Ciao
a tutti! Spero che la mia storia vi stia piacendo… scusate
il
lungo periodo senza aggiornamenti, ma gli esami incombevano!
Vi
incito ancora e sempre a recensire e commentare, e a farmi
sapere che cosa ne pensiate J
è vitale per il
mio lavoro sapere che impressioni vi dia il mio stile di scrittura,
perciò vi
esorto a lasciarmi qualche commento sia che la storia vi piaccia sia (E
SOPRATTUTTO!!!) che non vi piaccia!
Saluti
a tutti e grazie!
Clive
Danbrough
«Pensi
che qualcuno abbia già chiamato i pompieri?»
«Può
darsi, mi sembra di vedere delle luci
lampeggianti che vengono da Brook Park...»
Jake non
riesce a distogliere lo sguardo
dall’inquietante spettacolo che ha preso vita a poche
centinaia di metri dalla
sua finestra. Scruta le fiamme che divampano all’interno del
recinto,
alimentate dal carburante che è fuoriuscito dalla vettura
danneggiata, ridotta
a uno scheletro di lamiera completamente invaso dal fuoco. La macchina,
dopo
esser uscita di strada ed essersi ribaltata, si è scontrata
contro il muro di
pali appuntiti che da mesi erano accatastati nella piccola discarica.
Chiunque
la stesse guidando, ora è ridotto a un cumulo di cenere.
Nessuno può sopravvivere
a un incidente del genere. Forse l’autista era ubriaco,
oppure è stato un colpo
di sonno, o chissà che altro. Sono questi i pensieri che
affollano la mente di
Jake al momento. A malapena si ricorda di essere ancora al telefono con
la
fidanzata.
«Jake!
Sei ancora lì? È successo
qualcos’altro?» lo
richiama Allie.
«No.
Ascolta, è tutto molto confuso... ci vediamo
tra un’ora davanti alla scuola?»
Allie esita.
Non sa se accettare o precipitarsi
fuori casa e correre sul luogo dell’accaduto. Alla fine,
propende per la prima
possibilità. Tra circa due ore, la scuola aprirà
e una marea di studenti si
riverseranno nei suoi corridoi, portando con sé una valanga
di informazioni,
voci, notizie e chissà che altro. In mezzo a
quell’oceano di parole, non sarà
facile discernere la realtà dei fatti dalle invenzioni delle
menti più fantasiose,
ma ciò che è certo è che
verrà delineato un quadro generale dell’accaduto
sufficientemente
completo. Inoltre, Allie non è sicura di poter rimanere
impassibile alla visione
di un cadavere carbonizzato.
«D’accordo.
Alla Hedwood tra un’ora. A dopo».
Allie preme
un tasto sul cellulare e pone fine alla
chiamata. Sente dei rumori nella camera accanto: il boato non
è passato
inosservato neppure ai suoi genitori. Apre l’armadio, fruga
per diversi minuti
in mezzo al cumulo di indumenti stipati al suo interno ed estrae un
paio di
jeans scuri e una felpa nera. Li indossa rapidamente e scende al
pianerottolo.
Mette ad abbrustolire due fette di pane e prepara del caffè.
Tra non molto
Albert e Rose Weberly scenderanno dabbasso per fare colazione, e con
una certa
sorpresa troveranno la loro figlia in piedi, intenta a tostare il pane
e a
friggere delle uova. Un evento simile non succedeva dai tempi delle
medie,
quando Allie ancora non si era incamminata sul bizzarro e tortuoso
sentiero
dell’adolescenza, lungo il quale aveva incrociato il piacere
della trasgressione.
Un rumore di
passi pesanti fa capolino dalle scale.
Con tutta probabilità, si tratta del papà di
Allie. La ragazza spegne la fiamma
e si precipita in bagno, ansiosa di evitare i commenti e le battute
mattutine
di Albert Weberly, che sono le uniche peggiori di quelle che propina
alla
famiglia durante il resto della giornata.
Davanti allo
specchio, Allie si lava la faccia e si
pettina. In poco tempo, lo specchio riflette l’immagine di
una bella ragazza di
diciassette anni, dagli occhi chiari e intriganti, con capelli scuri e
lisci,
tagliati corti. La pelle delicata e pallida, i lineamenti aggraziati e
decisi,
le labbra carnose difficilmente le permettono di passare inosservata.
Quando
ritorna in cucina, trova seduti al tavolo i
suoi genitori. C’è un posto vuoto davanti a un
piatto con del pane tostato,
prosciutto e uova fritte. Un buongiorno riecheggia nella stanza,
praticamente
gridato dalla voce di suo padre. Per chissà quali motivi,
è sempre di
buonumore. Allie si siede e ricambia il saluto, seppur con convinzione
molto
minore. Ritiene strano che nessuno in quella casa fuorché
lei si sia accorto
del boato che ha destato di soprassalto mezza Nember.
«Papà,
non hai sentito niente?» si decide infine a
domandare.
«Che
cosa avrei dovuto sentire, tesoro?» risponde
Albert, addentando una fetta di pane tostato con prosciutto.
«C’è
stato un incidente poco fa! Una macchina è
esplosa a meno di due miglia da qui. Possibile che tu non abbia sentito
lo
scoppio?»
«Una
macchina esplosa, hai detto?» esclama Albert,
mentre il suo volto assume finalmente un’espressione
decisamente seria.
«Accidenti, non immaginavo questo. Certo che ho sentito quel
rumore, ma non
pensavo si trattasse... ci sono feriti?»
«Non
lo so con certezza. Spero di saperne di più a
scuola. Tuttavia... credo che qualcuno ci sia rimasto secco».
«Dici
davvero?» domanda Albert, aggrottando la
fronte.
Non
c’è una gran somiglianza tra Allie e suo
papà,
né fisica né tanto meno caratteriale. Albert
Weberly è un uomo alto e paffuto,
con radi capelli biondicci accuratamente pettinati sulla testa ormai
calva. Ha
gli occhi azzurri, un viso bonario, ha molta pazienza e vede il buono
dappertutto. Fa l’impiegato in banca, e non potrebbe essere
più diverso dalla
figlia, che ha un carattere più schivo e ombroso.
È una persona sicuramente
molto ottimista, un omaccione simpatico che sorride alla vita,
qualunque cosa
essa possa riservare. Per questo a Allie fa un strano effetto vedere
quel
faccione di norma sorridente contratto in una smorfia di preoccupazione.
Appoggiate su
una sedia lì accanto, ci sono una
ventiquattrore perfettamente lucidata e una giacca blu scuro ripulita e
ordinata, riflesso della pace che domina il cuore di
quest’uomo. Al piano di
sopra, abbandonato a sé stesso in un angolo di una
disordinatissima camera da letto,
lo zaino di Allie è coperto da un giubbotto di jeans,
gettato lì sopra il
giorno prima al ritorno da scuola. La sregolatezza è una
componente imprescindibile
della vita di Allie, componente che si nutre di caos e musica a tutto
volume
propagata dalle cuffie di un impianto stereo che Jake le ha regalato
due mesi
fa per il compleanno.
Si alza da
tavola, il rito della colazione con papà
è ormai terminato. S’incammina verso la propria
camera, quando una voce la
richiama improvvisamente.
«Allie!»
grida. «Vuoi che oggi venga a prenderti io
a scuola?»
Senza farsi
vedere, Allie sorride. È il tipico
atteggiamento che suo padre assume ogniqualvolta accade qualcosa di
spiacevole
nel raggio di cinquecento miglia quadrate: senza rendersene conto,
chiede alla
figlia se desidera un passaggio a casa dopo la fine delle lezioni.
«Grazie,
ma preferisco tornare col bus. Ci vediamo
stasera, papà».