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Autore: Pleasance Carroll    17/02/2010    1 recensioni
ciao a tutti!questa è la mia prima ff su twilight che mi è venuta in mente rileggendo BD,parla di Jacob che tenta di uccidere Renesmee dopo il parto di Bella perchè la crede la sua assassina,ma non ci riesce e perciò torna nel parco dove era stato e lì incontra ancora una volta Lizzie(vi ricordate di quella ragazza che era preoccupata che lui avesse rubato la macchina?)ma la ragazza non è chi davvero dice di essere... posterò per prima cosa la trama che siete anche liberi di non leggere,spero vivamente che vi piaccia anche se non sono molto brava a scrivere un baciotto marty23
Genere: Romantico, Triste, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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5. difesa

 

la mattina seguente, per quanto mi fossi sforzato di alzarmi presto, quando andai nella stanza di Lizzie, non la trovai.

Sentii uno stranissimo prurito allo stomaco: la sera precedente, quando l’avevo baciata, mi ero sentito leggero come una piuma, prima ancora che potessi chiedermi come lei avrebbe reagito al mio gesto.

Non c’erano biglietti in giro. Temetti che quella mancanza potesse essere di per sé una risposta. Negativa. Segnale che avevo tradito la sua fiducia.

Stavo per girare sui tacchi, e chiudere la porta della sua stanza, per riservatezza, ma qualcosa attirò la mia attenzione…

…era il riflesso delle tre cornici che ornavano il comò di camera di Lizzie.

Ne presi una in mano, dopo essere tornato sui miei passi, e la osservai: era in bianco e nero.

Due persone sorridevano all’obiettivo, e sullo sfondo, una valle boscosa.

L’uomo con i capelli leggermente mossi e neri come la pece, avvolgeva un braccio attorno alle spalle della donna, con fare amorevole; lei, i capelli bianchi come neve, adagiati sulle spalle, sembrava tesa e aveva gli occhi chini su un fagotto che teneva tra le braccia. Un neonato; di cui si vedevano di sfuggita solo le piccole manine, protese verso la donna.

Pieno di curiosità, immaginai che quei due fossero i genitori di Lizzie, e che quella bambina, fosse proprio lei.

Che strano…Lizzie mi aveva accennato qualcosa su suo padre, ma mai nulla sulla madre…

Con un sospiro mi concentrai sulla seconda fotografia.

Stavolta, venivano ritratti cinque ragazzi, seduti su un prato verdissimo, vestiti con toghe e cappelli quadrati tipici del diploma. Non potei proprio resistere e, aprendo il vetro, guardai sul retro della foto, nella speranza di trovare una didascalia.

La calligrafia pulita e tonda di Lizzie, diceva:

“ diploma. Da sinistra a destra: io, Julian, Esther, Michael e Danielle.”

Mentre la rimettevo a posto, controllai ed analizzai una per una le persone di cui ora conoscevo i nomi.

Lizzie, aveva un sorriso sincero, i capelli biondo rossicci raccolti in una coda di cavallo e, i suoi erano così luminosi che sembrava stessero vivendo un sogno.

Mi domandai se all’epoca della foto fosse stata razionale come ora.

Il ragazzo accanto a lei, Julian, sembrava un dannato tronfio, pieno di sé e spavaldo; solo allora notai che i suoi occhi di ghiaccio fissavano ardentemente Lizzie. Sentii una morsa gelida attorno alla nuca, e mi ritrovai ad odiarlo.

Passai all’altra ragazza: Esther. Lucenti boccoli neri le incorniciavano il viso, egli occhi color nocciola, che guardavano verso l’obiettivo, erano sereni, come se fossero consapevoli nel profondo di un’importante conquista.

Nel momento in cui vidi Michael, per poco non mi cadde la foto dalle mani a causa della forte risata che non riuscii a trattenere.

I capelli color carota erano pettinati alla perfezione, con la riga precisissima. La camicia sotto il maglione sembrava essere stata sistemata con un righello. Dietro gli occhiali da vista si nascondevano due occhi che sembravano adorare lo schermo del computer e, invece, non curarsi troppo del proprio aspetto fisico: come per esempio i radi brufoli che aveva in faccia.

Infine, scrutai Danielle. Il nome mi sembrò francese. Era una bellissima di colore, con gli occhi neri, e dei soffici capelli castani.

La posai, per passare ad ammirare l’ultima foto che stava sul comò. E per poco non mi venne un colpo: erano Lizzie e Julian! Sedevano su un divanetto di pelle colorata, abbracciati…

Che stessero insieme?

Mi scoprii ad essere pungolato da una dilaniante fitta di fastidio…

Mi sembrava che stessi per perdere il controllo, poi, la tensione che minacciava di farmi trasformare, scese di colpo.

Mi ricordai che Lizzie, durante il nostro pick nick, mi aveva assicurato che “non c’era nessuno a prendersi cura di lei”.

Respirai profondamente e mi accorsi di essere letteralmente affamato su quella ragazza tanto riservata e, tuttavia, mi imposi di rispettarla.

Se avesse voluto, mi avrebbe parlato lei stessa dei suoi legami, dei suoi interessi…

Mi sforzai di mettere un piede davanti all’altro, per uscire dalla stanza di Lizzie; quindi, mi gettai sotto la doccia, e rimasi lì per diverso tempo, in attesa che la mente mi si svuotasse.

Mi vestii con i primi indumenti che trovai e, presi a girovagare per casa masticando un toast, che mi ero preparato.

Mi sorpresi del silenzio che c’era in quella casa, dell’armonica quiete in cui era immersa, tanto da sembrare parte integrante della foresta.

Sentire il verso squillante degli uccellini, mi fece desiderare di trasformarmi, di entrare di nuovo in contatto con la natura, sotto forma di lupo.

D’un tratto però, lo sguardo mi cadde sul braccialetto di gomma: era un regalo di Lizzie. Non potevo abbandonarla così, sparendo di punto in bianco.

Inoltre, da quando ero al suo fianco e, mi ero occupato di venire a capo del mistero sulla sua vita, su cui lei manteneva il silenzio, avevo la mente vuota il dolore sembrava diminuire, e mi sentivo meglio.

Con il sorriso sulle labbra mi abbandonai sul divano color crema che si trovava nel salotto, al piano inferiore.

La stanza era circoscritta da immense vetrate, e, mentre mi perdevo ad osservare le fronde verdi degli alberi, che sembravano vividamente vicine, scivolai nell’oblio.

-         Jacob…Jacob?- una voce mi chiamò, in lontananza.

Aprii gli occhi a fatica, e riconobbi Lizzie, seduta accanto a me, che mi sfiorava una spalla.

Ritirò la mano non appena la guardai, segno evidente che non voleva che ci toccassimo…

Oddio, baciarla era forse stato un errore?

-         ti sei alzato dal letto, per venire a dormire qui?- ironizzò, con un sorriso radioso, notando che ero vestito.

-         Addormentato?- chiesi, di rimando, mentre mi mettevo a sedere.

Dalle finestre, la morbida luce del tramonto inondava la stanza.

Fissai quella ragazza, con un sorriso ebete.

In seguito acconsentii anche a preparare la cena assieme a lei, e, mosso da un sentimento sconosciuto feci:

-         sai? Penso di non averti ringraziato abbastanza per quanto stai facendo…vorrei raccontarti qualcos’altro su di me…

quando ero piccolo mia madre morì in un incidente d’auto, e mio padre, in quello stesso incidente, perse l’uso delle gambe. Da allora mi sono sempre occupato di lui, ma, pur essendo figlio unico, non mi sono mai sentito solo…perché…bhè, alla riserva, dove vivevo, ho trovato molti amici, che considero come fratelli.- senza accorgermene avevo abbassato gli occhi sulle mani, concentrandomi su quanto dicevo.

Il tonfo di una padella, che cadeva in terra, mi riportò bruscamente alla realtà. Lizzie mi stava davanti, con gli occhi persi nel vuoto, forse immersi in un ricordo.

-         a me è successa una cosa simile…vedi, anche mia madre è morta in un incidente d’auto. Avevo quattro anni ed ero con la tata, per questo a me non accadde nulla. Mio padre, che era accanto a lei, in macchina, ne uscì illeso, e da allora si dedicò quasi totalmente al lavoro, per assicurare alla giustizia l’ubriaco che aveva causato l’incidente.

Mi sentii molto sola in quegli anni, imparai a fare della solitudine la mia forza; ma era anche un’arma a doppio taglio: se da una parte mi insegnava ad essere riservata e costruiva dei muri tra me e il mio dolore, dall’altra mi provocava profonda paura e sofferenza.

Poi, quando iniziai gli studi, conobbi delle persone che ancora adesso posso considerare come fratelli; condividemmo molte cose, pensa che ora lavoriamo anche insieme.- un lieve sorriso le accarezzò le labbra.

Probabilmente stava parlando delle persone che avevo visto nella foto. Voleva loro bene, era chiaro.

Venire a conoscenza di una parte della sua vita tanto delicata così in fretta, però, mi sconvolse e per tutta la sera mi sentii colpevole per l’ombra di malinconia che le contaminò gli occhi.

Mi stupii di quanto avessimo in comune. Forse era per questo che accanto a lei mi sentivo in pace, al sicuro.

La sentii ancora più vicina a me quando, in piena notte, sentendola piangere, mi precipitai da lei per abbracciarla, mentre le chiedevo perdono per averle fatto ricordare particolari tanto dolorosi.

La settimana trascorse tranquilla e l’unico avvertimento degno di nota, attorno al quale ruotava la mia giornata, era il puntuale ritorno di Lizzie, la sera, e, a giudicare dall’entusiasmo che metteva nel raccontarmi gli avvenimenti della sua giornata, e, qualche particolare in più sulla sua vita di tanto in tanto, pensai che grazie a quel mio abbraccio, tra me e lei dovevano essere cadute molte barriere.

Il sabato, poiché non doveva lavorare, decise che, siccome ero da lei da quasi una settimana, non potevo continuare ad indossare gli abiti del padre, e perciò dovevamo andare a far compre.

Era una cosa che detestavo, ma accettai ugualmente rendendomi conto che era del tempo in più che avrei trascorso con lei.

Mentre ci muovevamo per l’affollata città di New Port, non prestai attenzione a nulla, mi lasciai solo trascinare dalla mano di Lizzie, che stringeva con sicurezza la mia.

In un grande magazzino, la ragazza scelse per me alcune paia di pantaloni, qualche maglietta e camicia, e poi, dopo averle ammassate tutte assieme, si sedette e mi ordinò di andare nei camerini per provare tutta quella roba, poi uscire e lasciar giudicare lei.

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo; decisi però che l’avrei presa come un gioco: ad ogni completo che indossavo uscivo dal camerino atteggiandomi in una posa diversa.

Lizzie rideva con sincerità, ma alla fine riprese il controllo di sé e mi consigliò di acquistare alcuni jeans attillati (perché secondo lei, quelli morbidi a vita bassa, di moda in quel momento, mi davano un aspetto troppo trasandato), qualche maglietta colorata e una sola camicia.

Alla cassa mentre lei pagava, ed io prendevo le buste per non farla affaticare, mi abbandonai al ricordo della sua mano che mi accarezzava di sfuggita il petto seminudo, in bella vista sotto la camicia che avevo avuto difficoltà ad abbottonare.

-         andiamo?- mi invitò, carezzandomi i capelli con fare giocoso.

All’improvviso udimmo una voce: lei si paralizzò; io sentii il sangue ribollirmi nelle vene…

-        bene…bene…bene…Elizabeth…non sapevo che ti divertissi a vestire i bambolotti…- era la voce gelida di Julian.

Lizzie me l’aveva descritta quando c’eravamo ritrovati a parlare della sua relazione con lui.

Mi girai lentamente, fulminandolo con lo sguardo.

Mi parve di scorgere nell’espressione di Julian, una scintilla di puro terrore. Deglutì rumorosamente, a disagio.

Forse, ora che gli stavo di fronte, si era effettivamente reso conto che non gli conveniva fare lo sbruffone, dal momento che la mia altezza e la mia stazza erano nettamente superiori alle sue.

Lo squadrai, teso, come quando sotto forma di lupo mi preparavo ad attaccare una preda.

Era il classico tipo che cura maggiormente l’apparenza rispetto alle qualità interiori: completamente abbronzato, con i capelli biondi stirati, e quegli occhi di ghiaccio che avevo detestato sin dall’inizio, da quando li avevo trovati nella foto.

Notai solo dopo che teneva per mano una ragazza di appena diciotto anni, con i capelli biondo platino, la carnagione chiarissima e un completino rosa addosso che le copriva pochissimo il fisico.

Mi ricordava così tanto la vampira biondina che stava con i Cullen…

-         e tu, invece?povero stupido non sapevo che ti piacesse ancora giocare con le barbie…- sbottai, incapace di trattenermi.

La ragazzina affianco a Julian scoppiò a piangere e corse fuori dal negozio; lui fece alcuni passi indietro, col cuore a mille, per lasciarmi passare.

Fuori di me per la rabbia, lo afferrai per la camicia e lo sollevai da terra:

-         devi delle scuse alla mia ragazza, buffone !- gli intimai, scuotendolo come un pupazzo di pezza.

-         Jacob…basta, andiamocene.- mi sussurrò Lizzie, che si era avvicinata e mi aveva posato una mano sulla spalla.

Il suo tocco era freddo, segno evidente che era a disagio. In effetti, tutti, all’interno del negozio ci stavano fissando.

-         aspetta…non ho ancora sentito nulla…- replicai, scuotendo ancora un po’ quell’uomo patetico.

-         E va bene…va bene…mi dispiace per ciò che ti ho fatto, Lizzie.- si scusò con voce tremante e strozzata, Julian.

Lo lasciai andare subito dopo, e presi per mano Lizzie, tra il silenzio generale.

*

- che cos’hai? Non hai detto una parola da quando siamo usciti dal negozio…- buttai là, mentre Lizzie spegneva la macchina davanti casa.

Sbatté con rabbia un pugno sul volante.

-         perché l’hai fatto, Jacob? C’era per forza bisogno di attirare l’attenzione in quel modo? Avrei saputo difendermi da sola, e poi…come ti viene in mente che io possa essere “la tua ragazza”? Mi hai resa ridicola davanti a tutti!- proruppe in un fiume di parole, e quando ebbe finito, uscì dalla macchina senza aspettarmi.

-         Lizzie, aspetta! Lo so che puoi difenderti da sola, ma detestavo il modo in cui quello ti ha rivolto la parola.- le spiegai quando fummo in casa, cercando di afferrarle un braccio, perché si voltasse verso di me.

Ma le mie parole arrivarono tardi: per tutto il resto del giorno mi evitò, rifugiandosi nel silenzio.

Quell’assenza di parole era straziante, logorante e ben presto mi ritrovai da solo, steso sul letto di quella che era diventata la mia stanza, completamente confuso.

All’inizio non ero riuscito a capire il mio desiderio di sapere quanto più possibile su Lizzie; il fastidio che avevo provato vedendo le foto in cui Julian la fissava con bramosia; la necessità di proteggerla da chi, anche solo verbalmente voleva ferirla; o i brividi caldi che mi erano corsi lungo la schiena quando lei mi aveva sfiorato il petto e i capelli…

Ma ora, tutto mi appariva più chiaro, anche se impossibile: io la desideravo.

Desideravo stringerla tra le braccia, sentire il suo respiro sulla mia pelle…

Chiusi gli occhi, respirando a fatica. Non riuscivo a capire da dove mi nascesse questo desiderio, non aveva eguali, non era neanche paragonabile a quello flebile che un tempo avevo provato per Bella. Era tanto intenso da annebbiarmi la vista, da togliermi il respiro. Lizzie stava diventando tutto il mio mondo.

Che fosse quello, l’imprinting?

Caddi in ginocchio, prostrato dalla forza di ciò che provavo nei confronti di Lizzie, e decisi che, poiché probabilmente l’avevo umiliata, affrontando Julian quel pomeriggio, nonostante le mie intenzioni fossero nobili, ora, avrei dovuto stimolare in lei “l’istinto di autodifesa”.

D’altro canto, lavorando in polizia, doveva essere abituata alle esercitazioni per l’autodifesa, no?

Tuttavia, non potevo spingerla a battersi con me; si sarebbe di certo fatta male, ed avrebbe scoperto che le mie ferite si rigeneravano più velocemente rispetto a quelle delle persone normali.

Come avrei potuto fare?

Presi a pugni un cuscino, frustrato, ed improvvisamente ebbi un’idea.

*

non appena la sveglia suonò, annunciando l’inizio della domenica, mi svegliai, precipitandomi giù dal letto, con un soffice cuscino tra le mani.

-         sveglia, sveglia, sveglia! In piedi Lizzie, dai!- esordii correndo in camera sua e gettandomi di peso, sul suo letto.

Presi a picchiarle delicatamente il cuscino addosso, e di tanto in tanto lasciavo qualche morbido bacio sulle sue spalle, sulle braccia, sulla fronte…

Trovai i suoi splendidi occhi color cannella a fissarmi, stanchi a spaesati.

-         Jacob…che cosa stai facendo?- mi chiese, senza sapere bene cosa fare.

-         Dici di saperti difendere da sola…perché non me lo dimostri, combattendo contro di me ad una battaglia di cuscini…all’ultima piuma?- proposi, per farla ridere.

E funzionò. La risata di Lizzie fu così radiosa da rallegrare anche me.

Approfittando della mia distrazione, la ragazza si tolse il cuscino da sotto la testa, e mi colpì in pieno viso.

Nonostante fosse solo un gioco, e Lizzie si stesse divertendo come una matta, mi dimostrò ciò che le avevo chiesto: in breve mi disarmò e si sedette su di me.

Sorrise, poi appoggiò l’orecchio sul mio cuore e con una mano mi accarezzò dolcemente il petto.

Era incredibile quanto i miei muscoli fossero docili sotto il suo tocco.

Chiusi gli occhi e, lentamente, mi spinsi verso Lizzie per baciarla…

Il tocco delle sue labbra sulle mie mi provocò un brivido caldo simile a una scossa, che mi si propagò in tutto il corpo.

-         no…no…cosa stiamo facendo?Oddio, che cosa ho fatto?-domandò Lizzie, d’un tratto, più a se stessa che a me. Posò la fronte contro la mia e, tenendo gli occhi chiusi, scosse la testa, nervosa.

-         Che cos’hai? C’è qualcosa che non va?- le chiesi, spaesato.

-         Sei minorenne Jacob, non capisci? Quello che ti ho fatto è sbagliato!- replicò, pronta. La razionalità stava di nuovo avendo il sopravvento su di lei.

Fece per alzarsi, ma la trattenni.

-         non andartene, per favore, lasciami spiegare…Lizzie, tu non mi hai fatto nulla. Sono stato io a baciarti, ad abbracciarti. Ci vedi qualcosa di sbagliato in questo? Vedi qualcosa di sbagliato nell’amore?- ammutolii di colpo quando l’ultima parola uscì dalle mie labbra. L’avevo detto: l’amavo.

La sottile paura che sentivo svanì, e ripresi a parlare:

-         è così: io ti amo. Non voglio nient’altro se non saperti al mio fianco, sempre.- confessai, poi alzai gli occhi, facendomi coraggio.

-         Non provi anche tu, questo?-

Per tutta risposta Lizzie tornò con slancio tra le mie braccia, ed unì le sue labbra alle mie, in un lungo, appassionato bacio.

Quando ci dividemmo, mentre lei esplorava il mio corpo con le mani, fui costretto a riprendere fiato.

Poi facemmo l’amore. La sentivo vicina a me, più di quanto non fosse mai stata prima, ed ero felice.

Ma avevo anche paura, perché il dolore era intensissimo.

D’un tratto, come per magia, Lizzie mi baciò e il dolore mutò in piacere.

L’abbracciai mentre le nostre anime diventavano una sola.

  
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