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Autore: Mistral    24/02/2010    3 recensioni
Ti hanno sempre detto che tu sei un “apostolo” con una missione da compiere e che per questo devi lottare e soffrire. All’inizio pensavi che, se avessi compiuto questa missione, saresti stato “felice” (e questa è una cosa buona: tutti cercano la felicità); volevi farlo davvero, ti volevi impegnare per riuscirci, perché così tutto avrebbe avuto un senso.
Adesso però hai capito che per te e per quelli come te, i falliti, non c’è né senso né possibilità di riuscita.

[Viaggio nella mente dei piccolo Kanda][Ambientata nella Night 191]
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yu Kanda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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E rieccomi a scrivere sul fandom

E rieccomi a scrivere sul fandom di D.Gray Man dopo le sortite (che penso proprio ripeterò) su quelli di Hetalia e Kuroshitsuji. È vero, c’è comunque in pubblicazione la terza parte della Yullen Saga, ma per quanto riguarda la scrittura quella fic è conclusa ormai da un po’ - quindi posso proprio dire di essere tornata dopo qualche tempo a scrivere del mio grande amore.

E l’ho fatto con una fic ambientata nell’ultimo capitolo uscito del manga, la Night 191, e centrata tutta su Kanda e sul suo passato. Si tratta di una sorta di esperimento, un tentativo di scavare nella mente del giapponese alla luce di quel che sta emergendo su di lui.

In filigrana a questa shot c’è il brano “Il prigioniero e la tramontana” di Davide Van de Sfroos, autore che canta nel dialetto delle mie parti, il comasco. Qui (http://www.cauboi.it/) potete trovare testo e traduzione del pezzo, che vi consiglio vivamente di ascoltare perché è stupendo.

 


 

 

Trapped in a World of Nothingness

 

 

“Ti  voglio… bene…”

 

Di nuovo. È successo di nuovo.

Ti sei svegliato di soprassalto, sulle labbra ancora quelle parole sussurrate: non sai da chi le hai udite, né a chi le stai rivolgendo. E forse, in fin dei conti, non sai nemmeno che cosa significhino - sebbene pronunciarle ti dia l’impressione di scaldarti il cuore.

 

Lontano, perse nella nebbia del sogno - dell’incubo, dell’allucinazione - ci sono ancora le immagini evanescenti di paesaggi che non hai mai visto. Scenari che sei certo di non poter conoscere, perché la tua vita non è mai uscita dalle mura di quella fortezza in cui sei “nato”, eppure la tua mente sa tutto di quegli spazi aperti: percepisce perfino il tepore del sole sulla pelle, la carezza del vento sul viso e il profumo dei fiori nelle narici.

Ma tu non dai credito a ciò che la tua mente ti dice: in fondo, sono solo illusioni.

È questo che continuano a ripeterti gli uomini che ti stanno attorno giorno e notte, quegli stessi uomini che ti hanno “svegliato”.

 

Ti fidi di loro?

Ti fidi più di loro che di te stesso?

 

Sì, è così.

E lo fai perché semplicemente è la cosa più ovvia da fare. È la cosa più ovvia e forse anche l’unica soluzione possibile. Dopotutto, tu sei solo… beh, sei un qualcosa, un essere vivente che esiste in un mondo di cui non sa nulla, quindi come puoi avere la presunzione di dubitare che quelle immagini così vivide, che ti tormentano quando dormi e quando sei sveglio, siano qualcosa di diverso da impalpabili illusioni?

 

Sei prigioniero e sai di esserlo, è forse l’unica cosa che sai con certezza.

Sei prigioniero di coloro che ti hanno sottoposto a test (test, non punizioni - perché tu non hai fatto nulla di male) crudeli, che ti hanno ucciso più volte, sicuri che ogniqualvolta il tuo cuore si fosse fermato, poi avrebbe ripreso a pulsare - e hanno continuato per giorni, per mesi, ignari del dolore e della paura che si prova un attimo prima che la coscienza si spenga.

Sono solo pochi attimi di blackout, poche centinaia di secondi, il tempo di un respiro. Poi la tua vita torna a scorrere, il cuore a battere e i polmoni a fiatare, ti “svegli” di nuovo, come se ti destassi da un profondissimo sonno senza sogni.

E in fondo, è tutta qui la differenza con il momento in cui la mattina apri gli occhi, dopo una notte passata a scappare da delle immagini che non ti spieghi, che non ti lasciano in pace, soffocandoti costantemente dietro il buio delle palpebre chiuse.

 

Una volta ci hai pensato sul serio, che fosse meglio morire ogni sera e nascere di nuovo il mattino dopo: almeno il tuo riposo non sarebbe stato tormentato da quelle illusioni, da quel fiore che non conosci, da quegli spazi aperti e da quel cielo azzurro così infinitamente bello.

L’hai detto ad Alma, ma quello stupido, invece che essere d’accordo con te, si è spaventato e ti ha risposto che il tuo era un pensiero orribile e che la vostra vita, per quanto strana, valeva comunque la pena di essere vissuta. L’hai insultato e te ne sei andato.

Che poi, chissà cosa ne vuole sapere lui di qual è una vita degna di essere vissuta, lui che è solo capace di sorridere in quel modo idiota che tu proprio non ti spieghi…

 

L’hanno detto anche quegli uomini che le illusioni che vedi sono sbagliate. Ti hanno ripetuto che non è colpa tua, ma hai la sensazione che pensino che sia tu stesso ad essere sbagliato. Se così fosse, certo non potresti dargli torto: su che basi potresti affermare il contrario?

Guarda Alma. Lui è stato tirato fuori da una pozza come te, come te è stato sottoposto agli stessi test, come te è morto e tornato in vita decine di volte. Ma, a differenza di te, lui non vede cose che non esistono. A differenza di te, lui ha sempre quello stupido sorriso stampato in faccia. A differenza di te, lui è giusto.

Il suo mondo non è popolato di ombre che lo trascinano qua e là come vele sciolte al vento, lui tiene salda la barra e procede per la strada che è stata tracciata per lui. È lui quello giusto, non tu.

 

Da dentro la tua prigione (anche se nessuno l’ha mai chiamata così), vedi quegli uomini che parlano di te, li senti attraverso il vetro mentre ti osservano con espressioni scure e preoccupate.

Specie da dopo che Alma ha cercato di portarti via da lì, c’è sempre qualcuno di loro presente, non ti lasciano mai solo.

 

Nei brevi momenti di quella tua fuga, non voluta e non cercata (tutta un’idea di Alma, quell’idiota), hai potuto vedere degli sprazzi del mondo esterno: hai visto il cielo, hai sentito il calore del sole e il gelo dell’acqua del torrente in cui sei precipitato, hai avvertito anche l’odore del sangue.

Infine, com’è giusto che sia, delle braccia sconosciute ti hanno riportato nell’unico posto che credi di poter chiamare “casa”; ed è da allora, mentre galleggiavi sul confine dell’incoscienza, che le visioni sono tornate a tormentarti, più forti e vive che mai, e adesso non ti lasciano mai solo.

 

Eppure ti senti più solo che mai.

 

Ti senti circondato da fantasmi in camice bianco, che continuano a farti sempre le stesse domande - cosa vedi? Cosa senti? È cambiato qualcosa? Mi vedi? Mi senti? Dì qualcosa…

Ti parlano e tu non sai cosa rispondere, non riesci a rispondere. A dire il vero, forse nemmeno ti sforzi più di tanto.

C’è una domanda che anche tu vorresti fare a loro - vorresti solo chiedere: perché?

Ma sai che loro non saprebbero darti risposta, quindi per quale motivo tu dovresti darne una a loro?

 

In questi ultimi giorni, poi, nemmeno ti parlano più. Nemmeno ti si avvicinano più. Come se fossi all’improvviso diventato pericoloso.

Eppure tu non sei cambiato, sei sempre lo stesso di prima, ti stai comportando esattamente come prima. E allora adesso cosa è cambiato?

Non sorridi e non rispondi alle loro domande come fa Alma, è vero, ma questo non l’hai mai fatto. E allora adesso dove sta il problema?

 

Forse dovresti odiarli, quei fantasmi.

Dovresti odiarli per come ti trattano, per quel che ti hanno fatto, perché non ti rispondono. E anche perché loro, che dovrebbero essere reali, ti appaiono più evanescenti di quelle illusioni che invece reali non sono.

Dovresti odiarli. E lo faresti, se sapessi cosa significa odiare… o magari lo stai già facendo, anche se non sai dare un nome a quella sensazione cattiva che ti prende la bocca dello stomaco e sale su fin nel cervello ogni volta che pensi a loro.

 

E allora semplicemente non pensi. Perché sei arrivato alla conclusione che è inutile pensare e sforzarsi di capire se nessuno ti aiuta a farlo, se il mondo attorno è così vago e indefinito da ridurre per te il suo infinito alle quattro mura di mattoni, metallo  e vetro della stanza in cui ormai ti senti recluso.

E allora semplicemente ti lasci vivere. Perché sei arrivato alla conclusione che è inutile provare a vivere, a dare un senso a quel che succede, se poi tanto quel senso rimane solo un concetto astratto, un’illusione sbagliata che, se non avessi commesso quell’errore di cui non ti rendi conto (ma che di certo hai commesso), non dovresti vedere.

 

Ti hanno sempre detto che tu sei un “apostolo” con una missione da compiere e che per questo devi lottare e soffrire. All’inizio pensavi che, se avessi compiuto questa missione, saresti stato “felice” (e questa è una cosa buona: tutti cercano la felicità); volevi farlo davvero, ti volevi impegnare per riuscirci, perché così tutto avrebbe avuto un senso.

Adesso però hai capito che per te e per quelli come te, i falliti, non c’è né senso né possibilità di riuscita. Voi avete abortito alla vostra missione prima ancora di iniziarla, quindi è inutile occuparsi di voi.

E per voi è inutile provare a pensare, a capire, a vivere - non ci riuscireste. In voi c’è un errore inemendabile.

 

E allora l’unica cosa che ti resta da fare, l’unica ancora possibile, è semplicemente chiudere gli occhi e fermarti, attendendo con pazienza che il tuo cuore smetta di battere per sempre.

Ci vorrà del tempo, tanto tempo - e tu lo sai, perché il tuo corpo è dannatamente ostinato e attaccato a questa tua assurda e vana esistenza, ma alla fine accadrà: tutta la sabbia attraverserà la clessidra e si perderà per sempre nel deserto. E finalmente ogni traccia di te sparirà e sarà dispersa tra il sole, il vento e il cielo azzurro delle tue illusioni.

   
 
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