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Autore: Meli_mao    04/02/2010    1 recensioni
(Quinta classificata al contest indetto da Eliezer:,,mourir pour toi n'est pas mourir__} )
"Alla morte di sua madre, così le avevano raccontato, suo padre l’aveva presa con sé e aveva deciso di dedicarsi alla sua vecchia attività di pirata cacciatore di Fulmini, abbandonata tempo prima per amore della moglie. Tuttavia la bambina poco credeva a quella favola di amore e tenerezza che le ripetevano spesso tutti gli uomini di quella loro strana nave volante".
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un Nome…

“Ci si può innamorare di un fulmine?”


Era una bellissima bambina. I suoi lunghi capelli rossi avevano tonalità bronzee a seconda del suo umore e i suoi occhi verdi, quando era incuriosita o pensierosa, le conferivano un’aria intelligente. Era allegra, solare, ma anche timida e ogni tanto si chiudeva in sé stessa, estraniandosi dal mondo intero.
Alla morte di sua madre, così le avevano raccontato, suo padre l’aveva presa con sé e aveva deciso di dedicarsi alla sua vecchia attività di pirata cacciatore di Fulmini, abbandonata tempo prima per amore della moglie. Tuttavia la bambina poco credeva a quella favola di amore e tenerezza che le ripetevano spesso tutti gli uomini di quella loro strana nave volante.
Aveva un ricordo, un piccolo e sfuocato ricordo, il primo ricordo della sua vita, del giorno della sua partenza e, di certo, quel giorno sua madre non giaceva fredda in una bara.
Diventò una bellissima ragazza, innamorata della vita e altrettanto ostile a quel modo di viverla.
Ma a noi poco importa di come quella bambina abbia raggiunto l’età di amare e odiare. A noi interessa di come lei si sia accorta di provare quei sentimenti.
E allora torniamo a una tiepida serata d’autunno, sulle coste del mare di Sanh, nella terra magica di Dunn…

“Avannah!” una voce burbera risuonò nell’aria serale.
“…. E la piccola stella non poté fare altro che saltare, lanciandosi nel vuoto verso il suo amato..”
“Avannah!”
La giovane scosse il capo rassegnata, voltandosi appena verso la fonte del richiamo.
“Si, padre?” rispose in modo garbato, osservando la figura rigida semi nascosta all’ombra della vela maggiore.
“Smetti di raccontare favole e sali a bordo…partiamo appena fa buio!” brontolò voltandosi lui e, con passo strascicato, si diresse sotto coperta.
Avannah restò qualche secondo fissa sulla figura dell’uomo, poi si alzò, accomodando il suo abito blu notte che tanto adorava. Quando la lunga gonna le coprì bene le gambe snelle, fece un leggero inchino alle bambine sue uditrici e si allontanò.
“Signorina…” una voce debole la richiamò appena, tanto da farla fermare.
“Tornerà a raccontarci il finale?” le chiese un’altra voce, più sicura.
Lei si limitò a sorridere, voltandosi un poco, perché un sorriso viene interpretato da ognuno in modo diverso e non necessita di spiegazione. C’era chi riconosceva in esso un’espressione forzata e triste e dimenticava in fretta l’intera storia, ben sapendo che non avrebbe mai ascoltato il finale. E poi c’era chi invece attendeva per un po’ la sua venuta, rammentandosi ogni giorno l’incontro. Col tempo però, anche quelle persone decidevano di dare loro una conclusione alla storia, e ben presto finivano per scordarsi  quella bella fanciulla in abiti eleganti che scendeva da una nave volante e raccontata avventure.
Non aveva mai avuto amici. Semplicemente, la sua esistenza era molto simile a quella di un fantasma: sbarcava, incantava qualcuno col tono della sua voce, poi scompariva di nuovo.
Ogni tanto, come quella stessa volta, stava seduta accanto alla finestra della sua stanza, guardando la sera prender possesso del cielo. Teneva la testa appoggiata alle tendine e respirava pesantemente l’odore di legno e vernice delle pareti.
“Dovrei trovarti marito…” brontolava il genitore vedendola così ogni tanto.
“Dimmi… non c’è nessuno dei miei uomini che ti piace?” e poi scoppiava a ridere, divertito, senza prestare attenzione allo sguardo vacuo di lei e ai suoi commenti poco gentili a riguardo.
Crescendo aveva compreso che suo padre non avrebbe mai accettato per lei un normale ragazzo, né tanto meno un cacciatore come lui. Probabilmente voleva solo tenerla con sé. Lei ci ricamava sopra, a questa idea, pensando che in fondo lei era l’unico ricordo della sua amata moglie e forse…forse gli mancava…
Iniziava la stagione intensa, iniziavano le giornate uggiose e i forti temporali d’inverno. L’intero equipaggio, emozionato per la ripresa dell’attività, era tutto preso a sistemare le ultime cose, pronto per il primo lavoro già quella notte stessa.
E così fu. Un grosso tifone, seguito da piogge interminabili e da fulmini violenti si abbatteva sulla loro nave in volo prima che sulla terra ferma.
E tutti, nei loro lunghi impermeabili, attiravano con strani arnesi l’elettricità e la catturavano, intrappolandola in contenitori speciali.
L’aveva sempre trovato un lavoro barbaro e non si era mai nemmeno sforzata di capirlo. Ci aveva in realtà provato, per affetto del padre, ma si era rassegnata quasi subito.
Riempiva il vuoto della sua vita con semplici oggetti, regali, denaro che le veniva dato per distrarsi.
Eppure, tutto ciò che lei faceva, era limitarsi a comprare dei libri, storie senza tempo, e li leggeva nelle nottate come quella, quando il muoversi repentino della nave le impediva di dormire.


“Mia cara… “ il capitano entrò nella stanza della figlia alle prime luci dell’alba, svegliandola con delicatezza.
“Buon giorno…avete preso un buon bottino?” rispose lei, alzandosi e raggiungendo il vecchio, aiutandolo a togliersi gli abiti bagnati e preparandogli un bagno caldo.
Lui la fissò pensiero per tutto il tempo, rilassandosi al suo tocco delicato, senza fiatare.
“Pesca grossa, ci guadagneremo molto..” disse infine, quando fu cambiato e asciutto.
Si legò in vita la sua pistola e afferrò la fedele spada sistemandola nel fodero.
“E Avannah … non voglio che tu vada più nella stiva, ok?” le disse poco prima di uscire.
“Perché?” la curiosità è donna.
“Perché… non vorrei che tu inciampassi in qualche contenitore e facessi saltare in aria l’intera nave..” brontolò lui.
“Non l’ho mai fatto!” disse lei.
“E mai lo farai!” esclamò lui duro.
“Mi ubbidirai?” le chiese poco dopo in modo più gentile.
Lei annuì silenziosa.
Quando salì sul ponte per la colazione il Sole era già alto nel cielo. Un profumo di legno bagnato si sentiva in ogni dove e, per quanto fosse insolito, tutti gli uomini erano già al lavoro.
Scorse sotto di loro, a miglia di distanza, il vecchio mare di Sanh costellato da piccole isole. E, in quel momento, si sentì potente, fiera di essere lassù e poter star lontana dal caos del mondo.
“Dottor Jack..” salutò, rivolta al giovane dottore di bordo. “Non hanno dormito?” chiese sorridendo,  indicando gli altri.
“No…dicono che dormiranno più tardi..” rispose l’altro senza distogliere lo sguardo dalla ragazza.
“Vi ho mai detto che il verde vi dona?” le chiese pacato, avvicinandosi e ammirando il leggero abito di lei color smeraldo.
“Ogni volta..” rispose Avannah, arrossendo e allo stesso tempo sorridendo quasi divertita.
“Beh…in tal caso lasciate che vi scorti fino alla tavola, sarete affamata!” e offrendole il braccio l’accompagnò nella vecchia cucina.
“Pesca grossa è, dottore?!” il cuoco gli accolse allegramente, soffermandosi un poco di più su di lei, dubbioso.
“Ho sentito.. più tardi darò un’occhiata!” rispose il giovane dottore, grattandosi la guancia.
Avannah restò silenziosa tutto il tempo, sospettando ci fosse qualcosa che non andava. Sapeva di non poter disubbidire al padre, ma allo stesso tempo aveva capito che quel divieto era legato a qualcosa tenuto nella stiva.
“Signor Cook…posso chiederle una cosa?” iniziò, interrompendo una conversazione fra i due uomini che nemmeno aveva seguito.
“Certamente..” fu la pronta risposta.
“A cosa servono i fulmini esattamente? Cioè…perché vengono catturati?”
“Tesoro… sono merce di scambio! Un fulmine, se è ben potente e indomabile, è anche molto utile per costruire armi belliche..”
“Oppure da quelli più deboli e piccoli si ricavano materiali essenziali per certi prodotti medici..” disse il dottore.
“Anche le vecchie fattucchiere si servono dei fulmini per accrescere la loro magia, ma quello avviene più al mercato nero che nei negozi di rivenditori..” concluse ancora il vecchio.
“In realtà…. Le vecchie streghe di Tamos, la terra del ghiaccio, sostengono che da essi si possano ricavare immortalità e giovinezza! Temo tuttavia che il metodo per ottenerle sia alquanto inumano…mangiano carne e bevono sangue..” concluse trattenendo un principio di vomito.
“Capisco..” disse la giovane, rivolgendo uno sguardo comprensivo al dottor Jack.
“Sono anche ben pagati.. è un lavoro difficile, catturarli! Ci sono pochi pirati cacciatori ai giorni d’oggi! Saranno circa 15 o 20 navi come questa!” il cuoco pronunciò quelle parole con una punta d’orgoglio.
“Allora  è un bene per noi…!” Avannah sospirò però tristemente.
“E da cosa vengono generati?” chiese poco dopo.
“Ci sono divinità, piccoli spiritelli…così si dice!”
“Sono veri e propri essere demoniaci..” brontolò il cuoco al giovane.
“Si vedrà!” rispose l’altro secco.
“Comunque essi sono generati da Luce e Fuoco…antiche divinità personificate!” concluse.
“I fulmini intende?” chiese lei confusa.
“Più o meno… Luce e Fuoco generarono essenze demoniache che, a loro volta, crearono i fulmini a loro immagine e somiglianza. L’unica differenza è che quelli che cadono sulla terra non hanno vita!” prese fiato leggermente “Secondo la leggenda, questi…demoni, strinsero un patto con gli uomini: quest’ultimi avrebbero servito loro e in cambia avrebbero ottenuto il fuoco. Solo che per permettere al fuoco di raggiungere la terra serviva una scintilla e l’unico modo era crearla dal nulla. Da li nacquero questi fulmini che vanno e vengono. L’uomo però li temeva e, credendo di essere stato imbrogliato, iniziò a cacciarli per imprigionarli, sicuro di poterli così vincere!”
 “Leggende..” sbuffò la ragazza alzandosi. “Non esistono esseri così!” disse seria.
“Per i comuni umani non esistono nemmeno streghe e pirati volanti però!” la rimproverò bonariamente il cuoco.
Ci fu un lungo momento di silenzio, interrotto ogni tanto dalle grida della ciurma da fuori.
“Farete meglio ad andare ora…arriveranno tutti gli altri e per voi, vederli mangiare, non è un bello spettacolo!” il dottore aveva ragione. Avannah fece un leggero inchino ringraziando entrambi per le spiegazioni e uscì, pensando a un modo per occupare il tempo.
Eppure c’era qualcosa che le sfuggiva…

Fu quella notte stessa, in balia di un altro forte temporale, che la bella fanciulla non riuscì a chiudere occhio. Badate bene…la colpa non era della pioggia o dei tuoni, lei ormai vi era abituata. Semplicemente le balenava in testa di poter prendere al volo l’occasione e fare un giro nella stiva, dal momento che tutti erano occupati in altro.
Si voltò e rivoltò innumerevoli volte nel suo letto, coprendosi fin sopra la testa e poi buttando di lato le lenzuola. Infine si mise a sedere sul bordo, poggiando a terra i piedi nudi. Prese la sua lunga vestaglia nera e con passo felpato s’incamminò verso la piccola botola.
Scese la scala di legno con lentezza, trovando appiglio un poco alla parete. I gradini erano bagnati e lei indugiava nel procedere.
Alla piccola luce della candela che aveva portato con sé non riusciva a scorgere altro che vecchie botti, bottiglie e scatole di cibo. Fece qualche passo avanti per essere sicura fosse tutto apposto e poi, delusa, spense la fiammetta con un soffio e pose il piede sul principio della scala per risalire.
Fu a quel punto che comprese che vi era un’altra fonte di luce lì. Una però più chiara, più luminosa e, soprattutto, più calda.
Senza nemmeno pensarci si diresse verso l’angolo più remoto della stiva, dietro una lunga fila di scaffali colmi.
E proprio lì, con lunghe catene d’argento ai polsi e alle caviglie, contro la parete, a capo chino e con profonde ferite, vi era un ragazzo.
L’intero corpo del giovane riluceva in modo innaturale, di una luce sprigionata da lui stesso.
Al suono dei passi egli alzò la testa, una cascata di ricci scuri gli scivolò all’indietro mostrando il suo volto e quei suoi occhi… grigi come l’argento fuso e azzurri come il ghiaccio.
“Ora mandano le mocciose a controllare?! Credono che a loro io non farei niente?!...sciocchi..” la sua voce era bassa, leggermente irritata.
Istintivamente Avannah si strinse nelle spalle, facendo qualche altro passo verso di lui.
“Chi sei?” gli chiese, accarezzandosi con nervosismo una ciocca di capelli bagnati.
Lui la fissò un poco, stizzito, e infine voltò il capo dall’altra parte.
“Ti ho chiesto chi sei!?” lo riprese lei.
“Chi sei tu…è buona educazione presentarsi prima di chiedere il nome a qualcuno!” la zittì con freddezza.
“Mi chiamo Avannah, figlia del capitano di questa nave.” Rispose lei dopo un po’.
“La figlia di quel bastardo..” sussurrò lui.
“Già….ora posso conoscere il tuo nome?”.
“Ho molti nomi…” le comunicò lui più per chiudere la faccenda che altro.
“Me ne basta uno..” e con attenzione si accostò a lui, inginocchiandosi di fronte al suo corpo e iniziò a tamponare alcune ferite del ragazzo con uno straccio umido raccolto da terra.
“Puoi chiamarmi mostro…è quello il termine che gli uomini usano per me!” si mosse appena, fissando gli occhi verdi di lei con neutralità e poi riabbassò il capo.
“Mostro? O no.. i mostri sono brutti..”
“Non lo sono?”
“E cattivi..”
“Meno di me..”
“E hanno zanne enormi e una pelle viscida…”continuò a elencare Avannah imperterrita, sfiorando con le dita la pelle di lui, morbida sotto il suo tocco.
“Che mostri hai mai visto tu? Non esistono esseri così..” disse secco, cercando di allontanarla con un colpo di reni.
Al movimento delle sue braccia le catene ai polsi si mossero producendo un tintinnio metallico fastidioso.
“Sta fermo!” lo rimproverò lei, guardando verso la botola per paura che qualcuno l’avesse sentito.
“Attenta a come ti rivolgi a me!” sussurrò imperativo, fissandola con astio.
Lei non ci badò, continuando a pulire via il sangue rappreso dal suo torace. Poi passò ai polsi lividi sotto le catene e alle gambe muscolose.
“Hai freddo?” gli chiese, rendendosi conto che indossava solo dei pantaloncini leggeri.
Lui fece uno strano sorriso.
“Questa è la mia temperatura ideale…le mattine sono il momento peggiore, troppo caldo quel Sole! E io dopo la notte non ci sono più abituato..” farfugliò cercando forse di dare una motivazione valida.
“Mio padre non sa che sono qui, se lo scoprisse..” Avannah rabbrividì al pensiero.
“Ti picchierebbe?” le chiese lui dopo del tempo, non sentendola più continuare.
“Credo mi punirebbe in qualche modo…non mi ha mai picchiata!” disse con un mezzo sorriso.
“Mia madre non voleva..” spiegò tranquilla.
Ma nemmeno quel discorso sembrò portare a una conversazione trai due.
“Allora me lo dici un tuo nome?” ci provò di nuovo lei, alzandosi.
“Te ne vai?” il suo tono di voce ora però era allarmato.
“Se non vuoi, no!” gli rispose.
“Figurati se mi interessa!” borbottò.
“Ti chiamerò Raiden!” annunciò lei entusiasta. Lui la guardò perplesso, ma non disse nulla.
“Torno domani, ok? Se hai fame ti porto qualcosa..”
“Non mangio il vostro cibo squallido!” rispose lapidario.
“Invece di criticare e basta, dimmi cosa vuoi e io te lo porto…così risparmiamo tempo!” rispose irritata lei, guardando più volte la scala con paura.
Lo vide sbuffare, ma non ci badò molto. Sentì dei rumori provenire da sopra e capì che stavano per portare di sotto il carico appena preso.
“Devo andare…torno..” promise, accorgendosi però che quel ragazzo nemmeno la stava ascoltando…si era addormentato.

Solo pochi minuti dopo che era ritornata a letto, suo padre entrò nella loro cabina e, controllato che lei dormisse, iniziò a svestirsi per la notte.
La mattina seguente Avannah fece le solite cose di sempre: colazione col dottore e una camminata alla leggera luce mattutina.
Ripensò tutto il tempo a quel ragazzo che stava sotto di lei. Ai suoi capelli umidi così belli. A quegl’occhi sensuali e alla sua voce calda che tuttavia sputava parole gelide.
Si chiese chi fosse, ma in realtà aveva ben compreso la questione.
“Bambina.. domani pomeriggio approdiamo al mercato di Malhory!” suo padre le si era accostato per avvisarla.
“Venderai la merce?!” il tono le uscì allarmato, tanto da lasciare di stucco l’uomo.
“Emm…no! Facciamo solo provviste! Il carico l’ho promesso al contrabbandiere di Neor!” concluse.
“Contrabbandiere? Non hai sempre detto che volevi fare le cose in modo giusto?!” se ne uscì lei.
“Non sono affari per una donna…piuttosto.. vedi di scegliere un bel abito, ti farò incontrare una persona!” annunciò impassibile lui, per poi allontanarsi agitato.

Quella notte aspettò che si fosse addormentato e scese di nuovo nella stiva, portando delle coperte e dei panini rubati dagli avanzi.
“Ancora qui?” la accolse lui acido.
“Ti ho portato del pane..” iniziò lei, ma si accorse ben presto che non era il cibo da lui prediletto.
Passò quasi tutta la notte nel silenzio, seduta accanto a lui, stringendosi in una vecchia coperta logora trovata là sotto. Lui si limitava a muoversi di tanto in tanto, producendo quel suono tanto fastidioso. E lei lo guadava soltanto, incantata da quella bellezza inquietante e meravigliata che al mondo potesse esistere tanta perfezione.
Aveva sempre pensato che creature misteriose che abitavano i cieli fossero belle, anzi bellissime, ma lui andava oltre ogni sua rosea previsione.
Aveva passato così tanto tempo a fissarlo che ormai avrebbe potuto ricreare esattamente una statua identica: le ciocche dei capelli che ricadevano sbarazzine erano in minor numero rispetto a quelle perfettamente ricce; le sue guance erano di un leggero rosa, notabile solo con un’analisi attenta. In altra situazione tutta la sua pelle sarebbe risultata bianca come il marmo. Aveva delle sopraciglia scure e spesso corrucciate nello sforzo di muoversi facendo meno rumore possibile. Le labbra, in compenso, erano ciò che dava colore al volto. Di un rosso leggero, come sfumato da un pittore esperto, il cui colore sembrava essere ricavato vagamente dalle ciliegie mature. Ma non stonava in tutto quel pallore, anzi, creavano un’armonia perfetta, come fossero proprio quel tocco particolare che teneva insieme il tutto.
E poi c’erano quei suoi occhi. Il grigio prendeva il sopravvento sull’azzurro quando stava tranquillo, come in quel momento, rilassato al semplice suono del vento contro la nave. Invece il ghiaccio inondava l’argento quando conversava, o meglio, quando lo faceva con stizza e soleva sputare frasi maleducate, cosa che aveva fatto spesso in quelle due semplici notti con Avannah.
“Sbaglio e stai facendo tutto ancora di nascosto!?”
Fu quel tono di voce più calmo del solito a risvegliarla dal suo momento di torpore.
Annuì lentamente dedicandosi ad osservare il pavimento di legno marcio, stringendo le ginocchia al petto.
“Hai detto che tua madre non voleva…è morta?” le chiese lui, voltando il capo per poterla vedere.
“No…anche se mio padre dice di si! Mi ha raccontato che partimmo la settimana stessa della sua morte, dopo averla onorevolmente sepolta!” parlò come se stesse ricordando una vecchia filastrocca.
“Ho sentito così tante volte quelle parole..” spiegò tristemente.
“Quel cane mente anche a sua figlia…non dovrei aspettarmi altro da uno come lui!” per un attimo la voce di lui tornò cupa e dura come la notte prima.
“In fondo non è un cattivo uomo…semplicemente ama questo mondo forse molto di più di quello che amava mia madre! Ciò non gli ha impedito di portarmi con lui però..” ammise. Era la prima volta che ammetteva quei pensieri che le balenavano in testa da molto. Aveva sempre raccontato agli estranei e a sé stessa che in realtà proprio l’amore per la moglie l’aveva portato a riprendere quell’attività, per poter mantenere la figlia meglio di prima. Eppure si stupì di come quella nuova tesi fosse uscita dalle sue labbra con ovvietà, come una verità indiscutibile.

Fece per ribattere lui, ma si fermò.
Cosa lo portava ad essere gentile con quell’umana?
Era vissuto da sempre in solitudine lassù, in quel cielo immenso e semplicemente sempre uguale.
Non aveva mai nemmeno pensato di avvicinarsi al suolo, gli piaceva solo vederlo e colpirlo quando poteva, con i suoi fulmini potenti. Preferiva di gran lunga il silenzio alle chiacchiere rumorose che quei mortali producevano. Ma, ora se ne rendeva lentamente conto, non si era mai nemmeno fermato un attimo per capire se le loro parole avessero un senso.
Forse, nel mondo, avrebbe scoperto che c’erano altre ragazze, altri uomini o donne, altre persone insomma, in grado di provare un sentimento simile a quello che provava lui.
Ma cosa provava lui?
Dolore..
Paura..
Vuoto..
E rabbia.
Una rabbia intensa, di quelle che nessun mortale potrà mai provare. Una rabbia frutto di secoli e secoli di ripensamenti e di perdite.
Gli uomini si erano mai fermati ad ascoltare quelli come lui? La risposta gli rimbombò in testa come fosse ovvia: no!
Allora perché avrebbe dovuto farlo lui?
Ma la bella ragazza dai lunghi capelli rossi al suo fianco per un attimo gli diede un’altra risposta, una più semplice e per questo più difficile da accettare: avrebbe dovuto prima conoscere le differenze di quel loro mondo, e poi scegliere quale parte era pericolosa o semplicemente malvagia, e quale invece meritava la sua benevolenza.
Emise un leggero sospiro, riprendendo a respirare regolarmente, come facevano quegli uomini. Lui in fondo non aveva bisogno di respirare, era più che altro diventata un’abitudine con gli anni.
In un momento di ira aveva stretto i pugni, cercando anche di svincolarsi dalla stretta di quell’argento freddo. Ma fu lo sguardo scongiurante di lei a calmarlo. Voleva solo non facesse rumore per non attirare qualcuno. Non aveva avuto paura di lui nemmeno in un singolo attimo.
“Che strana ragazzina” aveva pensato vedendola in quella camicia da notte nera. Per un attimo ne era rimasto abbagliato: i suoi capelli ricordavano tanto quelli di suo padre, nel loro rosso fuoco. Eppure, bagnati, gli mettevano un tristezza immane: il fuoco, all’acqua, si spegne.
E in fondo, era esattamente quello che successe a suo padre. Gli uomini padroneggiarono le fiamme, le domarono, furono in grado di crearle loro stessi e a quel punto si liberarono dell’unico che avrebbe potuto toglierle loro.
E poi aveva scorto il suo sguardo. Esprimeva una determinazione che lui aveva provato poche volte nella sua lunga vita. Aveva come sentito una scossa e istintivamente aveva prestato la sua attenzione altrove.
Ora la sentiva tremare al suo fianco. Per un attimo aveva pure pensato di usarla. Incantarla magari, farla impazzire per lui e poi ricattare quel vecchio bastardo in cambio della libertà. Ma quello strano proposito era sparito velocemente dalla sua mente, così com’era venuto.
Si concentrò un poco, emettendo una luce più forte dal suo corpo. Da sempre aveva saputo brillare come le stelle, emettendo un leggero calore.
Lei lo fissò, abbozzando un sorriso di ringraziamento, e poi chiuse gli occhi rilassandosi.
“Il mio primo ricordo è proprio a bordo di questa nave..” iniziò lei cauta. “Ero vicino al timone, nella parte alta del ponte e guardavo la costa poco sotto di noi. Riuscivo solo a scorgere una scogliera alta, che mi sembrava di conoscere bene! E in cima a quel dirupo sul mare, proprio nel punto più alto, ci stava una donna…così bella… portava una lunga coda alta per raccogliere i capelli lisci, e indossava un abito scuro, credo di un blu mare… era mia madre!” disse a bassa voce, mantenendo le palpebre serrate come a voler rivivere quel momento.
“Sono passati anni…forse fu semplicemente una visione…”ammise poco dopo, non convinta però dell’ultima affermazione.
“Per questo credo non fosse morta quando salpammo! Inoltre…mio padre provò per molto tempo a istruirmi ad arte, per diventare un giorno come lui, ma credo di averlo deluso! Ora si limita a spiegarmi solo ciò che gli chiedo di tanto in tanto…”
Parlò ancora molto, raccontando di come aveva trascorso quegli anni da sola, di come aveva imparato tutto sulle donne e sugli uomini dai vecchi tatuaggi degli uomini della ciurma. Suonava il piano, leggeva libri impegnativi, amava raccontare favole… e tante altre cose.
“Credi davvero che a me importi di queste cose?” le chiese lui a un certo punto. Lei si zittì, incapace di trovare una risposta.
“Mi stai stancando…” sbuffò di nuovo, incapace come sempre di dire qualcosa di gentile. Nessuno del resto gli aveva mai insegnato come farlo.
“Mi dispiace!” rispose lei.
“Non ti dispiacere…se lo fai ti rovinerai e basta!” ribattè il ragazzo.
“Affatto.. dispiacersi per qualcosa è ciò che rende umani!” e si tappò la bocca con le esili mani, rendendosi conto che forse era proprio per questo che lui la pensava così…non era umano!
“Esattamente! Ora puoi anche chiudere quella bocca!” ma appena dopo qualche minuto quel silenzio, in cui tanto era vissuto, lo stava soffocando, azzannando pezzo per pezzo.
“Sei ancora qui?” le chiese, più per poter sentire di nuovo la sua voce emettere un suono o per vedere quelle labbra fini muoversi velocemente.
“Non mi hai detto che doveva andarmene!”
“Era sottinteso!”
“In ogni caso non posso…se esco ora, rischio di essere vista!”
“Rischi anche se esce fra un’ora!”
“Già…ma fra due no!” rispose sicura Avannah muovendo svogliatamente la mano per contare qualcosa.
“Perché fra due no?” chiese curioso lui.
“Ora c’è il cambio della vedetta: mastro Flinn va a dormire e passa il turno al signor Gibbs che, generalmente, ci mette due orette buone per prendere sonno!” spiegò lei. “Ciò significa che starò qui circa altre tre ore, per sicurezza!”
“Conosci bene tutti è?”
“Sono la mia famiglia…tu conosci la tua famiglia bene, no? Per me è lo stesso!”
E lui non aggiunse altro. Avrebbe voluto raccontarle qualcosa di sé, per ricambiare tutte quelle cose che lei gli aveva raccontato, ma apprese di non saperne molto della sua vera casa. Ricordava vagamente suo padre, qualche suo fratello, sua madre.. e la sua storia era stata così crudele che l’aveva semplicemente dimenticata.
 “Sowil….” Disse ad un tratto, spostando lo sguardo dovunque, ma non verso di lei.
“Sowil..” sentì ripetere. “Cos’è?”
“Il mio nome, quello che mia madre scelse per me! Significa Sole nella vostra lingua…” prese un respiro profondo “Però anche Raiden non è sbagliato.. un vostro popolo mi chiama così, col nome del fulmine!”
“Hai figli?” gli chiese dal nulla. Lui si mosse appena, preso in contro piede. Mai nessuno gli aveva rivolto quella domanda tanto strana.
“Dovrei averne?” rispose serio.
“Ho capito sai? So che non hai all’incirca vent’anni come ne dimostri… il vecchio Cook mi ha parlato di spiriti creati all’inizio dei tempi…probabilmente tu sei uno di quelli! Allora ho pensato che dopo così tanto tempo tu avessi trovato qualcuno con cui passare la vita..” chiarì Avannah con ovvietà.
“La vita la si vive meglio da soli!”
“Forse… se non si vive per sempre però! Deve essere così stancante lassù da solo…parli mai con qualcuno?”
“Ti assicuro che le conversazioni avute con te mi hanno rifatto di un’intera esistenza nel silenzio!”  sbottò.
“Non sei cattivo!” disse lei, sorridendogli.
“Forse si, forse no!”.
“Io credo che tu ti difenda da qualcosa!” e allungò le gambe in avanti, sgranchendosi un poco le ossa, ormai abbastanza calda.
“Nessuno può competere con me, ergo…io non mi difendo da nulla!”
“Non è esatto…se nessuno potesse competere non saresti qui, proprio ora, ad ascoltare le mie domande che ti fanno innervosire!” lo sguardo sincero che lei gli rivolse bastò per fargli capire che aveva perso.
“Allora? Hai figli?” continuò.
“NO!” quasi urlò lui stancamente.
“Moglie?”
“Noi non celebriamo matrimoni..”
“Una compagna allora!”
“No…non mi è mai interessato molto!”
Si aspettava un’altra domanda a cui rispondere con astio, quel gioco lo divertiva, ma invece sentì solo il suono di qualche topo che rosicchiava.
“Tu hai un fidanzato?” che strano…aveva invertito i ruoli.
La vide seria, immobile accanto a lui, con gli occhi socchiusi.
“No, ma credo che non tarderà ad arrivare..” ammise.
“E’ un bene! Inizi ad essere grande…ho visto molte volte donne come te che temono di restare zitelle per sempre!”
Lei rise, sinceramente divertita.
“Spii le femmine umane?” gli chiese senza smettere di ridere.
Lui corrucciò la fronte, indignato, e rimase in un rigido silenzio.
“Credo che mio padre ti voglia vendere a un contrabbandiere!” riprese lei tristemente.
Perché quella ragazzine faceva quell’espressione dispiaciuta? Che le importava di un essere maledetto conosciuto poche ore prima.
“Ovvio.. i normali mercanti non saprebbero chi sono e non lo pagherebbero abbastanza, credendomi solo uno schiavo vittima della fantasia di un vecchio! Le streghe…”
“Questo ti fa guadagnare circa due settimane ancora..” lo interruppe, non volendo affatto risentire quella storia macabra.
“Altri 14 giorni con te?” sbuffò lui, emettendo però una luce stranamente più intensa di quella emessa fino ad allora.
“Brilli!” sembrò averlo realizzato solo ora lei.
“Sono il dio dei fulmini no? È quello che faccio…brillo, anzi, generalmente emetto come un’esplosione rumorosa che provoca una luce accecante! Ma so anche controllarmi all’occorrenza!”


E i giorni passarono. Lei apprese così tante cose da lui, nelle notti in cui gli sedeva accanto, parlando a bassa voce e facendogli domante insolite, tanto per conoscerlo meglio.
Gli aveva raccontato di come suo padre gli avesse presentato un certo Signor Williams, un giovine riservato in cerca di moglie, che possedeva diverse terre e molte ricchezze. Gli descrisse i suoi modi, le parole di suo padre, l’abito che aveva indossato, il modo bizzarro con cui quell’uomo storceva il naso con disgusto di fronte a tutto.
Lui apprese cosa volesse dire trovare divertimento da delle semplici parole. Iniziò a parlare senza bisogno di essere interrogato continuamente. Ricordò persino il volto di suo padre, di sua madre…
Le spiegò del patto stipulato con l’uomo, del tradimento di quest’ultimo, della morte del Dio del Fuoco, e di come creare qualcosa che nocesse gli umani fosse l’unica via per vendicarsi.
Spiegò di come molti dei suoi fratelli fossero stati catturati come lui, ceduti al mercato nero e le loro carni e il loro sangue venduti, poiché fonte di eterna giovinezza.
Lei lo fissava silenziosa e allarmata quando lui gli raccontava quelle cose e, nella sua mente, prendeva in considerazione ogni modo per liberarlo.
Iniziò a chiamarla per nome, trovando incredibilmente familiare e dolce poterlo pronunciare.
Lei si divertiva a chiamarlo in modi sempre diversi, a seconda dei popoli di cui parlava.
In poco tempo entrambi conobbero ciò che nessuno avrebbe mai immaginato…
“Hai un sogno?” gli chiese una di quelle notti Sowil.
“Non proprio…vorrei solo poter essere libera di andare ovunque voglia, raccontare le mie storie, magari rivedere quei volti incontrati…col tempo svaniscono sempre…” gli rispose.
“Per girare il mondo ci vogliono anni! Saresti già decrepita prima della fine!”
“Allora mi farebbe comodo un po’ la tua immortalità..” rise appena, appoggiando la testa contro la parete e guardandolo di sott’occhio.
“Non so quale delle due sia peggio.. se la sorveglianza di tuo padre o quella che tu chiami mia libertà
“Mio padre dice sempre che viviamo in un mondo in cui possiamo ottenere tutto, in un modo o nell’altro, a volte anche a un prezzo ragionevole. Io credo che ognuno ha i mezzi per realizzare il sogno di qualcun altro e mai il proprio! Questo rende patetico il continuo tentativo umano di andare avanti..” Avannah parlò piano, come se stesse confessando qualcosa di immorale.
 “Ogni cosa ha un prezzo, anche la tua felicità. Il tutto sta nel saper contrattare!” disse lui con aria solenne.
In tutta risposta lei rise.
“Ragion per cui io vivrò così per sempre! Non ho nulla da barattare…” esclamò più divertita che altro.
Lui spostò appena lo sguardo su di lei con aria pensierosa, ma non disse nulla.

Ma tutto ha un inizio e una fine..
Fu quella notte, quella prima del quattordicesimo giorno, quando lui scoprì anche cosa fossero le lacrime, che si rese conto dell’ironia sottile e terribile che accompagna ogni essere vivente.
Era scesa silenziosa, a piedi scalzi, come sempre. Si era seduta senza però salutarlo, aveva appoggiato sopra le gambe la solita coperta sporca ed era rimasta ad osservare quel pezzo di cielo notturno che si intravedeva da un piccolo finestrino dall’altra parte della stanza.
Lui non le aveva detto niente, non sapeva cosa dirle in realtà.
“Mio padre mi ha detto che quel Williams ci aspetterà fra tre giorni di nuovo a Malhory!”
aveva preso un respiro profondo e gli aveva detto quelle parole. Semplici e normali, eppure così dolorose. Se lo aspettava. Erano cose che in tutti quegli anni di vita lui aveva già visto e rivisto milioni di volte. Un incontro combinato, un secondo incontro voluto da uno dei due e infine il matrimonio. Cosa c’era di strano?
Lui avrebbe dovuto affrontare tutto quello con indifferenza, con normalità. Avrebbe forse dovuto essere felice per lei oppure doveva solo consolarla, dire qualcosa come “Prima o poi ti piacerà, ti affezionerai, vedrai!” perché era così che andava sempre.
Ma chi avrebbe consolato lui? Chi gli avrebbe detto: “La dimenticherai?”. Chi gli avrebbe impedito di spiarla giorno e notte, ed essere geloso, rabbrividire di rabbia nuova durante la loro prima notte?
Nessuno…
Lei non ci sarebbe più stata…
Forse era un bene che sarebbe morto a breve.
“Bene.. almeno parlerai con qualcuno a cui farà piacere sentirti!” come sempre, però, aveva saputo essere scontroso.
“Mi sposerà vero?” gli chiese lei, sapendo che lui era l’unico in grado di saperlo.
“Io non so nulla di queste cose!”
“Ma le hai viste altre volte..” il suo tono era una supplica.
“Avannah..” ma il modo in cui pronunciò quel nome era troppo dolce, troppo gentile, troppo tutto.
“Avannah..” tentò di pronuncialo con durezza, asprezza. Inutile. Era come se non riuscisse mai a suonare cattivo, nemmeno in bocca sua.
“Cosa?” chiese lei sentendosi chiamare così spesso.
“Ti piacerà, prima o poi..”
“Accade sempre così?” che domanda complicata.
“Quasi sempre..” ammise.
“Mio padre mi teneva con sé per poter trovare un matrimonio vantaggioso… le mie favole mi hanno sempre accecata!”
E la vide all’ora, quella piccola lacrima salata,scivolare lenta da quell’occhio socchiuso. Scese più veloce sulla guancia, poi indugiò appena sul suo mento.
Aveva visto persone e persone piangere, per i motivi più disparati. Ma solo quella lacrima, quella precisa goccia, l’aveva ipnotizzato.
Tese una mano verso di lei, per poterla toccare. Avrebbe dato ogni cosa per poterlo fare.
Ma lei non lo notò.
“Vorrei essere innamorata di lui, lo vorrei davvero.. ma non posso!”
“Poco importa quello in un matrimonio!”
Ma sapeva che a lei invece interessava eccome. Ormai aveva compreso che quella sua ingenuità era l’unica ragione che la teneva ancora in piedi.
E lei era l’unica ad aver accettato le sue parole sempre dette con una punta di disprezzo.
Era diventato il suo confidente in un certo senso. Visti insieme potevano anche sembrare un quadretto comico eppure…
Lui la desiderava da impazzire. Le si era affezionato. Il desiderio che provava per lei era immorale, impuro, riprovevole.
Lui era un semplice prigioniero, uno schiavo, un mostro…un demone maledetto.
Lei una giovane in fiore, bella come il Sole, aveva quella vitalità che lui aveva perso con gli anni. Possedeva la fantasia di credere in un mondo migliore, che lui non aveva mai nemmeno sperato di vedere. Il suo sorriso sapeva illuminare quella stiva molto più che la sua luce corporea. Il tono della sua voce sapeva riscaldare l’ambiente più del calore che emanava lui.
Avannah era tutto in più di lui.
“Ci si può innamorare di un fulmine?” chiese lei ad un certo punto.
“E’ mai successo?” incalzò.
“Come potrebbe?!” Pronunciò duro lui.
“Non c’è mai stato nessun fulmine catturato, tenuto prigioniero e curato da un ragazza infantile, in tutta la storia del mondo?” chiese di nuovo.
“Mai!”
“Fino ad ora..”
Come poteva provare quel fuoco dentro?
Cosa era quella felicità mai sentita?
Lei gliela stava facendo provare?
Maledetta Avannah … maledetta umana….maledetta ragazzina…maledetta…
Perché gli faceva provare quelle cose, perché proprio ora che aveva finito di vivere?
Sowil chiuse gli occhi, cercando di mantenere il controllo di sé. La sentì muoversi e poi percepì un tocco sulla sua mano incatenata…lei gliela stava stringendo nella sua con naturalezza.
 “C’è mai stato un fulmine innamorato di un’umana?” chiese lui.
“Mai!”
“Fino ad ora..”
E lei lo baciò. Accarezzò quei capelli morbidi, sfiorò quelle labbra calde che risposero alle sue intensamente. Lo baciò e lo strinse a sé.

Quando si risvegliò era ancora appoggiata al suo torace caldo. Aprì le palpebre con calma, temendo di vedere tutto sparire.
“E’ l’alba! Dovresti andare!” le disse lui, con quella sua voce leggermente infastidita di sempre.
“Tra due minuti!” sussurrò lei inspirando profondamente il suo profumo.
“Ora…stanno arrivando!” disse imperativo lui. “Nasconditi dietro a quei sacchi, svelta!”
“Ma come…Neor…nel pomeriggio..” farfugliò sentendo passi familiari sopra di loro.
“Hanno accelerato i motori di notte…” spiegò cauto, fissandola tranquillo. “Arrivare nel pomeriggio sarebbe stato pericoloso e poi… tu a quest’ora dovresti dormire!”
“Così non ti avrei visto..” lui annuì in risposta, spingendola appena col corpo verso il nascondiglio designato.
Avannah afferrò le sue cose velocemente, correndo appena e sistemandosi dietro a un grosso scaffale, cercando di calmare il fiatone che le era venuto.
“Sowil…” si sentì chiamare lui, ma non rispose, non ce n’era bisogno.
“Io sono innamorata di te!” ammise Avannah lentamente, posando una mano sul suo petto, all’altezza del cuore, sentendolo battere forse.
“Calma i battiti Avannah!” la rimbeccò lui e poi…il silenzio.
Lo vide trascinato via.
Seguì la macabra processione il più possibile attraverso le finestre della stiva.
Rivide i suoi occhi color del ghiaccio rivolti alla ciurma e poi, nel momento in cui spostò lo sguardo verso la nave e scorse lei, divennero grigi, metallo fuso.
Salì sul ponte, con la semplice camicia da notte leggermente sporca e i suoi piccoli piedi freddi.
Il dottore, unico rimasto a bordo, non sembrò sorpreso di vederla in quello stato, e lei non fece domande né diede spiegazioni.
Semplicemente lasciò che le si avvicinasse e provasse a darle forza stringendole la mano.
Lei osservò in silenzio quel contatto, ricordando che fino a poche ore prima quella stessa mano stringeva nella sua il corpo perfetto del suo angelo personale.
Ora…era solo un arto vuoto.
Urlò, rivolta al cielo, al mare, alla terra… a tutto! Urlò soltanto, incapace di fare altro.

Sono passati 150 anni da quella tiepida mattina…
Volete sapere come si conclude questa storia? Ve lo dirò…
Sowil venne venduto al contrabbandiere, come stabilito, e in pochi giorni  una strana, vecchia donna lo acquistò ad un bel prezzo.
La sua vita si spense lentamente, giorno dopo giorno, per permettere ad un’altra di rifiorire, cosa che però non avvenne.
Il contrabbandiere fu quindi punito per imbroglio e, come in una catena di sangue, egli stesso si vendicò sul padre della giovane Avannah, uccidendolo brutalmente in una notte tranquilla. Ma questo avvenne mesi e mesi dopo, quando ormai per Sowil non vi era più alcuna speranza.
Avannah fu anch’essa “venduta”, in modo forse più legale. Quel tale, Williams, la sposò nei primi di Dicembre di quell’anno. A dispetto delle apparenze fu per lei un marito gentile e fedele. Il sentimento che provò per lei durante tutta la sua vita fu sincero, anche se non ripagato. Perdonò ogni suo capriccio, lasciandole anche gestite la sua villa sulle coste del mar di Sanh.
Ma, per quanto il tempo passasse, lei restava bella e giovane in modo innaturale.
Ancor oggi… si racconta di una bellissima donna che viaggia sola per tutto il mondo e racconta la sua vita, tornando anno dopo anno negli stessi posti per aggiungere particolari alle sue avventure e, ogni tanto, lascia anche un bel lieto fine.
La si descrive come sempre attorniata da gente quanto sola, come silenziosa quanto dalla voce mielosa, come sorridente quanto triste.
Nessuno sa come viva, soprattutto come riesca a farlo per sempre, e nessuno è mai riuscito a vederla arrivare o partire, semplicemente se la ritrovano seduta sotto un albero e i bambini vengono attratti come mosche al miele.
Se mi chiedete un giudizio, vi dirò che la sua figura misteriosa mette una profonda sensazione di malinconia, soprattutto nelle notti fredde, in attesa dello scatenarsi di un temporale, quando le vecchie case dei villaggi chiudono le imposte e i fumi dei camini si fanno più densi.
Lei resta là, in piedi, rivolta verso il mare, anche se da lì non lo si vede, e, alzando il volto alle nubi scure e assaporando l’acqua dolce cadere dal cielo, urla sempre la stessa, insolita parola. Un nome…

Sowil la osservò dormire stretta a sé. Soffiò appena su una sua ciocca di capelli che le copriva il volto, disturbando la visuale perfetta che aveva della ragazza. Sorrise, per la prima volta nei suoi millenni di vita, sorrise…in modo naturale, dolcemente.
Capì che qualcosa era cambiato, il vento era più violento contro le pareti della nave, i motori facevano più rumore del solito…avevano accelerato.
E capì che forse non avrebbe avuto molto tempo ancora da passare con lei. Probabilmente sarebbero state poche ore ancora.
Sentì qualcosa di umido percorrere il suo volto e poi cadere proprio sopra i capelli mossi di lei.
La sua prima lacrima…
Fu a quel punto che, guardando il  piccolo squarcio di cielo dalla finestrella, strinse il suo patto.
Con le stesse stelle con cui aveva giocato tante volte… Giurò che avrebbe rinunciato alla sua immortalità, alla sua vita, alla sua anima… giurò tutto quello che aveva e, in cambio, chiese solo la realizzazione del sogno di Avannah! Ogni cosa per lei… solo per lei.

Nessun desiderio umano verrà mai a costare tanto.



Nota: Dunque per me è stato ungrande piacere scrivere questa storia e sapere che è stata apprezzata, spero non solo da una persona in ogni caso...
non c'è poi molto da dire, riporto qui il giudizio della gentilissima giudice Eliezer... grazie ancora anche a chi perderà qualche minuto lasciandomi un commento sulla storia! ben accetti tutti i giudizi...


5. meli_mao – Ci si può innamorare di un fulmine?
Lessico ed ortografia_7.8/10
Correttezza grammaticale_8/10
Originalità_15/15
Caratterizzazione dei personaggi_9 /10
Sviluppo della vicenda_10/10
Attinenza alla trama_14/15
Giudizio personale_4/5
Totale_60/75

Guarda, la trama è stupenda *-* Infatti puoi vedere dal giudizio personale, che mi è piaciuta :)
Originalità, sviluppo della vicenda: punteggio pieno. Poi c’è la caratterizzazione dei personaggi, dove non hai avuto proprio il massimo, solo perché io, leggendo molti fantasy, sono abituata ad avere più parametri per scoprire e studiare un personaggio. L’unica cosa che devi migliorare non è la grammatica in sé, ma la rilettura dopo aver scritto. Ci sono alcuni palesi errori di battitura, ed altri di grammatica anche sciocchi, dovuti a distrazione :) Non è un problema, si può sempre recuperare in poco, anche perché alcune parole che in genere vengono sbagliate (come accelerare), le hai scritte bene. Non c’è da preoccuparsi, quindi :°D
Beh, io non ho nient’altro da dirti, anche perché la storia è mi piaciuta molto, sarebbe una buona bozza per un romanzo. E, perché no, potresti anche inviarlo ad una casa editrice!
In bocca al lupo, e grazie! <3
Alla prossima :)






















   
 
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