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Autore: Lady Anderson    19/02/2010    2 recensioni
“Lasciami andare, Jacob, o ti salto alla gola.” -Renesmee Cullen-
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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Salve!

Ecco il 10° capitolo della storia..Scusate per il ritardo, spero vi piaccia!

Alla prossima,

Lady Anderson

 

 

Cap. 10 – INCUBI E RIVELAZIONI

 

Tutti si voltarono verso di me, esterrefatti. Otto paia di occhi ambrati mi trapassarono da parte a parte. Il silenzio stava diventando quasi assordante. “La smettete di fissarmi come se fossi pazza?”, scoppiai, incapace di sopportare oltre la loro immobilità. Mio padre respirò profondamente. “Renesmee, sei sconvolta, non sai quello che dici...” “Non è vero! Io so benissimo quello che dico! Credete che non ne sia capace, vero? Lo credete tutti!”, urlai in preda alla disperazione, mentre la mamma e la zia Rose cercavano invano di calmarmi. “Nessie, tesoro...Non possiamo permetterci degli errori...”, intervenne il nonno, severo. Mi voltai bruscamente avviandomi verso la porta d’ingresso. Papà si materializzò davanti ad essa un secondo prima che potessi aprire e andarmene via. “Carlisle ha ragione, Renesmee. Ne va della sua vita, non puoi compiere un gesto del genere!”. Per la prima volta mi ritrovai a ringhiare contro mio padre. Lui rimase impassibile, mentre la zia Rosalie mi tirava per un braccio per allontanarmi. Mi prese per le spalle e mi fissò con i suoi occhi ambrati, con aria preoccupata. “Tesoro, calmati. Vedrai che tuo nonno risolverà tutto.”, mi disse preoccupata. Allontanai lo sguardo, perdendomi nel vuoto. Zia Rose sospirò profondamente. “Vuoi farlo davvero, Nessie?”, proseguì. Io rimasi in silenzio, mentre un brivido mi attraversava la schiena da cima a fondo. “Carlisle...Forse Renesmee non dice una cosa del tutto sbagliata.”. La guardai stupefatta, mentre gli altri si immobilizzarono di nuovo. “Spiegati, Rosalie.”, la incitò il nonno. Lei aspettò qualche minuto, pensierosa. “Nessie è...In grado di produrre veleno, giusto?”. Il nonno annuì serio. “Lo è, ma non in modo spontaneo come noi. Deve essere sotto adrenalina, lo sai anche tu, Rose.” “Però può farlo. Sappiamo anche che il suo veleno è meno potente del nostro, e questo può essere un problema. Ma potrebbe provare lo stesso...Nel caso in cui non ce la facesse, potresti intervenire tu.”. Il nonno rimase a guardare mia zia come se avesse appena bestemmiato. “Rosalie...È troppo pericoloso. Lei non...” “Carlisle, per favore...Mi assumo io la responsabilità di quello che potrebbe succedere.”. Il mio cuore accelerò. Dovevo molto alla zia Rosalie, in qualunque modo fossero andate le cose. Il nonno rimase ancora qualche attimo in silenzio, prima di cedere. “E va bene...Ma non illudetevi. La situazione è molto, molto delicata.”. Mi venne quasi da piangere. Corsi ad abbracciare la zia, che ricambiò la stretta con le sue braccia fredde. Dopo un po’ mi avviai in camera, trascinandomi come uno zombie. Non appena mi sistemai sul letto sentii il peso di mia madre accanto a me. Iniziò ad accarezzarmi i capelli, poi mi girò delicatamente il viso verso di lei. “Ce la farai, Nessie. Mi fido di te.”. La guardai con gratitudine, sorridendole flebilmente. Mi addormentai appoggiata al suo petto, come facevo sempre quando ero piccola, sperando che quel gesto avventato non decretasse la perdita definitiva della parte più importante di me.

La mattina dopo mi svegliai piuttosto di malumore. Sentivo dentro di me che sarebbe stata una giornata piuttosto pesante. Scesi in cucina svogliatamente, e mi meravigliai di trovare Jacob seduto al tavolo con mia madre. Notai una vena di preoccupazione nello sguardo di entrambi. “Buon giorno, Nessie.” “Giorno. Come mai non sei da Amy stamattina?”. La mamma sorrise all’imbarazzo di Jake. “Ehm...Mi ha detto che doveva andare via con i suoi genitori...” “Ah, già...Me lo aveva accennato.”, risposi vagamente. Preparai il caffé in silenzio, assorta nei miei pensieri. Poi mi ricordai delle espressioni della mamma e di Jacob. “Come mai avete quelle facce? C’è qualcosa che non va?”. La mamma sospirò leggermente, passandosi una mano tra i capelli castani. “Un’ora fa ha chiamato tuo padre...È all’ospedale con Carlisle.”. Mi immobilizzai all’istante, con la tazza sospesa a mezz’aria. “Nathe ha avuto delle complicazioni.”. La tazza mi cadde dalle mani, finendo in pezzi sul pavimento. Mi appoggiai al lavello, gli occhi persi nel vuoto. Dopo qualche minuto infinito mi girai; la mamma aveva già ripulito tutto. Jacob mi abbracciò, cercando di consolarmi. “Non posso più aspettare...Devo andare adesso...”, dissi confusa, scossa dai brividi. “No, Renesmee. Dobbiamo aspettare fino a stasera, adesso c’è troppa gente in ospedale.”, rispose mia madre, accarezzandomi la schiena. Mi scostai da Jacob, e come un automa mi diressi di nuovo al piano superiore. Mi chiusi in camera mia a chiave, anche se non sarebbe servito a molto. Ogni tanto la mamma o Jacob venivano a bussare, chiedendomi se era tutto a posto. Ma era come se non li sentissi. Nella mia testa vedevo solo il mio ragazzo in un letto d’ospedale, in fin di vita. Le ore trascorsero lente; mi accorsi che si stava facendo sera solo quando i raggi del sole che tramontava illuminarono la finestra. Qualcuno bussò di nuovo. “Nessie...Possiamo entrare?”. Riconobbi l’odore di zia Alice e zio Jasper. Si, forse un po’ di finta calma era quello che mi serviva. Aprii la porta, lasciando entrare gli zii. Al piano di sotto ci dovevano essere anche gli altri. Zia Alice si sedette sul davanzale della finestra, scrutandomi attentamente. Intanto, lo zio aveva già messo in azione il suo potere: stavo iniziando a rilassarmi. “Non riesci a vedere niente, zia?”. Lei storse un po’ il naso. “Qualcosa di sfocato...Ieri sera ho ti ho visto mentre stavi per farlo, ma del dopo non so proprio dirti niente. Mi dispiace, tesoro...”. Sospirai. “Va bene, zia, ti ringrazio.”. Lo zio Jasper intervenne: “Nessie, che ne dici di scendere a mangiare qualcosa? Non puoi rimanere a stomaco vuoto...”. Non aveva tutti i torti, in effetti...Sentivo un leggero languorino. Sorrisi un po’, poi seguii gli zii in cucina. Sulla tavola era appena comparso un bel cheescake alle fragole. Dopo che ebbi mangiato metà torta tutta da sola (l’altra metà era finita nelle fauci di Jacob...), la zia Rosalie mi porse il giubbotto. “Te la senti, Renesmee?”. Esitai un attimo. Mi stavano guardando tutti, preoccupati. Poi la determinazione si fece strada dentro di me, forse ancora per merito dello zio Jazz. Afferrai il giubbotto e lo indossai, dirigendomi verso la porta di casa. “Andiamo.”.

Appena venti minuti dopo eravamo tutti, Jacob compreso, nella stanza di Nathe. Sembrava che dovessero assistere ad uno spettacolo teatrale, e questo mi innervosì un po’. “Nessie, siamo qui per aiutarti...”, disse mio padre con una nota di dolore, dopo aver letto i miei pensieri. Nathe era sempre li, pieno di tubi, con la maschera dell’ossigeno e l’elettrocardiogramma collegato al petto. Il pensiero di quello che stavo per fare mi inorridì un po’. “Allora, dobbiamo stimolare il tuo corpo in modo che produca adrenalina sufficiente...”, intervenne il nonno, professionale ma terribilmente scettico. La sua sfiducia mi demoralizzò. Attese un attimo e poi proseguì: “Pensi di farcela da sola?”. Cercai di pensare ai momenti in cui il veleno mi aveva invaso la bocca. La notte a Vancouver, lo spogliatoio della palestra, la sera a casa di Nathe...Improvvisamente sentii  un sapore vagamente aspro invadermi la gola. “Ci sono.”, dissi con un po’ di timore. Il nonno mi passò un tampone sulla lingua e andò ad esaminarlo in laboratorio. Quando tornò in stanza, il suo sguardo non era molto promettente. “Il veleno c’è, ma non basta. È ancora poco...”. Lo guardai con aria interrogativa. “Come non basta? Io lo sento bruciare come le altre volte, non può essere poco!” “Renesmee, le altre volte non avevi la vita di una persona tra le mani. Nathe non lo sentirà neanche.” “E tu...Non puoi aiutarmi?”. Il nonno mi guardò con aria afflitta. “Nessie, non so se riuscirai a produrre abbastanza veleno...”. Quella frase parlava chiaro. Non voleva che provassi a trasformare Nathe. Gli detti un’occhiataccia, poi mi precipitai fuori dalla stanza senza dare ascolto a quello che mia madre e mio padre mi stavano dicendo. Fermai un’infermiera, chiedendole dove potevo trovare un deposito di medicinali. “C’è la farmacia al piano terra, oppure in fondo al corridoio a sinistra. Ma non puoi entrare, sono aree riservate ai medici.” “Mi manda il Dottor Cullen.”, risposi, forse un po’ troppo scortesemente. Mi avviai di gran carriera dove mi aveva indicato, ma ad un tratto mi sentii tirare per un braccio. Era Jacob. “Nessie, che intenzioni hai?” “Se non mi aiuta lui, farò da sola.”. Strattonai la presa e ricominciai a camminare. Arrivata davanti alla porta del deposito ruppi la maniglia ed entrai. La chiave cadde rumorosamente a terra. “Renesmee per favore, non fare cazzate...”, mi implorò Jake, tenendomi di nuovo per un braccio. Non mi girai nemmeno a guardarlo, così mi lasciò subito. Iniziai a cercare dappertutto: sulle mensole, scaffali, armadietti, dentro le scatole piene di farmaci da sistemare. Alla fine trovai quello che volevo; il nonno mi aveva insegnato fin da piccola a riconoscere i vari tipi di medicine e sostanze. Su un ripiano c’erano un sacco di fiale azzurre disposte ordinatamente. “Jake, per favore trovami una siringa con un ago grosso.”. Jacob sembrò sbiancare. “Non mi sei di aiuto se te ne stai li impalato.”, dissi acida, mentre aprivo la fiala. Jacob frugò in una cassettiera, e dopo qualche minuto mi porse la siringa. “Cosa diavolo stai facendo?”, mi chiese preoccupato. “Mi inietto una sostanza che stimola l’adrenalina. Vedremo se poi non sarà sufficiente.” “Tu sei impazzita, Renesmee...Perchè ti ostini così tanto a fare questa cosa?”. Infilai la siringa nella fiala e la riempii. “Non lo so, Jacob. Non lo so proprio. Ma per favore, non dire più niente.”. Jacob sospirò pesantemente e si girò, dandomi le spalle. “Fai presto. Gli aghi mi fanno venire l’ansia.”. Mi legai un laccio emostatico sopra al gomito sinistro, cercando di far uscire la vena. Appena la linea bluastra comparve sotto la mia pelle diafana levai il laccio e infilai l’ago, facendo un po’ di forza. Si storse leggermente, ma alla fine riuscii ad iniettarmi la sostanza. “Ho fatto.”, dissi, facendo sparire le prove del mio passaggio in quella stanza. Tornammo in camera di Nathe, dove tutti mi fissarono con aria confusa. All’improvviso mi sentii avvolgere dal calore. La gola iniziò a bruciarmi come se stesse prendendo fuoco, e il cattivo sapore del veleno si impadronì della mia bocca. Guardai i miei familiari, prima di rivolgere tutta la mia attenzione a Nathe. Gli accarezzai i capelli ed il viso. Poi scostai per un attimo la maschera dell’ossigeno, giusto il tempo di dargli un piccolo bacio. “Passerà tutto, amore mio.”, sussurrai, spostandogli delicatamente la testa, in modo che il collo fosse scoperto. Aspettai qualche attimo; gli unici rumori che si sentivano erano l’elettrocardiogramma e il respiro ansioso di Jacob. Individuai il flusso di sangue sotto la pelle tiepida di Nathe. Mi avvicinai lentamente, spinta da una forza che sentivo non essere del tutto mia. Esitai un po’; poi chiusi gli occhi e portai le mie labbra a un millimetro dalla carne. Fu un attimo: i miei denti tagliarono senza difficoltà la pelle e i muscoli, fino a bucare l’arteria. Iniziai a bere il sangue di Nathe. Era come mi ero sempre aspettata: il suo sapore era fresco ed intenso. L’avidità mi spinse ad affondare ancora di più i denti, in modo che mi arrivasse più sangue in bocca. Non capivo più niente...Non riuscivo a fermarmi. Non volevo. Volevo saziare la mia sete il più possibile. Il corpo di Nathe si scuoteva leggermente, e percepivo che la quantità di sangue all’interno del suo corpo stava diminuendo. “Nessie, basta, ne hai bevuto abbastanza!”, mi sussurrò la voce lontana del nonno. Non l’ascoltai. “Renesmee, smettila!”, disse mio padre, in allarme. Non ascoltai nemmeno lui. “TIRATELA VIA! LO UCCIDERÀ!”, urlò ancora il nonno. Subito mio padre, zio Emmett e Jacob si avventarono su di me, cercando di allontanarmi da Nathe. Dopo qualche tentativo ci riuscirono. Io mi dimenavo come una furia, desiderosa di affondare di nuovo i denti nel collo del mio ragazzo. “RENESMEE, BASTA!”, gridò la mamma, scrollandomi per le spalle. Dopo qualche attimo la guardai con occhi stralunati, calmandomi all’istante. Feci scorrere lo sguardo per tutta la stanza. Il nonno si stava tamponando un po’ di cotone sulla lingua, per passarlo poi sullo squarcio a forma di mezzaluna aperto sul collo di Nathe. Il cuscino era macchiato di sangue. Corsi in bagno per sciacquarmi la faccia. Mi guardai allo specchio...Un rivolo scarlatto scendeva dall’angolo della mia bocca. Rimasi immobile come una statua a fissare la mia immagine riflessa, sobbalzando spaventata quando un urlo di dolore riecheggiò per il corridoio.     

 

Ero sull’orlo della disperazione. Continuavo a torturarmi l’anima, facendo su e giù per quella maledetta stanza, ripetendomi che ero un’assassina. “Renesmee, Santo Cielo, vuoi stare un minuto ferma?”, sbuffò Jacob, seduto sulla poltroncina vicino alla finestra. “Non dovevo farlo, non dovevo…” “Senti, tu non hai nessuna colpa. La vuoi smettere di accusarti?” “Jacob, guardalo! Sono passati quattro giorni e ancora non è successo niente...È soltanto per causa mia se adesso è peggiorato ancora!”. Jake scosse la testa, rassegnato. Io non riuscivo a darmi pace…Avrei dovuto dare retta al nonno. Doveva farlo lui. Che stupida egoista…A quest’ora forse Nathe si sarebbe già svegliato. “Se ne andrà…Me lo sento…”. Jacob si alzò di scatto e mi prese per un braccio, strattonandomi bruscamente e costringendomi a guardarlo negli occhi. “Ascoltami bene. TU-NON-HAI-COLPA. Chiaro?” “Non è vero Jake…”. Lui mi strinse ancora più forte. “Allora perché non ci hai pensato prima, eh? Sono stanco di sentirti dire che sei un’assassina!” “Credevo che ne sarei stata capace…” “Non mi importa quello che ti è passato per la testa! Se solo avresti lasciato fare Carlisle, adesso non saresti qui a piangere come una cretina per qualcosa di cui non hai responsabilità!”. Rimasi qualche secondo a fissarlo in silenzio, prima di tirare via il braccio dalla sua presa ferrea. “Tu non capisci Jacob…”. Lui mi guardò, una scintilla di rabbia accesa nei suoi occhi. “Io non capisco? Ti devo ricordare che sono dentro a questa storia quanto te?” “Non volevo dire questo.” “E allora cosa? Cosa, Renesmee? Dovevi lasciare che se ne occupasse Carlisle!”. A quel punto scoppiai. Non ce la facevo più. “NON VOLEVO, VA BENE? NON VOLEVO CHE LO FACESSE LUI!”, urlai, ormai ai limiti della sopportazione. “Fare cosa?”. Oddio. No, non poteva essere vero... Incrociai lo sguardo di Jacob, che era diventato un pezzo di pietra. “Amy…”, sussurrai, notando solo allora la mia migliore amica sulla soglia della porta. “Allora?”, insisté, visibilmente contrariata. “Niente di importante, tranquilla…” “Non mi prendere in giro, Jake. Vi ho sentito.”. Lui rimase in silenzio, incapace di dire anche solo una parola. Lo guardai, in modo abbastanza eloquente e sospirai, prima di rivolgermi a lei. “Amy…È arrivato il momento che tu sappia un bel po’ di cose.”

Nella stanza era caduto un silenzio quasi innaturale, se non fosse stato per il respiro accelerato di Amy. Sia io che Jacob non sapevamo cosa fare. La mia migliore amica si nascose il viso tra le mani, evitando di posare il suo sguardo su di noi. “Mi state dicendo che…No, non ci credo.”, disse ad un tratto, sempre con il respiro affannato. “Mi dispiace Amy, avrei dovuto dirtelo molto tempo fa…” “Ho detto che non vi credo.”, ribatté, quasi con rabbia. “Amy, per favore…” “Jake, non ti ci mettere pure tu! Queste sono tutte cazzate!”, disse scattando in piedi, gli occhi azzurri velati di lacrime. A quel punto la afferrai per un braccio, piantando i miei occhi nei suoi. I miei ricordi iniziarono a  fluire nella mia e nella sua mente ad una velocità impressionante: la mia nascita, le corse con Jacob lupo, la mia crescita accelerata, la caccia, i miei familiari che non cambiavano nonostante il passare del tempo…Spaventata, Amy cercò invano di interrompere il contatto; dopo qualche minuto la lasciai, le avevo mostrato a sufficienza. “Ci credi adesso?”, le chiesi con un filo di voce. Amy guardò prima me, poi Jacob, poi di nuovo me, indietreggiando verso la parete fino ad accasciarvisi contro. Qualche attimo dopo rialzò lo sguardo su di me, il viso rigato dalle lacrime. Mi avvicinai a lei, chinandomi per abbracciarla, esitante. “Mi dispiace, Amy…Non sarei mai capace di fare del male a qualcuno…E neanche Jacob.”. Non mi rispose, ma poi sentii le sue braccia stringersi intorno alla mia schiena. Aveva capito. Mi aveva accettata. “Nessie…”, sussurrò, ancora stretta a me, dopo qualche minuto di silenzio. Mi spostai leggermente, in modo di farle capire che stavo ascoltando. “È per questo che ogni tanto ringhi, vero?”. Mi allontanai quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Notando la mia espressione allibita i suoi occhi si riaccesero, ed Amy si lasciò sfuggire un sorriso, tornando ad essere la stessa di prima. Qualche secondo dopo Jake la seguì, scoppiando in una fragorosa risata. Feci scorrere il mio sguardo su entrambi, prima di cedere a mia volta. Tirai su Amy, facendola alzare da terra senza il minimo sforzo. “Ehi, Cullen, vacci piano…Così mi fai volare!”. L’abbracciai di nuovo, felice come non mi capitava di essere da un sacco di tempo. Anche Jacob si unì a noi. Meno male che avevo loro accanto.

Dopo che Amy venne a sapere tutto sulla mia natura e quella di Jake, le cose iniziarono ad andare leggermente meglio. Mi era più facile adesso essere me stessa, e soprattutto mi liberai di un peso enorme raccontandole quanto era successo quattro giorni prima. La mia migliore amica rimase un po’ scioccata alla vista della cicatrice chiara a forma di mezzaluna sul collo di Nathe, ma nonostante tutto mi restò accanto. Preferivo la sua presenza e quella di Jacob a quella dei miei familiari, dato che tutti, tranne la mamma e le zie, mi trattavano come se fossi una piccola bambina viziata e testarda, facendomi sentire ancora più in colpa per quello che avevo combinato. “Nessie, vedrai che andrà tutto bene...Comunque stasera ti voglio a cena da me, e rimani anche a dormire. Non sopporto l’idea che tu passi un’altra notte qui dentro a logorarti l’anima.” “Ma no, Amy...Non importa, ti ringrazio.”, risposi stancamente. “Ha ragione, Nessie...Hai delle occhiaie che farebbero spaventare persino tua madre!”, disse Jake allegramente. Amy gli diede un’occhiata compiaciuta e poi mi guardò dritta negli occhi, incrociando le braccia al petto. “Senti, non credere di poter fare come vuoi, anche se sei una mostriciattola. Chiaro? Alle otto e mezzo si cena.”. Appunto. Competere con Amy era pressoché impossibile, quando si impuntava su una cosa...Se poi aveva anche l’appoggio di Jake non avevo scampo. “Va bene, va bene!”, dissi sconfitta. Quando arrivò sulla porta si girò di nuovo verso di me. “Ah, Nessie...La bistecca la vuoi al sangue?”, mi domandò, con il suo solito sorrisetto furbo. La guardai a bocca aperta e poi gli scaraventai dietro un cuscino che era sulla sedia. Amy e Jacob scoppiarono a ridere ed uscirono. Risi anche io, ringraziando il Cielo per avermi dato un’amica così. Una decina di minuti dopo Jacob rientrò in stanza, con l’aria di chi aveva appena vinto alla lotteria. “Allora, l’hai baciata?”, gli domandai, speranzosa. Lui diventò viola dall’imbarazzo. “Ehi, ma...Ma che domande fai, Renesmee! Non...Non dire assurdità!”. Mi picchiai una mano sulla fronte. “Jacob...Se non ti decidi ad agire ti dichiarerai quando dovrà fare la domanda per la pensione!”. Studiai la sua espressione pensierosa, che divenne un po’ più decisa quando i nostri sguardi si incrociarono. “Nessie, io lo vorrei davvero ma...Adesso preferisco di no. Quando tutto si sarà risolto e tu sarai più tranquilla allora le parlerò.”. Andai ad abbracciarlo. “Grazie, fratellone.”. Dopo un po’ Jacob dovette tornare alla riserva, quindi rimasi sola nella stanza. Mi abbandonai sulla poltrona, lasciando che i pensieri mi invadessero la mente. Sprofondai in un sonno irrequieto, tormentato da immagini macabre. Era come se stessi camminando in mezzo alla nebbia, mentre sparse qua e la sul pavimento c’erano delle macchie rosso scarlatto. Ad un certo punto capii di non essere sola. Sentivo qualcuno che si lamentava dolorosamente, mentre qualcun altro rideva in maniera quasi sadica. Cercai di avvicinarmi il più possibile, correndo in mezzo a quella nebbia infinita. Quando finalmente riuscii ad intravedere le due presenze fui subito sorpresa dalle loro posizioni. Una, quella dolorante, era stesa a terra; l’altra invece le era chinata accanto, vicino alla testa. La nebbia si diradò abbastanza da farmi vedere la persona stesa. Sembrava un ragazzo...Con mio grande orrore vidi una pozza di sangue allargarsi sotto il suo collo, e allora capii. Era stato attaccato da un vampiro, per niente capace di agire senza lasciar traccia. Mi avventai con forza sulla creatura che stava uccidendo il giovane, scaraventandola a qualche metro di distanza. L’odore del liquido rosso stava iniziando a darmi fastidio. Mi inginocchiai accanto al ragazzo e cercai di tirarlo su. Quando il suo volto mi apparve nitido davanti agli occhi non potei fare a meno di urlare. Era Nathe. Fui subito invasa dal panico: ero arrivata troppo tardi...Il suo corpo era inerme. Lo appoggiai di nuovo in terra, delicatamente, mentre sentivo le lacrime bruciarmi gli occhi. Qualche minuto dopo sentii dei passi avvicinarsi. Una figura esile e snella comparve davanti a me. “TU! ME LA PAGHERAI CARA!”, urlai, precipitandomi di nuovo contro di lei, sopraffatta dall’ira. Non appena i suoi lineamenti diventarono chiari mi bloccai. Dei lunghi capelli boccolosi, color bronzo, incorniciavano il viso perfetto, e un paio di occhi di cioccolato si sposavano a meraviglia con la carnagione pallida di colei che mi ritrovavo davanti. La bocca carnosa, incurvata leggermente in un ghigno, era rigata agli angoli da piccole strisce rosse. Mi sentii morire. “Assassina.”, disse. Io indietreggiai, spaventata da quella orribile replica di me stessa. “Assassina.”, ripeté, mentre cercavo inutilmente di allontanarla da me. Ad un certo punto mi afferrò per la gola e rise con cattiveria. Poi mi guardò negli occhi e sibilò ancora una volta quella maledetta parola. “No! Lasciami!”, dissi, divincolandomi dalla sua stretta ferrea. “ASSASSINA.”, continuò, stringendo ancora di più la presa. “Lasciami ti ho detto...”. Lei mi scaraventò contro un muro, facendomi spezzare il respiro. Mi immobilizzò senza difficoltà, scoprendomi violentemente il collo avvicinandosi con i denti scoperti. “NOOOO!”. Scattai in piedi. Mi guardai intorno, terrorizzata. Ero in ospedale, nella stanza di Nathe. Ripensai con disgusto a quello che la mia mente distorta mi aveva inflitto, così decisi che era meglio se me ne andavo da quel posto. Mi avvicinai cauta al mio ragazzo, accarezzandogli la fronte. Gli detti un bacio veloce, lasciando sulla sua pelle anche qualche lacrima. Guardai il cellulare; non avevo il tempo di passare da casa. Cercai di ricompormi come meglio potevo e uscii dalla finestra, dirigendomi correndo verso casa di Amy. Suonai il campanello, respirando profondamente per calmarmi. “Oh, Nessie, sei arrivata finalmente!”, disse allegramente Amy aprendo la porta, prima di bloccarsi sulla soglia. I suoi occhi azzurri si incupirono quando incrociarono i miei, arrossati dal pianto. Mi trascinò dentro in silenzio, portandomi dritta in camera sua. “Cos’è successo?”. Non risposi, voltandomi dall’altra parte per nascondere le lacrime. Amy mi prese per le spalle. “Nathe...?”. Scossi la testa. “E allora cosa, Renesmee?”, insisté preoccupata, costringendomi a guardarla. Appoggiai una mano sul suo braccio e le feci vedere tutto. Lei sobbalzò, non ancora abituata a quella mia strana forma di comunicazione. Alla fine della visione mi strinse a sé, permettendomi di sfogare tutto quello che avevo dentro. “Non ci pensare, Nessie. Ci sono qui io...Se vuoi, posso chiamare Jacob. Gli dico di venire?.”. Un piccolo attimo di ilarità si impossessò di me. “Sicura di non volerlo chiamare per te?”. Amy avvampò, ma poi mi sorrise e mi schioccò un sonoro bacio sulla guancia. Sorrisi anche io. Non vedevo l’ora di poterla chiamare sorella.
   
 
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