come hai detto tu,tutti hanno il diritto di vivere solo che a volte dubitano di questa verità e Sayuri è una di queste;lo so,è un personaggio inventato,però visto che l’essere il figlio di un pirata è un tema si parlato ma molto vago,ho pensato di mostrare come il genere umano può reagire davanti ad esso:davanti alle apparenza,tutti sono bravi a picchiare e a guardar male,non importa se sei diverso;quel che hai nel sangue per loro conta più di chi sei dentro,bene o male,questa è la mentalità di chi non sa guardare.Volevo mostrare qualcosa di diverso e sono felice che sia stato apprezzato ma la strada e ancora lunga e gli ostacoli sono molto numerosi,questo è solo l’inizio.

MBP:Ok,dalla tua reazione ho capito che ti sei commossa!mi ha fatto tanto piacere che tu abbia trovato belli i discorsi tra Sayuri e il nonno;in realtà alcuni li ho inseriti durante la rilettura visto che ho sentito l’impellente bisogno di aggiungere quel tocco che porta a quel senso di completezza che ti fa dire “si!adesso è perfetto!”.So che ci è voluto tempo,molto tempo,però alla fine ci sono arrivata e spero che questo capitolo ti renda tanto felice,come tu hai reso felice me nel dare vita alla battaglia contro quel tritone che presto vedrà le stelle!

 

 

 

A festa inoltrata Ace si era accorto dell’assenza di Sayuri. La cercò lì intorno e nel chiedere ad alcune persone quasi del tutto imbevute di alcool, scoprì che era uscita senza dare spiegazioni a nessuno. Praticamente si era dissolta nel nulla e questo l’aveva trovato strano, un po’ troppo strano visto che in tre l’avevano chiamata e lei li aveva ignorati completamente. Non pensandoci due volte, il capitano dei pirati di picche aveva ripescato il suo cappotto e lasciato la festa, dirigendosi all’esterno con l’intenzione di cercarla, anche perché aveva notato che il suo cappotto e i suoi guanti erano rimasti lì nella sala; ciò andò a rafforzare ulteriormente la sua apprensione. Uscito, aveva controllato i dintorni del palazzo ghiacciato ma senza trovarla. La neve scendeva e con ogni buona probabilità aveva cancellato le sue impronte. Levò gli occhi al cielo, per poi togliersi momentaneamente il cappello dalla testa e scrollarsi la neve di dosso. Non gli sarebbe dispiaciuto tornare al nascondiglio e riprendere a fare baldoria con la ciurma ma prima d’ogni altra cosa, voleva assicurarsi che Sayuri stesse bene.

Era certo che fosse lì vicino, magari proprio a due passi da dove si trovava lui. Riprese a camminare, dirigendosi verso il piccolo lago ghiacciato che affiancava l’ex edificio reale, dove alcuni alberi dormivano sotto la coltre di neve da tempo indefinito.

Lì, sotto una di quelle fronde bianche, c’era Sayuri, seduta su una panca di pietra.

Le andò subito incontro ma si bloccò non appena fu capace di vederla distintamente. Quel che vide ribaltò il suo umore di punto in bianco, spiazzandolo: la ragazza teneva gli occhi chiusi e le guance arrossate per il freddo erano rigate  da sottili stille d’acqua. Stava piangendo. Ace avvertì all’istante una morsa terribile attanagliargli l’intero torace, contorcergli e stritolargli il cuore senza alcuna pietà, come fosse un panno inutilizzabile.

 Piangeva stringendosi le mani attorno le braccia, inerme a pensieri che lui non poteva ne vedere ne sentire.

Sayuri.

Fu come se tutto il suo essere fosse tenuto fermo da una forza invisibile che gli impediva addirittura di parlare. Il freddo di quel posto non era nulla in confronto a quello che stava provando. Lui non risentiva della temperatura del posto perché era fatto interamente di fuoco ma quel gelo spirituale l’aveva trafitto sotto forma di una lancia acuminata e spessa. Nella sua mente era ben impressa l’immagine di una Sayuri sorridente, graziosa, con un vistoso tatuaggio raffigurante dei gigli a decorarle la spalla, che lo guardava con occhi tanto celestiali da incantare chiunque li avesse guardati. L’immagine di una persona incantevole a cui molto spesso pensava e di cui non poteva fare a meno. Incantevole. Era la sola parola che la potesse definire ma adesso Ace....vedeva un’altra persona, una Sayuri triste, che piangeva da sola...

“Sayuri?”

Il suo nome, che prima era solo riuscito a pensare, ora l’aveva detto. Lei aprì gli occhi e si voltò verso di lui, sollevando di poco il busto.

“Ace....sei qui”

Con l’indice della mano sinistra la vide scacciare le lacrime che le bagnavano il volto ma era inutile che ormai nascondesse ciò che già era stato notato.

“Tu stai piangendo...” mormorò avanzando verso di lei. Non ci poteva ancora credere.

La castana lo guardò per qualche secondo prima di spostare la visuale sulla neve caduta a terra. Non si aspettava che fra tutti, proprio lui, la vedesse così.

“Non è niente” mormorò sorridendo dolcemente con gli occhi bassi, coperti dalla frangia “A-Avevo...avevo bisogno di stare un po’ sola con i miei pensieri...tutto qui”

Nel guardare quella foto, tutta la sua vita era riemersa in superficie in un solo colpo, decisamente troppo pesante perché lei lo sopportasse. Nella sua mente non udiva che il rumore di migliaia di vetrate distrutte, le urla di quella donna, quella spregevole risata che continuava a ripeterle, ridendo, che era un errore e che quella donna aveva ragione. Strinse i pugni congelati e lasciò scappare un flebile singhiozzo che non sfuggì però al moro ormai di fronte a lei.

“Ti prego di scusarmi, Ace” cominciò nuovamente con gli occhi chiusi “Ma non me la sento di tornare alla festa. V-Vorrei stare.....”

Le parole le morirono in gola quando nell’aprire gli occhi, vide Ace inginocchiato davanti a lei, impensierito e con le mani che stringevano le sue. La neve scendeva ancora e l’anima di Sayuri era appena tornata da un viaggio che aveva riaperto tutte le sue vecchie ferite, dilatandole il doppio. Rivivere quei momenti, anche solo con la mente, aveva fatto si che altre lacrime, altre sottili lacrime sfuggissero al suo controllo e che la privassero di tutte le sue energie. Quella bambina non aveva mai smesso di esistere in lei. Rappresentava chi era veramente, la vera Sayuri che Ace ora riusciva a scorgere in quei occhi color cioccolato tanto tristi: vedeva una sofferenza, un dolore così grande che al suo cospetto si sentiva piccolo e inutile. Un dolore volutamente relegato, strettamente personale, diverso da altri e per questo più orribile. I suoi occhi scuri scrutavano la castana, così dolce e bella, il cui volto ora era rigato da stille d’acqua che scendevano da occhi socchiusi e soffermi su di lui, carichi di incertezza. Vestita con abiti leggeri, tremava e sussultava per il freddo e per l’emozione. Era quanto di più splendido e triste ci fosse al mondo. La osservava e Ace non poteva distogliere lo sguardo, ne era ipnotizzato ma al contempo rattristato..

Non potendo star fermo senza far nulla, accentuò la stretta sulle mani della ragazza, riscaldandone le dita una a una.

“Dimmi che cosa ti fa male, Sayuri. Dimmi che cosa ti fa stare così male” le chiese, schiarendosi la voce.

La ragazza socchiuse le labbra in un brivido. Aprì gli occhi del tutto e si morse il labbro inferiore nel sentirsi totalmente in bilico. La presa che Ace aveva sulle sue mani era come una corda che la teneva sospesa verso la luce, verso il presente; il calore che sprigionava, che le infondeva, che le impediva di scappare via, le stava regalando un sentimento che mai aveva provato ma il cui nome era oscurato dal suo terrore. Abbassò il capo sconsolato e lo scosse in segno di negazione.

“Perdonami...” sussurrò con voce rotta “Ma non..non posso. Se lo faccio..io cadrò nel buio”
“Non succederà. Ci sono io con te e non permetterò che ti accada nulla!” affermò seriamente accentuando la presa

Sayuri nutriva un fiducia smisurata nelle sue parole. Aveva il cuore sul punto di esplodere e si sentiva così indecisa e impaurita al tempo stesso, che l’unica cosa che riusciva a fare era piangere. Ace era lì e per quanto stesse provando a correre verso di lui, le mura che si era costruita si ergevano troppo in fretta perché lei potesse raggiungerlo ma anche se quelli fossero rimasti semplice pietra, lei non avrebbe mai avuto il coraggio di avvicinarsi. Con un sorriso tremolante volle ringraziarlo, perché mai nessuno si era fermato per lei ma poco dopo quel sorriso scomparve, sconfitto da quel dolore persistente e Ace capì che per lei non era ancora tempo di aprire le porte di quella parte della sua anima ad una persona al di fuori di sé stessa. Non era ancora pronta.

“Scusami, Ace....scusami” ripetè con un filo di voce “Per quello che sei, dovrei essere capace di parlartene; non ho...non ho mai avuto nessuno di così vicino come voi ragazzi e avervi nella mia vita è m-molto importante adesso perché m-mi fa stare bene. M-Mi piace poi parlare con te, s-sei il primo vero amico c-che ho, però io....io non ci riesco, è più forte di me. Scusami, scusami tanto ma n-non ce la faccio...” si portò una mano alla bocca per trattenere i singhiozzi.

Fu colta dall’ennesima sensazione di sgomento quando sentì una mano accarezzarle la guancia sinistra e asciugarla dalle lacrime. Non ebbe modo di calmarsi, perché Ace compì un ulteriore gesto che la paralizzò completamente: nell’attimo in cui si sentì tirata verso il basso, si ritrovò con il viso appoggiato alla spalla del moro e con le mani premute contro il suo petto. Ace la stava stringendo a sé. Lì, il suo cuore rallentò drasticamente.

“Non hai alcun obbligo nei miei confronti e se non vuoi parlarne rispetterò la tua decisione. Dimmi solo una cosa: quand’eri bambina, ci sei caduta per sbaglio nel pozzo?” le domandò con un misto di calma e serietà.

Scombussolata per il calore che le braccia di Ace le stavano infondendo, Sayuri sospirò e nascose la testa nell’incavo del collo del ragazzo con le guance piene di lentiggini. Poi, appena qualche istante dopo, scosse debolmente la testa mormorando:

“No"

Finalmente Ace ne aveva avuta la prova. Sin da Giungle River, aveva percepito qualcosa di sbagliato in Sayuri e ora sapeva di cosa si trattava; riguardava fatti antecedenti al loro incontro, fatti a cui lui era estraneo ma che ora voleva conoscere. L’aveva abbracciata per non doverla vedere ancora piangere e per scaldarla come meglio poteva. La Sayuri che aveva sempre visto, era una persona gentile, amorevole, dal comportamento molto simile a quello di una madre premurosa che sapeva sempre cosa dire nella maniera più semplice e candida possibile, ma che nascondeva dentro di sé un male così grande che neppure lui poteva immaginare. Non era una maschera, pensava, perché se avesse mentito se ne sarebbe accorto molto prima. No, lei si era sempre limitata a dire le cose entro un certo margine e se aveva omesso qualche dettaglio, era solo per non dover essere costretta a raccontare fatti a lei spiacevoli ma adesso che l’aveva colta in quello stato, non riusciva a fare altro che a pensare quanto fosse straziante vederla piangere. Era orribile e non voleva che accadesse ancora. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare i suoi incubi e allora sarebbe stato più difficile ma per il momento, avrebbe fatto l’impossibile per scacciarli via.

“Sei gelata” mormorò nell’allentare di poco la presa “Quanto tempo sei rimasta ferma?”

Fu logico che lei non gli rispondesse. Si limitò a rannicchiarsi ancor di più contro il torace del ragazzo, come fosse una bambina impaurita dall’uomo nero sbucato dall’armadio della propria stanza appositamente per spaventarla. Tremava e ogni volta che Ace la toccava, doveva fare attenzione per non peggiorare la situazione. Non sapeva se avesse smesso o no di piangere ma almeno non singhiozzava più.

“Ce la fai ad alzarti?” le chiese gentilmente lui.

Per la seconda volta, lei non gli diede cenno di vita; nel provare a mettersi in piedi avvertì che le gambe della ragazza tremavano troppo per reggere il peso del suo corpo e quindi rinunciò all’impresa, accentuando ancor di più presa che aveva su di lei. Averla così vicino e stringerla a sé come fosse da sempre stata sua stava facendo crescere in lui un fortissimo senso di protezione nei confronti di quella poverina. Non era soltanto la gelosia che provava quando qualcuno la guardava intenzionalmente, non era il senso di pace che provava quando ci parlava o semplicemente le stava accanto; era qualcosa di molto più forte e incontrollabile ma che adesso voleva solo esprimere al fine di tranquillizzare Sayuri. Non la voleva più vedere in quello stato, non voleva più vederla piangere. La sentiva inerme, incapace di reagire, rannicchiata al suo torace. Levò una mano per poi posarla sulla testolina castana e accarezzarla dolcemente. La sentì gemere e stringersi ancora di più. Avvertiva il suo respiro irregolare, il petto alzarsi e abbassarsi a scatti irregolari ma a ogni carezza si calmava, lasciando che quel male uscisse e non la tormentasse più al momento.

Brava, piccolina, sfogati. Ne hai davvero bisogno.

Percepì una strana sensazione partigli dallo stomaco, risalirgli in gola e infine elettrizzargli le labbra. La vicinanza di Sayuri lo invogliava a spingersi oltre a quell’abbraccio ma sentendo quanto fosse scossa, temeva che l’avrebbe  ferita ancora di più. Il solo fatto di stringerle il corpo stava esercitando una forte pressione sul suo autocontrollo e nonostante si stesse più volte ripetendo che fosse sbagliato, era sempre più tentato a superare quella soglia che ormai stava a due centimetri dai suoi piedi.Quando le chiese nuovamente se era in grado di alzarsi, stavolta la castana annuì leggermente. Sempre attaccata a Ace, si mise in piedi e poi lentamente si allontanò per riprendere un po’ d’aria; il suo viso era accaldato, rosso, con gli occhi lucidi e i capelli arruffati con qualche ciuffo appiccicato alla guancia. Nell’istante in cui provò a darsi un veloce ripulita, avvertì qualcosa di soffice e caldo scivolarle sulle spalle: Ace si era tolto il giaccone e l’aveva dato a lei.

“Ace, no” riuscì a dire “E’ il tuo e q-qui fa freddo...” balbettò cercando di restituirglielo.
Il moro le impedì di farlo, sorridendole: “Si e tu sei senza cappotto, guanti, fradicia come un pulcino e se non ricordo male, anche sprovvista del potere del frutto Foco Foco. Sta tranquilla, io posso stare benissimo senza indumenti pesanti” la rassicurò sistemandole una seconda volta il cappotto sulle spalle “Se ti ammalassi mi sentirei mortalmente in colpa” aggiunse poi con più solennità.

Sayuri sussultò, divenendo se era più possibile, ancora più rossa. Ace le era pericolosamente vicino e le stretta alle sue spalle la immobilizzava più di prima. I loro nasi si sfioravano e gli occhi del moro rispecchiavano un sentimento che lei non riusciva a decifrare correttamente, un che fermezza e sicurezza rassicuranti, dolci ma il solo sentire il caldo respiro del ragazzo scaldarle il collo le bastò a fermarle il cuore definitivamente. Aveva la forte impressione che Ace la stesse nuovamente attirando a sé e dal canto suo, era quel che il moro stava facendo; un piccolo gesto, un piccolo gesto contenente tutto quello che serviva per riavere il suo sorriso, per far cessare quelle lacrime e per sentirla ancora più vicina, questo voleva fare Ace. Gli mancava così poco....ma alla fine dovette fermarsi. Lo aveva visto ancora: quel riflesso blu negli occhi di Sayuri, stava a indicare che era ancora impaurita, troppo perché venisse stravolta un seconda volta.

Meglio di no.

Si allontanò di qualche centimetro, tornando alla giusta distanza, tenendo le mani sulle spalle di ella perché non tentasse di restituirgli nuovamente il giaccone. C’era di buffo, che quando arrossiva faceva tanta tenerezza, come in quel momento.

“Ace..”
“Tienilo tu. Non ne ho bisogno” le ripetè con sicurezza.

Per Ace non era davvero un problema rimanere a mezze maniche. Già indossava i suoi classicissimi pantaloni neri, lunghi fino al ginocchio, senza risentire della ghiacciaia e sembrava stare a suo agio. Controllare la propria temperatura era un bel vantaggio, almeno per chi possedeva il Rogia del fuoco. Capendo che sarebbe stato totalmente inutile insistere, Sayuri si strinse ancor di più nel cappotto, calmando il proprio corpo da quei tremiti incontrollabili. Era come se il ragazzo non avesse mai smesso di abbracciarla e la piacevole emozione di pochi secondi prima si stesse amplificando annebbiando tutto il resto.

“Va un po’ meglio?”
“Si, grazie”
“Perfetto. Dai, vieni con me”
“Dove?”
“Aspetta e vedrai”

Le prese la mano e cominciò a condurla lontano dal lago e anche dal palazzo, immergendosi nella radura che li circondava. Sayuri non capiva dove volesse andare ma rimase in silenzio domandandosi cosa volesse fare il suo capitano. La mano di Ace era caldissima e lei a stento controllava i propri tremiti a quel contatto. Improvvisamente, si rese conto di essere una vera e propria vigliacca. Se solo fosse stata più coraggiosa, gli avrebbe confessato ogni cosa ma la sua debolezza e la paura che tutto venisse a galla in un sol colpo glielo avevano impedito. Non meritava tanta compassione da quel ragazzo così premuroso, si sentiva un mostro. Non era degna di provare un affetto così profondo per lui ma non poteva farne a meno.

Oh, Ace....non sai quanto mi dispiace....

Raggiunto il punto desiderato, Ace si fermò, lasciandole la mano; erano giunti in uno spazio circolare, ampissimo, dove il poteva vedere il cielo senza che i rami ne impedissero la totale vista.

“Perfetto, qui può andare” affermò il moro.
“E’perfetto per che cosa?”

Il ragazzo si voltò verso di lei “Ora lo vedrai ma prima devi chiudere gli occhi”

La castana continuava a non capire dove volesse arrivare il capitano. Erano un po’distanti dalla montagna e lì non c’era niente se non un quintale di neve e alberi.

“Devo chiudere gli occhi?” ripetè con un filo di voce
“Esatto. Fidati di me”

Come poteva non fidarsi? Solo pochi secondi prima aveva rispettato il suo volere e non aveva insistito troppo sul perché l’avesse trovata in lacrime. Gli obbedì e chiuse gli occhi, avvertendo i passi del moro allontanarsi da lei di qualche metro. Non aveva idea di cosa volesse fare.

“Non sbirciare” le disse.
“Non lo farò” gli promise.

Non disse più nulla e attese con le mani strette in petto. Di tanto in tanto sentiva alcuni fiocchi di neve sfiorarle la pelle del viso ma non se ne preoccupò più di tanto, così come ignorò quello strano silenzio da sembrava poter uscire qualcosa di nuovo. Ace era a diversi metri da lei, percepiva benissimo la sua presenza ma non capiva cosa stesse facendo. Si tratteneva dal parlare perché temeva di disturbarlo in un momento cruciale ma un pochino era curiosa di aprire gli occhi e vedere cosa stesse combinando. Adesso non sentiva neppure il freddo, era come se fosse scivolato via dal suo corpo, insieme a parte di quel masso che le doleva sia il corpo che l’anima; anche se era ancora lì, lei se ne era distanziata e a breve lo avrebbe nuovamente sepolto.

“Ace...adesso posso chiederti perché hai voluto portarmi proprio qui?” gli domandò infine.
Lo sentì nuovamente avvicinarsi “Mi occorreva più spazio altrimenti non sarebbe stata la stessa cosa” si limitò a dire “Apri gli occhi”

Sayuri annuì con la testa e nel dischiudere le palpebre, sussultò rimanendo a bocca aperta: ai piccoli batuffoli di neve che scendevano dal cielo, si erano unite delle luci di ugual dimensione, gialle e luminose, che danzavano e si libravano in ogni direzione di quello spazio. Nell’allungare un mano per toccarne una, la castana avvertì un leggero calore sprigionato da quello piccola sfera di luce. Pensò alle lucciole come prima ipotesi ma, nel sfiorarle, comprese che erano un’altra dimostrazione di come Ace sapesse gestire il frutto del diavolo Foco Foco.

Lucciole di fuoco, pensò. Era un nome che calzava a pennello.

Oscillavano attorno a lei senza ferirla e si disperdevano in cielo per poi tornare giù a ballare un altro po’.

“Ace, come hai....?”
“Non è niente di così speciale” ridacchiò lui.

Il moro era ad un paio di metri da lei, con i palmi delle mani rivolti in avanti; le sue mani erano illuminate dalla stessa luce delle lucciole, solo con un pò più di intensità. Creava quelle luci senza alcuno sforzo e le controllava con perfetta maestria. Il giallo luminescente delle lucciole si confondeva con il bianco azzurro dei fiocchi di neve creando uno scenario irripetibile e Sayuri non poteva che sorridere per la felicità.

“Sono stupende, Ace” gli disse voltandosi nella sua direzione, meravigliata “Non avevo mai visto niente di simile in vita mia”
“Sono contento che ti piacciano” affermò “E che ti sia tornato anche il sorriso”

Era vero. Adesso Sayuri non avvertiva più il dolore di prima. Quello spettacolo l’aveva incantata a tal punto da farla librare in cielo tanto da immaginare di danzare tra la neve e le lucciole di fuoco come un allegro spiritello della neve. Non era mai successo che dimenticasse così in fretta ma Ace era riuscito dove da sola non era mai arrivata e questo significava molto. In lei non stava crescendo soltanto un grande sentimento affettivo nei confronti del ragazzo ma anche un che di rispetto, una sorta di giuramento che avrebbe suggellato con una promessa solenne. Si voltò di nuovo verso di lui, con le mani intrecciate dietro la schiena.

“Ti ringrazio per non avermi chiesto niente, Ace” cominciò lei dolcemente.
“Sarei stato uno stupido a....”
“Io non so...per quanto tempo ancora potrò resistere” continuò interrompendolo “Ma anche se adesso non riesco a dirti nulla, voglio che tu sappia che non ti tradirò mai, ne come amica ne come alleata e ti prometto, che in un modo o nell’altro..io ti farò diventare il Re dei Pirati. Hai la mia parola, Ace”
E forse..quando sarò pronta, riuscirò a dirti quel che provo per te.

Quella promessa, quel giuramento era stato detto si con dolcezza ma anche con una sottintesa determinazione che Ace afferrò immediatamente. Le parole di Sayuri riflettevano verità e anche ringraziamento, non c’era inganno o falsità, non erano state dette per compensare qualcosa, no; la promessa di Bianco Giglio era semplicemente sincera e Pugno di Fuoco la accettò come se fosse stata scritta su carta e suggellata da un timbro invisibile. Adesso che vedeva Sayuri sorridere, si sentì più sollevato. Poteva resistere ancora un po’ anche lui se il traguardo significava vederla sorridere sempre e starle accanto senza che si ferisse. Le si avvicinò, arrivandole col mento poco al dì sopra della testa.

“Torniamo al covo. Si sta facendo tardi”

 



 
  
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