Questa fiction partecipa a
“A
year togheter” del Collection of
Starlight.
4 Febbraio
~
65. Lei non diceva mai mezze verità
La bianca schiena incurvata sembrava ancora più sottile
nella penombra della
stanza.
Janis si allungò sotto le lenzuola leggere, socchiudendo gli
occhi «Ehi, sei
già sveglia?» Chiese, mentre Mia aspirava una
boccata della sottile paglia alla
cannella fregata a Brian.
«Che ore sono?» Domandò ancora, cercando
la sveglia che, di solito, torreggiava
accanto al loro letto a castello e che ora – invece
– se ne stava seppellita da
un maglione sul pavimento chiaro.
Janis sospirò, ributtandosi sul cuscino spiegazzato: tanto
probabilmente non
avrebbe funzionato comunque: aveva fatto tanti di quei voli che era
già una
fortuna trovarle le lancette attaccate.
«Sono le dieci…» rispose d’un
tratto Mia, mentre si scostava la chioma bionda
su una spalla.
Janis annuì, anche se l’altra non poteva vederla,
e sbadigliò «Stanotte siamo
di turno?»
Mia prese il portacenere traboccante e vi premette la cicca consumata,
con un
sospiro «Tu no» disse solo, mentre scivolava fuori
dalle coperte e si muoveva a
piedi nudi per la stanza.
Janis la osservò: indossava la larga maglia bianca di Brian,
che – nonostante
lei non fosse bassa - le arrivava alle ginocchia, lasciando cadere le
maniche
dalle spalle ossute; sembrava ancora più magra e la pelle
lattea riluceva nella
semioscurità, risaltata anche dalla lunga chioma bionda.
Come un fantasma.
«Tra poco dovrò vestirmi, che rottura di
palle» grugnì poi, prendendo del latte
e lasciandosi cadere mollemente sulla sedia rossa, avvicinando un
ginocchio al
petto.
Janis annuì, sdraiandosi sulla schiena e ispirando: sentiva
ancora il suo
profumo addosso, come una sensazione lenta a sparire; Mia non usava
profumi,
eppure quello era l’inconfondibile odore della sua pelle
– forte ma instabile.
Lei era instabile, ed incostante; bella e dolorosa
da farle male.
«Sicura che non vi serva una mano?»
Provò, tanto per fare; figurati se avrebbe
mai ammesso di aver bisogno di aiuto.
Mia le lanciò un’occhiata sardonica, poi
ghignò «No, ti conviene riposare,
sembri stanca…»
Janis si lasciò ricadere con uno sbuffo seccato
«Non c’è mica bisogno di fare
quella faccia, era tanto per essere gentile!»
Sbottò, allungando le braccia
sottili sulla testa scarmigliata.
Sentiva tutte le ossa indolenzite, merito senza dubbio della sua
viper
che ora si stava infilando la maglia scura della divisa sulla quale
campeggiava
proprio la scritta ‘Viper’ in maiuscolo rosso.
«Sei dimagrita ancora» notò, mentre Mia
indossava un paio di jeans sgualciti.
«E da quando è un problema?»
«Forse stai esagerando» ribatté Janis,
alzando gli occhi al cielo quando
l’altra sbuffò. «Ok, che hai?»
Fece, mettendosi a sedere.
Mia ghignò – ma del suo ghigno, quello che usava
per difendersi dagli estranei
che entravano nel suo mondo.
«Io non ho proprio niente» replicò
tranquilla, pescando una sigaretta normale
da una tasca strappata della giacca di jeans.
Janis si zittì per qualche secondo – mordendosi la
lingua; non funzionava così,
lo sapeva. Il loro rapporto non doveva diventare
una scusa per scappare,
non di nuovo. Si era ripromessa che, se mai avesse accettato quella
cosa,
avrebbe cercato di non essere la solita ragazzina pedante e opprimente,
che
avrebbe accettato quel suo carattere impetuoso senza limitazioni, che
non
avrebbe mai e poi mai reclamato la sua possessività.
Tuttavia non era facile
stare con lei, se n’era resa conto. Mia era protettiva,
alcuni giorni diventava
scorbutica e acida, poi la distanziava, innalzandole un muro di
silenzio che
non sapeva come abbattere; spesso, quando la cercava per stare con lei,
quando
erano a letto – semplicemente respirando in
piena libertà – s’illudeva
che con lei fosse diversa, che potesse essere l’unica con cui
diventava se
stessa, con cui scivolava via dall’illusione che si era
costruita attorno per
sopravvivere.
Poi, altre volte, si rendeva conto di essere solo una delle ragazzette
immature
e ancora incerte della propria vita, che trovavano in lei una colonna
sicura a
cui appoggiarsi e da cui farsi indicare la strada giusta.
Beh, lei si era decisamente rotta le palle.
Senza una parola, Janis scivolò giù dal letto
sformato, muovendosi
delicatamente per la stanza con una leggerezza che era tutta sua; Mia
si
fissava a guardarla pensando che era sempre così
che accadeva – lei ti
entrava dentro in punta di piedi, senza che neanche te ne rendessi
conto. E ti
restava dentro a piccole gocce insignificanti che spargevano come un
profumo
sotto la pelle che non ti toglievi più di dosso; era
delicato, tenue, a tratti
inesistente – come sempre teso a non disturbare –
eppure talmente persistente da
irritare, almeno lei.
La cosa ironica era che non si sarebbe mai stancata di guardarla semplicemente
camminare.
Ed era una cosa così stupida.
Con un ultimo rivolo di fumo sottile, il mozzicone andò a
spegnersi tra le
ceneri scure del posacenere ricolmo e Mia si alzò
«Devo scendere al lavoro, Joe
mi starà aspettando…»
Janis le rubò il posto, con in mano una ciotola del solito
gelato bianco,
annuendo «Mmh, io aspetterò Liv per uscire.
Stasera vi tradiamo per la
concorrenza, siamo al J&A’s...»
La bionda annuì, già alla porta «Ora
non ho tempo ma dovremmo parlare».
«Aha?» Fece indifferente Janis.
«Davvero?»
Mia le lanciò un’occhiata gelida «Non
prendermi in giro… comunque sì, e nel
caso tu te lo stessi chiedendo, io non dico mai stronzate»
fece e
l’altra riconobbe qualcosa nella voce che le era mancato;
Dio, se le era
mancato! Le sembrò di assaporare il gusto di quel qualcosa
sulla punta della
lingua.
«Ciao… a-a dopo» replicò
solo, mentre Mia spariva.
Quando la porta si chiuse, lasciò cadere il cucchiaio con
cui fingeva di
rimestare il gelato e serrò gli occhi.
Lei non diceva mai mezze verità, lo sapeva.
Per quanto fosse crudele una realtà, te la sbatteva in
faccia con tutta la
limpida schiettezza di cui era capace. Come un animale spinto
dall’istinto, Mia
non si lasciava trascinare da questioni sgradevoli, noiose o inutili;
otteneva
quello che voleva e quando non voleva più qualcosa, la
lasciava andare.
Janis aveva sempre invidiato quel modo di fare che avevano i tipi come
lei o
Brian, perché i loro freni inibitori sembravano decelerati
– in qualche modo –
dalla loro stessa natura; potevano essere amorali, spesso sgradevoli,
difficili
da vivere e da ascoltare, tuttavia li invidiava.
Con un sospiro trattenuto, afferrò il cellulare che vibrava Dream
on da
più di dieci minuti «Seh?»
«Che fai dormi? Guarda che sono giù ad aspettarti
da mezz’ora!» La voce di Liv
era tra il seccato e il divertito, dopotutto lei ritardava ogni volta e
in
qualsiasi situazione.
«Ahh, arrivo!»
Riuscì a raggiungere il bancone del Viper nel ritardo record
di soli dieci
minuti, sbattendo nel frattempo contro qualsiasi cliente ubriaco del
locale.
«Ohh, che anticipo mostruoso!» La accolse con un
ghignò Joe, mentre ripuliva il
ripiano in legno lucido.
«Ah-ah, dov’è Liv?»
Sbottò lei, spostandosi la frangia castana con uno sbuffo.
Joe alzò gli occhi al cielo «Prova nella
postazione di Brian, staranno ancora
discutendo su quanto faccia schifo il J&A’s...»
Janis proruppe in un gemito «Non possiamo mica passare la
vita in questo
postaccio!» Lo prese in giro con una scrollata del capo, per
poi allontanarsi.
«Ehilà, tesoro! Come va?» Proruppe
Brian, abbagliandola con il solito sorriso
sfrontato che conquistava tante ragazze, e ragazzi alcune volte.
«Starò benissimo quando usciremo a mangiare!
Andiaaaamo!» Replicò, mentre Liv
ghignava con fare davvero inquietante.
Brian si accigliò, passando lo sguardo scuro
dall’una all’altra, poi incrociò
le braccia «Ehi, voi due. Non mettetevi niente di strano in
testa!» Grugnì, ma
Janis lo fulminò con lo sguardo. «Tanto noi siamo libere»
sbottò, prima
di mollarlo a chiedersi che diavolo stesse succedendo.
Mia bevve l’ultimo sorso
della Coors, seduta sul
cassonetto sgangherato all’uscita del locale; il freddo della
bottiglia le
intirizziva le mani scoperte, entrandole dentro come una coltellata.
Starsene
lì, a turno non terminato, con il freddo addosso e il dubbio
in mentre non era
da lei; tuttavia molto di quello che era successo negli ultimi mesi non
era da
lei.
«Un penny per i tuoi pensieeri»
canticchiò Brian, andandole alle spalle.
«Non ho voglia adesso» replicò
controllata, senza nemmeno sobbalzare al suo
improvviso – e scontato –
arrivo.
Brian ghignò «Ormai non mi riesce proprio di
stupirti, eh?» Saltò sul
cassonetto al suo fianco, levandole dalle mani la bottiglia ormai vuota
che
andò a schiantarsi con un rumore secco sulla parete di
fronte. «Che succede?»
Mia scrollò le spalle, indifferente «Mi chiedevo
quanto tempo sarebbe trascorso
dal primo idiota che mi avesse fatto questa domanda».
«Credi davvero di ferirmi in questo modo?» Le
domandò il ragazzo, con un ghigno
sardonico.
La bionda li lanciò un’occhiata gelida
«Sei troppo egocentrico per farlo».
«Parole sante! Non puoi non confidarti col tuo gemello
preferito! Daaai»
cominciò lui, battendo le palpebre come per conquistarla.
Mia scrollò il capo, mentre cercava il pacchetto di
sigarette nella giacca di
jeans «La vicinanza con il gay ti fa
male…» lo provocò, aspirando una nuova
boccata.
Brian ghignò di nuovo «Oh, non ho dubbi che la
vicinanza di Joe faccia degli
strani effetti, ma vabbeh, sopporterò stoicamente anche
questo con i miei
super-poteri!» Il ghignò gli scivolò
dal viso quasi improvvisamente, quando
mugugnò «Ho visto la piccola J» fece,
riferendosi a Janis che lui vedeva troppo
spesso come una sorellina da proteggere; nello stesso istante, Mia
sospirò con
un sorriso amaro «Lo sapevo… avanti
cos’hai da criticare?»
Brian inarcò un sopracciglio «Tesoro, stai
parlando con il mago degli affari
incasinati e delle storielle da quattro soldi, ti pare che ti venga a
criticare?» Sbottò, quasi offeso, per poi
sospirare. «In realtà il fatto che se
ne vada in quel postaccio con quelle intenzioni mi fa girare i
coglioni…»
Mia aspirò l’ultima, stizzosa, boccata poi
lanciò il mozzicone «E tu che ne sai
delle sue intenzioni?»
«E ha detto di essere libera»
continuò Brian, ignorandola. Ci fu qualche
attimo di silenzio, poi Mia saltò giù dal
cassettone, chiudendosi la zip fino
alla pesante sciarpa scura «Alla fine lo è.
Può fare quello che le pare»
borbottò, girandosi verso l’entrata sul retro.
Brian scrollò il capo, poi guardo verso il cielo scuro e
limpido «Sei un
idiota, lo sai vero?»
«Ne sono allegramente consapevole!»
Replicò lei, con un ghigno per nulla
divertito.
«Andiamo, la ragazzina prova qualcosa per te e lo
sai… e non è solo attrazione
fisica, nonostante tu te la sia portata a letto…»
«Ma che cazzo ne sai tu?! Perché non cerchi invece
di capire che diavolo vuoi
dalla tua vita? Potresti partire, per esempio, dai tuoi maledetti
gusti!»
Sbottò lei, fissandolo torva.
Brian la fissò per un lungo istante «Lo sai
benissimo che ho ragione».
«Sei ancora indeciso se essere gay o meno?»
Ribatté lei, sprezzante.
Il ragazzo scese dal cassettone con uno sbuffo, poi si passò
una mano nei
lunghi capelli aggrovigliati dal vento «Lo so che diventi una
vera vipera
quando ti senti fragile… beh, spero per te che non ti
intossicherai da sola»
replicò tranquillamente, come se nulla fosse successo, prima
di ritornare
dentro.
Cazzo, odiava sentirsi come una povera idiota al gelo, aspettando che
si
facesse sentire con una chiamata. E odiava quando l’essere
più egocentrico del
pianeta Terra aveva ragione.
Calciando i pochi frammenti di bottiglia sparsi sul ghiaccio, Mia
decise di
lasciar perdere totalmente tutta quella storia.
Tanto la verità era che avrebbe distrutto anche quello,
soffocando le sue
sensazioni in un groviglio di dubbi e idiozie come non ne aveva mai
avute.
Perché la verità era che lei seguiva i suoi
istinti anche a costo di farsi
male; e lo avrebbe continuato a fare, se questo non avesse implicato di
fare
dannatamente male a qualcun altro che non viveva come lei.
Aveva bisogno di qualcuno come lei o come Brian:
gente che si lanciava
in una folle corsa nel vuoto, e che si bruciava la pelle senza remore,
e che
rischiava totalmente senza contenersi.
Così avrebbe potuto non cambiare e continuare a vivere
tenendo fuori il Mondo.
Quando uscirono dal locale,
l’orologio da polso
segnava le cinque e un quarto del mattino. Il San Vincente Boulevard
era quasi
deserto, fatta eccezione per pochi gruppi di ragazzi che uscivano dai
vari
locali notturni.
Janis si strinse meglio la sciarpa variopinta «Che
freddo!»
Liv rise «Non cominciare a lamentarti! Pensa solo che ci
siamo divertite!»
Esclamò, saltellando sui tacchi alti.
Effettivamente era stata una bella nottata. Forse la prima dopo mesi di
confusione e dubbi.
«Hai decisamente ragione! Dobbiamo farlo più
spesso!»
Girarono l’angolo che congiungeva con il Sunset Boulevard,
cantando qualche
canzone stonata e incrociando gli ultimi clienti del Viper. Il turno
dei
ragazzi doveva essere finito e la cosa le metteva addosso una certa
agitazione;
più si avvicinavano più il cuore sembrava
saltarle in gola.
«Uh, vorrei proprio non entrare»
commentò Janis, chiudendo per un attimo gli
occhi.
Liv sbuffò, mandando lo sguardo al cielo «Senti,
tu devi piantarla con questa
storia… Ok, tu e Mia siete state insieme e blabla,
però se non è quello che
vuoi chiudila qua».
«Il problema è che non sono io a non volerlo,
è lei» replicò Janis, però
effettivamente c’era un fondo di verità in tutto
quello. Lei non voleva
rappresentare un passatempo per nessuno e Mia, semplicemente, non
voleva un
rapporto.
«Allora guardati attorno e cerca altro! Dopotutto non hai
bisogno certo di
aiuto per fare conquiste»
sottolineò Liv, con un ghigno, mentre
entravano. «Buenos Diàs,
gente!» Salutò poi, buttandosi a caso su uno
sgabello al bancone. Il locale era praticamente vuoto, se non si
contavano i
musicisti che sistemavano gli strumenti e qualche ritardatario ubriaco
nell’altra sala. Gli altri stavano invece cominciando a
riordinare.
«Oho, ecco le nostre donne! Vi siete divertite in quel
postaccio?» Salutò
Brian, mentre ordinava i tavoli.
«Decisamente sì! Ci voleva!» Rispose
Liv, ma Janis era impegnata a fare altro;
tipo cercare la bionda con lo sguardo.
Ovviamente, non potevi sfuggire al rompiscatole per eccellenza che se
ne usci
con un «E tu?», talmente sfrontato che Janis era
sicurissima le avesse letto il
pensiero.
«Sì» rispose con finta sicurezza.
Brian annuì, poi mentre le passava davanti
sussurrò «Bugiarda. Mia è in stanza,
si è ritirata prima» spiegò, senza che
lei avesse chiesto niente; sostenne il
suo sguardo per un po’, poi sbuffò
«Okok, vado…» mugugnò,
spostandosi verso il
secondo piano, dove c’erano le camere.
Joe scrollò il capo «Sei un portinaio pettegolo, Rambo»
gli fece, ma
l’altro ghignò «Lo so… ma se
non ci sto io a risolvere i vostri affari di
cuore!» Esclamò, seguito da una certa
quantità di fischi.
Intanto Janis riusciva a sentire tutto, visto com’era
silenziosa la camera; con
un po’ di impegno, magari sentiva anche i camerieri del
J&A’s.
Si tolse le scarpe da ginnastica e le calze che buttò in un
angolo, poi si
sfilo la giacca e la sciarpa; provò a fare molto piano ma si
ritrovò lo sguardo
chiaro di Mia a lanciarle un’occhiata diffidente.
«Oh, credevo dormissi» fece a caso, pur sapendo
quanto fosse ridicola
quell’affermazione: nessuno di loro andava a dormire prima
delle sette del
mattino, in nessuna occasione.
Infatti Mia batté le palpebre perplessa «Ti sei
divertita?» Domandò poi,
placidamente, mentre si toglieva la divisa macchiata e sudata.
«Sì» replicò Janis,
sciogliendosi i capelli castani.
Mia lasciò correre qualche istante, bagnandosi il viso e il
collo con acqua
gelida, poi scrollò il capo «Senti, davvero ti
piacciono posti come il
J&A’s?» Ma prima che l’altra
potesse rispondere, alzò una mano «Ani lascia
perdere, non voglio saperlo».
Janis la squadrò come per decidersi se fosse impazzita o
meno, poi decise che
non era proprio il caso continuare in quel modo
«D’accordo, piantiamola. A me
non piace quel posto, piace il fatto di essermi liberata per
una sera»
cominciò, sotto allo sguardo tagliente della bionda.
«Dannazione io non ce la
facevo più!» Eruppe, sedendosi sul letto.
Mia scrollò le spalle «Beh, se i turni erano tanto
duri per te, potevi dirmelo
o dirlo a Brian e ne avremmo discusso…»
Janis le lanciò un’occhiataccia «Ma sei
seria? Sai quanto mi fregano i turni in
questo momento? Spiegami tu che diavolo vuoi! Mi hai detto una volta
che volevi
solo una storia? Bene, ma ora non trattarmi come se ti avessi tradita o
che so
io!» Sbottò come se il nodo che le aveva serrato
la gola per mesi si fosse
sciolto all’improvviso solo guardandola.
Mia la fissò per un attimo davvero sconvolta da
quell’exploit, poi si schiarì
la gola «Non è stata solo una storia…»
provò a dire.
«Oh, oh! Ora sto moolto meglio! Davvero!»
Replicò con stizza Janis, mentre
fingeva di ripiegare alcuni vestiti. In realtà, era solo un
modo per darle le
spalle, evitare di mostrarle le lacrime da ragazzina debole o le mani
tremanti;
non erano molto efficaci, quando si era arrabbiati.
Mia sospirò «Jan, io non volevo usarti o qualcosa
del genere… volevo solo-»
«Lo hai fatto! Lo hai fatto e la cosa divertente è
stata che per tutto questo
tempo io me ne sono accorta e non me ne sono
interessata…» replicò, aprendo
l’armadio con uno strattone. «Però
sinceramente mi sono… rotta le palle,
ecco» concluse, sputandole in faccia finalmente tutto quello
che aveva da
dirle.
Mia le afferrò il polso e la costringe a girarsi
«Mi dispiace, ok? Mi
dispiace, ma io non so comportarmi diversamente!»
Sbottò, arrabbiata più
con se stessa che per le sue parole. «Vuoi la
verità, giusto? Sai che io sono
sempre sincera, sempre. E te l’ho detto: io non so come si
fa, non lo so
maledizione!»
Janis la fissò con gli occhi pieni di lacrime «Tu
mi hai detto che sei incapace
di avere un rapporto… come hai detto? Stabile?
Serio?»
Mia annuì, sforzandosi con tutta se stessa per non
abbracciarla e asciugarle
quelle dannate lacrime; peccato fosse lei la causa di tutto.
«Sì» riuscì a dire
solo, alla fine.
Strinse le mani lungo i fianchi, senza distogliere lo sguardo da lei:
Cristo,
Brian aveva ragione; dopotutto poteva essere una stronza solitaria e
fredda
come il ghiaccio, ma in quel momento aspettava – sperava
- soltanto che
lei fosse abbastanza forte da accettarla così
com’era, da accettarla con tutti
i suoi limiti. Avrebbe voluto pregarla e tuttavia
quell’orgoglio al quale si
era sempre aggrappata con tutte le sue forze, ora le sembrava la cosa
più
insopportabile di questo Mondo, il muro che la divideva
dall’unica persona che
aveva provato a sentirla davvero.
E quando la vide piangere si incazzò; si incazzò
con tutta se stessa, perché
capì che non poteva addossarle colpe che – in
realtà – non aveva; era più
comodo urlarle che non aveva forza, che non aveva fiducia, che non
aveva creduto
abbastanza in loro e nel loro rapporto.
Era maledettamente facile stare lì, a respirare la sua
debolezza, urlando con
quanta rabbia avesse addosso – spezzandosi dentro.
Quando la lasciò lì, a piangere in silenzio, Mia
pensò a quanto fosse sempre
stata maledettamente orgogliosa di dire la verità, per
quanto dura – per quanto
dolorosa.
Avrebbe voluto farne a meno, qualche volta.
N/a
Questa volta siamo sullo shojo ai.
Non facile da spiegare, ma prendetela così
com’è, per ora XD
Volevo solo spiegarvi due cosette:
- Il Viper è un locale e loro, che ci
lavorano, sono chiamati Viper.
- “Dream on” è una canzone dei Nazareth.
Un po’ lenta, ma non male!
- San Vincente Boulevard è davvero vicino al Sunseto
Boulevard. Più
precisamente al numero 5582 dove c’è il Viper. E
precisamente – nella realtà –
dove c’è il Viper Room, famoso locale rock di
proprietà di Johnny Depp e dove è
morto il famoso River Phoenix. Il Viper si ispira proprio a questo
posto.
Purtroppo non ho avuto tempo di risistemarla, spero vi piaccia (L).