Fanfic su artisti musicali > McFly
Segui la storia  |       
Autore: RubyChubb    24/02/2010    1 recensioni
Un giorno in più o in meno dentro a quel carcere non faceva ormai molta differenza per lei, che ormai vi aveva passato tre anni e mezzo della sua vita per un fatto che aveva commesso con piena e riconosciuta colpa. Non si era mai dichiarata innocente, la coscienza e l’evidenza dei fatti non glielo avevano permesso. Un mese in più o in meno, invece, cominciava a fare sentire il suo peso. Se poi pensava a quattro anni tagliati tutti d’un colpo, Meg poteva mettersi a piangere dalla felicità. E fu infatti quello che fece. Camminava e piangeva, con le mani bloccate all’altezza del bacino non poteva asciugare le lacrime, ma non le importava. Una volta tornata in istituto avrebbe chiamato i suoi, a casa, per riferire la notizia. Non erano venuti: papà si era fatto prendere dalla febbre stagionale ed il tribunale scatenava in mamma dei violenti attacchi di panico. Diciotto mesi e tutto sarebbe finito.
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO DUE


Ormai aveva imparato a fronteggiare Rachel, sebbene ogni sua parola venisse detta con la paura a fare da sottofondo.
“Non me ne frega un cazzo se hai perso la tua maglia buona!”, le disse Meg, “Io non l’ho presa!”
E chi altro può averlo fatto, sentiamo!”, esclamò Rachel, “Non vedo molti coinquilini in questa fottuta cella!”
Non ho mai toccato le tue cose, perché dovrei farlo adesso!”, continuò Meg in preda all’esasperazione. Presto sarebbe tutto finito, si disse, doveva solo starsene calma ed attendere che Rachel uscisse dalla cella, diretta verso la sua fottuta attività di rompi-il-cazzo-a-chiunque-ma-non-a-me. Il succo della questione? La sua compagna di cella si era alzata di pessimo umore, se l’era rifatta con lei per aver perso la sua maglietta preferita e non voleva starla a sentire.
Ridammi la mia maglia!”, gridò Rachel.
Signorine, adesso basta!”, tuonò l’agente Gibson, di turno quella mattina al loro piano, “Vi sentiamo dal fondo del corridoio!”
Non me ne frega un cazzo!”, sbraitò Rachel.
Modera i termini!”, ribatté subito l’agente, alterandosi in un attimo.
Quel rimproverò fu sufficiente a fare calmare Rachel. Meg si chiese per quale motivo fosse così agitata, da diversi giorni a quella parte dava in escandescenza ad ogni minimo segno di contatto umano. Volle dirle che era disposta a darle una mano, ad ascoltarla, ma era troppo furiosa con lei per porgerle il suo aiuto e se ne andò verso la sala mensa per fare colazione. Mangiò rapidamente, tanto che una volta messo piede in serra l’intenso profumo dei fiori la nauseò e stette quasi per vomitare, riuscì a contenersi a stento. La sua faccia pallida preoccupò i colleghi, ma Meg mascherò tutto con un sorriso e cinque minuti all’aria aperta, passati in compagnia dell’agente Evans e della sua sigaretta fumante. Non appena il suo stomaco si fu quietato, Meg riprese posto all’interno della serra.
Bene.”, sentì dire a Daisy, “Oggi passeremo il nostro tempo fuori da questo ammasso di vetro.”

Così come ebbe trattenuto la colazione dentro di sé, Meg celò anche la sua improvvisa gioia.

Megan, tu rimarrai dentro.”, Daisy cancellò tutto con quattro parole ed un sorriso dei suoi, “Puoi pulire?”

Un attimo di silenzio prima della sua risposta.
Certo.”
Perfetto! Andiamo fuori, che c’è un bel sole!”, disse agli altri.
Lasciò il passo ai suoi colleghi, che uscirono confortandola con sguardi compassionevoli.

Acido in acqua.”, borbottò Carlos con la sua manona davanti alla bocca, strappandole un sorrisetto di assenso.
Così, munita di guanti, camice verdastro e tanta pazienza, si occupò della serra. Per prima cosa era saggio dedicarsi alle erbe fastidiose che crescevano senza permesso dentro ai vasi, andando a togliere nutrimento alle altre piante. Le avrebbe gettate sul pavimento ricoperto di mattoni rossi in lisca di pesce, che sarebbero stati puliti per ultimi. Non ci volle molto prima che l’agitazione e il cattivo umore prendessero il pieno controllo di lei. Se ne stava sola, in silenzio, senza alcuna distrazione a tenerle la mente lontano dalla discussione con Rachel. Meg doveva assolutamente capire quale fosse il vero motivo che scatenava in lei tutta quella rabbia, non poteva esserle utile solo come la valvola di uno sfogo violento, sapeva di avere una buona capacità di ascolto. L’aveva accusata senza alcuna prova del furto di uno stupido maglioncino, molto probabilmente le era stato sottratto in lavanderia, dove fatti del genere erano la quotidianità. L’aveva trattata come una ladra!
Un ciuffo di erba più ostinato non si fece strappare facilmente e Meg concentrò su di esso tutta la sua rabbia, afferrandolo con entrambe le mani e estirpandolo con forza, tanto che barcollò indietro. La fermò il grande tavolo al centro della serra, che si mosse e lasciò tre vasi cadere a terra. Si frantumarono, tre bocche di leone si trovarono a contatto con il pavimento in cotto.
Merda!”, gridò Meg, gettando via il ciuffo d’erba.

Osservò il danno combinato, deducendo che presto si sarebbe riversata su di lei anche l’incazzatura di Daisy. Si chinò per racimolare i cocci rotti.

Fermati!”

Meg aggrottò la fronte e sporse gli occhi al di sopra della superficie lignea del tavolo. L’agente si stava avvicinando a grandi passi, sembrava piuttosto preoccupato.

Non toccarli.”, le disse.

Era quel tizio del nord, come si chiamava? Lo lesse sulla targhetta appesa alla divisa bluastra: Agente Jones.

E… Cosa dovrei fare?”, domandò Meg, tornando in piedi, “Lasciarli qua a terra?”
Devi farlo sotto la mia supervisione.”, le spiegò l’agente.

Perché?”, le venne da chiedere ancora.
Perché sì.”, tagliò corto lui, “Adesso puoi ripulire tutto.”
Rimase qualche attimo a fissarlo perplessa: aveva solamente rotto due vasi e doveva gettarne via i cocci, sistemando le piante altrove. Ancora stranita per il bizzarro atteggiamento della guardia, Meg andò a cercare un sacchetto della spazzatura e due terrecotte, sentendosi gli occhi dell’agente pungerle il collo con insistenza. Si inginocchiò ancora e, con movimenti grossi, tutti i frammenti finirono dentro al sacchetto.
L’agitazione salì alle stelle quando il secondino si offrì di darle una mano.
Grazie, ma faccio da sola.”, rispose con stizza.

Lui non l’ascoltò, quelli della sua specie erano sempre sordi alle parole pronunciate dagli appartenenti alla razza di cui Meg stessa faceva parte. Si chinò a terra e si occupò della terra sparsa sul pavimento.

Come si chiamano questi… Questi fiori?”, le domandò.

Bocca di leone.”, rispose Meg.

 Bocca di leone…”, ripeté l’altro, “Speriamo non morda!”
Supponeva di dover ridere, ma Meg non seppe farlo.

Ok, adesso le rimettiamo… Nel vaso nuovo, vero?”, continuò l’agente Jones.
Sì.”
Lui allungò una mano e prese le due terrecotte, riempiendole con un po’ della terra distaccatasi dalle radici dei due fiori.

Ehm… Non le dispiace se lo faccio da sola, vero?”, gli disse, osservandolo sporcarsi le mani di terriccio scuro.
Oh sì, fai pure.”, le rispose, “Sono anche allergico a tutte queste piante.”

Ecco, così non le verrà uno shock anafilattico.”, borbottò sommessamente.
L’agente si alzò ma non si allontanò, rimanendo in piedi davanti a lei, che lavorava china sul pavimento. Una volta che il danno fu rimediato e i due fiori tornarono dentro a nuovi vasi, Meg si alzò. Mosse un passo verso la scopa e la paletta, ma l’agente la bloccò.
Devo chiamare qualcuno che ti perquisisca.”
Cosa?!?”, esclamò Meg, “Non ho fatto niente di male!”
Chi era quello? Cosa voleva da lei? Non gli era bastato romperle le scatole? Che se ne tornasse alla sezione maschile!

Come qualche minuto prima, l’agente Jones la ignorò e prese la sua ricetrasmittente.
Centrale? Qui è l’agente Jones. Potreste contattare l’agente Evans e dirle di venire in serra? Ho bisogno di lei. Passo.”

La voce metallica e frusciante dell’addetto alle comunicazioni interne si fece sentire subito.

Qualche problema Agente Jones? Passo.”
Una detenuta ha rotto un vaso di terracotta, c’è il rischio che possa essersi impossessata di un frammento tagliente. Non sono autorizzato a perquisirla, dovrebbe farlo l’agente Evans per me. Passo.”

Ecco qual era il problema, Meg non c’era arrivata da sola. Era stata troppo ingenua e l’agente Jones troppo prevenuto nei suoi confronti. Come poteva esserle utile un coccio? Non aveva nessuno da ferire o ammazzare, aveva già una persona sulla coscienza ed era sufficiente. L'agente aveva bisogno della Evans per controllarla, dato che era severamente proibita la perquisizione di detenuti di sesso diverso. Non poteva metterle le mani addosso, né a lei sarebbe piaciuto sentirle.
Va bene. La mando subito da voi. Passo e chiudo.”
Passarono i successivi cinque minuti in silenzio, Meg gli dava volutamente le spalle facendo finta di occuparsi di altre piante. L’agente Evans arrivò e, con fare frettoloso, le toccò le gambe e le braccia, senza approfondire.
Dovrebbe impegnarsi di più.”, la consigliò l’altro, “L’ho persa di vista per pochi secondi ma sono più che sufficienti.”
Tranquillo, Jones, è una a posto.”, disse Evans, sorridendo a Meg, “Non ha mai dato troppi problemi, mi stupirei se iniziasse adesso. Tra un anno se ne va.”
Bene, si rallegrò Meg, era giusto che si beccasse quella frecciata ed andasse a fare il prepotente altrove.
Oh, buona fortuna.”, rispose lui, senza scomporsi di un millimetro né chiederle scusa.
Si allontanò e tornò a prendere il suo posto vicino all’entrata, dove molto probabilmente aveva passato tutto il suo tempo senza che lei, occupata con il suo nervosismo e le erbacce, se ne fosse accorta.
Perdonalo.”, le disse Evans sottovoce, “E’ da poco che è qua e, oltretutto, è un uomo.”
L’agente sorrise nel vederla alzare le sopracciglia e scrollare le spalle.
Avanti, finisci di pulire.”, le fece con tono più alto e deciso.
L’agente Evans se ne andò salutando con un gesto formale il suo collega, e Meg tornò a dividere la serra con quel tizio. Prese scopa e paletta, con l’intenzione di raggruppare lo sporco e gettarlo via.
Un anno e poi sei a casa. Che effetto fa?”
Fece finta di non averlo sentito. Lui non tornò all’attacco, doveva aver capito che era meglio desistere.
***
L’aereo atterrò in perfetto orario ed i passeggeri cercavano di farsi strada nella folla, tutti muniti di valige con ruote che intralciavano i passi altri con poco ritegno. Nella massa scorse una testa bruna, nascosta dietro ad un paio di grandi occhiali da sole e sotto ad un cappellino da baseball.
Sophie era tornata.
Danny allungò un braccio per attirare la sua attenzione e, non appena vide un sorriso apparire sulla sua bocca, comprese che lo aveva visto. Le andò incontro tendendole le mani, che subito si unirono dietro alla sua schiena, sollevandola da terra senza alcuno sforzo, tanto era leggera.
Fatto un buon viaggio?”, chiese subito alla sua fidanzata, dopo averla riempita di baci.
E’ stato piuttosto stressante.”, rispose lei, sospirando, “Ma ora che ho messo piede a terra, sto meglio!”
Vieni, andiamo a casa.”, le fece, prendendola per mano, mentre l’altra afferrò il bagaglio, “Avrai tutto il tempo di scaricare il jet lag.”
Chiunque avrebbe potuto capire che Sophie non era inglese: lingua ed aspetto, accento e pelle olivastra. Era americana, veniva dalla Florida ma abitava da un paio di anni a Londra, insieme a sua sorella, che aveva sposato un tipo della City. Si erano conosciuti poco dopo il suo trasferimento a Holloway, era un’amica di Harry. Sophie aveva passato le ultime tre settimane dalla sua famiglia, a Tampa, in Florida, per assistere al matrimonio della cugina, di cui era stata la damigella d’onore. Danny non si era unito per due motivi: essenzialmente il lavoro non glielo permetteva ed in aggiunta non stavano insieme da molto, non volevano affrettare le cose. Gli sarebbe piaciuto vedere l’America, non c’era mai stato, ma non lo avrebbe di certo fatto in quella occasione.
Sebbene avessero avuto modo di tenersi in contatto, il viaggio in macchina fu speso nel raccontarsi tutto quello che era successo in quelle tre settimane lontani. Danny seppe così ogni particolare del matrimonio, dalla prova dei vestiti alla scelta dei cibi, dalla sistemazione del giardino alla cerimonia vera e propria, svoltasi all’aperto in una giornata di sole pieno, con le mamme che piangevano e le strette di mano dei papà. Un tipico matrimonio americano, niente a che vedere con la tradizione inglese e le lunghe cerimonie in chiesa. Alla gente d’oltreoceano piaceva esibire le loro possibilità economiche, beati loro. Se avesse detto a sua mamma di volersi sposare all’aperto, si sarebbe disperata: il suo unico figlio adorato che rischiava di prendersi un tipico acquazzone inglese. Impensabile!
Un anno e divorzieranno.”, concluse Sophie, “Quanto vuoi scommetterci?”
Dici che accadrà?”, le chiese.
Avrebbe voluto domandarle qualcos’altro, ma uno starnuto poderoso lo interruppe.
Cos’hai?”, gli chiese subito lei, “Il raffreddore in primavera?”
No… E’ solo allergia ai pollini.”, spiegò Danny, prendendo frettolosamente un fazzoletto e soffiandosi il naso.
Fatti una cura.”, lo consigliò Sophie, “Così non ne soffrirai.”
E’ quello che sto facendo, ma non funziona.”
Provane un’altra.”
E’ colpa del lavoro.”, le disse.
Lei lo guardò stranito.
Ti chiudono in una serra piena di fiori?”, fece Sophie, scoppiando a ridere per l’assurdità della sua affermazione.
Eppure aveva avuto ragione.
Beh… Sì, è proprio così.”, disse Danny con voce fortemente nasale e gli occhi infastiditi dal prurito, “Seguo un gruppo di detenuti che lavora all’aperto e gestisce una serra…”
Fai un reclamo e fatti destinare ad un altro lavoro.”, propose Sophie.
Come se fosse stata la richiesta più semplice del mondo. Era l’ultimo arrivato, l’ultimo della lista e doveva tenersi i compiti che gli affidavano, che fossero state ore a contatto con i fiori oppure turni massacranti nel fine settimana.
Tenterò.”, le disse con tono conciliante.
Già un’altra volta erano caduti in quella discussione. Sophie voleva esortarlo alla battaglia per i suoi diritti di lavoratore onesto e fedele al corpo di polizia a cui apparteneva. Lui, che conosceva il sistema del dare-avere che caratterizzava il rapporto con i suoi colleghi, sapeva di avere poca esperienza sulle spalle per potersi permettere uno sfizio del genere. Avevano litigato duramente e Danny si era fissato una delle sue tante note mentali.
Dare sempre ragione a Sophie in tema di diritto del lavoro.
Cosa ti fanno fare in quella serra?”, chiese lei, osservando il paesaggio urbano che si estendeva in movimento fuori dal finestrino.
Niente di che, devo solo controllare i detenuti che lavorano.”
Sei da solo?”, domandò ancora Sophie.
No, di solito sono in coppia con un altro agente.”
Perché allora non ti fai dare il cambio?”, avanzò lei, “Così puoi rimanere fuori, mentre quell’altro sta in serra.”
Danny sospirò.
Non ci avevo pensato.”, disse, mentendole.
Evans voleva starsene all’aperto perché odiava l’odore opprimente della serra. Lui doveva accontentarsi, era così che funzionava.
Cosa faresti senza di me?”, disse Sophie, abbracciandolo e baciandolo su una guancia, “Come sono i detenuti che stai seguendo?”
Simpatici.”, rispose Danny.
Nessun assassino tra di loro?”
Qualcuno.”, le disse con tranquillità.
Lei sembrò stupirsene.
E perché non li chiudono in cella e buttano via la chiave?”, esclamò.
Perché è probabile che non se lo meritino.”, cercò di rassicurarla.
Come fai ad esserne sicuro?”
Danny non poteva risponderle, avrebbe leso l’etica del suo lavoro.
Non posso parlartene, mi dispiace, ma puoi fidarti di me.”, le disse, “Si stanno riabilitando al lavoro, usciranno nel prossimo anno.”
La notizia non mi rende più felice…”, sottolineò lei, tornando seduta e pensierosa.
Era il momento di sviare.
Stasera ho prenotato in un ristorante niente male.”, la informò, “Ti leccherai i baffi!”
***

Lunedì.
Meg odiava i lunedì, erano i giorni peggiori della settimana. Quando era stata libera non li aveva mai sopportati e da quando era lì dentro li odiava lo stesso, sebbene non avesse avuto più un motivo specifico a giustificare quel suo sentimento negativo. Si sentiva di malumore, più scostante del solito, tanto che augurò faticosamente il buongiorno a Rachel, la quale non aveva diminuito di un solo grado la sua carica di rabbia distruttiva. Fece colazione in silenzio, a capo basso, poi intercettò Annelise, intravedendo il suo cesto di capelli corti e bianchi, e le si avvicinò. Era una delle detenute più calme e disponibili di tutto il carcere, era stata accusata di frode e doveva allo Stato diverse centinaia di migliaia di sterline, forse anche milioni per quello che Meg ne sapeva. Colpevole di aver rubato del denaro pubblico, Annelise aveva una pena sulle spalle lunga il triplo della sua, prima che il giudice l’avesse ridotta.
Cosa ci toccherà fare oggi?”, domandò la donna con retorica.
Non saprei.”, rispose Meg con tono sarcastico, “Pulire, strappare erbacce, zappare…”
Ho parlato con qualcuna delle Margherite Uno, dicono che ai due tizi che stanno con loro tocca sempre la pulitura dei vetri della serra…”, disse Annelise.
E io che mi diverto ad appannarli e scriverci qualche ringraziamento per Daisy… Ora capisco perché non sono capace di ritrovarli!”, esclamò Meg ridendo, “Osano cancellarli!”
Anche Annelise rise insieme a lei.
Il nostro Carlos deve farle paura.”, disse poi la donna, “Ammetto che non mi ispira molta fiducia quel ragazzone, però è simpatico.”
Non poteva negarlo, aveva pienamente ragione. Doveva essere uno dei pochi uomini della sezione maschile della Holloway a non meritarsi la castrazione chimica. Era alto e di pelle scura, capelli piuttosto lunghi e aspetto poco amichevole, insieme a qualche tatuaggio discretamente preoccupante, ma doveva avere il ripieno di cioccolata. Carlos aveva commesso diversi peccati mortali e la sua prospettiva di lasciare le sbarre era piuttosto profonda, tanto da non vederne la fine, ma era stato obbligato dal giudice a seguire quel corso, insieme ad un altro per la gestione della rabbia, in modo tale da imparare a canalizzare il suo sfogo verso qualcosa di più produttivo.
La cura delle piante.
Chi aveva passato la gioventù in una banda di strada di Barcellona per poi esportare il suo operato entro i confini del reame inglese aveva necessariamente bisogno di un corso per vivaista. Insomma, la Holloway era un posto in cui si incontravano sempre personcine per bene.
Secondo me gli piaci.”, avanzo Meg, con un’occhiata furba alla donna, “L’ho visto come ti guarda!”
Annelise scoppiò in una nuova risata, si portò le mani alla bocca e gorgheggiò.
Ma smettila, Megan!”, le disse poi, “Ho cinquantacinque anni, non venti come te!”
Ventitre.”, specificò Meg, “E poi non è mai tardi!”
Ok, entrambe abbiamo i nostri scompensi ormonali, ma i miei non sono così squisitamente sessuali!”
Per me quei terremoti sono terminati molto tempo fa.”, disse Meg, prendendo un elastico nero dalla tasca dei pantaloni e legando i capelli rossi in una coda di cavallo, come era solita portarli ogni giorno.
Continuarono il percorso in silenzio, preferendo lasciar perdere quel discorso, e si unirono a Carlos ed alle altre componenti delle Margherite Due, Greta e Jess. Si scambiarono un caldo buongiorno e qualche altra parola, tutti sembravano poco contenti di quello che li aspettava.
Oggi ho la sensazione che non faremo niente di buono.”, disse Carlos, “E vorrei dormire.”
A chi lo dici.”, si accodò subito Meg.
Una figura distante si mosse, Meg lo riconobbe subito. Si avvicinò a Carlos.
Ma dico, quel tizio non può essere sostituito da un suo collega?”, gli chiese, riferendosi all’agente Jones, che li osservava da qualche metro di distanza.
Perché?”, domandò Carlos.
Mi sta sui nervi.”, si spiegò Meg.
Io lo trovo molto più carino degli altri poliziotti!”, disse Greta.
Ninfomane.
Lanciò un’occhiata di sbieco all’agente, poi tornò da Carlos.
E’ del nord… Non mi piacciono i tipi del nord dell’Inghilterra.”, aggiunse alla lista dei difetti, “Hanno un umorismo pessimo.”
Tutti voi inglesi avete un senso dell’humor pari a quello di un mammut appena scongelato, ma non me ne sono mai lamentato!”, disse Carlos, ridendo e trascinando con sé anche le altre donne.
Non puoi far niente per farlo sostituire?”, gli domandò.
E perché dovrei?”, Carlo scrollò le spalle, “Non è un rompipalle.”
Ah no?”, sbottò Meg, “Qualche giorno fa ho rotto un vaso ed ha fatto chiamare la Evans per farmi perquisire!”
Ragazzaccia cattiva…”, la canzonò lui, “Con questi capelli rossi…”
Meg ci rinunciò e rise.
Avanti!”
La voce squillante di Daisy richiamò la loro attenzione. L’insegnante si unì al gruppo, avviando una conversazione programmata per spengersi nel giro di pochi attimi, ed attesero che l’agente Evans prendesse il suo posto accanto a Jones. A guardarlo da vicino, Meg ebbe l’impressione di non essere l’unica ad odiare il lunedì. Il poliziotto non si era rasato, né aveva una buona cera in generale: il naso era rosso e gonfio, gli occhi stanchi e si soffiava spesso il naso.
Era meglio per lui rinunciare ai festini notturni.

Attese che il responsabile dei turni lo ricevesse e ci vollero ben quarantacinque minuti prima che accadesse. Danny passò il suo tempo leggendo qualche rivista scaduta da mesi, spulciando il suo cappello, parte fondamentale della sua divisa, e guardando alcune crepe sul soffitto.
Prego, si accomodi.”, lo accolse l’ufficiale Allen, permettendogli di accomodarsi nel suo ufficio, “Mi scusi per il ritardo ma c’è sempre l’imprevisto dell’ultimo momento.”
Nessun problema, signore.”, rispose Danny con il garbo ed il rispetto che doveva porgere ad ogni suo superiore.
Allora, per quale motivo è qui?”, chiese l’ufficiale, sedendosi sulla sua comoda poltrona, dietro ad una scrivania di legno e vetro, “Mi è stato anticipato che vorrebbe essere assegnato ad altri compiti.”
Beh… Sì, come può vedere ho qualche problema a svolgere il mio.”
Danny aveva passato il fine settimana a letto con febbre, mal di gola, naso chiuso e trachea gonfia, tutto per colpa di quelle dannate ore in serra. Aveva concluso a stento la serata con Sophie: tutte le portate del ristorante erano rimaste intoccate ed aveva iniziato a percepire l’aumento della temperatura del suo corpo ben prima di mettervi piede, ma aveva nascosto il suo malessere. Poi, quando era stato palesemente chiaro che gli era possibile mentire ad oltranza, erano tornati a casa.
Stramaledetti fiori.
Mi spieghi.”, disse l’ufficiale Allen.
Ecco, sono stato destinato alla supervisione delle attività di reinserimento lavorativo. Specificatamente, al gruppo Margherita Due, che si occupa di vivaistica e floricoltura…”, disse Danny, sentendo la sua voce roca e più nasale del solito, “Non ho niente di cui lamentarmi, solo del fatto che ho una… Forte allergia al polline, signore.”
L’ufficiale rimase in silenzio, Danny riprese il suo discorso.
Il contatto costante con le piante ha effetti collaterali piuttosto evidenti, signore.”
"Si faccia prescrivere una cura antibiotica.”, disse l’uomo.
A parte il fatto che gli antibiotici non erano efficaci nel combattere le allergie, Danny fu costretto a contraddirlo.
Signore, la sto seguendo, ma non è efficace.”
Raddoppi la dose.”
Assolutamente no. L’unica volta che aveva avuto quella bella idea si era trovato con la faccia gonfia e le vene intasate dal cortisone. Mai e mai più.
Potrei farlo, ma…”
Parli con il medico dell’istituto.”, lo interruppe ancora l’ufficiale Allen, “Si faccia aiutare da lui.”
Certamente, però…”
La primavera è un periodo di transizione, sono sicuro che un agente giovane, forte e sano come lei può superarlo senza alcun problema.”
Fine della discussione. Con modi garbati e rispettosi, Allen aveva rifiutato la sua richiesta. Nonostante Danny avesse avuto davvero bisogno di quella sostituzione, nonostante Sophie gli avesse saturato la testa di quella convinzione, aveva ricevuto una bocciatura. Si recò dal medico del carcere, come gli era stato consigliato dal suo superiore, che per accontentarlo gli aveva concesso di terminare il turno dopo la visita, dicendogli di rimettersi per il turno del giorno successivo.
Il medico lo fece spogliare, Danny rimase nella t-shirt bianca che solitamente indossava sotto la camicia della divisa, e prese a visitarlo. Controllò la respirazione, le pulsazioni e la pressione, la dilatazione della pupilla e i suoi riflessi.
Beh… E’ evidente che si tratta di rinite allergica.”, disse poi.
Certamente, osservò Danny con sarcasmo, ma non si pronunciò. Il dottore gli chiese di mostrargli quale tipo di antistaminici - e non antibiotici, come aveva detto il suo superiore- assumesse regolarmente ogni giorno ed aggiunse anche un’altra pillola. Inoltre, nei casi più gravi…
Preghi il Signore.”
Danny rimase interdetto.
Funziona?”, gli chiese, con ironia.
Chi lo sa…”, concluse il medico, “Lo dico per scaramanzia.”
E lo congedò.
***

Meg alzò gli occhi al cielo e lo vide pieno di nuvole, ma non erano le previsioni meteorologiche ad interessarla. Se avesse starnutito ancora, giurò agli angeli che gli avrebbe schiacciato un naso con il pugno. Nonostante il decimo starnuto dell’agente Jones, decorato dalle risatine sommesse delle Margherite Due, Meg non mantenne fede alle sue promesse. Alle loro spalle, il tizio manifestava il suo malessere con quei continui disturbi: colpi di tosse, soffiate di naso, ed ogni qualvolta veniva interpellato, parlava con una voce così nasale da renderlo ancora più ridicolo.
Qual era il suo problema, si chiedeva Meg, non poteva andarsene in malattia per qualche giorno? Se era lei a sentirsi male doveva solamente farlo presente all’agente in servizio al suo piano, che dava poi notizia a chi di dovere, ed era così esonerata finché il dottore non la definiva guarita. Perché lui non poteva fare altrettanto? Disturbava tutta la lezione, non se ne rendeva conto? I quesiti non avevano risposta, l’agente Jones rimaneva comunque alle loro spalle, in disparte insieme ad Evans, che si faceva tranquillamente i fatti suoi.
Per quel giorno era prevista una lezione sul taglio del verde, specificatamente degli arbusti. Daisy sembrava sapere tutto sulle modalità con le quali potare gli alberelli e le siepi, cosa che Meg supponeva fosse piuttosto semplice: bastava prendere un paio di forbici da giardiniere, al massimo un seghetto, e la pianta veniva liberata dai rami parassiti oppure abbellita secondo il gusto. Invece non era così facile: si doveva controllare il calendario, scegliere i giorni di luna calante, stare attenti a non…
Insomma, due palle.
Scegliere quel corso non era stata una bella idea, se n’era resa conto troppo tardi. I mesi precedenti, passati dietro ad un banco, erano stati affrontati aspettando quello che sarebbe successo dopo, sperando che l’applicazione teorica si sarebbe conciliata con le proprie aspettative. Invece, il giardinaggio non faceva assolutamente per lei. Anzi, era il giardinaggio che aveva in mente Daisy a non confacersi ai suoi gusti. Per Meg le piante non erano altre vite, come credeva lei, ma solo… Piante. Esseri verdi dotati di fiorellini, dolci alla vista, profumati, belli da regalare per un ricorrenza. Nient’altro, solo piante, dentro le cui vene scorreva clorofilla e non sangue. Era stupido parlare ai pistilli, confessare ai boccioli i propri attimi di vita felici, Meg non era capace di conversare con una margherita.
Era da idioti.
Una vegetale andava trattato da tale: doveva essere curato, concimato, innaffiato e così via, ma non si poteva amarlo come avrebbe voluto Daisy, Meg non riusciva a provare sentimenti buoni verso la vita verde. Guardava una camelia e pensava a come scacciare via quelle piccole zecche fastidiose che le rovinavano le foglie, ma non vedeva in essa una sorellina. Solo Daisy poteva riuscirci, forse per via del suo nome floreale, ed era altrettanto sicura che Annelise e Carlos la pensassero come lei. Non poteva affermare lo stesso per Greta e Jess, comunque non le importava.
Sospirò ed osservò le forbici da potatura.
Perché in momenti del genere non pioveva mai?
Mi sembra di aver sentito una goccia…”, disse Carlos, stupendola.
Lo guardarono tutte, aspettando altre parole da lui, che si dimostrò piuttosto titubante.
Sì… Eccone un’altra!”, aggiunse l'uomo, aumentando il tono convincente.
Stava mentendo, era ovvio, voleva solo terminare la lezione al più presto.
Oh! L’ho sentita anch’io!”, ne approfittò subito Meg, “Proprio sulla fronte!”
Non voleva certo farsi scappare un’occasione del genere.
Sì! E’ vero!”, si immedesimò Annelise in quello sceneggiato.
Siete sicuri?”, chiese Daisy, sporgendo mani e braccia per verificare le loro affermazioni, “O volete solo concludere la lezione prima del previsto?”
I tre bugiardi, colti in fallo, cercarono il sostegno reciproco alla loro versione dei fatti.
Sì! Piove!”, una quarta voce inaspettata si unì al coro.
Il gruppo scrutò l’agente Jones.
Piove!”, esclamò lui ancora, annuendo con cenni secchi della testa.
Gli occhi rimbalzarono su Daisy.
Beh… Se lo dice l’agente Jones, significa che piove davvero.”, disse, sospirando rassegnata, “Ci vediamo domani, vi congedo.”
Ancora increduli per l’accaduto, i detenuti temporeggiarono. Meg non voleva trattenere un sorriso sul volto ma doveva farlo, non voleva essere palesemente contenta per essersi tolta dalle spalle il peso di altre noiose ore in compagnia di Daisy e dei suoi perfetti consigli. La donna si allontanò di qualche passo, portandosi appresso Greta e Jess, che sembravano interessate nel porgerle domande ad oltranza.
Cosa… Cosa facciamo?”, disse Annelise, “Come la passiamo la mattinata?”
Facciamoci una birra!”, propose ironicamente Carlos, “Offro io!”
Che simpatico!”, tagliò corto l’agente Evans, “Andiamo donne, vi riporto in sezione.”
Barreiro, anche per noi è l’ora di tornare a casa.”, disse Jones, chiamando Carlos per il suo cognome.
Casa… Che magnifica parola.”, disse lo spagnolo, il cui tono doveva trovarsi a metà strada tra il sarcasmo e l’amara constatazione della quotidiana verità.
Una volta tornati al chiuso le Margherite Due si divisero, prendendo strade diverse. Meg camminava al fianco di Annelise, Daisy e le altre due donne erano qualche passo più avanti, la Evans alle loro spalle le osservava con tranquillità. Non era uno dei peggiori agenti della sezione femminile: sapeva chiudere gli occhi, faceva favori e voltava le spalle quando non c’era niente da vedere. In compenso, però, aveva una sorta di libro contabile mentale in cui registrava ogni fatto, trovando il momento giusto per utilizzarlo a pro suo. Giungendo alla conclusione, comunque, era una buona agente con una memoria altrettanto ottima, con cui era meglio non avere troppo a che fare.
Meno male che è finita così.”, disse Annelise, sottovoce, “Oggi non riuscivo proprio a sopportare Daisy.”
Non ne sono mai stata capace.”, le rispose Meg, “Il suo atteggiamento forzatamente simpatico nei nostri confronti mi stucca. Tu sai perché è dentro?”
Non è una detenuta.”, spiegò Annelise, “O meglio, non lo è più. Non so per quale motivo continui a bazzicare qua dentro. Fossi in lei, fuggirei via.”
A chi lo dici…”, fece Meg, “Cosa ha combinato per starsene qua?”
Non lo so.”, disse l’altra, “Dovrei documentarmi. Agente Evans, ci può aiutare?”
La donna si prese la domanda ma non dette alcuna risposta, almeno non subito. Continuò con il suo passo cadenzato, le mani unite dietro alla schiena e gli occhi che vagavano qua e là.
Credo che abbia fatto parte di un gruppo organizzato…”, disse, una volta che il suo silenzio si ruppe, “Ma non mi ricordo cosa combinavano… Ne passa talmente tanta di acqua sotto questi ponti.”
Le ultime parole rimasero sospese nell’aria, nessuna ebbe voglia di aggiungere altro. In carcere, le atmosfere tranquille erano facili da rovinare, bastava un attimo ed ogni più piccolo sorriso veniva cancellato. Momenti come quello erano quotidiani e frequenti, tanto che era meglio starsene zitte e lontane dalle altre detenute, piuttosto che rischiare quelle pause infinite.
Bene, cosa avete intenzione di fare?”, disse l’agente.
Si fermarono anche le restanti donne delle Margherite Due, ancora insieme a Daisy, attirate dal tono di voce più alto ed autoritario della Evans.
Io vorrei andare in biblioteca.”, disse Meg.
Ti documenti sulla lezione?”, le domandò subito Daisy, accompagnata dal suo sorriso fintamente caldo.
Certamente…”, rispose lei, con aria vaga.
Il suo status di detenuta con buona condotta le apriva molte porte, tra cui anche quelle della biblioteca. Non era l’unica ad avervi accesso, moltissime altre sue compagne potevano farlo ma non erano in molte a dedicarsi alla lettura. A dire il vero, a Meg non piaceva leggere, i libri non le aprivano porte mentali verso altri mondi -luoghi liberi-, ma le offrivano la possibilità di passare il tempo senza essere troppo disturbata. Le persone che frequentavano la biblioteca, infatti, erano solitamente individui alla ricerca di qualche informazione utile alla loro situazione legale, oppure tentavano di ottenere un titolo di studio, o di farsi solo una cultura.
Usualmente, Meg prendeva un volume, che fosse stata narrativa o una enciclopedia, e si metteva a leggerlo oppure a sfogliarlo, senza alcun interesse. Talvolta le era capitato di imbattersi in qualcosa di coinvolgente, in storie di avventura o fantascienza che le impedivano di distogliere gli occhi dalle pagine in bianco e nero, ma erano stati casi piuttosto rari. Non le piaceva andare troppo oltre con l’immaginazione, l’impatto con la realtà era più devastante di uno scontro frontale con un muro di cemento armato.
Ad ogni modo, una volta che Annelise si unì a Jess e Greta, destinate alle attività comuni negli spazi aperti a tutte le condannate, l’agente Evans la accompagnò in biblioteca; l’abbandonò dopo averla affidata ad i suoi colleghi. Meg girovagò a lungo tra gli scaffali, tentando di individuare il giusto titolo che le stuzzicasse la voglia di aprire un nuovo libro, e quella volta dovette faticare molto. Alla fine, afferrò il quarto volume di un enciclopedia sugli animali; si sedette vicino ad una finestra e si mise a sfogliarlo.
In quel modo avrebbe passato le due ore rimanenti, prima di andare a pranzo.



Inghiottì l’ennesima pillola di antistaminico e si soffiò il naso. Prese il collirio e si bagnò gli occhi, che bruciavano da morire. Un’altra giornata come quella e avrebbe voluto morire. La primavera era la stagione più lunga di tutto l’anno, almeno per Danny. Attese che il fastidio alle pupille passasse, poi riprese il suo servizio.
La finta pioggia inscenata dai detenuti era stata la manna dal cielo per lui, che ne aveva subito approfittato, sebbene avesse saputo che non avrebbe ottenuto niente. Invece, contro ogni aspettativa, Daisy si era piegata e la lezione si era conclusa poco dopo la fine della prima ora. Erano rientrati al chiuso, con grande sollievo di molti dei partecipanti, oltre che al suo, e i detenuti si erano divisi.
Dica, agente.”, gli si rivolse Carlos, “Perché non se ne va in malattia? Ha una cera che dovrebbe essere lucidata ben bene…”
Il tatuaggio della banda di cui lui aveva fatto parte evidenziava l’avambraccio dello spagnolo, che usava arrotolare le maniche dei suoi abiti per metterlo in mostra con orgoglio. Due spade ricurve ed incrociate, un motivo arabeggiante ed una scritta emblematica: ‘hasta la muerte de mi alma’, fino alla morte della mia anima. La pelle naturalmente scura dell’uomo, molto più vecchio di lui, gli ricordava Sophie e la sua abbronzatura. Non aveva mai dato molto confidenza al detenuto Barreiro, il suo aspetto gli incuteva un certo timore e lo metteva in guardia da ogni iniziativa nei propri confronti. Alcune delle signore e signorine delle Margherite Due non sembravano pensarla come lui, dimostrandosi invece contente della sua presenza maestosa nel gruppo, che doveva servire a contro bilanciare Daisy e la sua personalità troppo spesso fastidiosa anche per Danny.
Da buon agente, quale pensava di essere, non aveva mai dimostrato alcuna sorta di paura nei suoi confronti. Addirittura, c’erano state situazioni in cui l’indole innata di Carlos, quella che l’aveva condotto lì dentro, era venuta fuori con un’esplosione distruttiva e Danny non aveva esitato ad imporre la sua divisa e l’autorità che quella gli dava, sebbene non gli fosse mai piaciuto farlo.
Quello che ho mi fa star male qui, come a casa.”, gli rispose con gentilezza, “Tanto vale passare il mio tempo al lavoro.”
Saggia decisione.”, disse Carlos, rafforzando la sua affermazione con un cenno positivo della testa, “Lasci i permessi per malattia alle vere influenze.”
Bravo Barreiro.”
Volle concludere lì quella conversazione, ma il detenuto andò avanti.
E’ allergico alle piante, vero?”, chiese a Danny, che gli camminava a fianco nei corridoi della sezione maschile.
Sì, proprio così.”
Doveva accompagnarlo fino alla sezione che ospitava i detenuti come lui, quelli da ‘livello medio’, come la chiamavano i suoi colleghi nel gergo della polizia locale. Erano cioè ospiti a cui prestare un po’ più di attenzione rispetto a quelli del livello basso, ed un po’ meno rispetto a quelli del livello alto. Carlos era stato tolto dal cosiddetto regime di massima sicurezza, erano già sette anni che si trovava lì dentro e la giustizia inglese aveva deciso di premiarlo allargando la stretta del controllo sulla sua persona, ma apparteneva ancora a coloro a cui bisognava stare attenti.
Non sopportare la primavera è un gran brutto affare…”, disse Carlos, “Ha provato a chiedere di essere sostituito? Anche se è l’ultimo arrivato…”
I puntini di sospensione gli fecero capire cosa aveva sottinteso Carlos, nient’altro che la verità.
Hai capito anche tu.”, rispose Danny.
Agli ultimi arrivati sempre i lavori peggiori.”, disse ancora Carlos, “E non possono nemmeno lamentarsi. Ma voi guardie siete fortunate, non siete prigionieri. A noi spetta una sorte più triste della vostra, la prima volta che mettiamo piede qua dentro.”
Stava parlando troppo per i suoi gusti, ma Danny lo lasciò andare avanti. Al momento giusto avrebbe tagliato i ponti.
Deve essere una palla tenerci d’occhio durante le ore di lezione, non è così?” continuò Carlos, “Voglio dire, quattro ore ad ascoltare quella Daisy… Per noi studenti”, e rimarcò la parola con sarcasmo, “è insopportabile… Chissà per voi, che non avete nulla a che fare con i suoi consigli di botanica…”
Danny non si espresse al riguardo: non era saggio dimostrare ad un detenuto il suo mal sopportare qualche collega, avrebbe sempre potuto manipolare le sue parole e metterlo nei guai. Se ne rimase in silenzio, come qualsiasi altro agente di polizia avrebbe fatto, se si fosse trovato al suo posto.
Comunque, mi trovo bene in quel gruppo.”, disse Carlos, “E’ pieno di persone carine, le signore e signorine delle Margherite Due sono delle personcine interessanti.”
Anche Carlos sapeva che era necessario moderare i termini ed i toni quando parlava con una guardia, tanto che Danny si chiese a cosa fosse dovuta la sua parlantina così attiva. Era piuttosto probabile che non avesse avuto alcuno scopo, ma rimase comunque attento alle sue parole.
Non mi pronuncio su chi lecca il culo a Daisy.”, disse Carlos, riferendosi certamente alle due donne sempre pronte a rispondere alle domande della capogruppo, “Però la signora Annelise e la ragazzina sono simpatiche.”
Proseguì nel suo silenzio.
Annelise mi ricorda tanto mia mamma, prima che lasciassi la Spagna e mi trasferissi qua. Sono proprio identiche.”
Danny si sforzò di trovare una somiglianza tra Carlos e la detenuta, ma era troppo anche per la sua fantasia ben sviluppata.
Mentre la rossa è così palesemente infastidita da Daisy che è un piacere osservarla durante la lezione! A volte non mi trattengo dalle risate, la sua faccia è davvero divertente.”
Come si chiamava quella ragazza? Maggie? Non ricordava nemmeno il suo nome, ma ogni volta che la vedeva la associava a quel piccolo incontro-scontro nella serra, nel quale si era preoccupato che non si fosse impossessata di qualche coccio dei vasi da lei rotti per recare danno alle sue compagne di cella. Aveva solo fatto il suo dovere, agendo nel migliore del modi possibili, ma ovviamente non l’aveva presa affatto bene.
Uno dei tanti obiettivi del suo lavoro era assicurare l’incolumità dei detenuti, impegnandosi nell’individuare ogni causa di possibile danneggiamento che avrebbero potuto perpetuare nei confronti dei loro simili, come disse a se stesso, recitando a pappagallo le parole dei manuali su cui aveva studiato per essere abilitato alla professione. Quindi, anche se aveva seguito scrupolosamente quelle giuste regole, si era comunque attratto l’antipatia della detenuta, come era ovvio che accadesse. Quelli come lei non capivano che i poliziotti lavoravano per loro, per garantire che lo sconto della loro pena passasse nel modo più tranquillo possibile, e forse non ci sarebbero mai arrivati. Lui stesso aveva trovato difficoltà nell’afferrare quel concetto ed i primi mesi di servizio era stata piuttosto dura abituarsi a all’idea; poi, una volta fatta esperienza, tutto era divenuto normale. I detenuti ed i poliziotti vivevano su due mondi diversi, inconciliabili, ed anche se Danny si impegnava nel proprio lavoro, mettendosi a loro disposizione, non sarebbero mai stati riconoscenti. A pensarci bene, se i ruoli fossero stati invertiti, la sua reazione sarebbe stata la medesima…
Comunque dovette ammettere, suo malgrado, che Carlos aveva ragione. Spesso aveva colto quella ragazza con espressioni manifestamente annoiate che, se fosse stato nei panni di Daisy, si sarebbe infastidito nel vederla reagire in quel modo alla sua lezione. Ci voleva disciplina, talvolta, ma lei sembrava non averne più di un po’.
Era anche molto giovane per trovarsi lì dentro.
Credo che abbiate la medesima età.”, disse Carlos, “Lei, agente, quanti anni ha?”
Era una domanda del tutto personale, non era autorizzato a rispondere ma lo fece comunque, non ritenendola pericolosa.
Ventisei.”, disse Danny.
Uhm… No, lei è più piccola.”, disse Carlos, “Credo sia ventitreenne… Ma sta qui da quattro anni.”
Danny non poté evitare di alzare le sopracciglia stupito. Evidentemente, se si trovava lì dentro da così tanto tempo, nonostante la sua giovane età, aveva certamente commesso qualcosa di molto grave. Lui non era un giudice, ma chi l’aveva spedita lì dentro lo era eccome, ed aveva perciò preso la decisione più giusta.
Altra nota mentale: capire perché i giovani d’oggi non apprezzano la vita.
Bene, Barreiro, siamo arrivati.”, gli disse, una volta di fronte alle sbarre che precludevano l’accesso alla sezione di medio livello.
E’ stato un piacere, agente Jones.”, disse l’altro.
Un collega di Danny aprì le inferriate e permise al detenuto di entrare.
So che è un buon ascoltatore.”, e gli sorrise un po’.
Danny ebbe da chiedersi ancora il perché di tutto quello, ma dimenticò presto quella domanda. Tornò al suo servizio, che si sarebbe concluso al suonare del mezzogiorno: il suo turno era iniziato alle quattro di mattina, si sentiva piuttosto stanco ed aveva bisogno di tornare a casa. Sostituì un suo collega, permettendogli di allontanarsi prima dal lavoro, e finì di nuovo all’aria aperta, comunque lontano dai pollini e dalle piante, per trovarsi a sorvegliare i carcerati nella loro ora d’aria. Il tempo non era dei migliori ma tutti loro se ne stavano fuori, chi a fare un po’ di ginnastica, chi a passarsi il pallone, chi a chiacchierare con una sigaretta in mano.
Pensò a come avrebbe risolto la sua giornata: dopo un sonnellino pomeridiano sarebbe passato da Sophie, con la quale avrebbe speso la serata cenando insieme, a casa di lei. Poi sarebbe tornato a dormire, per riprendere il lavoro nel giorno seguente. Aveva il turno pomeridiano, da mezzogiorno fino alle otto. In altre parole, quattro ore insieme alle Margherite Due, imbottito di antistaminici, e la restante parte sulle mura, armato, a controllare il perimetro del carcere.
Doveva trovare un appiglio, un diversivo, qualcosa che tenesse impegnata la sua mente. Aveva un pensiero che poteva tornargli utile, una piccola ancora di salvezza alla quale si poteva aggrappare, concentrandosi e fantasticando un po'. Era da tempo che scaricava le sue difficoltà e, non di rado, le sue frustrazioni con un piccolo hobby di cui erano in pochi a saperne l'esistenza.
Lui, se stesso e Danny Jones.
Nel suo appartamento c'era un vecchio pc, lo aveva acquistato con il suo primo stipendio, raggranellato con i lavoretti estivi molti anni addietro. Era andato a sostituire una grande quantità di quaderni colorati e poco funzionali.
Gli piaceva scrivere.
I suoi personaggi avevano vissuto molte vite, così tante che nemmeno lui se le ricordava più. Non era certo sul quando avesse iniziato a trasformare la sua immaginazione in frasi continue, corrette e piene di senso, almeno per se stesso. La sua mente era sempre stata popolata di persone, dai tratti reali o surreali, con le quali aveva conversato a non finire, ma c'era voluto del tempo prima che filtrassero una per una dalla sua testa fino alla mano, per finire tra le sue dita, dove diventavano tangibili.
Danny si focalizzò sulla sua nuova creazione.
Qualunque sarebbe stata la fine di quella piccola storia, nessuno vi avrebbe mai posato gli occhi ed era giusto così.






___________________
Note dell'autrice
Ringrazio Queen, alias Fra, per aver commentato xD allora le McSisters a qualcosa servono! xDDDD

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > McFly / Vai alla pagina dell'autore: RubyChubb