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Autore: Isotta    20/02/2010    5 recensioni
L'ho già detto, io sono pericolosa!!! Solo io potevo inventare questa cosa: Edward è un ultraottantenne che racconta ai propri nipotini la sua storia. Una storia particolare. Quella di un ebreo in un campo di sterminio... Magari un'altra ebrea dolce e coraggiosa porterà un po' di luce in quel periodo di tenebre e morte... Ma questa luce sopravivverà? FanFiction CONTRO il razzismo!!!
Genere: Malinconico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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“Avevo solo 16 anni. 16 anni quando è iniziato tutto.” Iniziò a raccontare Edward.

E aveva ragione. Aveva solo 16 anni. Era solo un ragazzo quando aveva dovuto sopportare l’Inferno.

Buona parte della sua vita era stata governata da quelle leggi che gli impedivano di fare quello e questo, costringendolo a vivacchiare, fingendo di possedere un minimo di normalità.

Da quando aveva 10 anni doveva portare la stella gialla ben visibile sul petto, non poteva uscire dopo le 8 di sera, non poteva frequentare locali che non erano esclusivamente ebraici e, soprattutto, doveva evitare il contatto con la ‘pura razza ariana’.

Da fuori la sua famiglia sembrava una famigliola onesta, normale, che si atteneva alle regole, rispettata da tutti anche per la loro origine e quindi innocui. Matematicamente al sicuro dalle persecuzioni per il servizio militare del capofamiglia, Samuele, che aveva combattuto per la Germania durante la Grande Guerra.

In realtà, vivevano sul filo del rasoio, su una punta di un coltello che presto sarebbe caduto, da un lato o l’altro della lama. Il servizio militare poteva solo donare un po’ di tempo, quella pace necessaria per dire addio a tutto ciò che si ha di più caro al mondo.

Per illudersi, magari, e rendere l’attimo più dolce.

Ma non per scappare.

No. Decisamente, non si sarebbero salvati con così poco.

“Il 1944 fu l’anno della massima ottimizzazione della capacità di messa a morte per gli impianti del campo. Il numero di vittime delle camere a gas diventò superiore alla capacità di smaltimento dei forni crematori, tanto da indurre le cremazioni a cielo aperto.” Mormorò, disgustata, Anna.

“Esatto, piccola. Il 1944, la Soluzione Finale della Questione Ebraica. Come potevano, i tedeschi, non invitarci alla festa?” mormorò sarcastico Edward.

Infatti, Samuele viene chiamato presto dalla Gestapo. ‘Per lavorare in una fabbrica di armi al servizio del Terzo Reich’ avevano detto.

Ma non ci erano cascati. In molti erano stati chiamati con questa scusa. Nessuno era più tornato.

Samuele sapeva cosa gli aspettava: il lager (nella storia l’utilizzo dei campi e delle camere a gas sarà molto più lungo di quello che veramente è stato. Quindi sarà come un campo nel ’43 invece che nel ’44 dove la fine della guerra aveva spinto i nazisti a liquidare le prove)

Ma che poteva fare?Nulla, solamente aspettare che lo sarebbero venuti a prendere. Lui, di certo, non ci sarebbe andato di sua spontanea volontà.

E vennero. Non si fecero aspettare.

Stavano facendo colazione. Era una mattinata calda, era venerdì. Quando un giorno decide tutta la tua vita, ti ricorderai tutti i particolari per sempre.

La mamma aveva preparato una sontuosa colazione. Uova e pancetta non si potevano trovare dappertutto, con la guerra.

Ma quel giorno la mamma aveva voluto sbilanciarsi un po’, aveva voluto fare le cose per bene. Quasi sapesse, immaginasse quello che stava per accadere.

Avevano sentito un rumore secco, come un qualcosa che veniva strattonato, dal primo piano.

Avevano sentito una specie di ringhio, molto simile all’abbaiare di un cane.

“Ci sono ebrei, qui?” a quelle parole, tutti si erano pietrificati. Tutti tranne Zipporà, che attirò l’attenzione su di sé.

La mamma e Samuele la guardavano con le lacrime agli occhi. Avevano capito. Non sapevano cosa succedeva a chi veniva preso. Sapevano solo che era come se sparissero, non si sapeva più nulla di loro.

Zipporà era solo una bambina, aveva da poco compiuto sei anni. Ma non aveva diritti. Non li aveva mai avuti.

“Ci sono ebrei, qui?” la voce era più vicina, al terzo piano.

Non avrebbero trovato nessuno. I primi quattro piani erano abitati da cristiani, la maggior parte pienamente ariani.

“Ci sono ebrei, qui?” la voce abbaiante del capitano delle SS veniva dal piano di sotto.

La sentivano sotto i piedi. La percepivano. Si scambiarono uno sguardo veloce. Tutti. Per l’ultima volta insieme.

La porta si aprì di scatto. “Ci sono ebrei, qui?” abbaiò furiosamente l’SS.

Non avrebbe potuto mentire. Li avrebbe riconosciuti subito. Dall’aspetto. Sicuramente non ariano. E con quelle piccole caratteristiche che distinguevano un giudeo.

Erano in trappola.

Samuele annuì. Credeva che fosse colpa sua. Se sarebbe andato quando lo avevano chiamato, non sarebbero venuti. Non avrebbero preso la sua famiglia.

Guardò il figlio con uno sguardo eloquente. Sembrava chiedere scusa.

“Muovetevi, brutte pulci che non siete altro!” ringhiò l’ufficiale.

“Tutti i beni sul tavolo! Non quelli che avete addosso, però. Lasciate tutti i codici dei vostri conti correnti sul tavolo!” urlò sprezzante. “E preparatevi un fagotto con delle provviste! Ma che siete sordi? Muovetevi! Non ho tutto il giorno per dei rifiuti come voi!”

Zipporà scoppiò a piangere. Piccoli singhiozzi scuotevano il suo corpicino. Edward era già nell’altra stanza a prendere due sacche. Una per lui, una per sua sorella.
Aveva capito che non era in grado di farsela da sé.

La mamma aveva già scritto su un foglietto tutti i codici e l’aveva dato a una seconda SS che era entrata nella stanza.

Samuele aveva disposto tutti i beni sul tavolo. I tedeschi avevano preso a esaminare tutta la stanza per esserne certi. Una terza SS giunta mentre Edward riempiva le due sacche di cibo, trovò un uniforme di guerra.

Di Samuele. Tedesca.

“Avete combattuto per la Germania?” chiese l’ufficiale guardando Samuele con un’ombra di rispetto.

“Sì. All’inizio della Grande Guerra.” Rispose calmo Samuele.

“Dovevate dirlo prima. Ci vediamo di sotto fra dieci minuti.” 

Uscirono lasciando dietro di loro un silenzio di tomba. Letteralmente.

La famigliola rimase immobile per alcuni istanti, a guardarsi fra loro. Uno sguardo che urlava ‘ADDIO!’.

Poi si svegliarono. “Edward?” disse la mamma.

“Sì, mamma?”

“Perché hai messo tutta questa roba?”

“Per mangiare, no? Non sappiamo dove ci porteranno, quanto tempo ci vorrà.”

Lei scosse la testa desolata. Non voleva vedere i suoi figli coinvolti in questa faccenda.

“Hanno detto che le sacche non devono pesare più di un chilo.” Rispose la povera donna svuotando le sacche dei figli e riempiendo la sua e quella del marito.

Quando scesero, in netto anticipo, trovarono le tre SS sopra delle moto con i fucili a tracolla che invitavano la gente a salire sopra un camion, che più che camion sembrava un carro elettrico, aperto. C’erano tutti.

Tutti gli ebrei del quartiere, e sul carro c’erano anche altre persone di qualche isolato indietro.

Vicino al carro c’era il signor Wikham. Aveva la figlioletta minore in braccio e quella maggiore attaccata alla gamba. Edward non riusciva a distogliere lo sguardo.

Stava parlando con il capo SS, mostrandogli il certificato che dichiarava che lui e le sue figliolette erano sulla lista per le immigrazioni in Palestina.

Lui l’ascoltava con uno strano sorriso sulle labbra, come se gli stesse dando una piccola speranza vana.

Vana, appunto.

Dopo poco si scocciò del gioco e con il frustino gli indicò il carro.

Edward stava male a vedere quella scena. Si ricordava perché il signor Wikham veniva sempre deriso da tutti.

Lui veniva dal centro di tutto, lui era immigrato dalla Germania e sapeva come sarebbero andate le cose. 

Quando i tedeschi erano entrati in Olanda, lui aveva previsto tutto con una precisione sconcertante.

“Come faceva a saperlo?” chiese Samuele interrompendo il racconto del nonno.

“Non l’ho mai saputo con certezza. In giro si diceva che era partito dalla Germania dopo che la moglie era stata chiamata in un campo di lavoro e gli dissero che era morta in un ‘incidente’.” Spiegò brevemente il nonno calcando la parola ‘incidente’.

“Ma che cosa avevano fatto tutte quelle persone, nonno?” chiese la piccola Zipporà.

“Erano nate, piccola. Avevano la sola colpa di essere nate ebree.”

“Anche i bambini?” chiese la piccola sbattendo le palpebre. Di solito gli adulti erano magnanimi con i bimbi.

“Soprattutto loro. Non potevano lavorare, due volte da eliminare. Gli ebrei, gli inabili al lavoro soprattutto, avevano un solo diritto.”

“Quale?” chiese sarcastica Anna.

“Sparire dalla faccia della Terra.” Disse, sputando, Edward.

Li avevano portati in una prigione per la notte. Si erano abbracciati forte, temendo che non ci sarebbero state altre occasioni.

Che sarebbe successo? Nessuno lo sapeva e nessuno si prendeva la briga di dargli qualche conforto. O anche una qualsiasi informazione.
Sarebbe bastato per loro. Sapere.

Certo, se solo avessero saputo sarebbe stato peggio. E, forse, avrebbero preferito non sapere, per incontrare serenamente la morte. Ignari.

Per permettersi di credere alle sottili falsità che gli venivano detti.

Per avere una speranza.

IL giorno dopo li avevano caricati di nuovo su quel camion e avevano fatto il giro della città in cerca di altra ‘selvaggina’.

Aumentavano sempre di più, erano così tanti che alla fine erano tutti appiccicati fra loro.

Li avevano portati in una stazione. Li avevano caricati su un treno. Tutti quelli di due camion per un totale di circa centocinquanta persone.

Il treno poteva portarne sì e no la metà.

Là dentro si soffocava. Non si poteva respirare per la puzza che c’era. I bisogni erano fatti in un secchio che era in un angolo della cabina. Edward non invidiava affatto il poveraccio che c’era seduto accanto.

La puzza dei liquami si mescolava con quello del sudore e quello, molto più sottile e terribile, della paura.

Nessuno sapeva quello che stava succedendo, ma tutti sapevano che non era niente di buono.

Parlava da sé la condizione in cui avevano vissuto negli ultimi anni della loro vita. E poi, che cosa si poteva pretendere dai nazisti? Che li avrebbero portati al parco giochi?

Nessuno sapeva, ma tutti sapevano. Tutti intuivano.

Alcuni si erano messi a pregare, ma le loro parole erano vuote. Dov’era il Dio che tanto veneravano? Dov’era mentre il suo popolo veniva sottoposto, discriminato e sicuramente sterminato? Si chiedeva Edward con rabbia.

Non c’era altra soluzione. Nulla che fosse qualcosa di minimante razionale.

Dio era morto.

Una terribile, acuta e veritiera bestemmia.

Se Dio non era morto, assassinato dalle mani sporche dei nazisti, perché non faceva niente per salvarli?

Rimase stretto a sua madre, ascoltando il battito regolare del suo cuore, e stringendo la mano a suo padre.

Per trarre forza, per combattere la paura.

Dopo sei ore di viaggio che parvero infinite il treno si fermò. Tutti ebbero un sussulto. Avevano paura di essere arrivati.

Quasi quasi avrebbero preferito viaggiare per sempre. Almeno sarebbero stati al sicuro.

“Altri cinquanta per ogni vagone!” sentirono urlare da fuori.

Si guardarono spauriti e sorpresi.

Altra gente? Ma se non entravano neanche loro! Dove si sarebbero messi, questi altri poveracci?

Solo Dio seppe come fecero ad entrarci tutti, non riuscivano proprio a capire come ci fossero riusciti.

“E ancora oggi non lo capisco. Eravamo come in una scatola di sardine. Tutti attaccati, non respiravamo neanche. Alcuni morirono prima ancora di aver completato il viaggio. Parecchi e dire il vero. Forse era una specie di prova. Per vedere chi era leggermente più resistente degli altri.” Commentò amareggiato Edward.

Ricordava benissimo tutte quelle persone che ad ogni sosta venivano scaricate dal vagone.

Quando finirono tutte le soste, erano circa trecento in quel treno. I bambini in braccio alle madri, le madri in braccio ai mariti.

Erano in condizioni penose.

“Mi ricordo bene di una signora. Poverina, probabilmente lei sapeva.” Ricordò il nonno, iniziando subito a raccontare.

Erano davvero pochi quelli che sapevano qualcosa di più. E quei pochi avevano il terrore dell’est.

Quando si erano accorti che andavano verso l’est, verso la Germania, verso la Polonia, una signora aveva avuto una reazione isterica.

Era della parte bassa della città, quindi Edward non la conosceva. Aveva iniziato ad urlare, a dire che tutti insieme potevano uccidere le SS. In un primo tempo, nessuno le aveva dato retta.

Aveva paura e reagiva come poteva.

Poi aveva iniziato a urlare ‘Il fuoco! Il fuoco!’ e aveva iniziato a essere fastidiosa. Gli altri non avevano più pazienza. Erano stanchi e le sue urla li infastidivano.

Probabilmente, fuori, non avrebbero fatto nulla. Ma la situazione e la paura li aveva resi simili a bestie e iniziarono a picchiarla a sangue. Le sue grida si trasformarono in rantoli incomprensibili.

Quei ragazzi che l’avevano picchiata non sapevano che avrebbero firmato la sua condanna a morte.

“In che senso, nonno?” chiese Anna curiosa.

“Forse era abbastanza forte da superare la prima selezione, forse poteva farcela… ma l’avevano picchiata così tanto da romperle le ossa e non riuscì neanche a scendere dal vagone. Non è neanche entrata nel campo.” Spiegò il nonno lasciandole intuire ciò che era stato detto fra le righe.

La signora era stata in un silenzio macabro per giorni e nessuno si curava più di lei.

Quando ricominciò a urlare ‘Il fuoco! Il fuoco!’ Nessuno la picchiò. Non ne avevano la forza, né la voglia.

E poi, perché picchiarla? Aveva ragione.

Il fuoco c’era davvero. Lontano, ma c’era.

“Dove siamo?” urlò qualcuno guardando quel chiarore con orrore.

“Ad Auschwitz.” Rispose un ragazzo che era vicino alla piccola finestrella.

Urlò, per farsi sentire da tutti.

Quel nome avrebbe inciso tutti, lì dentro.

La maggior parte di loro, non sarebbe più tornata in dietro.

Quella piccola minoranza più fortunata, si sarebbe per sempre ricordata si quel nome.

Auschwitz avrebbe lasciato a tutti loro un regalo, sgradito e indesiderato.

Auschwitz li avrebbe uccisi tutti. Anche chi sarebbe sopravvissuto. 

 

Wow davvero non me l'aspettavo! 4 recensioni! Lo so lo so! Non sono poi così tante, ma proprio non ci speravo.... Insomma che mi è venuto in mente??? La tematica è assurda e quello che ho in mente ancora di più... mi aspettavo 1 solo commento con scritto a caratteri cubitali 'fai schifo, levati di mezzo che abbiamo altro da fare!'.

Graziegraziegrazie!

Se volete andare a dare un'occhiata anche all'altra mia storia mi farete davvero felice! IL link, se vi interessa, lo trovate nella mia pagina.

 

meraviglie1992: scherzi? Davvero ti interessa? Figurati, mi hai incoraggiata tu! ^_^. Vedere la tua storia mi ha fatto ricordare quel prologo dimenticato, e mi ha dato il coraggio per postare questa storia (a mio parere schifosa)... spero che ti piaccia ^^.

Claudia97: ti rispondo a tutte e 2 adesso. Grazie, spero che non lo dici solo per farmi piacere, crackers, ma lo pensi davvero. Spero che ti piaccia anche questo capitolo!

Blair Waldorf: Già ti ho tolto l'effetto sorpresa per il finale :(, scusascusascusa! Spero che il tuo complimento non sia una frase di convenienza solo per farmi contenta... ho sempre questa paura, io....

   
 
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