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Autore: Dira_    28/02/2010    13 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Sono riuscita a malapena a finire il capitolo per domenica. Sono mortificata per le recensioni. Vorrei rispondere a ciascuna di voi, e spero davvero che mi perdoniate. Scrivere la tesi assorbe praticamente tutto il mio tempo. Ma questa storia va avanti e vedrà la fine. Presto, a giudicare da come si mettono le cose. ;D Ringrazio chi mi sostiene con le sue recensioni. Siete il motore di questa storia, non dimenticatelo.
Un ringraziamento quindi a  Ron1111, Rorothejoy, MadWorld, Trixina ed Altovoltaggio. T_T
 
****
 
Capitolo XXXIV
 



Un cuore che fa male, è un cuore che funziona.
(Bright Lights, Placebo)
 
4 Novembre 2022
Hogwarts, pomeriggio.
 
Un nugolo di primini sciamava chiassosamente dalla classe del professor Ted Remus Lupin.
E il giovane, attraente, affascinante, autoproclamatosi tale James Sirius Potter attendeva che il branco di pulcini sciamasse per farlo passare. Non si beava troppo delle occhiate di pura adorazione che gli rivolgevano i maschi o le guance rosse delle ragazzine.
Del resto lui era una rockstar lì dentro. C’era abituato. Nel bene o nel male.
Sì, poteva dire definitivamente di essere se stesso. Più o meno. Con le dovute correzioni.
Scivolò dentro con abilità consumata, maniche della camicia arrotolate e umore alle stelle.

Aveva un regalo per Teddy. E faceva tutto parte della strategia.
‘Vai e stendilo, tigre’ era stato il monito di Malfoy. Doveva chiedergli quando aveva avuto l’occasione di guardarsi Spiderman.
Probabilmente è molto più ferrato sui babbani del suoi amabili parenti…
Ted stava ordinando i libri sulla cattedra, non suoi visto che erano i libri di testo della scuola. I capelli blu elettrico come sempre che facevano a pugni con il maglione un po’ infeltrito e i pantaloni a coste di velluto.
Aveva un gusto in fatto di vestiti agghiacciante, ma lui lo amava lo stesso.
“Teddy!” Esordì con un largo sorriso, convinto. Doveva esserlo.
Adesso erano tornati amici.
“Oh, Jamie…” Sorrise, alzando la testa. Aveva un’ombra di barba castana appena accennata, e James sfoderò il suo ghigno migliore per evitare di saltargli addosso.
Il suo problema, l’aveva sempre saputo, era la troppa sicurezza in se stesso. Spesso lo portava ad uno stato di esaltazione dove tutto era permesso.
Compreso baciare Teddy.
“Ciao!” Si avvicinò fino ad essere di fronte alla cattedra. Teneva dietro la schiena il regalo e doveva ricordarsi che c’era un piano.
Troppa confidenza in me stesso. Cattiva confidenza in me stesso.
“Ciao.” Confermò Teddy divertito. “Cosa c’è?”
“Ci vai alla festa di Cedric?”
“Certo. A proposito…” Ebbe una lieve esitazione, poi continuò in tono più sicuro. “Suppongo tu non abbia ancora il regalo…”
“No, in effetti, ma ci pensa Lils. È brava coi marmocchi.” Scrollò le spalle. Ted lo guardava perplesso, con un’ombra di sorriso sulle labbra. Era sempre stato bravo a capire quando aveva combinato qualche marachella, da bambino.

“Che hai fatto, Jamie?” Chiese infatti con un sospiro paziente.
 
Era sicuro che James avesse combinato qualche guaio.
Aveva quello sguardo, quel modo di tendere le labbra in un sorriso da monello. Dai tre ai quasi diciotto anni quel sorriso era rimasto immutato. Lo stesso sorriso che finiva sempre, inevitabilmente, per farlo capitolare.
Certo, a tre anni poteva prenderlo per un orecchio e scrollarlo fino a farlo morire dalle risate, una sorta di punizione blanda per le sue alzate di ingegno.
Ora, trovandoselo davanti praticamente alla stessa altezza e con il maglione dell’uniforme teso su due spalle da atleta…
No, non poteva più scrollarlo.
La sua mente si rifiutò di formulare associazioni di pensiero di qualsivoglia natura.
“In realtà…” Iniziò James inspirando soddisfazione. “Ho preso delle cose per te.”
“… Cose?” Prese il pacco che il ragazzo gli porgeva. Aveva le dimensioni di un quaderno o un blocco per gli appunti babbano. “Cioè?”
“Apri!” Gli intimò gioiosamente e Ted pensò che il sorriso di James fosse davvero… avrebbe detto carino fino ai dodici anni. Ora si accorse di come, anche se manteneva una traccia infantile, fosse attraente.

James in realtà era attraente. E non solo in toni generali, purtroppo.
Oh, Merlino…
Strappò la carta velocemente, ansioso di trovare altri argomenti di cui discutere.
Rimase senza parole.
 
James fece un mezzo sorriso quando vide gli occhi sgranati di Teddy. Ci aveva preso.
Era stata un’idea semplice, eppure solo lui ci aveva pensato.
“Ho pensato… che visto che i libri con le note di tuo padre sono andati persi… Beh, tuo padre ha fatto il professore qui per un anno. Ho mandato un paio di Gufi… e sono riuscito a recuperare tutto il programma, dal Primo al Settimo. Non è stato facilissimo, ma per fortuna zia Hermione conosceva un sacco di ragazzi dell’ES, anche del primo anno, che teneva ancora gli appunti di Remus come reliquie.” Si avvicinò. L’espressione di Ted era di stupore puro. Sfiorava con le dita la copertina del quaderno, piuttosto voluminoso.
“Ci sono tutti, eh. Incantesimo trascribo. Zia Herm ne conosce sempre una più di Salazar…” Lo scrutò. Gi era piaciuto? Non si capiva dall’espressione. “Senti, lo so che non è come riavere i libri di tuo padre, ma se non altro, almeno hai i suoi appunti.”
Ted lo fermò con una mano. “James… Io…” Si bloccò. “Grazie.” Sussurrò. Era evidente che non sapesse che pesci prendere, dal colore dei capelli che era cambiato un paio di volte, prima che li facesse tornare blu.
“Ehi, ci tenevi! Non dirlo neanche.” Disse tranquillo, mentre in realtà voleva solo chiedergli se quello gli poteva valere un bacio.
Ted per un attimo, sembrò quasi spaventato. Sua impressione, probabilmente, perché poi gli sorrise. “Vieni qui…” Era il segnale, quando erano ragazzini, che poteva finalmente stritolarlo in un abbraccio.
E lo fece, ovviamente. Ted profumava di the.
È incredibile, probabilmente se lo rovescia addosso…
Oppure era la sua pelle ad esserne impregnata a forza di berne litri. Era un odore dolcissimo, e serrando la presa e strofinando il naso sulla spalla gli poteva quasi sembrare di esserci riuscito, di averlo finalmente tutto per sé.
Ted ricambiava a malapena l’abbraccio, come sempre. Stavolta però era più rigido del solito.
Curioso…
Lo spiò, senza lasciare la presa. “Ti è piaciuto il regalo, Teddy?” Ebbe cura di sussurrare, con un tono di voce basso. Con le ragazzine di solito funzionava. Zabini gli rideva in faccia.
Ted arrossì. No, non nei capelli. Gli vide arrossire la pelle e capì di aver fatto centro.
Dieci punti e pluffa a Potter!
Ted non era indifferente. La cosa gli diede una potente scossa di autostima, e dovette tacitarla a badilate mentali per non infilargli le mani sotto la cintura.
“Sì, mi è… piaciuto molto.” Si scollò evidentemente dal palato. “Ti ringrazio, davvero.” Si scostò dall’abbraccio, ispirando. Sembrava sulle spine, e forse era quello il momento giusto per…
No. Frena. Non è il momento giusto. Hogwarts. Territorio scolastico.

“Allora vado…” Disse gioviale nonostante qualcosa urlasse dentro di lui di rimanere lì, perché Teddy sarebbe capitolato tra le sue possenti braccia di cercatore.  Gli lanciò un’occhiata, ma confermò solo la sua risoluzione. Ted aveva un’aria scombussolata, ma teneva le braccia incrociate al petto.
Non ci siamo ancora…
“Sì, certo. Ci vediamo domani, per… andare al compleanno.”
“Con gli altri.” Confermò rassicurante, dandogli una pacca sulla spalla. “Buona giornata Teddy.”
“Anche a te…” Sussurrò.

James raccolse la sua  borsa, facendogli un sorriso davvero innocuo, prima di sgattaiolare via, mordendosi un labbro.
‘Fanculo. Lo voglio.
 
Ted inspirò bruscamente, quando sentì la porta dell’aula sbattere.
Quella volta il suo corpo aveva reagito entusiasticamente alla presenza di James, probabilmente anche alla luce delle scoperte emotive di pochi giorni prima.
Si era frenato dal non abbracciarlo di rimando. Certo, era solo un abbraccio.
Ma credo che fossi molto vicino a qualcosa di simile ad un punto di non ritorno…
Era… elettrico. Sentiva come una sorta di energia scorrergli sulla pelle e crepitare.
E non era solo per James.
… Oh, Merlino.
Che giorno è oggi?
Corse dentro il suo ufficio, ora spoglio, ma privo di resti carbonizzati e brutti ricordi. Gli elfi avevano fatto un lavoro impeccabile. Scorse il calendario lunare sopra la sua nuova scrivania.

Si sentì la bocca secca, e gli venne da ridere.
Il giorno dopo sarebbe stato plenilunio.
Niente pelliccia per lui, naturalmente. Il problema era un altro: il suo umore durante quel periodo del mese diventava… instabile.
Finché aveva avuto Vic, il problema non si era posto: Vic adorava il suo umore lunatico perché portava ad una certa intraprendenza sotto le lenzuola. 
Ma adesso era single. Da troppo tempo. E c’era il Problema James. E il giorno dopo sarebbe stato fuori dalle mura protettive del castello.
Durante la Luna Piena.
 
****
 
Nei pressi della Foresta Proibita. Pomeriggio inoltrato
 
Tom aveva pensato che tornare avrebbe potuto aiutarlo. Tornare dove il Naga l’aveva aggredito. Dove tutto era cominciato.
Sul luogo del… - aveva fatto un sorriso amaro quando ci aveva pensato -… delitto.
Non era certo del perché avesse formulato un’idea del genere, sapeva solo di essersi messo addosso il mantello e di essere uscito, avendo cura di non essere notato.
Era sabato e non aveva dovuto confondersi con gli altri studenti per le lezioni giornaliere. Era rimasto, sostanzialmente tutto il giorno chiuso in biblioteca.
Nessuno l’aveva infastidito. Probabilmente per via della sua espressione. Non che gli dispiacesse, beninteso; dopo quella mattina nulla gli era sembrato più dolce che farsi ignorare e concentrarsi unicamente su se stesso.
Aveva deluso Albus. Il senso di bruciante desolazione che lo opprimeva si era allontanato solo quando anche lui l’aveva fatto. Mentre scendeva il crinale su cui si posava il castello si era sentito man mano più leggero.
Piuttosto ironico. Una volta le mura del castello erano il suo rifugio preferito. Adesso lo soffocavano.
Inspirò, varcando la soglia frondosa della Foresta Proibita. Camminò per una decina di minuti, un passo dopo l’altro, calpestando foglie e rami secchi.
Cos’era, lui?
Tutte le sue ricerche portavano lungo una china di orribili conclusioni.

Si sentiva stanco, una sorta di tensione opprimente gli ottundeva le capacità di ragionamento.
La sentiva scorrere sotterranea, come se da un momento all’altro potesse accadere qualcosa.
John Doe stava preparando qualcosa.  E lui non aveva il potere di fermarlo.
Il bosco era avvolto nella penombra cupa di quel pomeriggio senza sole. Ormai l’inverno stava giungendo alle porte e il freddo continentale gli penetrava nelle ossa, anche sotto al mantello invernale.
Pensare ad Albus gli faceva male.
Avrebbe affrontato una tribù di Naga intera in quel momento, piuttosto che dover di nuovo affrontare gli occhi puliti di Al e mentirgli.  
Non trovava via di uscita.
Niente male Tom… piangerti addosso è decisamente da Serpeverde.
Le foglie secche crepitavano sotto i suoi piedi, mentre si dirigeva verso il centro della foresta: una volta avrebbe fatto attenzione ad ogni minimo movimento. La foresta pullulava di creature ben poco amichevoli, persino con i giovani maghi della scuola. Più volte Hagrid e l’attuale guardiacaccia, Tremayne, avevano insistito sulla necessità di non spingersi troppo in là.
Adesso non gli importava. Sentiva che quello che doveva temere non era qualche aracnide gigante o un centauro di pessimo umore.
“Ehi Dursley!”
La voce era sorpresa, forse divertita. Il tono cantilenante lo identificò come Loki.
Stava a pochi passi da lui, con una sacca a tracolla e l’aria perplessa, che forse si rispecchiava nella sua.

Che ci fa qui?
“Ho sentito un rumore di passi, avevo paura fosse Tremayne.” Interloquì con un sogghignetto. “Che ci fai qui? Lo sai che siamo nel territorio dei centauri?”
“No.” Ammise. Lo scrutò. Da come era fornito di sacca e bacchetta spianata, era chiaro ne stesse pensando una delle sue. “Ma potrei farti la stessa domanda.”
Loki sembrò riflettere sull’eventualità di mentirgli o meno. Strano ragazzo, Nott. Era un buon compagno di stanza, discreto e assente. Anche un calcolatore con pochi scrupoli.

Sostanzialmente, gli piaceva.
“Diciamo che sono qui per affari.” Spiegò, scrollando le spalle. “Sto cercando il loro cimitero. Se non fossi certo che sono privi di magia penserei che l’hanno disilluso.”
“Il cimitero dei centauri…” Ripeté lentamente. Gli stava mentendo?
L’ha mandato qui Zabini? Al?
Improbabile, dovette ammettere. Loki non era tipo da favori, e generalmente nelle questioni interpersonali assumeva il ruolo di spettatore.  
“Già. Ci dovrebbero essere un sacco di frecce conficcate a terra. Sono quelle che cerco.” Mimò uno spazio circoscritto con le mani. “Mi dai una mano?” Propose. Prima che potesse aprire bocca gli lanciò la sacca, che fu costretto a prendere al volo per non farsela franare addosso. 
“Ho da fare.” Ribatté infastidito.
“Cosa?”
Non poteva rispondere, ovviamente. E Loki, dal sorrisetto che gli fece, lo sapeva benissimo.

“Avanti.” Schioccò la lingua, come a spronarlo. “Mai stare soli nella foresta. Non ti ricordi le parole del mezzo-gigante?”
Tom per un attimo fu tentato di  intimargli di lasciarlo in pace, e proseguire per la sua strada. Ma c’era sempre l’eventualità che Nott lo seguisse e si facesse domande. No, era troppo rischioso.

Doveva assecondarlo.
“Non c’è nessun’altro con te?” Chiese, raggiungendolo.
“Ovvio che no, mio buon Dursley. Così non devo dividere i guadagni!”
Naturale…
Si affiancarono, cominciando a camminare. La presenza di Loki lo infastidiva, ma molto meno di quanto avrebbe dovuto. In fondo la ricerca del luogo del delito era stata solo una scusa che si era dato per allontanarsi dalla scuola e da Al.
“Perché cerchi il cimitero dei centauri?” Gli chiese infine.  
“Le frecce. Le usano per accompagnare il morto nel loro Oltretomba. Sono cerimoniali, e le punte sono fatte in Pietra Serena. A Notturn Alley la mettono dieci galeoni al grammo.” Spiegò placidamente.
Tom non poté fare a meno di sorridere: solo Nott poteva inventarsi un modo del genere per fare soldi.
“Non hai pensato che potrebbero scoprirti?”
“Improbabile. I loro cimiteri sono lontani dai loro accampamenti. Di solito, qualche miglio. E in questo silenzio il rumore di zoccoli si sente da lontano, non credi?”

“Ti farò sapere quando mi troverò una freccia a pochi millimetri dalla nuca…” Replicò con una smorfia.
Loki rise brevemente. “La tua ironia, Dursley. Non so se sia tipica dei nati-babbani, ma seriamente. È esilarante.”
Tom non rispose, limitandosi a guardarsi intorno. Gli ripassò la sacca e Loki la riprese di buon grado. “Da cosa si riconosce un cimitero di centauri? Solo le frecce?”
“Di solito usano radure naturali.” Fece un cenno vago. “Mi sono documentato, ma sai… Quando due gemelle ti placcano nei bagni sostenendo che devono averti subito… Certi obblighi passano in secondo piano.”
Tom si trovò ad alzare gli occhi al cielo: era singolare, ma in quel momento, solo per quel momento, gli sembrava di essere tornato all’anno prima. Un deja-vu.   

Era una sensazione buona.
Alla fine trovarono la radura.
“Le lanciano tipo pioggia mortale. Mai visto tanto spreco in vita mia.” Sogghignò Loki, aprendo la sacca e cominciando a strapparle dal terreno. “Beninteso, se qualcuno ti fa domande... Acqua in bocca.”
Tom si sedette su un tronco malinconicamente divelto. “Avrei motivo di farlo?”

“Vero. Sei un tipo silenzioso, Dursley.” Ammise con un sorriso storto. “Ultimamente, più del solito. Pessima giornata?” Ci pensò. “Una lunga serie di pessime giornate?”
Tom serrò le labbra. “Cosa ti fa pensare che mi confiderei?”
Con Nott poteva essere onesto. Non doveva salvare nessun rapporto, non temeva di deluderlo o ferirlo. Non avevano abbastanza confidenza per quello. E a Nott, in fondo, non importava veramente.

“Nulla. Solo, se cammini da solo per la foresta, qualche domanda me la faccio…” Controllò la punta di una freccia, sfiorandola con la punta delle dita. “E poi, detto tra noi, camera nostra è diventata un avamposto tra schiere nemiche.”
“… Cosa intendi?”
“Oh, lo sai benissimo. Quando litighi con Michel, quando litighi con il piccolo Potters. Insomma, sei un ragazzo piuttosto problematico.”

Tom non rispose. Sentiva l’emicrania esplodergli tra le sinapsi. “Non sono affari tuoi, Nott…” Replicò.
“Ecco qua. Ti stai piangendo addosso.”
Prego?

Nott non alzò neppure lo sguardo, continuando nella sua opera di raccolta. “Dursley, ti stai piangendo addosso.” Ripeté quieto. “Giri per la scuola con un’aria da patibolo, evitando tutti e finendo per attirare l’attenzione di metà scuola. Capisco litigare con Michel… sa essere piuttosto metifico, a volte. Ma Potters… litigare con Al è come tirare un calcio ad un cagnolino.”
Tom non riuscì a replicare.  
“Non so se te lo ricordi, Dursley, ma apparteniamo alla stessa Casa.” Loki continuava a sorridere, come le statue greche dei documentari babbani, ma era evidente che fosse serio.  
Tom replicò con una smorfia sarcastica. “Stai cercando di dirmi che sei qui per ascoltarmi?”
“No, sono qui per le frecce. Sto cercando di dirti che hai rotto le palle.” Spiegò con franchezza sgomentante. “Tutti abbiamo problemi. Ma nessuno riesce a rovinare l’umore a tutti quelli che gli stanno attorno come ci riesci tu.”
Tom serrò la mascella, frenandosi dall’alzarsi e rispondere. “Non puoi capire.” Si limitò a dire, sentendosi, a dire il vero, piuttosto ridicolo.

Loki gli lanciò una nuova occhiata, chiudendo la sacca. “Non so cosa si prova? Senti. Qualsiasi cosa ti stia succedendo, e davvero, non mi interessa… Hai ucciso qualcuno?”
“… No.”
“Fantastico allora. Perché quello davvero è un problema a cui non c’è soluzione. Perlomeno, così dice il mio vecchio.” Fece spallucce. “Per tutto il resto, c’è sempre modo per tirarsi fuori dai guai.”
Tom non disse nulla. Era… strano.

Si sentiva preso in giro, ed era irritato. Ma non era davvero arrabbiato. Forse perché Loki non lo stava giudicando. E non lo avrebbe mai fatto perché non gli interessava farlo.
E se fosse… Se ci fosse un modo per tirarsi davvero fuori?
Si trovò ad aver voglia di confidarsi.
 “Credo…” Misurò le parole. “Credo di aver fatto delle scelte… sbagliate.” Concluse.   
Loki si mise lo zaino a tracolla. Sembrò riflettere seriamente. “Allora torna indietro.” Disse.
“Non posso.” Sussurrò sentendo l’aria comprimersi nei polmoni.  

“Perché no?”
“Se tornassi indietro dovrei confessare. Confessare delle cose… che potrebbero distruggermi.”
“Insomma, se vai avanti o indietro, rischi comunque qualcosa.”
Tom fece una smorfia. “Un riassunto magistrale.”
Tornare indietro, e rischiare il giudizio di Albus, di Harry e di tutte le persone a cui teneva. La prigione, forse. Tornare indietro e perdere le sue risposte, che agognava da quando aveva capito di essere diverso.

Andare avanti, continuare a mentire e peggiorare la sua soluzione.
In ogni caso, potrei perdere.  
Loki sospirò. “Beh, è un bel problema. Forza, Dursley. Torniamo al castello. Si fa sera e non è sicuro restare qui.”
Tom si alzò, spazzolandosi il mantello. Aveva la testa confusa: fino a quel momento, non aveva veramente considerato la possibilità di tornare indietro. Di confessare tutto.
Ma dirla ad alta voce l’aveva resa reale, concreta, quella possibilità.
Inspirò.
La verità è che aveva paura.
Non era la rabbia che lo atterriva, non era l’orgoglio che l’attanagliava e neppure il bisogno di conoscenza che l’avevano portato fino a quel punto. Quelli erano solo sintomi.
Era la paura, la sua malattia.
Di essere diverso, e non nel modo in cui gli sarebbe piaciuto. Di non meritare, in fondo, che Harry l’avesse salvato da quel pazzo.
Si affiancò al compagno di stanza. “Tu cosa faresti?”
“Io?” Loki parve riflettere brevemente, di nuovo. “Otterrei il massimo del guadagno.”
“Spiega.”
“Se devo prendere una scelta tra due alternative, scelgo quella che sarà migliore per me.” Esplicò in tono pratico. “Il fattore rischio? Quello c’è sempre.”

“Tu quindi torneresti indietro.”
Loki fece spallucce. “Che ne so… Dipende. Non conosco la tua situazione. Devi vedere dove c’è più perdita. Se a confessare tutto, o continuare a fare quello che stai facendo. Dov’è la perdita?”
Tom non rispose.

Dove…
Sì, sapeva dove.
 
 
****
 
Londra, Piccadilly Circus.
Pomeriggio.
 
Ainsel Prynn era sempre stata una donna sicura di sé.
Quando era uscita dall’Accademia di Salem con voti strabilianti era stata immediatamente chiamata dal Ministero della Magia americano. Aveva scalato i dedali della burocrazia senza mai guardarsi indietro.
Per arrivare esattamente dove voleva, ovvio. Cioè al Dipartimento di Polizia Magica di Washington.
Aveva sempre messo l’ambizione prima di tutto, della famiglia, degli amici, dell’amore. E quando, finalmente gli era stata affidata una missione di spionaggio e recupero soggetto…
Aveva fallito.
Il diario era stato trafugato, il ragazzo era in pericolo, e la sua presenza ad Hogwarts a quel punto era superflua.
C’erano cose più grandi di lei in ballo, aveva spiegato il suo capo, intimandole di fare le valige al più presto. La cattura di John Doe era preminente adesso e se lei era stata incapace di fermarlo, si sarebbero usati mezzi diversi.
Tutto sotto il naso degli inglesi…
Era difficile capire le manovre delle alte sfere, rifletté mentre guardava fuori dalla vetrata dello Starbuck’s in cui era entrata. Supponeva che la decisione di non informare il Ministero inglese fosse dovuta alla natura dell’organizzazione che aveva assoldato John Doe. Chi lo aveva assoldato e pagato per tutte quelle piccole scatole cinesi ingegnose, i Naga, l’attacco… aveva in mente un solo obbiettivo ed era stato disposto a pagare profumatamente per raggiungerlo.
E c’erano ormai molto vicini.
L’Organizzazione era un obbiettivo internazionale, ma considerando che il padrino del soggetto era a capo della polizia magica britannica…
Il suo capo aveva definito quella situazione ‘spinosa’. Non aveva avuto tutti i torti.
Nel dossier che le era stato dato prima di partire alla volta della Scozia non c’era molto su questa sull’Organizzazione. Aveva radici ovunque, anche se la sua sede centrale si supponeva fosse a Monaco, in Germania.
Erano stati loro ad uccidere Immanuel Ziel. Era uno dei buoni, Ainsel l’aveva persino conosciuto, che a lungo aveva osservato, sotto copertura, la crescita magica di Thomas Dursley.
Aveva raccolto informazioni per cinque anni, prima che Doe lo uccidesse e cercasse di trafugarne i diari. Non c’era riuscito la prima volta, ma l’aveva fatto la seconda.
L’Organizzazione cercava di riprendersi Thomas. Era a loro che era stato rubato, dopotutto. Ma non era il fine ultimo. Tom era il mezzo con cui avrebbero ottenuto ciò che cercavano.
Thomas Dursley…
Oggettivamente provava pena per quel ragazzo.
Poi si rendeva conto che effettivamente… c’erano cose più grandi di lei.
Ainsel Prynn era sempre stata una donna sicura di sé, e di ciò che voleva. Ma quando aveva ottenuto il posto di agente al Ministero, si era resa conto come in fondo non fosse veramente arrivata da nessuna parte. C’era sempre qualcuno sopra di lei. C’era sempre qualcuno che le dava ordini per cui non le era concesso fare domande.
Solo uno strumento, come il povero Thomas Dursley.
Non era mai stata tipa da piangersi addosso. Così aveva agito.
Non era stato poi molto difficile.
Sentì la sedia spostarsi di fronte a lei.
“Ciao mia bella Ainsel…” Disse l’uomo. “Posso offrirti qualcosa? Questi babbani hanno delle invenzioni meravigliose. Come i frappuccini o i cellulari.”

Ainsel Prynn era una donna sicura di sé e di ciò che voleva. Infatti sorrise.
“Perché no, Doe. Scegli tu per me.”

 
 
****
 
Casa Potter, Devon.
Dopocena.
 
Harry Potter non aveva mai scelto di fare l’eroe. Semplicemente, era capitato.  
E gli eroi dovevano sventare i piani dei cattivi. Lo diceva il ruolo.
Solo, adesso, chi erano i cattivi che avrebbe dovuto combattere?
Seduto sulla poltrona del suo salotto, nella sua casa, a soli dieci minuti dalla Tana, beveva il the serale in compagnia della moglie, che ascoltava pigramente la radio mentre correggeva la bozza di un articolo.
E pensava.
Si soffermò ad osservare le dita sottili e sporche di inchiostro di Ginny danzare sulla pergamena. Le sorrise distratto.
Non aveva mai cercato la fama. Avrebbe preferito di gran lunga essere un campione di Quidditch con i genitori vivi, che un eroe del mondo magico con una schiera di morti alle spalle.
Per questo aveva cresciuto i propri figli con un solo monito: diventare degli esseri umani onesti e gentili. Non degli eroi.
I suoi figli…
Amava James, Albus, Lily… ma anche Teddy. E Tom.
Spesso si era chiesto se avesse fatto bene ad affidarlo ai Dursley. C’erano stati pessimi precedenti, ma Dudley era diverso.  
Almeno ci ha provato.
La verità era che aveva scelto il cugino non per le sue doti paterne, ma per non doversi separare dal bambino. Kingsley aveva avuto ragione, come sempre. In Thomas vedeva se stesso bambino. Per questo non era riuscito ad abbandonarlo al suo destino.
Si ricordava ancora con nitore la sera in cui aveva bussato alla porta di casa Dursley.
 
Dudley aveva aperto con un’espressione confusa sul faccione tondo. Non era sembrato spiaciuto della visita, ma piuttosto sconcertato.  
“Mi dispiace Dudley… Disturbo?”
Harry non aveva ancora trent’anni e non aveva imparato bene a mediare. La sua non era una domanda, era una richiesta. Il cugino sembrava averlo intuito, perché aveva sbuffato.

“Anche se fosse, ormai sei qui. Dai, entra, o ti prenderai un malanno.” Quando si era richiuso la porta alle spalle l’aveva squadrato. “Dio, Harry… ma ti pettini mai i capelli?”
Harry aveva riso. “Ci provo da quando ho sei anni. Mi hai mai visto riuscirci?”
“Pensavo lo facessi apposta…” Confessò con un certo imbarazzo. “Vuoi fermarti a cena? Robin sta mettendo in tavola.”

“No, grazie. Gin mi aspetta… So che non è il momento giusto, ma ultimamente il lavoro mi sta uccidendo e non ho un momento libero.”
“Cosa vuoi Harry?” Aveva chiesto sbrigativo. Doveva ammettere che quel tono spiccio non gli dispiaceva. Avrebbe evitato inutili giri di parole.

“Ho bisogno che tu adotti un bambino.” No, decisamente non era ancora in grado di mediare. E sarebbero passati anni prima che ne fosse stato capace.
“… Cosa?”
“Ieri ne abbiamo salvato uno, durante… un’operazione di … ehm, polizia. Ha bisogno di una famiglia, ma mentre gliene cerchiamo una potrebbero passare anni. E intanto dovrebbe stare in una casa famiglia.”
Dudley l’aveva guardato con l’espressione stolida di un tempo. Doveva ammettere che in quel caso era perfettamente giustificata. “Mi stai chiedendo di adottare uno… uno di voi?”
“Non è detto che lo sia. È ancora troppo piccolo per sapere se sarà un mago.”
O un magonò – Aveva pensato. Ma escludeva quell’ipotesi. Se lo sentiva.
Dudley era diventato rosso tutto ad un tratto, assomigliando davvero al defunto e – non troppo compianto – padre. “Cosa… Sei impazzito? Come puoi venire qui, in casa mia, e chiedermi…”
“Non te lo sto chiedendo a dire il vero.” Replicò. “La tua famiglia è viva grazie a me e all’Ordine della Fenice. Grazie a noi maghi, Dudley. E tu sei vivo grazie a me. Sono qui per riscuotere il mio debito.”
“Tu ne hai uno ben più grande con la mia famiglia!” Sbottò aggressivo. Ma lesse incertezza nei suoi occhi, e decise di caricare la posta.

“Dici? Devo ringraziare i tuoi genitori di avermi fatto sopravvivere? Dudley, non sono qui per lanciare accuse, ma sai bene che i tuoi non mi hanno mai amato. Se sono qui adesso, è perché ti reputo una persona migliore di loro. Ti sto chiedendo aiuto. Quel bambino non ha nessuno al mondo.  Ha bisogno di una casa.”
“E non gliela puoi dare tu?”
“Come pensi che crescerebbe se non fosse un mago, in mezzo a dei maghi?” Ritorse.  

Dudley aveva serrato le labbra pallide in una linea sottile. Era palesemente combattuto. Se intimargli di andarsene, o dargli una possibilità.  
“Dagli una possibilità. Non ti chiedo di darmi una risposta definitiva, ti chiedo di tenerlo in affidamento per un periodo. Finché non gli avrò trovato una famiglia adatta. Ma potrebbe volerci del tempo.”
“Io…”
“Dud, che succede?” Robin era apparsa sulla porta. Harry sapeva come la moglie e il cugino stessero tentando di avere dei figli da mesi. E di come ancora non ci fossero riusciti. Lo sapeva, perché Ginny aveva parlato con lei.

Si sentiva sleale, ma non gli importava.
Il fine, in quel caso, giustificava i mezzi.
Quando aveva messo Tom tra le braccia di Robin, era stata lei a convincere il marito a portarlo a casa, a dar lui un nome e renderlo un Dursley.
 
Le donne… quando sono madri dimostrano una forza incredibile.
Lanciò uno sguardo affettuoso alla moglie, che gli sorrise di rimando.
“Ti vedo pensieroso… Cosa c’è?” Chiese posando la penna.

“Pensavo a Tom. Pensi che abbia fatto bene a farlo crescere trai babbani?” Domandò. Ginny era sempre stata una donna acuta, e incredibilmente sincera. “In fondo sapevamo che sarebbe stato un mago.”
“Beh, non c’era certezza, e comunque sì.” Ci rifletté brevemente. “Hai fatto la scelta giusta. La società magica è molto chiusa. Credo che i ragazzi come Tom abbiano bisogno di staccare ogni tanto. È troppo… ossessionato dalla magia.”
Harry batté le palpebre, perplesso. “In che senso?”
“Vedi…” Ginny esitò, poi posò carta e penna, intrecciando le mani in grembo. “Tom ha vissuto con tuo cugino e la sua famiglia, ma ha sempre avuto chiaro il mondo a cui voleva appartenere.” Fece un mezzo sorriso distratto. “È cresciuto con i babbani, ma ha sempre saputo di essere speciale. Come noi. Come te.”
Harry sospirò. Il fuoco del camino gli scaldava piacevolmente i piedi e davvero, avrebbe voluto non avere tutte quelle preoccupazioni.

“Anche se fosse così Gin, ormai non mi dà più retta.”
“Oh, Harry… l’adolescenza arriva per tutti! Guarda Jamie. Non mi fa dormire, dai pensieri che mi dà…”

“I tipi di pensieri che mi dà Tom sono molto più preoccupanti, credimi.” Confessò scoraggiato.
Aspettare una risposta da Rolf era quanto di peggio ci potesse essere. Era un uomo d’azione. Non era fatto per le lunghe attese.
Ginny gli appoggiò una mano sul braccio, meditabonda. “Cos’ha fatto?”
Harry esitò. Poi non resse più. Non era moralmente corretto, ma del resto quella non era un’indagine di ufficio. Poteva permettersi fughe di informazioni con sua moglie.

Alla fine del suo lungo monologo, Ginny aveva smesso di sorridere e aveva quell’espressione dura che gli aveva visto molte volte. Purtroppo tutte durante la guerra.
Non è un buon segno.
“Tom è finito in qualcosa più grande di lui.” Stimò con tono definitivo. “Mi pare evidente che è tormentato da qualcosa. Forse l’assassino di Duil lo ha contattato. Forse lo sta ricattando.”
“Per ricattarlo dovrebbe essere in qualche modo in contatto con lui. Hogwarts è sicura, Ginny… La gente non può entrare e uscire a suo piacimento.”
“Harry, i tempi di Silente sono finiti.” Replicò quella. “E non era poi troppo sicura neanche allora. Ti ricordo che Sirius riuscì ad entrare. E il falso Malocchio? E Raptor?”

“Quindi pensi che … potrebbe essere dentro Hogwarts?”  
“Questo non lo so. C’è stato qualche ricambio di personale?”
“Sì, la professoressa di Trasfigurazione, una certa Ainsel Prynn. Ma Vitious ha controllato personalmente le sue credenziali. Confermate dal Ministero della Magia americano stesso. Non è lei.”

“Allora può averlo incontrato fuori… Ogni fine del mese c’è l’uscita ad Hogsmeade. Hogwarts non è il luogo protetto che pensi. Non lo è mai stato…” Mormorò guardandosi le mani. Harry gliene prese una tra le sue. Come non ricordare che al suo primo anno era stata quasi uccisa da un diario maledetto, contenente un Riddle sedicenne?
In effetti… Forse ho sempre avuto un’immagine di Hogwarts un po’ falsata.
“Sono solo supposizioni Harry… ma… Non è da escludere la tua ipotesi che tutto questo trambusto serva a coprire qualcosa. Perché non l’introdursi dell’assassino ad Hogwarts? O il furto del diario? C’era il nome di Tom sopra. È chiaro sia implicato.”
“E lo era anche Ziel… Forse è il motivo per cui è morto. Come Duil, giusto? Non può essere solo una coincidenza. La morte di Ziel e quella di Duil potrebbero essere dovute a quel diario.”
“E Tom pensi che lo sappia?”
“Forse. Per questo è stato così ostile con te.” Sospirò all’espressione confusa del marito. “Quando Riddle mi plagiò, ad un certo punto mi resi conto di cosa stavo facendo… ma era troppo tardi. Avevo paura che confessando tutto sarei finita ad Azkaban. Mi credevo colpevole, anche se non lo ero. Se sa qualcosa, se l’assassino l’ha coinvolto, Tom avrà paura di parlare. Sei il suo padrino, ma sei anche un auror. Non può dirlo a te. Capisci cosa intendo?”
“No. Sono il suo padrino, non lo giudicherei come… un sospetto, maledizione!”
“Tu sei un eroe, Harry. Non puoi capire…” Rifletté con un mezzo sorriso ad aleggiarle sulle labbra. “Thomas ha paura di non poter essere perdonato. Una persona è morta, c’è stato un furto e quei Naga hanno terrorizzato gli studenti e i suoi amici per un mese…” 

“Merlino, Ginny! Ha solo sedici anni e… lo conosco, maledizione. Non è un cattivo ragazzo. Se l’hanno coinvolto, l’avranno costretto.”
“Costretto…” Ginny si mordicchiò l’angolo del labbro. “Non credo. È difficile che qualcuno possa costringerlo a fare qualcosa.”
Harry inspirò. Sua moglie non aveva tutti i torti. Tom non si sarebbe mai fatto intimidire da qualche minaccia.

Ma allora…
“Allora cosa può averlo spinto a coprire quella persona?”
“Il bastone e la carota. Se non è il bastone… Forse hanno qualcosa che Tom vuole.”
“… Non capisco.”
“Harry, non ragionare come se Thomas fosse un ragazzo con un passato normale. Non sa da dove viene, chi erano i suoi genitori. Chi è lui. Non È tutta la vita che vuole delle risposte sul suo passato. E se gliele avessero promesse? Se gli avessero detto che sanno qualcosa su di lui. Cosa credi che avrebbe fatto?”

Harry sentì uno spiacevole retrogusto in fondo alla bocca. Come se il the da dolce e zuccherato che era si fosse fatto improvvisamente amaro per le sue papille gustative.
 
 
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