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Autore: Shiida the BlackLightning    03/02/2010    2 recensioni
Premetto dicendo che questa è una roud robin; dopo di che invito tutti quelli che avendo visto/non visto il film Avatar; ma comunque se ne sono appassionati e desidererebbero provare l'esperienza di "camminare nel sogno", a partecipare a questa fiction!! *Fuggiti da un mondo che ci ritiene imperfetti ci dirigiamo verso quell'ultima flebile speranza di vita: Pandora, sperando che il sogno non finisca qui* ((( Tutti possono partecipare!! XD )))
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Out of a dream






Il silenzio che avvolgeva la mia mente si spense di scatto per far posto ad un fastidioso allarme elettronico. Aprii con fatica le palpebre secche e appiccicate cercando di non muovere il resto del mio corpo.

Il crio-sonno era finito.

Posai entrambe le mani sul portellone dell'apparecchio che mi aveva cullata per questi ultimi sei anni e spinzi verso l'alto. Come al solito la mia forza fisica, così dannatamente inferiore a quella di un normale essere umano, mi costrinse a far in modo che qualcun'altro venisse in mio aiuto. Bussai energicamente sul portellone dato che non ero ancora riuscita a collegare cervello a bocca. Qualcosa si mosse e della fredda luce bianca filtrò da uno spiraglio del mio cubicolo meccanico.

Un infermiere mi porse lentamente una mano per aiutarmi; ma qualcosa dentro di me si mosse.

Mi voltai di scatto trattenendo a fatica un urto di vomito. Sapevo che dopo il crio-sonno il mio già debole corpo si sarebbe ulteriormente indebolito ma avevo sperato con tutto il cuore che il mio stomaco mi avrebbe risparmiato quella pietosa figura. Vomitai anche l'anima nel mio stesso letto mentre cercavo di sollevarmi. L'infermiere, gentilmente, mi sorresse per il bacino e si preoccupò di spostarmi i capelli dal viso mentre finivo di rimettere.

Rimasi in religioso silenzio quando un secondo infermiere mi si avvicinò per portarmi nella plancia della nave mentre l'altro rimaneva a pulire quei pochi succhi gastrici e resti di cibo che avevo depositato.

L'uomo che mi accompagnava mi diresse verso una stanza dove avrei potuto cambiarmi e sciacquarmi il viso.

Rimasi sola, finalmente in grado di valutare quello che era successo.

Erano ormai sei anni che attendevo, inconsapevolmente persa nei miei sogni e dubbi, di arrivare fino a quel pianeta che forse avrebbe potuto rendermi libera. O meglio, questo era quello che aveva cercato di farmi credere mio padre. Era stata una sua idea, una sua decisione spedirmi qua, su questa parte di universo dimenticata da Dio dove avrei potuto, secondo lui, condurre una vita quantomeno normale.

Decisi di rimandare i miei pensieri ad un altro momento. Mi vestii lentamente, con accuratezza indossai i pantaloni della tutta da ginnastica blu e la canottiera bianca. Mi infilai la giacca svogliatamente e la lasciai aperta. L'infermiere che era rimasto ad aspettarmi fuori dalla stanza mi rivolse un sorriso di circostanza e mi consegnò alla supervisione di un giovane militare dagli insoliti capelli rossi.

<< Samantha Heidrich? >> azzardò lui, soltanto per cortesia dato che sapeva già il mio nome.

Annuì incrociando le braccia sotto il seno.

Il ragazzo mi sorrise distrattamente probabilmente notando solo adesso i mie lunghi capelli bianchi. Istintivamente mi venne spontaneo cercare di portarmeli dietro al viso per nasconderli ma evidentemente era troppo tardi. Decisi comunque di legarli e di coprirmi la testa con il cappuccio della giacca: non volevo dare spettacolo, di nuovo.

Il militare mi fece strada verso la plancia dove c'erano altri ragazzi e ragazze come me appena svegliati dal crio-sonno.

Mi sedetti nel primo posto che trovai, da sola, non volevo di certo scambiare le solite informazioni di circostanza con la prima chiacchierona di turno. Sentì comunque che gli occhi di quasi tutti i presenti si erano soffermati su di me per almeno una frazione di secondo, per studiarmi, per cercare di capire per quale motivo anche io ero li.

Perché era proprio per via di un preciso motivo che mio padre aveva deciso di spedirmi verso Pandora.

Ero malata, probabilmente tutti quanti in quella stanza eravamo malati: maledetti da una patologia abbastanza grave da impedirci di vivere una vita mediocre come un essere umano medio.

Ok, io ero albina, i miei capelli, ogni singolo pelo che ricopriva il mio corpo non possedeva nessun pigmento e per questo motivo era bianco. Il mio fisico e soprattutto la mia pelle erano deboli, imperfetti ma il motivo principale che mi rendeva diversa; che aveva determinato quel viaggio era un altro: ero emofiliaca. Il mio sangue era incapace di coagularsi e per me, un singolo banalissimo graffio poteva essere letale. Mio padre, per tutta l'infanzia aveva tentato di rinchiudermi in una campana di vetro ma con l'avanzare dell'adolescenza era stato costretto a spedirmi qui, per sopperire a questa mia mancanza genetica.

Mi concessi solo adesso dei studiare il mio fisico, il mio nuovo fisico dato che ero entrata nella macchina del crio-sono esattamente sei anni fa.

Da una tredicenne acerba mi ero trasformata in una giovane donna. Pensai che quel seno tondo che quasi mi riempiva le mani fosse finto. Dopo tutto mia madre aveva una prima scarsa e probabilmente il fatto che mi ritrovassi sul petto una bella terza mi mise uno strano sorriso compiaciuto sulle labbra. Non ero male, se non fosse stato per quegli orribili capelli bianchi, per quelle spalle larghe e pronunciate rispetto al mio fisico asciutto, per quei fianchi un po' troppo squadrati e per quella quasi assenza di fondo schiena.

Mi misi le mani in tasca estraendo il piccolo cofanetto che racchiudeva un paio di medicine che mi portavo sempre dietro. Allontanai con disgusto gli occhi da quell'odiosa scritta che vi ci era stata impressa per ricardarmi quanto fossi diversa dagli altri.

Fuck you Snow Queen”

Davvero carini ad aggiungere quel simpatico nomignolo che mi avevano affibbiato. Mi venne nuovamente da rimettere; ma stavolta era un fattore psicologico. Mi trovavo con persone che, come me, la società aveva rigettato, persone che, consapevoli della loro natura imperfetta, avevano deciso di intraprendere un viaggio verso un'utopica speranza di condurre una vita quantomeno dignitosa. Eppure queste fantasie da bambina non mi toccavano affatto: sapevo che i sogni non si avverano, che Pandora, probabilmente, sarebbe stata l'ultima realtà con cui sarei venuta a contatto prima di ritornare nella mia campana di vetro nella quale avrei potuto attendere la morte. Sorrisi sarcasticamente ripensando a quanto stupido fosse stato acconsentire a quella decisione della mia famiglia. Era da veri idioti concedersi un'emozione alla quale avrei comunque dovuto, prima o poi, rinunciare. Ruotai i miei occhi azzurrissimi verso la mia destra dove un'ombra era appena comparsa.

<< Posso sedermi? >>






+++ Spero questa idea vi piaccia e che aderiate in parecchi!!! ciao a presto!! +++

  
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