Salve!
Ecco il 10° capitolo della storia..Scusate per il ritardo, spero vi piaccia!
Alla prossima,
Lady Anderson
Cap.
10 – INCUBI E RIVELAZIONI
Tutti
si voltarono verso di me, esterrefatti. Otto paia di occhi ambrati mi
trapassarono da parte a parte. Il silenzio stava diventando quasi assordante. “La
smettete di fissarmi come se fossi pazza?”, scoppiai, incapace di
sopportare oltre la loro immobilità. Mio padre respirò profondamente. “Renesmee,
sei sconvolta, non sai quello che dici...” “Non è vero! Io so benissimo
quello che dico! Credete che non ne sia capace, vero? Lo credete tutti!”,
urlai in preda alla disperazione, mentre la mamma e la zia Rose cercavano invano
di calmarmi. “Nessie,
tesoro...Non possiamo permetterci degli errori...”, intervenne il
nonno, severo. Mi voltai bruscamente avviandomi verso la porta d’ingresso. Papà
si materializzò davanti ad essa un secondo prima che potessi aprire e andarmene
via. “Carlisle ha
ragione, Renesmee. Ne va della sua vita, non puoi compiere un gesto del
genere!”. Per la prima volta mi ritrovai a ringhiare contro mio padre.
Lui rimase impassibile, mentre la zia Rosalie mi tirava per un braccio per
allontanarmi. Mi prese per le spalle e mi fissò con i suoi occhi ambrati, con
aria preoccupata. “Tesoro,
calmati. Vedrai che tuo nonno risolverà tutto.”, mi disse preoccupata.
Allontanai lo sguardo, perdendomi nel vuoto. Zia Rose sospirò profondamente. “Vuoi
farlo davvero, Nessie?”, proseguì. Io rimasi in silenzio, mentre un
brivido mi attraversava la schiena da cima a fondo. “Carlisle...Forse
Renesmee non dice una cosa del tutto sbagliata.”. La guardai
stupefatta, mentre gli altri si immobilizzarono di nuovo. “Spiegati,
Rosalie.”, la incitò il nonno. Lei aspettò qualche minuto,
pensierosa. “Nessie è...In
grado di produrre veleno, giusto?”. Il nonno annuì serio. “Lo
è, ma non in modo spontaneo come noi. Deve essere sotto adrenalina, lo sai
anche tu, Rose.” “Però può farlo. Sappiamo anche che il suo veleno è meno
potente del nostro, e questo può essere un problema. Ma potrebbe provare lo
stesso...Nel caso in cui non ce la facesse, potresti intervenire tu.”.
Il nonno rimase a guardare mia zia come se avesse appena bestemmiato. “Rosalie...È
troppo pericoloso. Lei non...” “Carlisle, per favore...Mi assumo io la
responsabilità di quello che potrebbe succedere.”. Il mio cuore
accelerò. Dovevo molto alla zia Rosalie, in qualunque modo fossero andate le
cose. Il nonno rimase ancora qualche attimo in silenzio, prima di cedere. “E
va bene...Ma non illudetevi. La situazione è molto, molto delicata.”.
Mi venne quasi da piangere. Corsi ad abbracciare la zia, che ricambiò la
stretta con le sue braccia fredde. Dopo un po’ mi avviai in camera,
trascinandomi come uno zombie. Non appena mi sistemai sul letto sentii il peso
di mia madre accanto a me. Iniziò ad accarezzarmi i capelli, poi mi girò
delicatamente il viso verso di lei. “Ce
la farai, Nessie. Mi fido di te.”. La guardai con gratitudine,
sorridendole flebilmente. Mi addormentai appoggiata al suo petto, come facevo
sempre quando ero piccola, sperando che quel gesto avventato non decretasse la
perdita definitiva della parte più importante di me.
La
mattina dopo mi svegliai piuttosto di malumore. Sentivo dentro di me che sarebbe
stata una giornata piuttosto pesante. Scesi in cucina svogliatamente, e mi
meravigliai di trovare Jacob seduto al tavolo con mia madre. Notai una vena di
preoccupazione nello sguardo di entrambi. “Buon
giorno, Nessie.” “Giorno. Come mai non sei da Amy stamattina?”. La
mamma sorrise all’imbarazzo di Jake. “Ehm...Mi
ha detto che doveva andare via con i suoi genitori...” “Ah, già...Me lo
aveva accennato.”, risposi vagamente. Preparai il caffé in silenzio,
assorta nei miei pensieri. Poi mi ricordai delle espressioni della mamma e di
Jacob. “Come mai avete
quelle facce? C’è qualcosa che non va?”. La mamma sospirò
leggermente, passandosi una mano tra i capelli castani. “Un’ora
fa ha chiamato tuo padre...È all’ospedale con Carlisle.”. Mi
immobilizzai all’istante, con la tazza sospesa a mezz’aria. “Nathe
ha avuto delle complicazioni.”. La tazza mi cadde dalle mani, finendo
in pezzi sul pavimento. Mi appoggiai al lavello, gli occhi persi nel vuoto. Dopo
qualche minuto infinito mi girai; la mamma aveva già ripulito tutto. Jacob mi
abbracciò, cercando di consolarmi. “Non
posso più aspettare...Devo andare adesso...”, dissi confusa, scossa
dai brividi. “No,
Renesmee. Dobbiamo aspettare fino a stasera, adesso c’è troppa gente in
ospedale.”, rispose mia madre, accarezzandomi la schiena. Mi scostai da
Jacob, e come un automa mi diressi di nuovo al piano superiore. Mi chiusi in
camera mia a chiave, anche se non sarebbe servito a molto. Ogni tanto la mamma o
Jacob venivano a bussare, chiedendomi se era tutto a posto. Ma era come se non
li sentissi. Nella mia testa vedevo solo il mio ragazzo in un letto
d’ospedale, in fin di vita. Le ore trascorsero lente; mi accorsi che si stava
facendo sera solo quando i raggi del sole che tramontava illuminarono la
finestra. Qualcuno bussò di nuovo. “Nessie...Possiamo
entrare?”. Riconobbi l’odore di zia Alice e zio Jasper. Si, forse un
po’ di finta calma era quello che mi serviva. Aprii la porta, lasciando
entrare gli zii. Al piano di sotto ci dovevano essere anche gli altri. Zia Alice
si sedette sul davanzale della finestra, scrutandomi attentamente. Intanto, lo
zio aveva già messo in azione il suo potere: stavo iniziando a rilassarmi. “Non
riesci a vedere niente, zia?”. Lei storse un po’ il naso. “Qualcosa
di sfocato...Ieri sera ho ti ho visto mentre stavi per farlo, ma del dopo non so
proprio dirti niente. Mi dispiace, tesoro...”. Sospirai. “Va
bene, zia, ti ringrazio.”. Lo zio Jasper intervenne: “Nessie,
che ne dici di scendere a mangiare qualcosa? Non puoi rimanere a stomaco
vuoto...”. Non aveva tutti i torti, in effetti...Sentivo un leggero
languorino. Sorrisi un po’, poi seguii gli zii in cucina. Sulla tavola era
appena comparso un bel cheescake alle fragole. Dopo che ebbi mangiato metà
torta tutta da sola (l’altra metà era finita nelle fauci di Jacob...), la zia
Rosalie mi porse il giubbotto. “Te
la senti, Renesmee?”. Esitai un attimo. Mi stavano guardando tutti,
preoccupati. Poi la determinazione si fece strada dentro di me, forse ancora per
merito dello zio Jazz. Afferrai il giubbotto e lo indossai, dirigendomi verso la
porta di casa. “Andiamo.”.
Appena
venti minuti dopo eravamo tutti, Jacob compreso, nella stanza di Nathe. Sembrava
che dovessero assistere ad uno spettacolo teatrale, e questo mi innervosì un
po’. “Nessie, siamo
qui per aiutarti...”, disse mio padre con una nota di dolore, dopo aver
letto i miei pensieri. Nathe era sempre li, pieno di tubi, con la maschera
dell’ossigeno e l’elettrocardiogramma collegato al petto. Il pensiero di
quello che stavo per fare mi inorridì un po’. “Allora,
dobbiamo stimolare il tuo corpo in modo che produca adrenalina sufficiente...”,
intervenne il nonno, professionale ma terribilmente scettico. La sua sfiducia mi
demoralizzò. Attese un attimo e poi proseguì: “Pensi
di farcela da sola?”. Cercai di pensare ai momenti in cui il veleno mi
aveva invaso la bocca. La notte a Vancouver, lo spogliatoio della palestra, la
sera a casa di Nathe...Improvvisamente sentii
un sapore vagamente aspro invadermi la gola. “Ci
sono.”, dissi con un po’ di timore. Il nonno mi passò un tampone
sulla lingua e andò ad esaminarlo in laboratorio. Quando tornò in stanza, il
suo sguardo non era molto promettente. “Il
veleno c’è, ma non basta. È ancora poco...”. Lo guardai con aria
interrogativa. “Come non
basta? Io lo sento bruciare come le altre volte, non può essere poco!”
“Renesmee, le altre volte non avevi la vita di una persona tra le mani. Nathe
non lo sentirà neanche.” “E tu...Non puoi aiutarmi?”. Il nonno mi
guardò con aria afflitta. “Nessie,
non so se riuscirai a produrre abbastanza veleno...”. Quella frase
parlava chiaro. Non voleva che provassi a trasformare Nathe. Gli detti
un’occhiataccia, poi mi precipitai fuori dalla stanza senza dare ascolto a
quello che mia madre e mio padre mi stavano dicendo. Fermai un’infermiera,
chiedendole dove potevo trovare un deposito di medicinali. “C’è
la farmacia al piano terra, oppure in fondo al corridoio a sinistra. Ma non puoi
entrare, sono aree riservate ai medici.” “Mi manda il Dottor Cullen.”,
risposi, forse un po’ troppo scortesemente. Mi avviai di gran carriera dove mi
aveva indicato, ma ad un tratto mi sentii tirare per un braccio. Era Jacob. “Nessie,
che intenzioni hai?” “Se non mi aiuta lui, farò da sola.”.
Strattonai la presa e ricominciai a camminare. Arrivata davanti alla porta del
deposito ruppi la maniglia ed entrai. La chiave cadde rumorosamente a terra. “Renesmee
per favore, non fare cazzate...”, mi implorò Jake, tenendomi di nuovo
per un braccio. Non mi girai nemmeno a guardarlo, così mi lasciò subito.
Iniziai a cercare dappertutto: sulle mensole, scaffali, armadietti, dentro le
scatole piene di farmaci da sistemare. Alla fine trovai quello che volevo; il
nonno mi aveva insegnato fin da piccola a riconoscere i vari tipi di medicine e
sostanze. Su un ripiano c’erano un sacco di fiale azzurre disposte
ordinatamente. “Jake,
per favore trovami una siringa con un ago grosso.”. Jacob sembrò
sbiancare. “Non mi sei
di aiuto se te ne stai li impalato.”, dissi acida, mentre aprivo la
fiala. Jacob frugò in una cassettiera, e dopo qualche minuto mi porse la
siringa. “Cosa diavolo
stai facendo?”, mi chiese preoccupato. “Mi
inietto una sostanza che stimola l’adrenalina. Vedremo se poi non sarà
sufficiente.” “Tu sei impazzita, Renesmee...Perchè ti ostini così tanto a
fare questa cosa?”. Infilai la siringa nella fiala e la riempii. “Non
lo so, Jacob. Non lo so proprio. Ma per favore, non dire più niente.”.
Jacob sospirò pesantemente e si girò, dandomi le spalle. “Fai
presto. Gli aghi mi fanno venire l’ansia.”. Mi legai un laccio
emostatico sopra al gomito sinistro, cercando di far uscire la vena. Appena la
linea bluastra comparve sotto la mia pelle diafana levai il laccio e infilai
l’ago, facendo un po’ di forza. Si storse leggermente, ma alla fine riuscii
ad iniettarmi la sostanza. “Ho
fatto.”, dissi, facendo sparire le prove del mio passaggio in quella
stanza. Tornammo in camera di Nathe, dove tutti mi fissarono con aria confusa.
All’improvviso mi sentii avvolgere dal calore. La gola iniziò a bruciarmi
come se stesse prendendo fuoco, e il cattivo sapore del veleno si impadronì
della mia bocca. Guardai i miei familiari, prima di rivolgere tutta la mia
attenzione a Nathe. Gli accarezzai i capelli ed il viso. Poi scostai per un
attimo la maschera dell’ossigeno, giusto il tempo di dargli un piccolo bacio. “Passerà
tutto, amore mio.”, sussurrai, spostandogli delicatamente la testa, in
modo che il collo fosse scoperto. Aspettai qualche attimo; gli unici rumori che
si sentivano erano l’elettrocardiogramma e il respiro ansioso di Jacob.
Individuai il flusso di sangue sotto la pelle tiepida di Nathe. Mi avvicinai
lentamente, spinta da una forza che sentivo non essere del tutto mia. Esitai un
po’; poi chiusi gli occhi e portai le mie labbra a un millimetro dalla carne.
Fu un attimo: i miei denti tagliarono senza difficoltà la pelle e i muscoli,
fino a bucare l’arteria. Iniziai a bere il sangue di Nathe. Era come mi ero
sempre aspettata: il suo sapore era fresco ed intenso. L’avidità mi spinse ad
affondare ancora di più i denti, in modo che mi arrivasse più sangue in bocca.
Non capivo più niente...Non riuscivo a fermarmi. Non volevo. Volevo saziare la
mia sete il più possibile. Il corpo di Nathe si scuoteva leggermente, e
percepivo che la quantità di sangue all’interno del suo corpo stava
diminuendo. “Nessie,
basta, ne hai bevuto abbastanza!”, mi sussurrò la voce lontana del
nonno. Non l’ascoltai. “Renesmee,
smettila!”, disse mio padre, in allarme. Non ascoltai nemmeno lui. “TIRATELA
VIA! LO UCCIDERÀ!”, urlò ancora il nonno. Subito mio padre, zio
Emmett e Jacob si avventarono su di me, cercando di allontanarmi da Nathe. Dopo
qualche tentativo ci riuscirono. Io mi dimenavo come una furia, desiderosa di
affondare di nuovo i denti nel collo del mio ragazzo. “RENESMEE,
BASTA!”, gridò la mamma, scrollandomi per le spalle. Dopo qualche
attimo la guardai con occhi stralunati, calmandomi all’istante. Feci scorrere
lo sguardo per tutta la stanza. Il nonno si stava tamponando un po’ di cotone
sulla lingua, per passarlo poi sullo squarcio a forma di mezzaluna aperto sul
collo di Nathe. Il cuscino era macchiato di sangue. Corsi in bagno per
sciacquarmi la faccia. Mi guardai allo specchio...Un rivolo scarlatto scendeva
dall’angolo della mia bocca. Rimasi immobile come una statua a fissare la mia
immagine riflessa, sobbalzando spaventata quando un urlo di dolore riecheggiò
per il corridoio.
Ero
sull’orlo della disperazione. Continuavo a torturarmi l’anima, facendo su e
giù per quella maledetta stanza, ripetendomi che ero un’assassina. “Renesmee,
Santo Cielo, vuoi stare un minuto ferma?”,
sbuffò Jacob, seduto sulla poltroncina vicino alla finestra. “Non
dovevo farlo, non dovevo…” “Senti, tu non hai nessuna colpa. La vuoi
smettere di accusarti?” “Jacob, guardalo! Sono passati quattro giorni e
ancora non è successo niente...È soltanto per causa mia se adesso è
peggiorato ancora!”. Jake scosse la testa, rassegnato. Io non riuscivo
a darmi pace…Avrei dovuto dare retta al nonno. Doveva farlo lui. Che stupida
egoista…A quest’ora forse Nathe si sarebbe già svegliato. “Se
ne andrà…Me lo sento…”.
Jacob si alzò di scatto e mi prese per un braccio, strattonandomi bruscamente e
costringendomi a guardarlo negli occhi. “Ascoltami
bene. TU-NON-HAI-COLPA. Chiaro?” “Non è vero Jake…”.
Lui mi strinse ancora più forte. “Allora
perché non ci hai pensato prima, eh? Sono stanco di sentirti dire che sei
un’assassina!” “Credevo che ne sarei stata capace…” “Non
mi importa quello che ti è passato per la testa! Se solo avresti lasciato fare
Carlisle, adesso non saresti qui a piangere come una cretina per qualcosa di cui
non hai responsabilità!”. Rimasi qualche secondo a fissarlo in
silenzio, prima di tirare via il braccio dalla sua presa ferrea. “Tu
non capisci Jacob…”.
Lui mi guardò, una scintilla di rabbia accesa nei suoi occhi. “Io
non capisco? Ti devo ricordare che sono dentro a questa storia quanto te?”
“Non volevo dire questo.” “E allora cosa? Cosa, Renesmee? Dovevi lasciare
che se ne occupasse Carlisle!”.
A quel punto scoppiai. Non ce la facevo più. “NON
VOLEVO, VA BENE? NON VOLEVO CHE LO FACESSE LUI!”,
urlai, ormai ai limiti della sopportazione. “Fare
cosa?”. Oddio.
No, non poteva essere vero... Incrociai lo sguardo di Jacob, che era diventato
un pezzo di pietra. “Amy…”,
sussurrai, notando solo allora la mia migliore amica sulla soglia della porta. “Allora?”,
insisté, visibilmente contrariata. “Niente
di importante, tranquilla…” “Non mi prendere in giro, Jake. Vi ho
sentito.”. Lui
rimase in silenzio, incapace di dire anche solo una parola. Lo guardai, in modo
abbastanza eloquente e sospirai, prima di rivolgermi a lei. “Amy…È
arrivato il momento che tu sappia un bel po’ di cose.”
Nella
stanza era caduto un silenzio quasi innaturale, se non fosse stato per il
respiro accelerato di Amy. Sia io che Jacob non sapevamo cosa fare. La mia
migliore amica si nascose il viso tra le mani, evitando di posare il suo sguardo
su di noi. “Mi state
dicendo che…No, non ci credo.”,
disse ad un tratto, sempre con il respiro affannato. “Mi
dispiace Amy, avrei dovuto dirtelo molto tempo fa…” “Ho detto che non vi
credo.”, ribatté,
quasi con rabbia. “Amy,
per favore…” “Jake, non ti ci mettere pure tu! Queste sono tutte
cazzate!”, disse
scattando in piedi, gli occhi azzurri velati di lacrime. A quel punto la
afferrai per un braccio, piantando i miei occhi nei suoi. I miei ricordi
iniziarono a fluire
nella mia e nella sua mente ad una velocità impressionante: la mia nascita, le
corse con Jacob lupo, la mia crescita accelerata, la caccia, i miei familiari
che non cambiavano nonostante il passare del tempo…Spaventata, Amy cercò
invano di interrompere il contatto; dopo qualche minuto la lasciai, le avevo
mostrato a sufficienza. “Ci
credi adesso?”, le chiesi con un filo di voce. Amy guardò prima me,
poi Jacob, poi di nuovo me, indietreggiando verso la parete fino ad
accasciarvisi contro. Qualche attimo dopo rialzò lo sguardo su di me, il viso
rigato dalle lacrime. Mi avvicinai a lei, chinandomi per abbracciarla, esitante.
“Mi dispiace, Amy…Non
sarei mai capace di fare del male a qualcuno…E neanche Jacob.”. Non
mi rispose, ma poi sentii le sue braccia stringersi intorno alla mia schiena.
Aveva capito. Mi aveva accettata. “Nessie…”,
sussurrò, ancora stretta a me, dopo qualche minuto di silenzio. Mi spostai
leggermente, in modo di farle capire che stavo ascoltando. “È
per questo che ogni tanto ringhi, vero?”.
Mi allontanai quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Notando la mia
espressione allibita i suoi occhi si riaccesero, ed Amy si lasciò sfuggire un
sorriso, tornando ad essere la stessa di prima. Qualche secondo dopo Jake la
seguì, scoppiando in una fragorosa risata. Feci scorrere il mio sguardo su
entrambi, prima di cedere a mia volta. Tirai su Amy, facendola alzare da terra
senza il minimo sforzo. “Ehi,
Cullen, vacci piano…Così mi fai volare!”.
L’abbracciai di nuovo, felice come non mi capitava di essere da un sacco di
tempo. Anche Jacob si unì a noi. Meno male che avevo loro accanto.