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Autore: Karyon    04/02/2010    1 recensioni
Aveva bisogno di qualcuno come lei o come Brian: gente che si lanciava in una folle corsa nel vuoto, e che si bruciava la pelle senza remore, e che rischiava totalmente senza contenersi.
Così avrebbe potuto non cambiare e continuare a vivere tenendo fuori il Mondo.

Questa fiction partecipa a "A years together del Collection of Starlight".
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fiction partecipa a “A year togheter” del Collection of Starlight.
4 Febbraio
~
65. Lei non diceva mai mezze verità


La bianca schiena incurvata sembrava ancora più sottile nella penombra della stanza.
Janis si allungò sotto le lenzuola leggere, socchiudendo gli occhi «Ehi, sei già sveglia?» Chiese, mentre Mia aspirava una boccata della sottile paglia alla cannella fregata a Brian.
«Che ore sono?» Domandò ancora, cercando la sveglia che, di solito, torreggiava accanto al loro letto a castello e che ora – invece – se ne stava seppellita da un maglione sul pavimento chiaro.
Janis sospirò, ributtandosi sul cuscino spiegazzato: tanto probabilmente non avrebbe funzionato comunque: aveva fatto tanti di quei voli che era già una fortuna trovarle le lancette attaccate.
«Sono le dieci…» rispose d’un tratto Mia, mentre si scostava la chioma bionda su una spalla.
Janis annuì, anche se l’altra non poteva vederla, e sbadigliò «Stanotte siamo di turno?»
Mia prese il portacenere traboccante e vi premette la cicca consumata, con un sospiro «Tu no» disse solo, mentre scivolava fuori dalle coperte e si muoveva a piedi nudi per la stanza.
Janis la osservò: indossava la larga maglia bianca di Brian, che – nonostante lei non fosse bassa - le arrivava alle ginocchia, lasciando cadere le maniche dalle spalle ossute; sembrava ancora più magra e la pelle lattea riluceva nella semioscurità, risaltata anche dalla lunga chioma bionda. Come un fantasma.
«Tra poco dovrò vestirmi, che rottura di palle» grugnì poi, prendendo del latte e lasciandosi cadere mollemente sulla sedia rossa, avvicinando un ginocchio al petto.
Janis annuì, sdraiandosi sulla schiena e ispirando: sentiva ancora il suo profumo addosso, come una sensazione lenta a sparire; Mia non usava profumi, eppure quello era l’inconfondibile odore della sua pelle – forte ma instabile.
Lei era instabile, ed incostante; bella e dolorosa da farle male.
«Sicura che non vi serva una mano?» Provò, tanto per fare; figurati se avrebbe mai ammesso di aver bisogno di aiuto.
Mia le lanciò un’occhiata sardonica, poi ghignò «No, ti conviene riposare, sembri stanca…»
Janis si lasciò ricadere con uno sbuffo seccato «Non c’è mica bisogno di fare quella faccia, era tanto per essere gentile!» Sbottò, allungando le braccia sottili sulla testa scarmigliata.
Sentiva tutte le ossa indolenzite, merito senza dubbio della sua viper che ora si stava infilando la maglia scura della divisa sulla quale campeggiava proprio la scritta ‘Viper’ in maiuscolo rosso.
«Sei dimagrita ancora» notò, mentre Mia indossava un paio di jeans sgualciti.
«E da quando è un problema?»
«Forse stai esagerando» ribatté Janis, alzando gli occhi al cielo quando l’altra sbuffò. «Ok, che hai?» Fece, mettendosi a sedere.
Mia ghignò – ma del suo ghigno, quello che usava per difendersi dagli estranei che entravano nel suo mondo.
«Io non ho proprio niente» replicò tranquilla, pescando una sigaretta normale da una tasca strappata della giacca di jeans.
Janis si zittì per qualche secondo – mordendosi la lingua; non funzionava così, lo sapeva. Il loro rapporto non doveva diventare una scusa per scappare, non di nuovo. Si era ripromessa che, se mai avesse accettato quella cosa, avrebbe cercato di non essere la solita ragazzina pedante e opprimente, che avrebbe accettato quel suo carattere impetuoso senza limitazioni, che non avrebbe mai e poi mai reclamato la sua possessività. Tuttavia non era facile stare con lei, se n’era resa conto. Mia era protettiva, alcuni giorni diventava scorbutica e acida, poi la distanziava, innalzandole un muro di silenzio che non sapeva come abbattere; spesso, quando la cercava per stare con lei, quando erano a letto – semplicemente respirando in piena libertà – s’illudeva che con lei fosse diversa, che potesse essere l’unica con cui diventava se stessa, con cui scivolava via dall’illusione che si era costruita attorno per sopravvivere.
Poi, altre volte, si rendeva conto di essere solo una delle ragazzette immature e ancora incerte della propria vita, che trovavano in lei una colonna sicura a cui appoggiarsi e da cui farsi indicare la strada giusta.
Beh, lei si era decisamente rotta le palle.
Senza una parola, Janis scivolò giù dal letto sformato, muovendosi delicatamente per la stanza con una leggerezza che era tutta sua; Mia si fissava a guardarla pensando che era sempre così che accadeva – lei ti entrava dentro in punta di piedi, senza che neanche te ne rendessi conto. E ti restava dentro a piccole gocce insignificanti che spargevano come un profumo sotto la pelle che non ti toglievi più di dosso; era delicato, tenue, a tratti inesistente – come sempre teso a non disturbare – eppure talmente persistente da irritare, almeno lei.
La cosa ironica era che non si sarebbe mai stancata di guardarla semplicemente camminare.
Ed era una cosa così stupida.
Con un ultimo rivolo di fumo sottile, il mozzicone andò a spegnersi tra le ceneri scure del posacenere ricolmo e Mia si alzò «Devo scendere al lavoro, Joe mi starà aspettando…»
Janis le rubò il posto, con in mano una ciotola del solito gelato bianco, annuendo «Mmh, io aspetterò Liv per uscire. Stasera vi tradiamo per la concorrenza, siamo al J&A’s...»
La bionda annuì, già alla porta «Ora non ho tempo ma dovremmo parlare».
«Aha?» Fece indifferente Janis. «Davvero?»
Mia le lanciò un’occhiata gelida «Non prendermi in giro… comunque sì, e nel caso tu te lo stessi chiedendo, io non dico mai stronzate» fece e l’altra riconobbe qualcosa nella voce che le era mancato; Dio, se le era mancato! Le sembrò di assaporare il gusto di quel qualcosa sulla punta della lingua.
«Ciao… a-a dopo» replicò solo, mentre Mia spariva.
Quando la porta si chiuse, lasciò cadere il cucchiaio con cui fingeva di rimestare il gelato e serrò gli occhi.
Lei non diceva mai mezze verità, lo sapeva.
Per quanto fosse crudele una realtà, te la sbatteva in faccia con tutta la limpida schiettezza di cui era capace. Come un animale spinto dall’istinto, Mia non si lasciava trascinare da questioni sgradevoli, noiose o inutili; otteneva quello che voleva e quando non voleva più qualcosa, la lasciava andare.
Janis aveva sempre invidiato quel modo di fare che avevano i tipi come lei o Brian, perché i loro freni inibitori sembravano decelerati – in qualche modo – dalla loro stessa natura; potevano essere amorali, spesso sgradevoli, difficili da vivere e da ascoltare, tuttavia li invidiava.
Con un sospiro trattenuto, afferrò il cellulare che vibrava Dream on da più di dieci minuti «Seh?»
«Che fai dormi? Guarda che sono giù ad aspettarti da mezz’ora!» La voce di Liv era tra il seccato e il divertito, dopotutto lei ritardava ogni volta e in qualsiasi situazione.
«Ahh, arrivo!»
Riuscì a raggiungere il bancone del Viper nel ritardo record di soli dieci minuti, sbattendo nel frattempo contro qualsiasi cliente ubriaco del locale.
«Ohh, che anticipo mostruoso!» La accolse con un ghignò Joe, mentre ripuliva il ripiano in legno lucido.
«Ah-ah, dov’è Liv?» Sbottò lei, spostandosi la frangia castana con uno sbuffo.
Joe alzò gli occhi al cielo «Prova nella postazione di Brian, staranno ancora discutendo su quanto faccia schifo il J&A’s...»
Janis proruppe in un gemito «Non possiamo mica passare la vita in questo postaccio!» Lo prese in giro con una scrollata del capo, per poi allontanarsi.
«Ehilà, tesoro! Come va?» Proruppe Brian, abbagliandola con il solito sorriso sfrontato che conquistava tante ragazze, e ragazzi alcune volte.
«Starò benissimo quando usciremo a mangiare! Andiaaaamo!» Replicò, mentre Liv ghignava con fare davvero inquietante.
Brian si accigliò, passando lo sguardo scuro dall’una all’altra, poi incrociò le braccia «Ehi, voi due. Non mettetevi niente di strano in testa!» Grugnì, ma Janis lo fulminò con lo sguardo. «Tanto noi siamo libere» sbottò, prima di mollarlo a chiedersi che diavolo stesse succedendo.

Mia bevve l’ultimo sorso della Coors, seduta sul cassonetto sgangherato all’uscita del locale; il freddo della bottiglia le intirizziva le mani scoperte, entrandole dentro come una coltellata. Starsene lì, a turno non terminato, con il freddo addosso e il dubbio in mentre non era da lei; tuttavia molto di quello che era successo negli ultimi mesi non era da lei.
«Un penny per i tuoi pensieeri» canticchiò Brian, andandole alle spalle.
«Non ho voglia adesso» replicò controllata, senza nemmeno sobbalzare al suo improvviso – e scontato – arrivo.
Brian ghignò «Ormai non mi riesce proprio di stupirti, eh?» Saltò sul cassonetto al suo fianco, levandole dalle mani la bottiglia ormai vuota che andò a schiantarsi con un rumore secco sulla parete di fronte. «Che succede?»
Mia scrollò le spalle, indifferente «Mi chiedevo quanto tempo sarebbe trascorso dal primo idiota che mi avesse fatto questa domanda».
«Credi davvero di ferirmi in questo modo?» Le domandò il ragazzo, con un ghigno sardonico.
La bionda li lanciò un’occhiata gelida «Sei troppo egocentrico per farlo».
«Parole sante! Non puoi non confidarti col tuo gemello preferito! Daaai» cominciò lui, battendo le palpebre come per conquistarla.
Mia scrollò il capo, mentre cercava il pacchetto di sigarette nella giacca di jeans «La vicinanza con il gay ti fa male…» lo provocò, aspirando una nuova boccata.
Brian ghignò di nuovo «Oh, non ho dubbi che la vicinanza di Joe faccia degli strani effetti, ma vabbeh, sopporterò stoicamente anche questo con i miei super-poteri!» Il ghignò gli scivolò dal viso quasi improvvisamente, quando mugugnò «Ho visto la piccola J» fece, riferendosi a Janis che lui vedeva troppo spesso come una sorellina da proteggere; nello stesso istante, Mia sospirò con un sorriso amaro «Lo sapevo… avanti cos’hai da criticare?»
Brian inarcò un sopracciglio «Tesoro, stai parlando con il mago degli affari incasinati e delle storielle da quattro soldi, ti pare che ti venga a criticare?» Sbottò, quasi offeso, per poi sospirare. «In realtà il fatto che se ne vada in quel postaccio con quelle intenzioni mi fa girare i coglioni…»
Mia aspirò l’ultima, stizzosa, boccata poi lanciò il mozzicone «E tu che ne sai delle sue intenzioni?»
«E ha detto di essere libera» continuò Brian, ignorandola. Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Mia saltò giù dal cassettone, chiudendosi la zip fino alla pesante sciarpa scura «Alla fine lo è. Può fare quello che le pare» borbottò, girandosi verso l’entrata sul retro.
Brian scrollò il capo, poi guardo verso il cielo scuro e limpido «Sei un idiota, lo sai vero?»
«Ne sono allegramente consapevole!» Replicò lei, con un ghigno per nulla divertito.
«Andiamo, la ragazzina prova qualcosa per te e lo sai… e non è solo attrazione fisica, nonostante tu te la sia portata a letto…»
«Ma che cazzo ne sai tu?! Perché non cerchi invece di capire che diavolo vuoi dalla tua vita? Potresti partire, per esempio, dai tuoi maledetti gusti!» Sbottò lei, fissandolo torva.
Brian la fissò per un lungo istante «Lo sai benissimo che ho ragione».
«Sei ancora indeciso se essere gay o meno?» Ribatté lei, sprezzante.
Il ragazzo scese dal cassettone con uno sbuffo, poi si passò una mano nei lunghi capelli aggrovigliati dal vento «Lo so che diventi una vera vipera quando ti senti fragile… beh, spero per te che non ti intossicherai da sola» replicò tranquillamente, come se nulla fosse successo, prima di ritornare dentro.
Cazzo, odiava sentirsi come una povera idiota al gelo, aspettando che si facesse sentire con una chiamata. E odiava quando l’essere più egocentrico del pianeta Terra aveva ragione.
Calciando i pochi frammenti di bottiglia sparsi sul ghiaccio, Mia decise di lasciar perdere totalmente tutta quella storia.
Tanto la verità era che avrebbe distrutto anche quello, soffocando le sue sensazioni in un groviglio di dubbi e idiozie come non ne aveva mai avute. Perché la verità era che lei seguiva i suoi istinti anche a costo di farsi male; e lo avrebbe continuato a fare, se questo non avesse implicato di fare dannatamente male a qualcun altro che non viveva come lei.
Aveva bisogno di qualcuno come lei o come Brian: gente che si lanciava in una folle corsa nel vuoto, e che si bruciava la pelle senza remore, e che rischiava totalmente senza contenersi.
Così avrebbe potuto non cambiare e continuare a vivere tenendo fuori il Mondo.

Quando uscirono dal locale, l’orologio da polso segnava le cinque e un quarto del mattino. Il San Vincente Boulevard era quasi deserto, fatta eccezione per pochi gruppi di ragazzi che uscivano dai vari locali notturni.
Janis si strinse meglio la sciarpa variopinta «Che freddo!»
Liv rise «Non cominciare a lamentarti! Pensa solo che ci siamo divertite!» Esclamò, saltellando sui tacchi alti.
Effettivamente era stata una bella nottata. Forse la prima dopo mesi di confusione e dubbi.
«Hai decisamente ragione! Dobbiamo farlo più spesso!»
Girarono l’angolo che congiungeva con il Sunset Boulevard, cantando qualche canzone stonata e incrociando gli ultimi clienti del Viper. Il turno dei ragazzi doveva essere finito e la cosa le metteva addosso una certa agitazione; più si avvicinavano più il cuore sembrava saltarle in gola.
«Uh, vorrei proprio non entrare» commentò Janis, chiudendo per un attimo gli occhi.
Liv sbuffò, mandando lo sguardo al cielo «Senti, tu devi piantarla con questa storia… Ok, tu e Mia siete state insieme e blabla, però se non è quello che vuoi chiudila qua».
«Il problema è che non sono io a non volerlo, è lei» replicò Janis, però effettivamente c’era un fondo di verità in tutto quello. Lei non voleva rappresentare un passatempo per nessuno e Mia, semplicemente, non voleva un rapporto.
«Allora guardati attorno e cerca altro! Dopotutto non hai bisogno certo di aiuto per fare conquiste» sottolineò Liv, con un ghigno, mentre entravano. «Buenos Diàs, gente!» Salutò poi, buttandosi a caso su uno sgabello al bancone. Il locale era praticamente vuoto, se non si contavano i musicisti che sistemavano gli strumenti e qualche ritardatario ubriaco nell’altra sala. Gli altri stavano invece cominciando a riordinare.
«Oho, ecco le nostre donne! Vi siete divertite in quel postaccio?» Salutò Brian, mentre ordinava i tavoli.
«Decisamente sì! Ci voleva!» Rispose Liv, ma Janis era impegnata a fare altro; tipo cercare la bionda con lo sguardo.
Ovviamente, non potevi sfuggire al rompiscatole per eccellenza che se ne usci con un «E tu?», talmente sfrontato che Janis era sicurissima le avesse letto il pensiero.
«Sì» rispose con finta sicurezza.
Brian annuì, poi mentre le passava davanti sussurrò «Bugiarda. Mia è in stanza, si è ritirata prima» spiegò, senza che lei avesse chiesto niente; sostenne il suo sguardo per un po’, poi sbuffò «Okok, vado…» mugugnò, spostandosi verso il secondo piano, dove c’erano le camere.
Joe scrollò il capo «Sei un portinaio pettegolo, Rambo» gli fece, ma l’altro ghignò «Lo so… ma se non ci sto io a risolvere i vostri affari di cuore!» Esclamò, seguito da una certa quantità di fischi.
Intanto Janis riusciva a sentire tutto, visto com’era silenziosa la camera; con un po’ di impegno, magari sentiva anche i camerieri del J&A’s.
Si tolse le scarpe da ginnastica e le calze che buttò in un angolo, poi si sfilo la giacca e la sciarpa; provò a fare molto piano ma si ritrovò lo sguardo chiaro di Mia a lanciarle un’occhiata diffidente.
«Oh, credevo dormissi» fece a caso, pur sapendo quanto fosse ridicola quell’affermazione: nessuno di loro andava a dormire prima delle sette del mattino, in nessuna occasione.
Infatti Mia batté le palpebre perplessa «Ti sei divertita?» Domandò poi, placidamente, mentre si toglieva la divisa macchiata e sudata.
«Sì» replicò Janis, sciogliendosi i capelli castani.
Mia lasciò correre qualche istante, bagnandosi il viso e il collo con acqua gelida, poi scrollò il capo «Senti, davvero ti piacciono posti come il J&A’s?» Ma prima che l’altra potesse rispondere, alzò una mano «Ani lascia perdere, non voglio saperlo».
Janis la squadrò come per decidersi se fosse impazzita o meno, poi decise che non era proprio il caso continuare in quel modo «D’accordo, piantiamola. A me non piace quel posto, piace il fatto di essermi liberata per una sera» cominciò, sotto allo sguardo tagliente della bionda. «Dannazione io non ce la facevo più!» Eruppe, sedendosi sul letto.
Mia scrollò le spalle «Beh, se i turni erano tanto duri per te, potevi dirmelo o dirlo a Brian e ne avremmo discusso…»
Janis le lanciò un’occhiataccia «Ma sei seria? Sai quanto mi fregano i turni in questo momento? Spiegami tu che diavolo vuoi! Mi hai detto una volta che volevi solo una storia? Bene, ma ora non trattarmi come se ti avessi tradita o che so io!» Sbottò come se il nodo che le aveva serrato la gola per mesi si fosse sciolto all’improvviso solo guardandola.
Mia la fissò per un attimo davvero sconvolta da quell’exploit, poi si schiarì la gola «Non è stata solo una storia…» provò a dire.
«Oh, oh! Ora sto moolto meglio! Davvero!» Replicò con stizza Janis, mentre fingeva di ripiegare alcuni vestiti. In realtà, era solo un modo per darle le spalle, evitare di mostrarle le lacrime da ragazzina debole o le mani tremanti; non erano molto efficaci, quando si era arrabbiati.
Mia sospirò «Jan, io non volevo usarti o qualcosa del genere… volevo solo-»
«Lo hai fatto! Lo hai fatto e la cosa divertente è stata che per tutto questo tempo io me ne sono accorta e non me ne sono interessata…» replicò, aprendo l’armadio con uno strattone. «Però sinceramente mi sono… rotta le palle, ecco» concluse, sputandole in faccia finalmente tutto quello che aveva da dirle.
Mia le afferrò il polso e la costringe a girarsi «Mi dispiace, ok? Mi dispiace, ma io non so comportarmi diversamente!» Sbottò, arrabbiata più con se stessa che per le sue parole. «Vuoi la verità, giusto? Sai che io sono sempre sincera, sempre. E te l’ho detto: io non so come si fa, non lo so maledizione!»
Janis la fissò con gli occhi pieni di lacrime «Tu mi hai detto che sei incapace di avere un rapporto… come hai detto? Stabile? Serio?»
Mia annuì, sforzandosi con tutta se stessa per non abbracciarla e asciugarle quelle dannate lacrime; peccato fosse lei la causa di tutto. «Sì» riuscì a dire solo, alla fine.
Strinse le mani lungo i fianchi, senza distogliere lo sguardo da lei: Cristo, Brian aveva ragione; dopotutto poteva essere una stronza solitaria e fredda come il ghiaccio, ma in quel momento aspettava – sperava - soltanto che lei fosse abbastanza forte da accettarla così com’era, da accettarla con tutti i suoi limiti. Avrebbe voluto pregarla e tuttavia quell’orgoglio al quale si era sempre aggrappata con tutte le sue forze, ora le sembrava la cosa più insopportabile di questo Mondo, il muro che la divideva dall’unica persona che aveva provato a sentirla davvero.
E quando la vide piangere si incazzò; si incazzò con tutta se stessa, perché capì che non poteva addossarle colpe che – in realtà – non aveva; era più comodo urlarle che non aveva forza, che non aveva fiducia, che non aveva creduto abbastanza in loro e nel loro rapporto.
Era maledettamente facile stare lì, a respirare la sua debolezza, urlando con quanta rabbia avesse addosso – spezzandosi dentro.
Quando la lasciò lì, a piangere in silenzio, Mia pensò a quanto fosse sempre stata maledettamente orgogliosa di dire la verità, per quanto dura – per quanto dolorosa.
Avrebbe voluto farne a meno, qualche volta.


N/a

Questa volta siamo sullo shojo ai.
Non facile da spiegare, ma prendetela così com’è, per ora XD
Volevo solo spiegarvi due cosette:
- Il Viper è un locale e loro, che ci lavorano, sono chiamati Viper.
- “Dream on” è una canzone dei Nazareth. Un po’ lenta, ma non male!
- San Vincente Boulevard è davvero vicino al Sunseto Boulevard. Più precisamente al numero 5582 dove c’è il Viper. E precisamente – nella realtà – dove c’è il Viper Room, famoso locale rock di proprietà di Johnny Depp e dove è morto il famoso River Phoenix. Il Viper si ispira proprio a questo posto.
Purtroppo non ho avuto tempo di risistemarla, spero vi piaccia (L).

 

   
 
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