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Autore: SimmyLu    04/02/2010    6 recensioni
Kai Hiwatari, ormai adulto, lavora nell'azienda di famiglia di cui il nonno è ancora il presidente e conduce una vita che pare non soddisfarlo. La decisione di finanziare personalmente il nuovo Beyblade Championship non gli porta altro che guai e la continua intromissione di Hitoshi Kinomiya, fratello maggiore di Takao. Forse, però, il futuro tiene in serbo per Kai una piacevole sorpresa; tutto sta nell'avere il coraggio di fare un passo indietro...
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN PASSO INDIETRO - TERZA PARTE

di SimmyLu





«Signorina Shin, Voglio parlare con lei del progetto.»
Michi si irrigidì.
«Oggi non ho pranzato. Venga, è mia ospite.»


Kai Hiwatari si era voltato subito dopo aver formulato la frase, senza preoccuparsi di aspettarla o di ricevere un qualsiasi segnale d'assenso da parte sua, ma dando per scontato che lo stesse già seguendo. Se fosse stato sfiorato dal dubbio, si sarebbe di certo accorto che la signorina Shin, sorpresa dall'invito inatteso, era ancora immobile, non avendo affatto compreso che l'unica cosa da fare in quel momento fosse muoversi all'istante. Infatti, quella di Hiwatari non era una proposta che si poteva rifiutare o a cui era possibile dare una risposta negativa. Soprattutto perché non era stata formulata come una richiesta, quanto come una perentoria imposizione che presupponeva un ovvio e remissivo consenso.
Furono gli sguardi eloquenti di Kinomiya e dell'architetto a farle capire che non poteva permettersi di indugiare ulteriormente.
La ragazza si mise a correre per recuperare in fretta la distanza che la separava da lui, sentendosi nella posizione di chi è stata appena usata e costretta ad un'azione non condivisa. Kai Hiwatari era sicuramente abituato a vedere soddisfatto ogni suo piccolo desiderio, ma Michi non aveva intenzione di essere umiliata e trattata come un oggetto.
«Signor Hiwatari.» gli disse, «Sono lusingata, ma non ho dei vestiti adatti per...»
Smise di parlare, accorgendosi che il suo interlocutore era troppo impegnato nel tentativo di trattenere una risata per poterla ascoltare.
«Non ho intenzione di licenziare Hitoshi, ma la faccia che ha fatto...» ridacchiò, «Impagabile!»
Michi lo guardò interdetta. L'espressione di Hiwatari era totalmente diversa da prima, come se fosse quella di un'altra persona: sconosciuta e imprevedibile.
Decise di rimanere in silenzio e assecondarlo.
Una volta usciti, raggiunsero una grande auto scura parcheggiata poco lontano con tanto di autista in attesa. Egli la guardò perplesso, trovando un modo molto cortese per dimostrare il suo disappunto nei confronti della sua presenza e ricordare al contempo al suo padrone l'impegno che lo attendeva con un numero di parole così contenuto da meritare un elogio.
«La signorina l'accompagna al Golden Hotel?»
«No.» rispose Hiwatari «La signorina ed io abbiamo qualcosa di cui discutere in privato.»
«E il suo appuntamento, signore?»
«Annullato.» scandì Kai, l'ombra di un sorriso beffardo gli colorò il volto.
«Avviso il suo ufficio?»
«No. Lascia pure squillare il telefono se dovesse chiamare qualcuno.»
«Certamente, signore.»
La giovane donna osservò l'autista rimanere impassibile: evidentemente Hiwatari poteva permettersi di annullare i suoi incontri quando e come gli faceva più comodo.
«Da questa parte.» disse Kai mostrandole la strada.
Michi non ebbe il coraggio di chiedere informazioni sulla loro destinazione, come una bestia che teme di essere condotta al macello. Hiwatari si era servito di lei per prendersi gioco di Kinomiya e probabilmente quella era solo una scusa per comunicarle gentilmente che da domani non c'era più bisogno che si presentasse a lavoro. Forse aveva qualche opportunità di fargli cambiare idea, ma aveva paura di poter dire qualcosa di inappropriato.
I comportamenti contraddittori di Kai Hiwatari la disorientavano e la sua aura sicura e autoritaria la intimoriva.
Cominciò a detestarlo: nessun uomo l'aveva mai confusa in quel modo e il fatto che Hiwatari avesse tutto quel potere su di lei la irritava.
Odiava i suoi modi arroganti, la sua camicia bianca e inamidata, il suo profumo, il suo profilo perfetto, i suoi occhi magnetici dall'insolito colore, le sue labbra piene e sensuali...
«Ho scoperto questo locale per caso.» le raccontò, interrompendo le sue pacifiche riflessioni.
Un passante rivolse loro un'occhiata esterrefatta; l'una accanto all'altro erano uno strano e assai improbabile accostamento e la sua tuta da lavoro, sporca e logora, non aveva nulla a che fare coi vestiti firmati di lui.
Si sentì mortificata.
Erano solo due estranei fra altri milioni di estranei, fra palazzi, auto, negozi, clacson e cartelloni pubblicitari. Tokyo la faceva sentire piccola, la sua imponenza la prostrava.
«A volte passeggio un po' quando ho troppe cose per la testa.» continuò Hiwatari.
Ella assunse un'espressione contrariata indurendo i tratti del viso: non aveva alcuna voglia di entrare un uno di quei locali di lusso, tantomeno vestita in quel modo.
«Siamo arrivati.» annunciò Kai.
Michi sollevò lo sguardo: erano davanti ad una pasticceria con una grossa insegna rosa fluorescente e graziose tendine di trina.
Che razza di posto era?
«Vista l'ora è meglio fare merenda.» scherzò lui.
Salirono i tre gradini che li separavano dall'ingresso del locale, una porta in vetro con una elaborata struttura in ferro battuto tutta fiori e ghirigori. Una volta entrati, sulle note della campanella che annunciava l'arrivo di un nuovo cliente, Michi ebbe una visione assai sgradevole: all'interno tutto era nero e rosa, ricco di fiori bianchi e pizzi fin dove la fisica lo aveva reso possibile.
Non sembrava una pasticceria, ma un luogo decisamente più ambiguo.
«So cosa sta pensando, ma qui fanno la migliore Tarte Tatin di tutta Tokyo!» sorrise Hiwatari.
Michi sbattè le palpebre: che diavolo era una Tarte Tatin?
Sperò ardentemente che fosse solo qualcosa di commestibile e represse l'istinto di conservazione che le stava suggerendo di darsela a gambe.
«Benvenuti! Desiderate accomodarvi?»
Quando si era ormai convinta che non potesse esserci nulla di peggio, una cameriera li salutò con un sorriso esagerato. Michi non riuscì a controllare i muscoli facciali e spalancò la bocca: aveva davanti un cosplay di qualche serie vietata ai minori. Il suo vestito nero era attillato e scollato al limite della decenza; un grembiule minimale di pizzo bianco si intonava alla crestina e la gonna a pieghe era così corta che un solo centimetro in meno l'avrebbe resa perfettamente inutile.
«Sì, grazie.» disse Hiwatari, completamente indifferente alle autoreggenti in bella vista della cameriera. Michi si sentì gelare dalla vergogna.
«Da questa parte, prego.» cinguettò la ragazza facendoli accomodare ad un grazioso tavolino dalla bianca tovaglietta ricamata. I cuscini sulle sedie erano rosa acceso, così come il menù che Michi afferrò con riluttanza.
«Passo fra poco a prendere le ordinazioni.»
La cameriera fece le fusa, escludendola dal proprio campo visivo per rivolgersi unicamente a Kai, «Se ha bisogno di qualcosa non esiti a chiamarmi.» aggiunse tutta miele, nei suoi occhi si poteva leggere ben chiara l'intenzione di far scorrere le dita nella folta chioma dell’ uomo che si limitò ad un cenno del capo per congedarla.
Michi la osservò allontanarsi a malincuore e la sua attenzione fu catturata dalla vetrina dei dolci: c'erano torte di tutti i tipi e un'infinità di altre leccornie con frutta, glassa e creme di ogni gusto e colore. Avevano davvero un aspetto delizioso.
Le parve di essere tornata bambina e, distratta da quella visione zuccherosa, perse l'inizio della conversazione.
«...il condizionatore, l'automobile, il telefono cellulare. Possiedo tutte queste cose anche se preferisco non usarle. Credo che sia un meccanismo inconscio. In realtà non voglio farlo. Una parte di me è in costante ribellione. Così mi concedo una piccola evasione con una buona fetta di torta.» disse Hiwatari leggendo il menù, «Cosa ne pensa?»
Michi avrebbe voluto rispondere che in tutta sincerità non gliene importava un bel niente dei suoi dilemmi personali e se c'era qualcuno con dei veri problemi seduto a quel bizzarro tavolino, quella era lei. Si limitò ad un neutro e imparziale «Non saprei.»
«Mi riferivo ai dolci, ma dica pure tutto quello che ritiene opportuno. Si dimentichi per un momento che sono il suo capo...»
«Volete ordinare?»
La cameriera era apparsa dal nulla sorridente e radiosa.
Michi non era in grado di pronunciare uno solo dei nomi sulla lista del menù e per non fare la figura dell'ignorante, visto che quella della sciatta trasandata le stava già riuscendo magnificamente, lasciò che fosse Hiwatari a scegliere per lei.
«Dimentichi chi sono e parli con sincerità. Non l'averi portata qui altrimenti.» la incoraggiò Kai.
La ragazza si rese conto di essere in realtà soltanto il mezzo per la sua evasione giornaliera. Una distrazione come tante altre. Una cosa insignificante e passeggera.
Nervosismo e imbarazzo si tramutarono in rabbia.
«Senta!» esplose senza preavviso.
Nel locale calò il silenzio, clienti e cameriere si voltarono a guardarli.
Michi arrossì, ma non si scoraggiò, ormai fieramente abituata a situazioni di quel genere. Deglutì e riprese a bassa voce.
«Senta...» disse ancora una volta, «Se il suo è un modo gentile per licenziarmi... Non ho bisogno di un trattamento di favore o di essere coinvolta in questa sua...» fece una pausa guardandosi intorno, «Insomma, lo faccia e basta.» concluse con fermezza.
Hiwatari la fissò per un lungo istante, mentre la curiosità dei presenti scemava in disinteresse.
«Non ho sentito. Può ripetere?»
Michi lo fissò così intensamente e con tanto risentimento da costringerlo a distogliere lo sguardo.
Ignara di quanto epico fosse tale risultato.
«Dica qualcosa. Mi sento stupido.» la supplicò Kai.
«Lei? Sono io quella imbarazzata.»
«Non mi sembra.»
«È una cosa che fa abitualmente?» lo provocò con pericolosa spavalderia.
«Cosa?»
«Schioccare le dita e pretendere che una donna la segua in uno strano posto con... personale in abiti osceni!»
Un secondo di gelo per accorgersi che la cameriera era accanto a loro.
«Ecco la vostra ordinazione!» annunciò piccata, disponendo i piatti e le tazze da the con giustificato risentimento; «Posso portarvi altro?» domandò prima di eclissarsi, sistemando la crestina che portava sulla testa come se fosse stata una corona di un concorso di bellezza.
Michi guardò ciò che aveva davanti: una grossa fetta di torta di mele calda e fumante accompagnata da una spolverata di cacao e una nuvola di panna montata. Il profumo era sublime. Si pentì di aver cominciato il discorso prima di aver gustato quella prelibatezza.
«Se vuole licenziarmi, lo faccia subito. Apprezzo la gentilezza, ma non c'è bisogno di tutto ciò.» ribadì con uno sforzo di volontà mosso dall'orgoglio.
«Sarebbe uno spreco offrire qualcosa di così buono ad una persona che non si ha intenzione di rivedere.» disse Hiwatari con ovvietà, aggrappandosi alla logica della propria affermazione nel mare di insicurezza in cui lei l'aveva gettato.
«Non ha pensato che potessi trovarmi a disagio?» lo aggredì.
«Mi dispiace... Non era mia intenzione metterla in difficoltà.» disse realmente mortificato, sembrava un ragazzino al primo appuntamento, «Se vuole andiamo via subito.»
Michi si agitò sul cuscino rosa, spiazzata da quella reazione.
Si sentì in colpa per essere stata scortese.
Hiwatari non l'aveva usata per prendersi gioco di Kinomiya e non aveva intenzione di licenziarla. Con il suo scatto di nervi si era messa nei guai da sola e poi non voleva affatto andarsene, non prima di aver assaggiato quella squisitezza sotto il suo naso.
«Mi perdoni, sono stata villana e maleducata.» si scusò chinando la testa, «Abbiamo già ordinato, è un peccato.»
Hiwatari abbassò lo sguardo sulla propria fetta di torta e annuì.
«Assaggi.» la invitò Kai.
La cameriera li stava spiando dal bancone.
Michi prese la forchetta e assaporò un boccone dopo averlo intinto nella panna.
«È buonissima.» ammise, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi e Hiwatari giocherellò con un pezzetto di mela per un tempo che parve infinito.
«Ho scelto il suo progetto perché voglio che sia quello l'aspetto dello stadio.»
Michi si allarmò: erano tornati a parlare di lavoro, ma nello sguardo di lui c'era una serenità che spazzò via le sue angosce.
«Non ho controllato i curricola e le referenze. Il suo bozzetto mi è piaciuto subito. Lei ha capito cosa può rendere speciale un incontro... con tutte quelle pedane, le curve e gli scivoli!» disse cercando di disegnare nell'aria quella visione, «Per chi gioca a Beyblade sono un divertimento e una costante sfida! Mi piace l'idea che i blader possano seguire le proprie trottole dall'interno del campo da gioco, liberi di muoversi.»
Le sue parole erano controllate, ma ricche di trasporto.
«Questo sport deve appassionarla molto. La ammiro, signor Hiwatari.» riconobbe.
«Non dica queste sciocchezze. Sono già circondato da gente che non fa altro che leccarmi i piedi.»
Michi arrossì ancora: «No, io... lo penso davvero. Insomma, credevo che nella sua posizione... delegasse questo tipo di decisioni a qualcun'altro.»
«Ad Hitoshi Kinomiya?»
«Sì, ad esempio.» pigolò Michi.
Hiwatari sfoggiò lo splendido sorriso irriverente: «Non gli avrei mai lasciato questo piacere!»
Si fissarono per un paio di secondi.
E scoppiarono a ridere entrambi.
«Mi è parso di capire che nemmeno a lei sta troppo simpatico.» indagò Kai divertito.
Michi nascose per un momento il viso oltre la tazza di the bevendone un lungo sorso, convinta di non essere nella posizione per sostenere che, per quel che la riguardava, Kinomiya si sarebbe meritato una violenta punizione corporale.
Dovette ammettere a se stessa che quell'uscita forzata si era rivelata alquanto piacevole.
Kai ne approfittò per raccontare qualche divertente particolare per ridicolizzare Hitoshi.
Michi rise con sincerità alle sue battute e quasi si commosse quando il discorso attraversò il fiume dei ricordi, solcati con malcelata malinconia.
Percepì per la prima volta in lui una profonda solitudine. L'urgenza di condividere con lei le sue impressioni dimostrava l'assenza di qualcuno che potesse comprenderlo e con cui potesse sfogarsi frequentemente. Parlava di Beyblade come fosse una liberazione aver trovato qualcuno che potesse e volesse ascoltarlo. Aveva un modo di esprimersi conciso e stranamente diretto, insolito per la sua età. Oltre la maschera del proprio ruolo sociale, Hiwatari confermava la sua intelligenza, ma scopriva anche un lato molto ingenuo che ne esaltava la sensualità.
L'attenzione della ragazza cadde sulla sua mano sinistra, appoggiata sulla tovaglietta di pizzo bianco: non portava la fede.
Si chiese perché quell’uomo bello e ricco non fosse ancora sposato. Lo immaginò in compagnia di una delle solite sciacquette che bazzicavano l'alta società per accaparrarsi i miliardari. Quale stupida si sarebbe fatta sfuggire un partito del genere? Tanto più che dava l'impressione di essere bravo a letto...
Sbarrò gli occhi, scandalizzata dai suoi stessi pensieri, e cercò di allontanare dalla mente quella fantasia.
«Voglio che il Beyblade Championship torni agli antichi splendori e per farlo ho bisogno della sua determinazione, signorina Shin.»
Kai Hiwatari aveva un animo molto più trasparente di quello che si sarebbe potuto credere. Dimostrava un amore per lo sport che non era stato scalfito dal tempo. La sua passione la contagiò: avrebbe fatto del suo meglio per realizzare il suo sogno.


«Quindi è stato grazie a Takao Kinomiya che ha avuto questa idea?» chiese Michi, ormai completamente a suo agio al fianco del suo accompagnatore.
Erano usciti dalla pasticceria, con suo grande sollievo, e stavano ritornando allo stadio. Hiwatari aveva in mano un sacchetto con il logo del locale: aveva comprato un dolce e una bibita per il suo autista.
«Purtroppo devo a lui molte delle mie idee migliori!»
Risero.
Kai la guardò interessato. Quella donna aveva qualcosa di buffo che traspariva in tutto ciò che faceva: in ogni espressione, in ogni atteggiamento, nel modo goffo di coprirsi con la mano la bocca quando rideva di gusto. Perfino la sua coda di cavallo che ondeggiava ad ogni passo era in qualche modo buffa.
Coi capelli sciolti sarebbe stata molto più carina.
E chissà che forma aveva il suo corpo sotto tutti quei vestiti...
Erano ormai arrivati in prossimità del BeyStatium e percorsero l'ultimo centinaio di metri senza dire nulla.
L'incantesimo era finito ed era ora di tornare alla realtà.
Michi shin era una delle tante persone alle sue dipendenze.
E la linea bianca sull'asfalto non era il confine di una magica barriera.
«Le auguro una buona giornata.»
«Grazie di tutto.»
Michi si congedò con un inchino, avviandosi all'entrata dell'edificio.
Kai la osservò restando immobile.
La linea bianca sull'asfalto era soltanto una linea.
Ancora un passo e non sarebbero mai più tornati indietro.
«Signorina Shin!»
La ragazza si fermò e si voltò.
Un vento tiepido accarezzò loro le guance e i raggi del sole generarono strani riflessi scarlatti sulle iridi violacee di lui.
«Grazie... della compagnia.»
Michi, da lontano, si inchinò ancora.


«Il telefono dell'auto ha squillato più volte, signore.» lo accolse l'autista aprendogli la portiera della vettura.
«Spero ti piacciano le crostate.» disse Kai ponendo fra loro il sacchetto ed ignorando il suo avviso.
«Non doveva disturbarsi, signore.»
Quando l'auto fu di nuovo in moto Kai si sentì stanco e vuoto, come se avesse buttato dalla finestra del suo studio tutti quei fascicoli scuri che ne occupavano e incupivano l'ambiente.
Doveva liberarsene.
«Dove la porto, signore?»
«In ufficio.» sospirò.
Si era reso irreperibile per tutto quel tempo mancando così l'appuntamento al Golden Hotel per incontrare il responsabile della Kobai. Suo nonno era andato sicuramente su tutte le furie per quel comportamento irrispettoso. Si immaginò la sua grossa faccia diventare paonazza per l'indignazione.
Scoppiò a ridere involontariamente e non appena gli tornò alla mente l'espressione di Michi Shin quando erano entrati nella pasticceria dovette fare uno sforzo e controllarsi per non apparire come un pazzo agli occhi dell'autista.
«Pare essersi divertito, signore.»
«Che ne pensi?»
«A proposito di cosa, signore?»
«Di quella ragazza.»
«In che senso, signore?»
«Sembra molto carina.»
«Sì, signore.»
«Anche vestita in quel modo.»
«Sì, signore, poco appropriato.»
«Forse dovrei chiamarla.»
«Probabilmente sì, signore.»
«Non sarebbe fuori luogo, vero?»
«Credo di no, signore.»
«La tua accondiscendenza è come un balsamo per la mia autostima, ma non mi aiuta.» si spazientì Kai.
Dopo un lungo momento l'autista trovò il coraggio di esprimere un'opinione personale.
«Signore, se mi è concesso... Credo che due persone che appartengono a due mondi tanto diversi fra loro, non dovrebbero frequentarsi... ma è pur vero che non l'avevo mai vista ridere in modo così allegro e spensierato prima di oggi.»


Michi si era appena addormentata quando squillò il telefono. Alzò la testa dal letto con un foglio di carta incollato alla guancia e faticò non poco per trovare il ricevitore nel disordine che regnava indiscusso nel suo minuscolo appartamento. La stanza era costellata da scatoloni di cartone ancora imballati e vestiti e fogli ovunque, tanto che scrivania e materasso erano ormai indistinguibili.
«Pronto?» rispose con voce impastata una volta rinvenuto l'apparecchio.
«Pronto? Parlo con la signorina Shin? Sono Kai Hiwatari. La disturbo?»
La ragazza boccheggiò.
Perché mai Hiwatari la chiamava di persona e a casa sua ad un orario improbabile?
Le venne in mente una cosa sola: licenziamento.
Doveva aver detto qualcosa di allucinante quel pomeriggio in sua compagnia, qualcosa che non ricordava e che aveva avuto un tempo di reazione molto lungo.
«Sì... cioè, no. Non mi disturba affatto!» rispose con una vocina isterica. Si guardò sentendosi nuda: indossava solo una maglietta e un paio di mutandine. Se doveva perdere il lavoro preferiva farlo vestita. Si affrettò a cercare un paio di pantaloni, come se Hiwatari avesse potuto osservarla nell'intimità della sua stanza.
«Stavo... stavo lavorando al progetto!» mentì trovando i calzoni del pigiama e saltellando su un piede per infilarli e afferrare contemporaneamente il foglio su cui si era assopita, «Parlando con l'architetto siamo arrivati ad un compromesso...»
Il pezzo di carta era stropicciato e sbavato, tanto che l'inchiostro della penna in un punto considerevole si era sciolto ed era svanito. Guardò il proprio riflesso nel vetro della finestra: i suoi appunti erano finiti sulla sua guancia come un trasferello.
«Molto bene, ma non l'ho chiamata per parlare di questo.»
«Oh.» squittì Michi lanciando il foglio alle sue spalle e reggendo i pantaloni, infilati in una sola gamba, con una mano.
«Vorrei chiederle il permesso per... rapirla una seconda volta.»
I calzoni le caddero a terra.
«Oh!» disse a voce più alta.
«Le sembrerà inopportuno e...»
«Sta parlando di un appuntamento?» chiese incredula.
«Sì... mi perdoni. È indiscreto da parte mia, ma non deve darmi una risposta immediata. È libera di rifletterci.»
Non sentendola replicare Kai si sentì perso come quel pomeriggio.
«Sono il suo capo, è una situazione complicata. Non ci sarà nessun tipo di ripercussioni se non avesse intenzione di accettare, glielo posso garantire. Ma forse... forse si vede già con qualcuno.»
«No, io... non sono fidanzata e il nostro incontro di oggi è stato piacevole, ma… Mi sono trasferita da poco qui a Tokyo per questo progetto e sono un'artista sconosciuta. Qualcuno potrebbe pensare che non sia solo una coincidenza.»
«Sì, capisco. Non avevo preso in considerazione questa eventualità.»
«Metterebbe in cattiva luce entrambi. Non sto rifiutando, solo che...»
«Da quanto si è trasferita?»
«Da quando è stato aperto il cantiere, circa tre mesi fa. Ho ancora la casa piena di scatoloni.»
«Dopo tutto questo tempo?»
«Non sono una persona molto ordinata.» confessò, «Se vedesse il mio piano da lavoro... no, a pensarci bene è meglio che non lo veda.»
Kai rise, «Dev'essere uno spettacolo curioso.»
«Lei è una persona ordinata?»
Hiwatari non rispose subito e Michi credette di aver fatto una domanda troppo ardita e personale. Stava per scusarsi quando sentì la sua voce prendere corpo: «A dire il vero non lo so. Nella mia vita c'è sempre stato qualcuno che... riordinasse le cose per me. Lo sono diventato per abitudine e non per natura. Credo però che sia il momento di cambiare.»
«Sono contenta.»
«Perché?»
«Un briciolo di spregiudicatezza le si addice.»
Kai rimase nuovamente in silenzio, ma questa volta Michi non si spaventò dell'assenza di comunicazione. Si sedette sul letto e si aggrappò al telefono con entrambe le mani.
«Lei riesce a capire molto di me, signorina Shin.»
«Scusi, parlo troppo.»
«No, il suo modo di parlare è molto gradevole.»
«Lei è molto gentile, ecco tutto.» sorrise.
«Se mi conoscesse meglio, direbbe l'esatto contrario.»
«Davvero?»
«Può darsi. Quindi... immagino che fino a quando non sarà finito il torneo, i suoi scatoloni la terranno molto occupata.»
«Sì, sono degli scatoloni molto impegnativi.»
«Sono fortunato: fino ad allora non potrà cambiare opinione su di me.»
«Temo di no. Aprirò... questo scatolone per ultimo.»
«Nessuno mi aveva mai paragonato ad uno scatolone!»
Risero.
«Signor Hiwatari?»
«Sì?»
«Non mi licenzierà, vero?»
Kai rise più forte.
Lontano, da qualche parte, il rumore del traffico era un sottofondo confortante.







Un Passo Indietro - Fine.


Beyblade © Takao Aoki



N.d.A: In realtà questa storia doveva finire nel capitolo precedente con Kai che prendeva coscienza di ciò che stava diventando e decideva di assecondare la sua vera natura e la sua indole un po' anticonformista, se si può dire così. L'idea della pasticceria mi è venuta dopo per colmare il vuoto logico che si sarebbe creato rispetto all'epilogo con la telefonata, anche questo pensato solo successivamente. L'ho trovata una cosuccia simpatica, ma solo ora mi rendo conto della differenza e della poca unità che questo capitolo ha con i precedenti. Il ritmo non mi convince e credo si noti che è stato rastrellato senza pietà per togliere particolari noiosi e inutili. Ho il sentore di aver esagerato in qualche punto e, siccome riscrivere più volte le stesse scene non mi ha aiutato a migliorare la situazione, ho deciso di mettere un freno alla mania di perfezionismo e pubblicare ciò che avevo combinato, sperando che potesse comunque allietarvi in qualche modo. Principalmente ho scritto questa storia per screditare Hitoshi! È il personaggio che meno sopporto di tutta la serie! A parte gli scherzi... Piccola nota per chi è interessato. Ho inventato il Golden Hotel e l'azienda Kobai che in giapponese significa "acquisto." Il significato del nome di Michi Shin è "via nuova", ovvero il nuovo corso che dovrebbe prendere la vita di Kai dopo averla conosciuta. Non è stato facile rendere un personaggio comico nella sua razionalità e mi auguro davvero che questa fanfic vi abbia strappato un sorriso. Grazie a tutti.


Risposte alle recensioni:

x Avly: ciao^^ grazie del tuo commento, mi fa piacere che la storia ti sia piaciuta e spero che anche il finale sia stato di tuo gusto. Kai adulto è nella fantasia perversa di ogni fan di beyblade, suppongo! XDD Grazie ancora.
x yui00: Ciao! Hitoshi non l'ho mai potuto sopportare nemmeno io! Qualcosa fra Michi e Kai è nato, lei è un po' strana e lui anche su questo lato non scherza. Spero che il finale ti sia piaciuto! ^_^ baci!
x kry333: Noto con piacere che a nessuno piace Hitoshi... bene, bene! XDD Formiamo una lega anti fratello di takao! XDD Mi auguro che il terzo ed ultimo capitolo sia stoto di tuo gradimento! Grazie di avermi seguita in questa fic! ^_^
   
 
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