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Autore: Lovy91    05/02/2010    1 recensioni
Rebecca Walker ha sedici anni e mezzo. Vive a New York, nella East Side con suo padre Victor. La sua mamma è morta quando Rebecca aveva due anni di una terribile malattia. Quella tragedia ha segnato la ragazza e l'ha influenzata per il resto della sua vita. Frequenta una scuola privata alquanto snob grazie a una borsa di studio e una particolare dote nel pianoforte e nello studio. Ha due migliori amiche provenienti dalle più influenti famiglie newyorkesi che la trattano come una sorella. Ma la sua vita ha una svolta che la segnerà ancora di più: passerà la notte in un locale e lì, mentre cerca di fuggire da un'aggressore, il destino le piomba addosso.
“Cosa mi era successo? Semplice: ho scoperto che i vampiri esistono. Il peggiore incubo, il miglior sogno. Un incantato e crudele mondo che ti trascina in un vortice a cui non puoi dire addio. Voglio fuggire, voglio restare. Non lo so neanche io. Ma per Damien, resterò e tremerò. Anche se lui mi ucciderà ma almeno potrò dire di aver sognato e aver provato paura per davvero...”
Genere: Romantico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                            Capitolo 2
                    
                                                                Quegli straordinari occhi verdi

Rebecca

Okay. Era chiaro che chiunque comandasse il destino era da cercare, con un'arma possibilmente. Chi aveva scritto il mio? Un pessimo scrittore? Sicuramente.
Perché solo uno scrittore mediocre poteva scrivere la scena della mia morte in questo modo. Io, uccisa da un vampiro a sedici anni. Che fine orribile, proprio orribile.
Non mi capacitavo che la persona stupenda davanti a me fosse un vampiro. Guardandolo meglio, ora che avevo capito e messo insieme i tasselli, si vedeva che non era... umano.
La sua pelle era bianchissima, non pallida, bianca. Gli occhi erano neri e impenetrabili. Ed era bellissimo. Alto un metro e novanta, un fisico da paura e i capelli neri e corti, poco mossi. Il suo viso era da lasciare senza fiato. Sembrava giovane, forse un anno più di me. Già, ma da quanto?
Riuscivo a notare tutto con l'adrenalina che mi inondava. Forse ci si sente in questo modo quando si sta per morire per mano di un vampiro che prima ti salva la vita o altro e poi vuole ucciderti.
Che ironia, cavolo.
Teneva ancora la mia mano nella sua, vicino alla bocca. Quel poco sangue doveva averlo fatto uscire di testa. Dopo averlo colpito, un dolore bruciante mi aveva colpito e le ferite si erano aperte. Pareva fatto di pietra.
<< Non molti assassini dicono il proprio nome alla vittima >>, dissi, con un filo di voce.
Damien. Che nome particolare. << E se sopravvivessi? >>.
Mi piacerebbe.
Sorrise appena e mi guardò. << Non sopravviverai, fidati >>.
Mi passai la mano libera sul viso per lavare vie le lacrime e me la ritrovai nera di rimmel ma decisamente in quel momento non mi interessava. Stavo per morire, che fossi truccata o no, non faceva differenza.
Potevo tentare di fuggire e se poi lo facevo arrabbiare? Era pur sempre un vampiro, mica un semplice ragazzo ubriaco. Avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa.
Finalmente lasciò andare la mia mano e la nascosi dietro la schiena, appiattendomi ancora di più contro il muro come se ci potessi scomparire dentro e scappare lontano da lui. Anche se... non volevo proprio scappare.
Quell'essere mi affascinava. Per quanto fosse una creatura del male, mi affascinava e non poco. Quella sua natura tanto diversa, quegli occhi neri mi lasciavano senza fiato. Forse mi stava ipnotizzando.
Si avvicinò ancora di più a me.
Aprii bocca per parlare, ma non me lo permise.
<< Sssh... E se ti sentono? Non vogliamo farci scoprire, vero? Altrimenti anche altri moriranno. E io non voglio >>.
Mi sorpresi. << Non vuoi? >>.
Rise. << Scommetto che tu adesso mi vedi come il cattivo vampiro. È la mia natura, in effetti. Ma non amo uccidere. Lo faccio solo perché è necessario. Quando... ho sete, fame, chiamala come vuoi >>.
<< Sono il dolce? >>, chiesi e parve più un mormorio. Non avevo più saliva nella bocca. Non capivo neanche perché rimanessi a parlare con lui, il mio assassino, invece di tentare la fuga e salvarmi.
Aggrottò le sopracciglia scure. << Non saprei >>, disse. << Non ho mai considerato tali, voi umani >>.
Poggiò una mano sul collo, all'altezza della vena pulsante. << Non credi che dovremo farla finita? Questa attesa ti sta uccidendo >>.
 << Sì, è vero >>, ammisi. << È peggio della morte stessa >>. Era vero. Rimanere lì, attendere la mia morte, era peggio. Se morivo, non dovevo attendere nulla.
Annuì. << D'accordo >>.
E così, era finita. Dovevo fare un resoconto della mia vita prima che fosse troppo tardi.
Mi era piaciuta, seppur breve?
Posò le labbra sulle mie spalle, lievemente.
Sì, in fondo sì. Certo, se la mamma non fosse morta, le cose sarebbero andate sicuramente meglio. Papà non si sarebbe mai improvvisato chef provetto mandando due volte a fuoco la cucina. E io non avrei dovuto sobbarcarmi l'appartamento per cinque anni prima di prendere una domestica.
Le spostò sul mio collo, provocandomi brividi. E lui se ne accorse.
Le mie amiche sarebbero state sicuramente infelici e sperai non si sentissero in colpa per la mia morte. Mio padre ne sarebbe uscito distrutto, ne ero sicura. Prima la mamma, poi io. Solo, sarebbe rimasto solo.
Avvertii una lieve punzecchiatura, come la puntura di un ago.
Il respiro mi venne decisamente meno, il cuore voleva già fermarsi e la testa non la sentivo nemmeno. Ero diventata di roccia, non mi reggevo in piedi.
Un dolore più acuto solleticò la pelle, i canini facevano male. Non andò più a fondo. Cercava di non farmi male, era logico. Un vampiro buono? Una magra consolazione.
Chiusi gli occhi ed evitai di piangere quando due voci posero fine a tutto. Damien scattò, allontanandosi da me. Doveva sentirci molto meglio di me. Mi toccai il collo e non c'era niente, lo aveva appena sfiorato. Sospirai per quanto mi fosse possibile.
Lo guardai e notai che mi guardava anche lui.
Divenni perplessa. Gli occhi non erano più neri ma verdi, color prato. Allungai il collo per essere certa di averci visto giusto.
<< Sei fortunata >>, disse, e pareva sollevato. Quasi contento. << Le tue amiche. Vivi, mi raccomando. Non dire niente a nessuno >>.
<< Non voglio finire la vita in manicomio >>, ci tenni a precisare.
<< Spero di non incontrati più. Hai un buon sangue, complimenti >>.
Non seppi se prenderlo come un complimento o un'offesa. Optai per la prima. << Grazie >>.
Mi guardò tanto a lungo da farmi arrossire, come se mi stesse scrutando e poi i passi si fecero più vicini, le voci pure.
Mi voltai per veder arrivare le mie amiche e corsi verso di loro. Controllai se c'era ed era svanito. Accidenti. In cosa mi ero cacciata. Ero proprio una combina guai.
Non riuscivo ad analizzare lucidamente la situazione e decisi di rimandare a quando mi sarei trovata al sicuro a casa mia, nel mio letto e meglio ancora alla luce del giorno. I vampiri non escono alla luce. Supplicai che le leggende fossero vere.
Elene e Amanda erano sconvolte.
<< Dov'eri finita? Sei sparita da oltre mezz'ora >>, mi rimproverò Amanda.
<< Scusate, ero a fare una passeggiata >>, mentii.
Si guardarono, shoccate.
<< Di mezz'ora? >>, chiese perplessa Elene.
<< Sì. Avevo voglia di aria >>.
Amanda mi prese una mano, quella ferita. << E questo come te lo sei fatto? >>.
<< Sono caduta >>. Mentire stava divenendo facile.
Il vestito e il trucco erano messi male ma mi giustificai dicendo che era colpa della caduta, che ero scoppiata in lacrime per il dolore alla mano. Un sacco di balle.
Mi guardavano con occhi luccicanti di rabbia. Non perché le avevo mollate nel bel mezzo di una bella serata divertente ma perché ero svanita nel nulla e si erano impaurite molto.
La loro paura non era niente in confronto la mia. Tremavo e le mie amiche pensarono fosse per il freddo e mi trascinarono dentro il locale.
Stare in mezzo a quella gente e sotto gli occhi di Amanda e Elene era troppo difficile per come mi sentivo. Raccattai giacca e borsa e dissi alle due che me ne tornavo a casa. Le proteste arrivarono a fiumi e nutrii i loro sospetti che non fossi uscita per l'ossigeno. Quella notte, era l'ultima delle mie preoccupazioni. Uscii dal locale tanto in fretta da lasciarmi dietro di me le persone che danzavano e la faccia delle mie amiche sconvolte.
In macchina crollai sul sedile e chiusi ben bene le portiere. E se fosse tornato? Se riuscivo a ritornare nell'appartamento, lui non poteva certo tornare e uccidermi con mio padre in casa. Quella notte non aveva il turno. Una piccola fetta di fortuna.
Mi voltai per controllare che non ci fosse nessuna auto e la strada era libera: erano ancora tutti a diversi. Dove dovevo essere anche io finché un vampiro non aveva cercato di uccidermi.
Rammentai anche del cadavere nel vicolo, il mio aggressore. In fondo, non meritava di morire in quel modo. E sa aveva sanguinato e attirato quell'essere era solo colpa mia. Un bruciante senso di colpa venne accolto a braccia aperte fra il panico, la paura e l'orrore. Doveva arrivare qualche altro amico alla festa dei cattivi sentimenti?
Guidavo e eseguivo i gesti meccanicamente. La mia mente e i miei ricordi erano da tutt'altra parte, rimasti ancora nel vicolo in compagnia di Damien.
<< Adesso pure per nome lo penso >>, bofonchiai. << E parlo da sola. Sono pazza. È ufficiale >>.
Schiacciai il piede sull'acceleratore. Sentivo il bisogno del mio letto, della foto della mamma e della presenza, anche se addormentata e russante, del mio papà.
Controllavo in ogni specchietto dell'auto se mi seguiva. Era certamente più veloce di me e magari si trasformava in pipistrello. Scossi la testa, e trattenni a stento un sorriso nervoso.
Il respiro mi era tornato regolare e il cuore batteva più regolarmente. Fisicamente, stavo bene. Era moralmente che ero a terra.
Eppure una piccola parte di me, una timida particina, ancora desiderava guardare quegli occhi verdi. I suoi occhi neri mi spaventavano, quelli verdi mi facevano sognare.
Era come se quel vampiro, Damien, fosse due presenze in una, diverse solo nel colore degli occhi. Ma entrambe affascinavano.
E io ci ero cascata appieno.
In lontananza vidi il palazzo dove abito dalla morte della mamma. Parcheggiai l'auto in fretta e furia e salii le scale velocemente come mai avevo fatto in vita mia. Con una mano tremante, aprii la porta dell'appartamento.
“Fa che sia a letto. Che si limiti a chiedere se sono io”, pregai mentalmente.
Trucco sciolto, capelli disfatti e vestito stropicciato. Che poteva pensare?
<< Rebby >>.
Presi un bel respiro sollevato. Grazie al cielo.
<< Sì, papà. Sono io. Chi vuoi che sia? >>.
<< Che so. Potevo anche essere un fantasma >>. La sua risata giunse fino all'ingresso.
“O un vampiro”, pensai.
Non si alzò per controllarmi. La fiducia che mi ero costruita servì. Non fumo, non mi drogo e non bevo alcolici neanche se ne ho l'occasione. Cercando di non mostrare panico nei miei passi, mi levai gli stivali e li gettai all'ingresso e corsi in camera, chiudendo la porta a doppia mandata. Anche se era inutile, in effetti, non potevo farne a meno. Per fortuna, avevo il bagno in stanza.
Crollai contro la porta, e ci strisciai fino a cadere per terra.
Ero proprio nei casini. Perché per quanto lui mi avesse detto di vivere, sapevo che io ero a conoscenza di tutto. Di giorno ero al sicuro, di notte per niente. Non sapevo dove abitavo ma non ci avrebbe messo niente a scoprirlo.
Dovevo fuggire via? Scappare?
Forse si sarebbe arreso e mi avrebbe lasciata libera di cadere nella pazzia in cui stavo incappando.
In bagno mi lavai la faccia e mi feci una doccia. Avvolta nell'asciugamano, allo specchio, notai due puntini rossi sul collo, dove si erano posati i suoi canini. Vi posai la mano e avvertii un lieve bruciore, niente per cui mi sarei strappata i capelli dal dolore.
Acchiappai il primo pigiama che trovai e mi infilai a letto, nel vano tentativo di dormire e dimenticare o magari di non svegliarmi mai più, cadere in un oblio piacevole dove non potevo pensare a quello che mi era accaduto.
Quegli occhi verdi mi avevano davvero colpita molto. Tanto verdi non li avevo mai visti. E neanche così neri e spaventosi.
Scivolare nel sonno fu difficile ma dopo un'ora, stravolta da quella serata, ci riuscii.
Con gli occhi verdi di Damien nei miei sogni...

Damien

<< Fratello, è tutto okay? >>.
Una mano bianca come la mia pelle si posò sulla mia spalla destra, con affetto. L'accarezzai.
<< Sto bene, Celeste. Sul serio >>.
<< A me non sembra. Hai cenato stasera? >>.
Risi. << Sì, non preoccuparti. Molto buono >>.
<< Anch'io >>.
La vampira accanto a me chiuse gli occhi e sospirò. Adoravo Celeste. Era la mia migliore amica, se non mia sorella. Anche se non biologicamente.
Aveva i tratti comuni di tutti i vampiri: pelle bianca, occhi neri quando era veramente una vampira, una bellezza che avrebbe fatto diventare verdi d'invidia le donne umane.
I suoi occhi erano ora di un bel color nocciola che cozzavano con i suoi capelli ricci, rossi, un po' più giù delle spalle. Un tempo doveva aver avuto le lentiggini sul quel viso pieno di allegria.
Tese in un sorriso le sue labbra sottili, rosa. << Eppure sei turbato >>.
<< Non posso proprio mentirti, eh? >>.
<< Agli empatici non si mente >>, disse seria e poi scoppiò in una risata argentina.
L'unico tratto negativo nel frequentare Celeste era che non potevo nasconderle nulla. Un'empatica è sempre una gran scocciatura anche se è tua sorella come se leggesse nel pensiero. Be', lei leggeva le mie emozioni.
Storsi il naso. << Ho risparmiato un'umana stasera. Una ragazzina >>.
La sua bocca si aprì a metà, adesso era lei agitata. << Cosa hai fatto? Damien sei impazzito?! Perché lo hai fatto? >>.
<< Non avevo scelta. Stavano arrivando le sue amiche. Avrei dovuto uccidere anche loro. E sai che non voglio >>.
<< Capisco che il tuo sia stato un gesto nobile. Ma non possiamo lasciare testimoni in giro per il mondo. Conosci molto bene le regole >>. Era severa.
<< Lo so >>, replicai triste.
Strinse gli occhi a fessura. << Stavi per ucciderla? >>.
<< Sì >>, sospirai.
<< Leggo una certa esitazione però >>, captò.
<< Un po' >. Fui sincero. Quegli occhi dolci e azzurri mi avevano fermato un attimo. Una distrazione fatale in cui mi aveva anche colpito, facendosi male.
Non mi ero mai sentito attratto dalle ragazzine umane. Lei era la prima a provocarmi una sensazione particolare che mi scuoteva e non riuscivo a decidermi se mi piaceva oppure no.
Quegli occhi azzurri mi avevano colpito dentro.
<< Mica ti piace? >>, chiese scandalizzata lei.
Sgranai gli occhi. << Non dirlo neanche per scherzo! È solo una ragazza fortunata, molto fortunata >>.
Fortunata perché le sue amiche stavano per venire a salvarla? No, non ero questo il motivo.
Avevo posato i canini sulla sua pelle, li aveva appena affondati e mi ero fermato. Lei avrà pensato che mi stavo concentrando ma in verità mi ero proprio bloccato. L'odore del suo sangue sotto la pelle, che scorreva, mi attirava tantissimo, un profumo dolcissimo. Lo volevo. Eppure non ci ero riuscito ed era la prima volta che mi accadeva una cosa simile.
Le sue lacrime, la dolcezza del suo sguardo pieno di paura aveva colpito il mio cuore fermo da tanti anni, una leggera scarica elettrica, ma sufficiente a disorientarmi.
Celeste si alzò dalla panchina dov'eravamo seduti, al Central Park. Si pulì dalla polvere la gonna rossa e corta. Le dicevo di non portarle o avrebbe attirato più umani di quanti volesse realmente.
<< Sta arrivando l'alba, Damien >>.
<< Manca ancora mezz'ora >>, le feci notare.
<< Non è una buona abitudine tergiversare fino ai limiti. Non voglio vederti andare a fuoco >>.
Mi alzai anche io, pigramente. Il cielo si schiariva e stava divenendo blu cobalto, le stelle impallidivano e la luna svaniva lentamente per prendersi dodici ore di riposo e tornare la notte. La luna era la mia compagna di eternità, ormai.
<< Magazzino? >>, mi domandò.
<< E magazzino sia >>, concordai.
Il magazzino era uno dei pochi luoghi bui dove potevamo nasconderci durante le ore di luce, l'ora in cui gli umani cominciavano la loro giornata quotidiana, noiosamente quotidiana.
Celeste si mise all'erta. << Arrivano >>.
Sbuffai, scocciato.
Justin e Melinda Warren. Due dei pochi vampiri biologicamente legati.
Due vampiri balzarono davanti a noi dopo aver corso in diverse falcate il Central Park.
Melinda mi guardò e le voltai la faccia. Era fissata con me ma non io con lei. Suo fratello gemello, Justin, mi guardò male.
Celeste cercò di spezzare la tensione e si rivolse a i due gemelli Warren. << Ehi, ehi! Com'è andata la notte? >>.
<< Fantastica. Siamo andati a ballare. Vero Melinda? >>, disse rivolgendosi alla sorella.
<< Vero, Justin. Si trovano un sacco di spuntini là >>. Rise spensierata.
Odiavo questo modo di pensare delle persone normali. Ma d'altronde, in fin dei conti, loro erano questo.
<< E tu Damien? >>, mi domandò Melinda.
<< Ho passato un po' di tempo in giro per New York e poi con Celeste >>, dissi, e in parte era la verità. Non era il caso di raccontargli di quella ragazza. Adesso che ci pensavo non sapevo il suo nome... Però suo padre era un poliziotto...
<< Bene. Sono felice per te >>, disse acida Melinda. Quell'acidità era dovuta al fatto che io non ero andato da lei. Insomma, non potevo passare la mia eternità con una stupida oca come Melinda. Era bellissima, accidenti se lo era. Celeste era bellissima, ma lo era nella media dei vampiri. Come me  e Justin (anche se era il gemello di Melinda. Lui era biondo e con occhi color castani).
Melinda era tutt'altra cosa. I lunghi capelli color melassa le coprivano la schiena e terminavano in boccoli acconciati alla perfezione. Il corpo da modella con ogni cosa al posto giusto. Occhi appena allungati blu mare e labbra piene e non troppo.
La bellezza di Melinda era stata la prima cosa a colpirmi, vent'anni fa. Però non potevo giocare al ragazzino per sempre. Anche se in effetti il mio aspetto lo era.
<< Ragazzi, tra un quarto d'ora c'è l'alba >>, disse Celeste, come un disco rotto.
<< Ci vediamo domani notte >>, disse Justin. Prese per mano la sorella e lei mi scoccò un'occhiata velenosa per poi sparire con un salto di tre metri e toccare terra per poi saltare ancora e sparirono dalla nostra vista due secondi dopo.
Celeste mi guardò. << Povera Melinda >>.
<< Sono stanco dei vecchi giocattoli >>, dissi. A lei non lo avevo mai detto e non c'è ne era bisogno.
Celeste annuì e cominciò a correre e la seguii. La notte era finita.


Angolino!


Ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia. In questi giorni riesco a dedicare a EFP un pò di tempo visto che sono a casa per l'influenza ma presto diverrà sempre meno perchè tra quattro mesi ho la maturità e devo impegnarmi per arrivarci altrimenti son dolori XD
Quindi se tra un paio di mesi ci metterò molto a postare, sapete il perché.
I primi ringraziamenti vanno a chi ha recensito e messo tra le seguite! Grazie mille!
Alla prossima!!!











   
 
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