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Autore: Dira_    14/02/2010    11 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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A questo giro non ho avuto tempo per le recensioni. Siete tutti fantastici, e vi adoro, davvero, rendete più piacevoli le giornate farcite di studio. T_T Perdonare, please, sono accollata di esami, e me ne mancano pochi alla laurea. Grazie.
 
****
 
 
Capitolo XXXIII
 


 




L’eroe vero è sempre un eroe per sbaglio.

Il suo sogno sarebbe di essere un onesto vigliacco come tutti.
(Umberto Eco)
 
4 Novembre 2022
Dormitorio Serpeverde, Mattina.
 
Tom si svegliò in un bagno di sudore, inghiottendo ampie boccate d’aria.
Di nuovo.
Emise un ringhio frustrato, senza preoccuparsi di chi avrebbe potuto sentirlo.
Era così da quattro giorni. Da quattro lunghi giorni il suo sonno era orribile, frastagliato da incubi spaventosi, da morti improvvise e da sangue. Mentre prima riusciva, comunque a stancarsi sufficientemente con lo studio per dormire un sonno piatto, adesso gli incubi si arrampicavano oltre la sua stanchezza mentale e si palesavano. Sempre.
Si passò una mano sul viso, mentre il medaglione sul petto gli dava un insolito senso di pesantezza.
Poteva toglierlo. Ma come sempre, decise di non farlo. Doe poteva contattarlo.
John Doe… la mia miniera di indizi.

Homunculus. Sono esistiti esseri umani artificiali, creati con la magia. Magia oscura.
Io c’entro qualcosa con loro?
Una parte di sé si rifiutava di continuare quel ragionamento. Una parte di sé sperava che ci fosse una spiegazione migliore di quella. Una parte di sé non voleva saperla.
E intanto attendeva. Logorandosi.
I rimasugli del sonno erano ancora impigliati agli angoli della sua mente, quando si alzò per dirigersi in bagno. Sapeva che era un giorno di scuola e che era ancora presto. Sentiva il ritmo regolare di almeno due respiri.
Doveva gettarsi acqua fresca sul viso, riprendere il controllo e ricominciare un’altra giornata.
Poteva farcela. Doveva farcela.
Il medaglione continuava a rimanere freddo. Doe stava organizzando qualcosa, ne era certo.
Come era certo che fosse stato lui ad aggredire Ted. Era una certezza sottile, strisciante.
John Doe aveva aggredito Lupin, lo sapeva. E non poteva dirlo.
Dirlo significa che io ero a conoscenza della sua identità, che sapevo tutto e fin’ora ho mentito.
Dirlo mi trascinerà davanti al Wizengamot. Ed Harry…
Sentì la bocca storcersi in un sorriso che gli fece male.
Harry già sospetta di me. È un auror. Un auror che ha ucciso per la prima volta a diciassette anni per salvare il Mondo Magico.
Gli eroi non perdonano.
Aprì la porta del bagno di scatto. Acqua fredda, una doccia magari. Era quello che ci voleva.
Quello che non si aspettava quel giorno è che fossero presenti tutti gli inquilini della loro stanza.
Perché Michel e Loki dormivano nei loro letti, ma Albus si stava facendo la doccia.
Istintivamente, sentendosi ridicolo e a disagio, distolse lo sguardo dal corpo nudo del suo ragazzo.

Perché era il suo ragazzo. Era suo.
Scosse la testa, passandosi una mano sul viso per cancellare quei rimasugli di sonno che gli ottundevano le capacità di ragionamento.
Saltargli addosso e schiacciarlo contro il muro, con l’acqua tiepida che scorreva trai loro corpi non era una buona idea.
Maledizione. 
“Oh, Tom!” Esclamò Al, colto di sorpresa. “Mi sono avvantaggiato sulla doccia, visto che per una volta dormivi anche tu…” Gli fece un sorriso, uscendo dal vano e infilandosi l’accappatoio.
“Sì, hai fatto bene.”

Al gli lanciò un’occhiata. Se aveva dormito di più, quella mattina, sul suo viso non ce n’era traccia.
Era fradicio di sudore.
Si morse un labbro per impedirsi di farglielo notare. Per impedirsi di preoccuparsi, intimargli di mandare un gufo al padre o farsi visitare.
Dopo la festa gliel’aveva fatto notare più volte, ma l’unica cosa che aveva ottenuto era stata silenzio oppure scatti di irritazione.
Non sembra più lui…
Era la verità. Thomas era sempre stato chiuso e incline al malumore, ma adesso era…
Gli sta cambiando il carattere. È nervoso, irascibile. Risponde male, e senza motivo, se risponde.
Aveva cercato di ignorare gli sguardi preoccupati di Loki. Aveva cercato di evitare un confronto con Mike, che sembrava sempre più convinto che Tom fosse pericoloso.
Tom non è pericoloso, non farebbe male a nessuno.
Anche se con Montague si era rischiato lo scontro.
Persino Rose l’aveva avvicinato per parlargli di quel ragazzo biondo. Non c’era nessun ragazzo biondo, del loro anno o che Tom conoscesse, che avrebbe potuto parlare con lui.
Che sta succedendo?
Tom intanto aprì il rubinetto, gettandosi sul viso manciate di acqua fredda, a giudicare dalla smorfia sofferente che fece. Avvicinandosi vide che gli tremavano le mani.
Merlino… un altro incubo.

Si sentiva frustrato, impotente. Tom passava molto più tempo con lui che con il resto del genere umano, ma anche quando si baciavano o quando lo lasciava dormire nel suo letto era distante, come su un pianeta diverso.
Di impulso, gli afferrò una mano. Era gelata. Tom si irrigidì, e gli lanciò un’occhiata d’avvertimento.
“Che cos’hai? Stai male?” Lo ignorò, stringendola forte. Tom non lo scacciò, ma non lo neppure guardò in faccia. “Tom.”
“Sto bene. È solo… ho avuto un altro incubo. Ho bisogno di una doccia.” Cercò di svicolare. Normalmente l’avrebbe lasciato fare. Ma vederlo in quello stato, sempre impercettibilmente peggio ogni giorno, era una tortura. Stavolta non ce la fece.

“No.” Disse, vincendo l’imbarazzo.  
Lo spinse contro il muro, approfittandosi dell’effetto sorpresa. Ce lo spinse e si impossessò della sua bocca. Tom cercò di fare resistenza. Al sentì i suoi muscoli tendersi, in modo repentino, quasi vi scorresse dentro la rabbia. Ma poi, come ogni volta li sentì sciogliersi contro di lui, mentre Tom rispondeva al bacio.
Si staccarono, con il respiro corto. Tom gli stringeva le dita sulla spugna dell’accappatoio, in corrispondenza dei fianchi.
“Meglio?”
“Sì…” Ammise, riuscendo persino a sorridere. “Sì.” Cercò le sue labbra ancora una volta, ma Al lo fermò, tirandosi indietro.

“Senti… ti ho promesso che non ti avrei chiesto niente, ma questo prima che tu cominciassi a stare male sul serio. Perché stai male, Tom.” Scandì lentamente. Gli arpionò le dita sulla maglietta umida di sudore, sentendolo ansimare leggermente al tocco. “Non sono il solo ad essermene accorto. Cosa c’è? Che sta succedendo?”
“Niente.” Tom si ritrasse bruscamente. La linea della mascella era tesa, dura. Il tono esasperato. “Te l’ho detto milioni di volte. Niente.”
“E milioni di volte mi hai mentito!” Sbottò di rimando. Il grido rimbalzò tra le pareti di pietra del bagno creando un’eco spiacevole. “Ti sta succedendo qualcosa. Non sembri più tu!” Inspirò, cercando lo sguardo del ragazzo. Non lo trovò. Thomas guardava oltre di lui, con i pugni serrati. Avrebbe voluto andarsene, si vedeva lontano un miglio, ma gli sbarrava il passo. “Hai incubi, quasi tutte le sere. Te ne stai per conto tuo, rispondi male alle persone, eviti gli amici.”

Non gli parlò del ragazzo biondo. Non era quello che gli interessava, dopotutto. Tom poteva parlare con milioni di ragazzi biondi. L’unica cosa che doveva fare, era parlare anche con lui.
“Non evito te.” Il tono vibrava accusa. Lo sguardo che gli rivolse era quasi tradito. “Non sto evitando te.”
“Pensi che questo basti? Ti stai allontanando da tutti. Mike sembra quasi che non sia mai stato tuo amico, non rivolgi la parola a Loki da quanto? Giorni? Per non parlare della nostra famiglia…”
“Non è la nostra famiglia.” Sibilò. Il tono fu sferzante.

Al si chiese, guardandolo, cosa sapesse da non fargliela più considerare tale.
Perché c’è qualcosa che ha scoperto… sono sicuro che ci sia qualcosa che lo faccia comportare così.
“Tu sei la mia famiglia.” Decretò con sicurezza. Poteva farlo perché lo conosceva. Poteva farlo perché aveva passato anni con Tom, e sapeva che dietro la scontrosità c’era un ragazzo gentile, che lo prendeva per mano di notte perché non avesse paura e smontava i suoi fantasmi con logica inoppugnabile. “Guardami…”
Tom spostò lo sguardo verso di lui. Era indecifrabile. Sentiva che stava respirando sempre più lentamente, come se tentasse di trattenere qualcosa.
“Tom, cosa c’è?” Ripeté lentamente. “Dimmelo. Ti voglio aiutare.”
Per un attimo, solo per un momento, lo sguardo di Tom fu messo a nudo.

Vi lesse una paura infinita.
 
Aiutarlo. Poteva. Al? Poteva?
Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie e gli veniva da vomitare.

Certo, poteva dire tutto.
Confessare del Naga, del medaglione, di John Doe e del patto. Del libro, degli homunculus, dei suoi sospetti.
Albus era il suo migliore amico. Al era il suo ragazzo. Al era il suo.
Chi meglio di lui?
Per un attimo si cullò nell’idea di liberarsi di quel peso. Del peso della morte di Duil, dei segreti che doveva sopportare da Settembre, del peso di sapere di stare aiutando un uomo che voleva nuocere ad Hogwarts.
Sempre che accetti quello che gli stai dicendo… che hai mentito, che hai aiutato un assassino…
Che forse non sei… umano?
Guardò gli occhi limpidi di Al. Si diceva che fossero gli occhi di una donna morta per amore. Non che a lui importasse.
Lui amava gli occhi di Al. Amava Al.
Era una certezza che si portava dietro quietamente, da anni, che scorreva come un fiume sotterraneo, costante e immutabile.
Non avrebbe permesso che lo odiasse, che lo giudicasse. Mentire, era di gran lunga migliore di dire la verità.
“Niente. Non ho niente.” Recitò.
Sentì la presa delle sue dita calde allentarsi. Vide la delusione sul suo viso. Non era davvero capace di fingere un’emozione, o nasconderla.
“Bene. Come ti pare.” Sussurrò Albus, prima di aprire la porta e sbattersela dietro.

Tom fissò la porta chiusa.
Gli eroi non perdonano. Mai.
Si sedette sul bordo della vasca e si prese il viso tra le mani. E pianse.
 
****
 
Devon, vicino a Ottery St. Catchpole.
Casa Scamandro.
 
Casa Scamandro si ergeva su una collina, declinante come il ventre materno.
Era un cottage bianco, con il tetto nero di ardesia, e dai davanzali coperti di fiori. In un certo senso un’abitazione piuttosto classica, se si ignoravano le centinaia di specchietti che erano appesi ovunque, sul rododendro a pochi metri dall’ingresso o alle finestre dipinte di rosso.

“Se non ci stai attento, in una giornata di sole rischi di accecarti…” Bofonchiò Ron dopo un atterraggio da passaporta che gli aveva striato il mantello di fango.
Harry fece un sorriso. “Lo so. Direi che le si addice perfettamente, no?”
Avevano penato un paio di giorni, prima di riuscire a trovare Rolf Scamandro in casa: un naturalista della sua fama era difficilmente reperibile. Luna li aveva informati la sera prima che il suo Rolf aveva giusto un paio d’ore da dedicare loro quel giorno, prima di partire alla volta della Foresta Amazzonica.
Salirono il viottolo acciottolato, finendo per picchiare sul battente di Casa Scamandro. Aprì loro Luna. In quegli anni, aveva mantenuto sempre gli stessi capelli impalpabili color del lino, gli occhi grandi e azzurri spalancati su una visione del mondo un tantino particolare e la corporatura esile, da fata.
Luna non sarebbe mai cambiata, stimò Harry con un sorriso affettuoso.
“Oh, Harry, Ronald. Harry, hai i capelli pieni di nargilli, come al solito…” Sospirò con un sorriso, alzandosi sulla punta dei piedi per spazzolargli via le creaturine invisibili.

L’uomo si chinò di buon grado, lasciandola fare. “Ciao Luna. Rolf è in casa?”
“Naturalmente…” Fece un sorriso vago a Ron che si controllò con una manata i capelli, sorridendole incerto. “È nel suo studio. Vi posso offrire qualcosa? Ho appena messo in forno degli zuccotti.”
“Oh, volentie…” Ad un’occhiata di Harry, Ron sospirò. “No, grazie Luna. Siamo in servizio.”

“Come volete… Prego.” Fece un gesto vago, che poteva indicare il soffitto o la cantina. Li condusse attraverso due rampe di scale prima che, in un solaio arioso, venisse loro aperta la porta.
Rolf Scamandro era un uomo magro, quasi segaligno, con le rughe scavate dal sole e brillanti occhi neri. Vantava origini italiane e una predisposizione ad essere un tipo concreto, a differenza della moglie.

Però, come Luna, aveva la tendenza a non tener troppo conto del potere costituito. Se volevano farsi dare una mano, non doveva esibire il distintivo.
“Vai pure tesoro, dobbiamo parlare.” Disse spiccio. Luna gli fece un sorriso leggero, congedandosi in odore di zuccotti flagranti.
Si sedettero su soffici poltrone di pelle, mentre l’uomo si apprestava a caricare la pipa.
“Luna mi ha accennato che avevate bisogno del mio aiuto per un caso.” Lanciò loro un’occhiata. “Delle creature magiche non si occupa la Divisione Bestie?”
Ron si mosse a disagio sulla sedia, lanciando un’occhiata ad Harry, che sorrise.
“Solitamente, Rolf. Ma si tratta dei Naga che sono stati catturati ad Hogwarts. Saprai della vicenda.”
“Sì, naturalmente. I ragazzi mi hanno tenuto informato, anche se un mese fa mi trovavo in Nepal.” Pulì la pipa con un gesto allenato. “Grandi guerrieri, i Naga. Creature permalose, con un senso dell’onore facilmente suscettibile. Trovo piuttosto strano che si siano fatti manovrare da un mago.”
“Anche noi.” Convenne Harry. “Per questo siamo qui.”
“Bene. Dite pure.”

Harry distese un sorriso. Cominciava lo show.


“Pensi che riuscirà a contattare quella tribù?”
Ron si spazzolò via le briciole di zuccotto dal mantello, guardandosi ad uno degli specchietti affissi alla porta di casa Scamandro.

Harry sospirò, guardando il cielo plumbeo, gravido di pioggia. “Ci ha dato la sua parola che farà tutto il possibile per rintracciare i Naga che sono stati rimpatriati… ma non sarà facile poterli contattare, specie alla luce di quello che è accaduto.”
“Un bel disastro diplomatico.” Convenne Ron. “Seriamente però Harry… anche se riuscisse a trovarli e riuscisse a farci parlare con loro… Cosa credi che otterresti? Voglio dire, sono grossi serpenti. Non puoi prenderci il the o cose simili.”
“Umanoidi, Ron.” Lo corresse, scendendo per il viottolo. Le prime gocce di pioggia fredda lambivano i loro mantelli. “Se sono riusciti a farsi convincere ad attaccare una scuola di giovani maghi, probabilmente sono molto meno primitivi di quanto non si pensi.”
“Pensi il nostro uomo li abbia pagati?”
“Non con la moneta corrente, se è questo che intendi, ma sicuramente ha dato loro un compenso.”

Ron si tirò su il bavero del mantello, infastidito dalla pioggerellina che cominciava a cadere, facendo assumere alla collina un aspetto brumoso. “Beh, allora che si fa?”
“Aspettiamo. Non c’è molto che possiamo fare, al momento. Non con il fiato del Dipartimento sul collo.” Aveva già ricevuto un paio di reclami ufficiosi. Se fossero passati alle vie ufficiali avrebbe dovuto probabilmente lasciar perdere tutto.

“Come stava Teddy? Sei andato a trovarlo ieri, no? Si è ripreso?” Chiese Ron, mentre si dirigevano verso la passaporta che li avrebbe portati al Ministero: era questo il bello di lavorare per un capo che era anche il tuo migliore amico.
Gli orari flessibili non sono un problema…
“Bene, considerando tutto.” Assottigliò gli occhi, cercando tra le zolle erbose lo stivale che aveva lasciato poco prima. “Anche se… lo sai, la sua aggressione era mirata.”
“Il grimorio di Immanuel Ziel, me l’hai detto, sì. Credi che questo possa essere connesso ai Naga?” Ron sembrava sinceramente spazientito quella volta. Sbatté le braccia lungo i fianchi, infatti, in una posa esasperata.“Perché secondo me invece, si è trattato di un furto per motivi pecuniari. Lo sanno tutti, ad Hogwarts, che Ted aveva una piccola fortuna nella sua biblioteca. Non può essere che semplicemente il ladro sia stato sorpreso, abbia preso la prima cosa che ha trovato sottomano e…”
“Ed abbia dato fuoco a quello che stava cercando di rubare per fuggire? Ron, non ha senso.” Trovò finalmente lo stivale, lucido di pioggia. Controllò l’orologio al polso. Ancora dieci minuti. “L’aggressore di Teddy cercava proprio il grimorio. E l’ha trovato.”

“Va bene. Ammettiamo, e dico… ipoteticamente ammettiamo che l’aggressore fosse lì solo per rubare il grimorio, e quando si è visto scoperto ha tentato di mettere a tacere Ted. Come può, questo, essere collegato ai Naga? Amico, a cosa pensi la notte prima di dormire?”
“Ultimamente? A questo caso.” Confessò con assoluta tranquillità. “E c’è un collegamento…” Fece una pausa. Ce n’era uno solo, purtroppo. “Tom.”
“Tom?” Ron batté le palpebre più volte, assicurandosi di aver capito bene. Dalla faccia del compagno capì però di averci sentito benissimo. “Thomas?
“Era presente ad ogni apparizione dei Naga. È stato aggredito due volte da loro. E il suo nome era sul grimorio. Ted l’ha visto.” Non riusciva a togliersi dalla mente la loro breve e penosa conversazione. Gli occhi di Tom, carichi di risentimento e le sue parole dure e sferzanti.

Thomas in quel momento, ne era certo, l’aveva odiato. Aveva riconosciuto nel suo sguardo quello di un adolescente tradito. Lo stesso sguardo che aveva avuto lui per Silente.
Io non sono come Silente. Io voglio bene a Tom, non lo coinvolgerei mai in nessun piano suicida…
Non sto facendo gli sbagli di Silente.
Solo che, mentre lui, da ragazzo, non era mai riuscito a nascondere nulla a Silente, Tom gli stava evidentemente nascondendo qualcosa.
Un coinvolgimento, una scoperta? Un ricatto da parte di qualcuno? Non sapeva dirlo.
Ma l’avrebbe scoperto.  
Ron si morse un labbro, pensieroso. “È una pista poco rilevante…” Rifletté ancora. “Credi che Tom…”
“Sappia di essere coinvolto? No, io non credo.” Mentì.

 
‘Adesso credo di capirmi meglio…’
 
“È un ragazzo strano, sai…” Commentò Ron, dopo un’esitazione. “È sempre stato strano.”
“Non è strano.” Lo precedette Harry, duro. “Ha un passato particolare, ma è cresciuto con i nostri figli, Ron. Fa parte della famiglia.”

L’uomo sbuffò, in imbarazzo. “Sicuro. Sto solo dicendo… che ci sono tante cose nel suo passato che non tornano. L’ombelico, la sua nascita… Coleridge, quello che ha detto prima di morire, te lo ricordi?”
Lui risorgerà.” Sussurrò Harry con una smorfia. “Era pazzo, Ron. Un mitomane. Tom non è certo implicato con Voldemort.”  

Ron scrollò le spalle. “È ovvio. Voldemort era già ossa quando è nato. Ma… sto solo dicendo che se dobbiamo guardare il pelo nell’uovo, Tom ha molti più motivi di un adolescente normale di essere invischiato in qualche storia strana.”
Harry sospirò. “Sì… Vorrei parlargli, ma… non ha risposto al mio Gufo, e due giorni fa non ci siamo lasciati bene. A questo punto, se tentassi di parlargli di nuovo, peggiorerei solo le cose.”
“Uh, amico, lo sai che con gli adolescenti i discorsi seri vanno presi con le pinze. Specie se sono permalosi come lui.” Scherzò.

Harry sorrise, ma non rispose. Aveva una brutta sensazione, e Merlino, avrebbe voluta cancellarla con tutte le sue forze. Ma non poteva. Sospirò, guardando di nuovo l’orologio. Era ora.
“Aggrappati Ron. Si va al lavoro.”
Ron alzò gli occhi al cielo. “Agli ordini, capo.”

 
****
 
 
Hogwarts, pomeriggio.
Nei pressi del Lago Nero.
 
Albus non voleva piangere.
Davvero, la trovata una cosa stupida, considerando che ormai aveva sedici anni ed era un ragazzo.
Non voleva, ma aveva marinato le lezioni della mattina per potersi sedere in riva al lago, ben imbacuccato nel mantello, a gelarsi il sedere. Per restare solo.
E ora gli veniva da piangere.
Non riusciva a sopportare quella situazione. Ci aveva provato, e per due mesi era andato piuttosto bene.
Ma era arrivato al limite.
Così si sforzava di non piangere, quando in realtà voleva solo lasciarsi andare ad un pianto liberatorio e profondamente cretino.
Tom non era cattivo con lui. Tom lo baciava e nonostante tutto cercava di essere gentile.
Era quel nonostante tutto ad avvelenarli, però.
C’era qualcosa che non voleva dirgli, qualcosa che c’entrava con il suo umore bizzarro, o quel biondino, con le sue sparizioni e il deperimento fisico.
Per un paio di giorni aveva addirittura ventilato l’ipotesi di una maledizione, prima di rendersi conto che, se fosse stato così, i professori se ne sarebbero accorti.
Ma nessuno, a parte lui e Rose, sembrava trovare preoccupante il comportamento di Thomas.
Strano sì, ma non preoccupante.
Come se tutti si aspettassero da sempre che un giorno o l’altro avrebbe sbroccato…
Tirò su con il naso, perché spirava un vento gelido e davvero, sciarpa e mantello o meno, faceva dannatamente freddo.
Avrebbe dovuto tornare al castello, mangiare un boccone e poi seguire le lezioni del pomeriggio.
Ma non ne aveva voglia.
Che senso aveva, la sua routine scolastica, se non poteva aiutare Tom?
Gli sembrava di essere incredibilmente stupido, e … inutile.
Forse aveva ragione James. Il gene da eroe passa in linea maschile, in famiglia.
Ed io che pensavo di esserne immune…
Solo che aiutarlo non era come combattere un drago, un troll o sconfiggere un mago oscuro.
Aiutare Tom era dieci volte più difficile. Non era certo una battaglia di cappa e spada.
Specie perché non so contro quale nemico sto combattendo…
Sentì un lieve movimento dietro di sé, come di erba calpestata. Trattenne il respiro, ma poi cercò di non mostrarsi troppo deluso quando Michel gli si sedette accanto.
“Al…” Esordì con un sorriso vago, incrociando le braccia al petto e rabbrividendo infastidito. “Non credi sia una temperatura decisamente poco piacevole per indugiare nei propri pensieri?”
“Ho il mantello.” Fece spallucce: si sentiva a disagio. Tre giorni prima aveva scoperto che lui e James…

Inspirò. Non doveva dare giudizi.
Del resto, proprio io?
“Come mi hai trovato?” Chiese invece.
“Ho notato che non eri a lezione. A dire il vero, l’hanno notato tutti. Ho detto che eri in infermeria per un leggero raffreddore. Domani confermerai il mio alibi, a giudicare dallo stato del tuo naso…” Ironizzò lanciandogli un’occhiata. “E per rispondere alla tua domanda, questo è il tuo posto preferito.”

Al sorrise: nonostante tutto, poteva sempre contare su Zabini. Non era il genere di amico che un grifondoro avrebbe voluto, ma sapeva essere leale.
“Grazie. Sì, sono stato qui un po’ troppo, ma ormai il freddo non lo sento più.”
“Mmmh…” Replicò l’altro. “Tu e Tom avete litigato?”
Possibile che sia chiaro per tutti quando litighiamo?

“… Una specie. Per litigare, si dovrebbe gridare credo. E non l’abbiamo fatto.”
“Non vi vedo ad urlarvi addosso, sinceramente.” Gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Avanti, piccolo Al… sono qui per ascoltarti. Ma sappi che se il mio nobile naso francese verrà raffreddato, mi sarai debitore di molto più che una confidenza.”
Al scosse la testa. “Nulla di grave, Mike. È solo… Tom sta male, ma non vuole confidarsi.”
Michel prese un’aria assorta. “Sì, è chiaro che qualcosa lo tormenta. Non ti ha accennato nulla?”
“No…”
“Senti…” Sembrava incerto. “Siamo amici, non è vero?” Disse lentamente, quasi a provare come suonava la parola.

Al esitò: conosceva abbastanza Michel per sapere che, se era serio, era davvero qualcosa di importante quella che doveva dirgli. Almeno, nelle sue intenzioni.
“Certo che lo siamo!” Confermò, con piglio sicuro. “Mike, tu sei uno dei miei più cari amici!”
Il ragazzo gli concesse un sorriso stiracchiato. “Bene. Quindi, se ti do un parere, un consiglio, tu lo prenderai come quello di un amico, non è vero? Di qualcuno che si preoccupa per te…” Gli appoggiò una mano sul polso. Le mani di Michel erano sempre tiepideQuelle di Tom erano sempre fredde. “Perché io mi preoccupo per te, Al.”
“Lo so… certo. Dimmi.”

“Credo che Dursley sia un buon amico… con tutti i suoi difetti. Ma… non credo che sia giusto per te. Come tuo ragazzo.” Mormorò a bassa voce. “E ti prego… Al, ascoltami.” Lo fermò, vedendo che voleva protestare. “Non te lo sto dicendo perché siamo ai ferri corti. Tom con te non ha litigato, ed effettivamente sei l’unico con cui è gentile. Ma… ti meriti di meglio.”
Al serrò le labbra. Improvvisamente aveva voglia di alzarsi, andarsene. Mandarlo al diavolo.

Sapeva che le intenzioni di Michel erano buone, ma in ogni caso non riusciva a vederle come tali.
“Perché pensi che non sia giusto per me?” Chiese comunque, trattenendo l’irritazione.
“Non è evidente? Guardati, Al. Sei qui, da solo, al freddo, perché avete litigato. Ed hai un’espressione così triste…”
“Triste?” Fece una smorfia. “Io non sono triste.”
“Ma sei preoccupato. Non è così che dovrebbe essere una storia di due ragazzi di sedici anni. Dovrebbe essere divertente, senza impegno, non una specie di… missione.”
“Divertente e senza impegno? Come quella tra te e mio fratello?” Gli uscì di getto, con voluta cattiveria. Vedendo l’espressione sbalordita dell’amico, per un momento si sentì straordinariamente soddisfatto. “So di voi due… vi ho visti ad Halloween.”

“Al, non è come…”
“Non mi interessa, Mike.” Lo precedette. Fece una smorfia. “Certo, ci sono rimasto un po’ male, tu sei il mio migliore amico e lui è mio fratello. Mi sarebbe piaciuto essere a conoscenza del vero orientamento di Jamie, ma scommetto che ti ha obbligato a tenere il segreto, e non ti biasimo per questo.”

“Mi dispiace Al, non intendevo…” Michel per la prima volta in vita sua sembrò assolutamente sincero. Era una strana espressione la sua, quasi ansiosa. “Non è una storia che significa nulla, per nessuno dei due. Ti posso assicurare che non sto ingannando tuo fratello, o altro…”
L’avevo capito, Mike. Non lo chiami neanche per nome. E neanche lui lo fa, scommetto.

“Lo so… ma è questa la storia che dici che dovrei avere?” Fece un mezzo sorriso. “Perché mi sembra tanto squallida.”
Michel questa volta non rispose. Voltò lo sguardo verso la superficie gelida del lago, mordendosi un labbro. “Forse hai ragione…” Ammise. “Ma Al, non sono così. Non giudicarmi solo per quello che io e tuo fratello abbiamo fatto. Mi conosci, posso essere migliore di così.”

Al aggrottò le sopracciglia. “Mi pare ovvio.”
“No, non lo è. Potrei esserlo.” Fece una pausa, voltandosi per guardarlo. “Potrei esserlo per te, se tu volessi.”
Al rimase in silenzio. Era chiaro che fosse stato totalmente preso in contropiede, che non se l’aspettasse.
Arrossì, prevedibilmente, facendoglielo volere ancora di più. Poteva capire perché Dursley fosse così violento nel suo desiderio: Al era intelligente, scaltro, non privo talvolta di una certa malizia, ma era innocente. Essere il primo, per lui, doveva essere una sensazione meravigliosa.
“Mike… io…” Corrugò le sopracciglia, mordendosi un labbro. “Ti voglio bene e sei mio amico, ma…”
“Tom è il ragazzo che vuoi.” Concluse per lui, stendendo le labbra in una smorfia amara. “Non sono uno stupido, Albus. È chiaro a tutti. Tuttavia non lo dico per tirare acqua al mio mulino… Lui ti sta facendo male.”

“E tu mi faresti del bene, invece?” Obbiettò pacatamente, stupendolo. Lì per lì, non fu certo su che risposta dare.
Fece un sorrisetto. “Naturalmente. Io ti tratterei bene.” Decise per la verità, con una pennellata di fascino Zabini.
Fu ricompensato con un sorriso dolce, che gli pesò però come un macigno.
“Ascolta… Conosco Tom da una vita. Fa parte della mia storia. Capisci? Non riesco ad immaginarmi la mia vita senza di lui.” Lo disse con semplicità, perché in fondo era semplice.  “Non posso lasciarlo. È una cosa per me inconcepibile. Se lo facessi…” Scrollò le spalle. “… continuerei a cercare in ogni ragazzo lui. E lui soltanto.”
Michel pensò che non era mai stato rifiutato in modo così gentile e allo stesso tempo umiliante.
“È un no?”
“Penso proprio di sì, Mike.” Esitò. “Mi… dispiace.”
“È okay. Ti offrivo solo una possibilità.” Fece un mezzo sorriso sottile. “A me dispiace per te, mon cheri.”

Al stese le labbra in un sorriso più sicuro. In un certo senso, il rifiuto non avrebbe rovinato la loro amicizia. Pareva incredibile persino a lui, ma avrebbe continuato a voler bene a quel Potter incredibile.
E in ogni caso, era a conoscenza dei suoi sentimenti, se le cose con Dursley fossero andate male.
Rimasero in silenzio a guarda il lago. Michel dopo un po’ si stiracchiò. “Che dici? Rientriamo?”
“Vai tu. Vengo tra poco.” Gli assicurò. “Davvero, vengo. Dammi solo dieci minuti.”


Al quando lo vide andare via si sentì un po’ solo. Non era abituato a stare tanto tempo con i suoi pensieri.
E l’aveva appena rifiutato, a conti fatti.
Si sentiva, a conti fatti, triste – perché aveva mentito, era triste – e piuttosto scombussolato.
Il cielo si era schiarito, dopo la pioggia mattutina. Erano le tre e già il sole cominciava la sua lenta discesa verso l’orizzonte.
Sta arrivando l’inverno…
Considerazioni banali o meno, quello che vide in cielo fu tutt’altro che banale; all’inizio pensò ad un falco. Ne giravano molti attorno al castello, per ovvi motivi. Ma era troppo grosso, dai colori troppo violenti.
Batté le palpebre, cercando di mettere a fuoco. Il piumaggio era rosso e aveva già visto quella coda lunga e affusolata.  
Gli si bloccò il respiro in gola quando si accorse che stava guardando una fenice.
Rarissime, le fenici. L’ultima conosciuta in suolo inglese era stata Fanny,  fida compagna del preside Silente, scomparsa dopo la sua morte.
Si alzò in piedi, seguendo la traiettoria del suo volo. Stava sorvolando il lago, con ampi e lenti giri. Poi mutò assetto e planò dolcemente verso la Foresta Proibita.
Senza rendersene conto, si trovò a correre nella direzione in cui l’aveva vista sparire.

Vedere una fenice dal vivo, e non in figura, era un’occasione più unica che rara. Non era un volatile qualsiasi. Era una creatura leggendaria.
Sorpassò il capanno del guardiacaccia ed entrò nel fitto della boscaglia.
Deluso, si accorse di non vederla da nessuna parte.
Forse non è atterrata…
Sospirò, ficcandosi le mani gelate nelle tasche del mantello, apprestandosene ad andarsene.
Un fischio acuto lo fece però voltare di scatto: la fenice era lì, appollaiata su un tronco caduto.
Non c’era prima!
Incerto su come comportarsi, si limitò ad osservarla da lontano. Era piuttosto giovane, a giudicare dal piumaggio lucido e molto più grande del gufo reale di suo zio Percy.
La fenice emise un nuovo trillo. Aveva una voce melodiosa, assolutamente diversa dai richiami dei normali volatili.
‘Il suo canto infonde coraggio nei buoni e porta terrore nel cuore dei malvagi…’¹
Ricordava bene il passo del libro di Newton Scamandro.
Istintivamente fece un passo in avanti, sperando che non volasse via. Non lo fece, e non diede segni di nervosismo neppure quando le fu praticamente accanto.

Nervosismo? È un uccello millenario, figurati se si fa spaventare da uno come te…
Aveva occhi nerissimi, ma nonostante avesse artigli e becco piuttosto imponenti, aveva un’aria… mite.
Esitò, poi stese la mano. Quando la accarezzò sul dorso, quella fece un nuovo trillo.
“Ciao…” Sussurrò. “Sei Fanny?”
Non era stata più avvistata, dopo la morte di Silente.

‘Dopo la morte del padrone le fenici tornano libere…’
Certo, poteva trattarsi benissimo di un’altra fenice…
… ma viene qui ad Hogwarts e sorvola la sua tomba…
Il piumaggio sotto le sue dita era morbidissimo, come toccare talco. Si trovò a sorridere senza neanche sapere perché.
La fenice restò un altro po’ a bearsi delle sue carezze, prima di spiegare le ali, in un tacito gesto. Al si allontanò di due passi e la vide prendere il volo, maestosamente. La seguì con lo sguardo finché non diventò un puntino oltre il fitto della boscaglia.
Sentiva ancora sulle dita la sensazione tiepida di quelle piume. Si sentiva molto meglio dopo quell’incredibile incontro. Davvero.
Era come se un calore si stesse espandendo dalla mano fino al centro del petto.
Qualsiasi cosa fosse, era sicuro fosse merito di Fanny…  
Scrollò le spalle, incamminandosi verso il castello; non avrebbe detto a nessuno di quell’incontro.
Sentì che era una cosa che apparteneva solo a lui.
 
****
 
Note:
La fenice non è una nota di colore. ;) 
1 – Tratto da “Creature Fantastiche, Come Trovarle” di Newton Scamandro.
  
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