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Autore: S a r e t t a    25/02/2010    3 recensioni
Le mie dita accarezzavano le sue labbra. I nostri nasi si sfioravano. Il suo respiro si infrangeva contro il mio. I nostri cuori battevano insieme, allo stesso ritmo, per l’ultima volta. Non pensavo a niente. Non volevo pensare a niente. Ci parlavamo con gli occhi, ci facevamo promesse inpronunciate, promesse che volevamo mantenere in un modo o nell’altro. Non resistetti più quando lei si avvicinò al mio orecchio. Sentivo il suo respiro sul collo.
Con un filo di voce roca mi sussurrò un piccola e semplice frase che mi mandò in tilt.
Genere: Romantico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alien
Introduzione

 

 

Mi alzai svogliatamente dal letto.
Un mal di testa lancinante m’impediva di pensare lucidamente, di tenermi in piedi.  Non riuscivo più a dormire il dolore era troppo forte.
Trovai un’aspirina e un bicchiere d’acqua sul comodino, doveva averla messa Tom. Lo ringraziai mentalmente e ingoiai quella roba per poi rimettermi sul letto.
Il giorno prima eravamo andati a suonare. Io, Tom, Georg e Gustav avevamo suonato ad Amburgo.
Avevo ricordi precisi fino a quel momento, ma il resto era tutto sfuocato.
Una ragazza vicino a Tom.
Una vicino a Georg.
La bottiglia di Vodka.
Cazzo!
Ancora una volta.
Andai in bagno e mi lavai la faccia.
Avevo bevuto ancora.
Fino allo sfinimento.
Doveva finire questa storia.
Lo facevo per non sentire, per non pensare.
Era sbagliato.
Se mia madre avesse saputo, sarebbe andata su tutte le furie, si sarebbe sentita incapace come madre.
Stavo male, davvero.
Non era colpa di uno stupido mal di testa, era qualcosa di più.
Non avevo niente.
Niente amici, niente amore, niente.
Solo mia madre, mio fratello.
Non ci potevo credere.
A soli sedici anni.
Avevo un vuoto incolmabile, facevo continuamente pensieri infelici, ero depresso. Tutto era contro di me, tutti erano contro di me, a partire dalla scuola.
Anche solo la salita sul pullman.
Appena le porte si fossero aperte gli insulti sarebbero arrivati da tutte le parti, come un’inondazione.
Non volevo mai andarci.
La scuola mi attendeva, era il mio compito.
Era un’agonia.
Mi prendevano a parole, mi picchiavano fuori o in bagno.
I professori non dicevano niente, solo due s’interessavano.
La preside non commentava mai. Non si esponeva. Non mi difendeva. Non faceva niente per far finire tutto quell’inferno.
Erano tutti totalmente indifferenti alla mia sofferenza, a parte mia madre e Tom, ma loro non potevano colmare tutto quel vuoto. Non potevano fare niente se non vedermi soffrire, ed io stesso facevo soffrire loro.
Facevo schifo.
Completamente.
Avevo schifo.
Ero indifferente ormai.
Tutto era monotono.
Alzati, vai a scuola, fatti picchiare, subisci, torna a casa, studia, scrivi, dormi. Solo il sabato e domenica si aggiungeva l’opzione, esibizione.
Mi faceva più che felice.
Cantare.
L’unica cosa che pensavo di saper fare.
Volevo arrivare in alto, ma avevo quel dannato masso da portarmi dietro.
Mi stavano facendo affondare.
Perfino il paese in cui vivevo.
Loitsche.
Solo campi, parchi, al massimo un pub.
E poi?
Andavo sempre ad Amburgo, anche se da solo.
Non importava.
Volevo confondermi con la massa, anche se non ci riuscivo visto il mio look.
Mi vestii in fretta.
Le solite cose.
Pantaloni neri, maglia rossa un filo di matita agli occhi, ombretto nero. Nulla di strano per me.
Mi truccavo.
Ero un maschio.
Allora?
Non me lo vietava nessuno. Non c’era scritto da nessuna parte che io non potessi farlo.
E a loro cosa importava?
Non si preoccupavano per le mie emozioni, erano totalmente indifferenti. Quando piangevo, nessuno si avvicinava a me. Nessuno veniva ad asciugarmi le lacrime, a chiedermi cosa ci fosse che non funzionava. Nessuno mi abbracciava. Non facevano niente.
Erano apatici, indifferenti ed io avevo imparato a esserlo, anche se dopo i sensi di colpa si ravvivavano nelle mie viscere.
Non facevano altro che peggiorare la mia situazione, ma non m’importava.
Non più.
Guardai l’orologio.
Le sette e trentacinque.
Presi la cartella e scesi in cucina. Trovai mia madre con Tom.
Il mio mal di testa si era quasi placato, ma mia madre mi guardava in modo torvo.
«Stai bene bambino mio?» mi domandò accarezzandomi una guancia.
Annuii.
Cosa dovevo fare?
Come l’avrei spiegato?
Tom mi guardò per rimproverarmi.
Non potevo dargli torto.
Stavo sbagliando, ma lui assecondava tutto quello che facevo.
Non mi ostacolava, e per questo lo ringraziavo. Sapevo che se io andavo a fondo, lui veniva con me. Eravamo una cosa sola.
Ci dirigemmo tutti verso la macchina di mia madre e salimmo.
Il silenzio regnava sovrano.
Avevo un sonno pazzesco, non sapevo per quanto avrei retto.
Tom accese la radio per darmi un qualcosa d’interessante d’ascoltare.
Iniziai a canticchiare e poggiai la testa contro il finestrino guardando fuori.
Tutto correva veloce.
Anch’io avrei voluto correre.
Lontano.
Sarei voluto non tornare mai più, mai. Desideravo un luogo dove tutto era semplice, dove avrei potuto ricominciare la mia vita senza essere preso in giro, senza dover subire la gente in modo passivo. Loro mi avevano fatto diventare così, loro mi avevano tolto tutte le mie speranze di vita.
Li odiavo.
Se fossi scomparso, non se ne sarebbe accorto nessuno. Forse solo quelli che mi picchiavano da mattina a sera.
Ero per metà invisibile, per metà visibile.
Mia madre frenò.
Mi ripresi solamente quando sentii la portiera di Tom sbattere.
Pensava le mie stesse cose, lo sapevo, ma lui le sue paure le affrontava.

 

 

I Bla Bla Dell’Autrice*
Buona Sera A Tutti! Questa E’ La Prima FanFiction Che Pubblico. E’ Ancora In Fase Di Scrittura, Per Cui Non So Come Andrà A Finire.
Ho Postato L’Introduzione In Modo Da Capire A Quante Persone Interessava.
Aspetto I Vostri Commenti, Le Vostre Impressioni E Tutto Ciò Che Vi Passa Per La Testa.
A Presto! Un Bacio!

Saretta <3

  
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