Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Charlize_Rei    24/07/2005    6 recensioni
Bellatrix Lestrange... quasi tredici anni rinchiusa nella prigione di Azkaban... Una mente forse rifugiatasi nella follia. L'adorazione incondizionata per il Signore Oscuro, affamato di potere e, soprattutto, di anime... fino a quando l'incontro con colui che tutti i Mangiamorte considerano il Traditore cambierà radicalmente le vite di molte persone, innescando una serie imprevedibile di eventi che trascineranno il mondo magico in una Seconda Guerra, il cui esito dipenderà sia dalle scelte fatte sia, in eugual misura, da quelle non fatte. Le carte si mescoleranno, la parete che separa i nemici dagli amici si farà sempre più sottile. E mentre Voldemort si avvicina all'immortalità, c'è chi lotta senza sosta per impedire l'inizio della fine.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Luna Lovegood, Remus Lupin, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
<b>Disclaimer:</b> Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J

Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J.K. Rowling e di editori come Bloomsbury, Bros, Salani. Nessuna violazione del copyright si ritiene pertanto intesa.

Ma salve a tutti dalla rediviva Charlize! Ho letto a luglio l'HalfBlood Prince e, beh, non intendo fare spoilers, ma sembra quasi una fanfic! Pares Vires, com’era inevitabile, ora si trasformerà in un Alternate Universe, anche se non credete pure voi che l’uso degli Horcruxes sia paragonabile al tentativo di imprigionare la Propria Morte nell’anima, come succede in questa fiction? E che Crouch jr sembri quasi un Inferius?Mumble mumble, magari esagero… fatemi sapere! Charlie

 

 

 

«Colui che guarda fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose quante chi guarda una finestra chiusa.

Non esiste oggetto più profondo, più misterioso, più fecondo, più tenebroso, più splendente di una finestra rischiarata da una candela.

Ciò che si può vedere al sole è sempre meno interessante di quello che accade dietro una vetrata.

In quel buco nero o luminoso vive la vita, sogna la vita, soffre la vita.»

 

Charles Baudelaire, da “Les Fenêtres”, da «Petits Poëmes en Prose – Le Spleen de Paris» 

 

 

Silentii Vestigia

Le Orme del Silenzio

 

 

Hogwarts, Giugno 1974

 

Bellissimi.

Schierati lì, sorridenti, con il diploma M.A.G.O. stretto tra le dita, le divise di Hogwarts scintillanti al sole di fine giugno, in attesa della foto di rito.

Spensierati e, per questo, davvero bellissimi.

Riconobbe James Potter, il celebre Cercatore dei Grifondoro. Distinse i volti dei suoi amici, senza conoscerne i nomi. Dopotutto non apparteneva al loro universo.

Lei non apparteneva a nessun universo.

Il professor Dumbledore una volta le aveva detto che ogni essere umano custodisce in sé un intero mondo, una dimensione vastissima, che andava scoperta gradualmente.

Qualcosa che andava condiviso.

Lei non si era mai sentita né sconfinata, né immensa. Ed era sola.

 

Aveva paura.

Paura.

La sua strana magia.

Temeva se stessa.

 

Guardò ancora i neo diplomati delle quattro case: sapeva che, sebbene lei frequentasse solo il quarto anno, possedeva… cose che quegli studenti non avrebbero mai neanche immaginato.

La magia aveva cominciato ad isolarla dal resto del mondo, tracciando un fossato intorno a lei, scavando, scavando, scavando.

«Diana!!»

La giovane distolse lo sguardo dagli studenti del settimo. Si voltò, i capelli di un biondo cinereo, chiarissimo, seguirono i suoi movimenti. Una ragazza del sesto stava correndo verso di lei. La conosceva, era Alice Coltrane, gli occhi di un azzurro semplice, il viso luminoso, le guance innocenti, i lineamenti dolci e irlandesi. Una ragazza che avrebbe trattato con gentilezza anche il suo peggior nemico, una giovane dalle parole allegre e pacate, dall’indole riflessiva. Diana gradiva molto la sua compagnia, anche perché era una delle poche persone che non provasse diffidenza nei suoi confronti.

«Salve Alice» disse, sorridendo nel vedere le gote arrossate dell’altra.

«Ciao Diana! Che fai? Non vieni a vedere i risultati degli esami? Sono appena usciti!» disse tutto d’un fiato la sedicenne Grifondoro, prendendo sottobraccio l’amica più piccola.

Diana incurvò le labbra in un sorriso enigmatico:«Va bene, vengo» disse poi, quasi sospirando.

In realtà non aveva bisogno di andare a vedere i quadri con i voti.

Sapeva già cosa vi avrebbe trovato.

Alice sembrava piuttosto eccitata: quasi saltellava dalla contentezza. La Corvonero notò un piccolo anello che ornava l’anulare sinistro dell’amica… gliel’aveva regalato… Frank Longbottom, uno studente che si era diplomato… tre anni prima. Diana distolse lo sguardo: non voleva intrufolarsi nella vita privata della sua amica, anche se Alice aveva spesso raccontato di quanto fosse simpatico un certo Frank…

…Frank glielo aveva regalato solo qualche giorno prima… si erano visti a Hogsmeade… si erano parlati a lungo… si erano…

Diana scosse la testa, chiudendo gli occhi spazientita. Odiava il continuo centellinare di informazioni che la sua magia si divertiva a somministrarle.

Cercò invece di dirottare i suoi pensieri sui voti che sapeva di aver preso: eccelleva in Incantesimi e Trasfigurazione, come pure in Aritmanzia e Rune Antiche, se la cavava in pozioni, improvvisava in Storia della Magia e Erbologia. Mentre per Difesa Contro le Arti Oscure… quella era un’altra faccenda.

«Dumbledore mi ha dato una E!» diceva intanto Alice «ci pensi? Non ho mai preso una E in trasfigurazione in tutta la mia vita!»

«Davvero?» Diana finse di essere sorpresa «Congratulazioni!»

«Grazie! Non me l’aspettavo proprio! A proposito, sai chi è risultato l’alunno del settimo con il punteggio più alto? Non ci crederesti mai! Molti davano vincente James Potter o Sirius Black, ma ti anticipo che non sono loro!»

«Severus Snape» replicò Diana, senza pensarci.

«Wow! Come hai fatto ad indovinare? Te l’ha detto lui? Lo conosci? Pensavo che non parlasse con nessuno! E’ così tetro, solitario, veramen~ »

«No, Alice, non lo conosco» la interruppe Diana «Ma ho sentito dire che è particolarmente dotato. Ho solo provato ad indovinare.»

Altre bugie.

Era vero, non aveva mai parlato con Severus Snape, ma sapeva.

Sentiva la sua potenza. Avvertiva la sua magia come se fosse qualcosa di solido, duro, freddo.

Un’armatura.

Potente, infrangibile.

Quel ragazzo scostante, dall’aria malata e dall’andatura quasi furtiva, con le mani bianche, sottili, con i capelli lunghi e lucidi di sporco a nascondergli il pallido viso scarno.

Quel giovane uomo che usava il proprio dolore come arma più forte.

Diana non conosceva Severus Snape. Diana percepiva Severus Snape.

Solo dopo un po’ si accorse che Alice la stava guardando di sottecchi. «Cosa c’è?» le chiese.

«Dì la verità, ti piace qualcuno del settimo, vero? Li stavi guardando quasi con adorazione prima! Forse ti piace proprio Snape…»

«Non dire idiozie»

«… anche se non trovo affatto che sia bello, tutt’altro. Anzi, è decisamente brutto! O forse Rodolphus Lestrange, ti capisco se è lui, sembra davvero un angelo anche se è Serpeverde, ma purtroppo non ha occhi che per quella strega del quarto…»

«Il suo nome è Bellatrix Black, Alice»

«Già, Black. A me quella mette i brividi. Certe volte non sembra nemmeno viva. E’ come una morta che cammina.»

“Invece Bellatrix è più che viva, Alice. La sua è un’anima che brucia, brucia e divora tutto ciò che incontra.”

«Sai una cosa, Diana? Io e Frank ci siamo fidanzati!»

«Stai dicendo sul serio? Sono molto felice per te!»

«Vuoi sapere com’è successo?»

La Corvonero avrebbe voluto dirle che sapeva già tutto, ma non voleva deludere la sua amica e acconsentì a sorbirsi tutta la storia nei minimi particolari. Le due ragazze intanto erano arrivate davanti ai quadri con i voti.

Si fecero strada in una calca impressionante di studenti, giungendo davanti ai voti del quarto anno.

«Vediamo…» cominciò Alice «Silverwood… S… eccoti qui! Guarda, Diana! Hai una media bellissima! Direi che è una delle migliori di tutta Hogwarts!»

Diana notò che Alice aveva fissato per un attimo la casella vuota corrispondente a “Difesa contro le Arti Oscure”, e, forse per delicatezza, aveva preferito glissare sul fatto che non compariva alcuna votazione.

Naturalmente la Grifondoro sapeva perché. Molti sapevano perché.

 

Non avevano dimenticato, Diana ne era certa.

 

Non frequentava Difesa contro le Arti Oscure da più di tre anni a questa parte, in realtà.

Era la sua stessa magia che non le permetteva di partecipare alle ore di Difesa, da quando il professor Marcellus Evereth aveva decretato che la sua sola presenza in quelle ore costituiva un pericolo sia per lei stessa che per il resto della classe. Anzi, per essere più precisi, per il resto della scuola.

Era successo tutto in un giorno di marzo, durante il primo anno. Evereth voleva mostrare loro un incantesimo che contrastava il Petrificus Totalus ed aveva invitato lei a prestarsi come “cavia”. Diana aveva accettato di buon grado, e aveva tirato fuori la bacchetta, pronta ad apprendere un nuovo incantesimo. Non si aspettava certo che il professore lanciasse il Petrificus a sua insaputa, in modo da rendere più veritiera la situazione.

Quello che era successo dopo non lo ricordava.

Alcuni le avevano raccontato che Evereth non aveva fatto in tempo a finire la formula che era stramazzato al suolo, con il respiro mozzo, mentre finestre, banchi, ampolle, tutto quello che era fatto di vetro andava in mille pezzi. Lastre di ghiaccio con striature metalliche si erano formate dal nulla, l’aria si era fatta gelida, era impossibile respirare. I ragazzini del primo, sconvolti, molti feriti dalle schegge, con le sopracciglia incrostate di ghiaccio, si erano dati ad una fuga forsennata, urlando in preda al panico. Alcuni zoppicavano, avendo perso la sensibilità ai piedi. Una Tassorosso aveva raccontato di averla vista levitare a mezz’aria, con il mantello di Hogwarts che si muoveva come se fosse immerso nell’acqua, il volto e le mani tinti da sfumature luminescenti. Diana era sicura che la ragazzina avesse esagerato… non voleva credere di essere capace di tanto.

Avevano salvato il professore dall’ipotermia grazie al tempestivo intervento di Dumbledore. Lei si era svegliata in infermeria, senza alcun ricordo di quanto fosse accaduto, talmente debole da non riuscire ad alzarsi in piedi per almeno tre giorni. Aveva perso sei chili di peso in meno di cinque minuti.

La consapevolezza di quello che era realmente successo in quegli istanti era giunta molto più tardi: la sua magia aveva avvertito la minaccia ed aveva reagito, senza neanche curarsi di mettere in pericolo la sua stessa vita e quella dell’intera classe. Le sue energie erano state assorbite con un’avidità terrificante.

Quel giorno aveva anche compreso che il suo potere avrebbe finito con l’ucciderla, in un futuro non troppo lontano.

 

L’incidente era stato attribuito ad una pozione dimenticata nell’aula che era all’improvviso esplosa, forse innescata dall’incantesimo di Evereth, ma Diana sapeva che pochi avrebbero creduto a quella versione. Il consiglio dei docenti aveva deciso di non modificare la memoria ai ragazzi: sarebbero dovuti infatti intervenire su tutti gli studenti di Hogwarts.

Quel giorno era nata la diffidenza nei suoi confronti, e non aveva fatto altro che aumentare con il passare del tempo...

«Forse ci conviene andare a prendere un po’ di aria vicino al lago, Diana, ti vedo un tantino pallida… Credo sia il caldo insolito di quest’anno, a me fa lo stesso effetto, sai? Ogni tanto mi sembra di svenire… » la voce di Alice sembrava provenire da un altro mondo.

Da un altro universo.

La Corvonero vide la sua immagine riflessa nel vetro della bacheca: argento nei suoi occhi, nel suo nome, argento intrecciato nel pallido biondo dei suoi capelli.

Argento nella sua magia, che lasciava orme silenziose nel suo destino.

 

…………………………………

 

Dead man walking

 

Il Mantello dell’Invisibilità e le vesti di Mangiamorte sembravano essere troppo pesanti per spalle così esili.

Il velluto nero lo avvolgeva nelle sue spire, attutendo il rumore dei passi di un’andatura tanto regolare da essere angosciante.

Barthemius Crouch continuava ad avanzare, incurante della vita che fluiva, mulinava e saettava fuori di lui, intorno a lui, fino a sbattergli addosso senza scuoterlo, né scalfirlo.

Passi quasi inconsistenti.

Non aveva bisogno di cibo, né di acqua, né di riposo. Aveva travalicato quelle catene che lo tenevano impastoiato alle mere cose umane, colmandosi per la prima volta della trascendenza che il suo Signore sembrava aver fagocitato dentro di sé, suggendone l’essenza in un risucchio avido e continuo.

Il suo corpo si muoveva frustato dalla magia, la sua mente edificata sulla cenere contemplava e respirava e si saziava del vuoto monocromo in cui era immersa. Lui continuava ad avanzare, lo sguardo cristallizzato sulla sua meta. Tutto gli appariva sfocato, indefinito, privo di qualsiasi senso.

Tutto, tranne quello per cui era risorto.

Il risucchio lo cullava nel buio.

 

Sapeva che il suo Signore voleva Lei.

Lui gliel’avrebbe consegnata. Una promessa spietatamente semplice.

L’immagine di Bellatrix Lestrange si faceva sempre più grande, vivida e densa nella sua testa, fino ad occuparne tutto lo spazio, a riempire tutto il vuoto, a schiacciarlo sotto il suo peso informe.

Quell’ immagine l’opprimeva.

Solo trovandola si sarebbe liberato del suo fardello.

 

La velenosa magia che gli scorreva nel corpo gli stava facendo avvertire anche un’altra presenza, forte, possente, costante.

Quell’altra vita accolta nel grembo della Mangiamorte…

…o qualcosa di ancora più potente

Barthemius Crouch si arrestò di colpo nel mezzo del nulla, immobile ed invisibile come se non fosse mai esistito davvero. Tutto il suo essere fremette sin nelle fondamenta e una fiamma divorante sembrò accendersi nel vuoto cieco di cui era fatto.

Non era una sola vita.

Il fuoco crepitava, lo consumava, si nutriva di lui.

Erano due.

Due gemelli.

E si mascheravano a vicenda, tanto da ingannare persino il suo Dio.

 

Una linea spezzata contorse per un istante le labbra piagate del Mangiamorte.

Quelle due vite sarebbero state sue…

… e quando le avrebbe strette tra le mani, uncinandole nella carne tenera del collo, allora le avrebbe offerte al suo Sovrano, immolandole sull’altare della sua onnipotenza.

Dead man walking

 

………………………………

 

Quando lui la vide avvicinarsi era già troppo tardi per poterla evitare cambiando direzione. Il corridoio che entrambi stavano percorrendo era privo di un qualsiasi tipo di sbocco, finestre escluse.

Con un sospiro rassegnato Draco Malfoy andò incontro a Luna Lovegood, cercando di non incrociare quegli occhi che all’ombra delle luci tenui di Hogwarts sembravano fatti di mercurio.

Molte volte aveva insultato Lunatica Lovegood, ma era successo in compagnia di Crabbe e Goyle, che lo spalleggiavano sempre e comunque, senza protestare.

D’altra parte chissà se erano in grado di farlo, si era detto spesso con un sorriso amaro.

Questa volta, tuttavia, avrebbe evitato di rivolgerle finanche la parola, tenendo gli occhi fissi sul fondo del corridoio ingoiato nell’ombra e pensando all’incontro con sua madre e al modo in cui lei l’aveva salutato. Avrebbe ignorato il camminare scoordinato di quella ragazza, il sorriso inspiegabile che aleggiava sul volto pallidissimo, l’espressione di chi trascorre tutta la sua esistenza nel paese dei sogni, il ticchettio sordo dei tappi di burrobirra che lei strapazzava distrattamente tra le mani, la bacchetta infilata dietro l’orecchio sinistro.

Luna però si era accorta di lui già da un bel pezzo, e se il pensiero non fosse stato così assurdo, egli avrebbe detto che lei sembrasse quasi felice di incontrarlo.

- Salve Draco – gli disse educatamente, aspettandosi a sua volta il saluto.

Il ragazzo non spostò neppure lo sguardo su di lei, continuando ad avanzare dritto per la sua strada.

- Tua madre non ti ha mai detto che è buona educazione rispondere? – riprese lei, per nulla impressionata.

Draco si trattenne a stento dal lanciarle un’occhiata rovente: - Fuori dai piedi, Lovegood – si limitò a sibilarle contro, senza fermarsi come invece aveva fatto la Corvonero.

Luna però non colse lo scintillio minaccioso dello sguardo del ragazzo, ma continuò imperterrita a fissarlo come se fosse stato un bizzarro animale da circo.

- Non lo dico per me, lo dico per te! – protestò la giovane in modo petulante, sorvolando tranquillamente sull’irritazione che aveva affilato i lineamenti di Malfoy – Sai, credo proprio che tu debba... -

La Corvonero si bloccò all’improvviso, come se qualcuno le avesse premuto una mano davanti alle labbra. Fu questo inaspettato silenzio che indusse Draco a guardarla in tralice, aspettandosi di vedere davvero qualche anima generosa che aveva zittito quella specie di grillo con la divisa di Hogwarts.

Sorprendentemente non c’era nessuno alle spalle di Luna, ma quello che Draco vide lo lasciò totalmente senza fiato e incapace di tirare un altro respiro. La ragazza si era piegata in due, le mani premute sul petto all’altezza del cuore, il viso contorto in una smorfia di dolore che faceva sembrare i suoi occhi bulbosi in procinto di scivolare via dalle orbite.

Emettendo un rantolo soffocato Luna cadde sulle ginocchia e si accasciò a terra, gemendo come se l’avessero trafitta con una spada. Era in preda alle convulsioni.

Un senso di gelo gli scorse addosso, facendolo tremare.

- Ma che diavolo… Che diavolo ti prende! - gridò avvicinandosi di corsa alla ragazza, mentre il panico si faceva largo nella sua testa frastornata. Luna aveva cominciato a boccheggiare come se fosse preda di un attacco di asma. Sembrava che volesse parlargli, ma non era in grado di farlo. Draco fissò i suoi occhi febbrili e schiariti dal delirio tanto che lei le parve cieca, la fronte imperlata di sudore freddo, le labbra bianche, aride, la pelle del viso tirata. Era come se qualcosa si stesse prosciugando dentro di lei ad una velocità impressionante, lasciandola dissanguata a gemere su un pavimento di pietra fredda.

Luna stava invecchiando sotto i suoi occhi.

Lui si chinò su di lei e una mano pallida della ragazza si levò esitante a stringergli appena le spalle, come a volerlo trattenere. Si potevano distinguere chiaramente le vene.

- Aspetta… chiamo aiuto! – gracchiò lui, la voce di colpo roca, la salivazione azzerata. Guardò attonito il suo fiato condensarsi di fronte al proprio viso mentre parlava, poi si accorse che l’aria del corridoio si era fatta freddissima e le gocce di condensa che appannavano le finestre erano diventate di ghiaccio.

- No. – si sentì rispondere con un filo di voce. Luna gli aveva afferrato con entrambe le mani l’avambraccio sinistro. Spostava gli occhi chiarissimi ovunque, sul suo volto, sulle pareti intorno a loro, sul soffitto, come se non fosse in grado di vederlo – Devo… ma..mandarlo via… - sibilò in modo così roco da fare ribrezzo.

Con un brivido d’orrore Draco si rese conto che effettivamente lei non era in grado di vederlo.

 

Era realmente diventata cieca.

 

Alzò il viso inondato di lacrime su di lui, la pelle del volto era tanto bianca da sembrare quasi trasparente. Raggiunse a tentoni le maniche della veste del Serpeverde e con uno strattone inaspettato la ragazza gli scoprì il polso e il braccio, mentre il suo respiro si faceva velocissimo, frenetico.

- Non devi… farlo per forza. Non… non piegarti. Se tu… non vuoi… non accettare… - gli disse articolando a fatica ogni sillaba, nel tentativo di essere più precisa possibile.

Draco la guardò allibito: - Non devo fare cosa? Che mi stai dicendo, stupida! – urlò, terrorizzato da quegli occhi ciechi.

Luna si avvicinò ancora, le mani strette intorno al polso sinistro di lui: - Il marchio… ricevere il Marchio Nero – rantolò, premendogli le dita sulla pelle dell’avambraccio fino a conficcargli le unghie nella carne.

Lui si scostò di scatto, come se un cane l’avesse morso. La fissò, gli occhi dilatati dalla paura. Il respiro asmatico di Luna aveva cominciato a scemare, tanto da permetterle di rialzarsi in piedi, una mano ancora dolorosamente premuta sul cuore, il viso spento, gli occhi spettrali.

- Ma tu chi diavolo sei in realtà… - sibilò il ragazzo, allontanandosi ulteriormente da lei.

La ragazza sbatté le palpebre una, due, tre volte, poi si passò le nocche delle dita sulle orbite, come se volesse cancellarsi la faccia. I suoi movimenti erano scattanti, slegati l’uno dall’altro, convulsi, come se lei non fosse stata in grado di controllarli.

Quando allontanò le mani dalla faccia arrossata riaprì gli occhi, che erano tornati del solito colore grigio pioggia, e guardò il Serpeverde come se lo avesse appena scorto.

Ci vedeva di nuovo. Sbatté le palpebre.

- Oh, buongiorno Draco – disse sorridente.

Il ragazzo non rispose, impalato dall’orrore. Senza dire una parola indietreggiò, sgomento, poi girò sui tacchi e si allontanò sempre più di fretta, tanto che cominciò a correre verso la fine del corridoio, cercando di mettere tra lui e quella… cosa… la maggiore distanza possibile.

Luna rimase interdetta e sinceramente sorpresa dallo strano comportamento di Malfoy.

- Forse la visita di sua madre l’ha scosso più del dovuto -, disse ad alta voce, rimuginandoci sopra per un paio di minuti. Poi, scuotendo i suoi lunghi capelli color stoppia, proseguì verso il suo dormitorio, mentre il suo Angelo d’Argento la seguiva dall’alto, il volto imperturbabile.

Aveva un viaggio imminente per cui prepararsi.

Un cammino da affrontare.

 

………………………………

 

Per l’intera notte appena trascorsa i Guaritori assegnati al reparto delle “Maledizioni” – era così che chiamavano quel settore del San Mungo Hospital – non avevano avuto nemmeno la remota possibilità di poter dormire.

Le crisi di Alice Longbottom si erano fatte di volta in volta più violente, tanto da costringerli ad assicurare la donna al suo letto con tre robuste cinghie di cuoio che le tenevano immobilizzate le spalle, il bacino e le gambe. Era inoltre stata trasferita in un’altra camera di cui era l’unica occupante, separandola dal marito che invece non aveva dato alcun segno di peggioramento.

Le avevano medicato una serie impressionante di graffi che la donna si era autoinflitta sulle braccia e sul volto, come se avesse tentato di strapparsi una maschera che la stava soffocando, rischiando anche di danneggiare gli occhi. Con le iridi sbiadite dal terrore aveva urlato per tutta la notte frasi sconnesse, fino a quando i sedativi che le avevano somministrato d’urgenza erano riusciti a fare effetto sui suoi nervi e sulla sua mente disastrata.

La donna giaceva ancora nella posizione in cui la Guaritrice di turno l’aveva trovata quattro ore prima, con gli occhi fissi sul soffitto asettico, le labbra socchiuse in un gemito muto, piccoli tamponi d’ovatta infilati nelle narici per cercare di bloccare un’emorragia che sembrava non volersi arrestare.

La Guaritrice si avvicinò alla paziente, senza che quest’ ultima accennasse al più piccolo movimento. Delicatamente le estrasse i tamponi dal naso per poterli sostituire con dei nuovi, e subito un rivolo di sangue scuro macchiò il filtro delle labbra, colando lungo tutta la curvatura della bocca. L’infermiera si affrettò a ripulire il volto della donna e a rimettere i nuovi tamponi al loro posto, bloccando il flusso che non solo le medicine magiche, ma neanche quelle babbane erano riuscite ad interrompere. Si assicurò che il torace dell’inferma si alzasse e si abbassasse ritmicamente, segno di una respirazione regolare, ma non fece in tempo ad allontanarsi che un rumore gorgogliante la riporto subito al letto della donna: Alice Longbottom stava schiumando saliva, gli occhi iniettati di sangue, il busto inarcato spasmodicamente verso l’alto, i muscoli del collo tesi per lo sforzo, le vene turgide, mentre la pelle si arrossava per lo sfregamento contro le cinghie. La Guaritrice diede l’allarme e si affrettò a preparare una nuova dose di sedativo, quando un rumore tremendo e raccapricciante, simile ad uno stridio di unghie sulla lavagna, le fece cadere le medicine dalle mani. La guaritrice urlò, tappandosi le orecchie per proteggersi inutilmente da quel suono spaventoso.

Il rumore proveniva dalla donna.

Dalla sua bocca.

Quel rumore erano parole.

- Il non-morto… si è nutrito… della morte…-  Decine di boccette e fiale di vetro andarono in mille pezzi. Le finestre e gli specchi si incrinarono quasi simultaneamente, per poi esplodere in frantumi. La guaritrice urlò ancora, accovacciandosi in un angolo mentre schegge di vetro le piovevano addosso. Sollevò le braccia, nel tentativo di proteggersi. - Lui… avrà… lo scettro… dell’altro regno… le sue Legioni… invincibili… I figli dell’Era…No…No! -

La donna urlò ancora, poi all’improvviso tutto cessò. Il suo respiro si fece calmo, poi lentissimo.

- Sei tu…  - sussurrò con voce tremula. Aveva gli occhi fissi sul soffitto. Poi, inspiegabilmente, sorrise, mentre il torace si abbassava un’ultima volta.

L’infermiera si sollevò lentamente, terrorizzata. Si guardò le mani: erano graffiate. Cauta, si avvicinò ad Alice Longbottom, tremando.

La donna era morta.

Sorrideva.

 

Le ferite provocate da graffi e tagli erano scomparse.

 

………………………………

 

 

- Lui sa tutto -

L’aria fu di nuovo inondata dal silenzio intorpidito dell’inverno, così corposo che neanche i loro passi che affondavano nella neve, al limitare della Foresta Proibita, avrebbero potuto infrangere. Bellatrix tacque, limitandosi ad osservare la faccia stanca e riflessiva di Snape, le linee spezzate delle rughe agli angoli degli occhi, le labbra insolitamente scurite dal freddo.

- Maledizione – sibilò l’uomo dopo qualche tempo, rivolgendo lo sguardo verso un punto imprecisato davanti a sé. Poi tornò a posare gli occhi sul volto giovane della donna… l’ex-Mangiamorte con le sembianze della sorella Narcissa.

Snape si lasciò sfuggire un sorriso obliquo: nonostante Bellatrix fosse identica nell’aspetto alla vera Narcissa, c’era qualcosa in quegli occhi celesti che smaniava per uscire allo scoperto: un’ombra più scura, lucente, che non lasciava trasparire nulla.

- Non posso combattere, Severus. Soccomberei. Soccomberei… - la sua voce si spense in un sussurro.

- Infatti non lo farai. Io devo partire, Bella, ma non temere. Ho pensato a qualcosa che potesse proteggere te e i tuoi figli, quando nasceranno. Vieni con me. -

Si immersero nell’ombra della foresta picchiettata di neve. - Dove andrai? – chiese dopo un po’ la donna.

Snape tacque per un momento. – Oltre il Velo –

Bellatrix lo fissò, muta. – Morirai – gli disse, piano.

- Forse. Sarò comunque in compagnia della mia Morte. Comodo, no? E anche di una ragazzina Corvonero mezza pazza, che ha visto e tutt’ora vede la sua Morte da molto più tempo di me o di te.-

- Una ragazzina? Chi? -

- Lovegood. Luna Lovegood -

Gli occhi della donna si sgranarono: - La figlia di Diana? –

Lo sguardo di Snape fu perforante. – Conoscevi Diana Silverwood? –

- No. Era nel mio anno ad Hogwarts. Non le ho mai parlato… ma lei conosceva me, Severus, come conosceva te. Non so come ma… ho sempre avuto la sensazione che sapesse. Anche di Lui, ancora prima che la sua forza fosse interamente manifesta. -

Snape non rispose. Arrivarono in una piccola radura, al centro della quale spuntava il tronco massiccio di una quercia. Severus si avvicinò all’albero, passò una mano sulla corteccia, come se stesse cercando un punto preciso. Il palmo sfiorò qualcosa, la sua mano si arrestò in una zona senza particolari riconoscibili.

Estrasse la bacchetta: - Dissendium – sussurrò, e sul tronco apparve una sottile fessura bianca, stretta come una penna d’oca e non più lunga.

- Dammi la mano sinistra, Bellatrix -

La donna gliela porse, in silenzio. Severus la fece combaciare con la sua.

La familiarità di quel gesto le mozzò il fiato.

Con l’altra mano Snape toccò la fessura bianca, che prese a brillare sempre più forte.

Furono risucchiati in un vortice accecante all’interno dell’albero senza quasi accorgersene.

 

Bellatrix sbatté le palpebre. Non era certa di potersi fidare della sua vista.

Sapeva di trovarsi all’interno della quercia, ma tutto quello che vedeva era una stanza ampia, dalle pareti curve e legnose. Il soffitto si perdeva in alto, in un intricato dividersi di cunicoli più o meno grandi, che sembravano fatti di vetro trasparente, da cui proveniva una luce soffusa, dalle sfumature smeraldine. Un letto ad una piazza, dalle lenzuola color crema, era sistemato in quella che sembrava una nicchia naturale scavata nella parete che, Bellatrix notava ora, si accendeva di bagliori verdeggianti ora da una parte, ora da un’altra, senza nessuna precisa regola.

Una panca di legno a forma di semiluna era addossata poco distante, vicino a tre piccole botti di legno piallato. Bellatrix distinse un piccolo armadio a muro, delle dimensioni di una cassaforte, e intuì che ci dovevano essere molte cose rimpicciolite dagli incantesimi. Al centro della stanza c’erano un tavolo rotondo coperto da una tovaglia ricamata e tre sedie di legno e vimini, mentre in un'altra nicchia c’era quella che aveva tutta l’aria di essere… una culla.

- Per tutti gli dei… -

Un uscio mimetizzato nelle mura lignee si apriva alle sue spalle, dando su un piccolo ambiente dove si intravedeva un lavabo, una vasca ed uno specchio.

- Non sarai tracciabile su alcuna mappa qui, Bella. L’aria è continuamente ossigenata, in fondo ci troviamo in un albero… - cominciò Snape, guardandosi tranquillamente intorno - … La temperatura è costante. In quelle botti c’è acqua e cibo a volontà, sono rimpiccioliti con il Reductio, così pure abiti, un Mantello dell’Invisibilità, lenzuola, coperte e asciugamani in quell’armadio incastrato lì… Tutto quello che serve per i gemelli è all’interno della panca… o almeno credo sia tutto quello che potrà servire, i neonati non sono il mio forte e… Bellatrix, stai riacquistando il tuo aspetto. -

La donna abbassò lo sguardo sulle mani. Riconobbe la carnagione abbronzata, così inusuale anche per lei. Vide il suo ventre crescere sotto il velluto amaranto della veste. Guardò Severus. Non sapeva fare altro se non guardarlo. Si sentiva come… nuda.

Snape aveva visto centinaia di volte il processo inverso della Pozione Polisucco, eppure quella trasformazione gli tolse il respiro. Non era tanto vedere i capelli di Bellatrix scurirsi fino ad assumere le tinte dell’inchiostro, né il celeste diventare blu notte. Non era nemmeno vedere il pancione crescere, che pure era uno spettacolo sorprendente.

Era il cambiamento avvenuto in Bellatrix a lasciarlo senza fiato, qualcosa di tanto evidente da trasparire dalla pelle dorata dal sole, dal volto, dalle mani.

Poi intensa, travolgente, illuminante, la presenza dei gemelli lo circondò, avvolgendolo in un abbraccio di vita.

- Credo… vogliano dirti grazie. – disse la donna, piano. – Lo fanno meglio di quanto avrei potuto fare io. –

Snape rimase in silenzio, ma i suoi occhi parlarono per lui.

- Non potrai uscire da questa quercia per i prossimi tre mesi, Bellatrix – aggiunse dopo un istante –  So che sarà come una prigione, ma non puoi rischiare. Troverai libri in abbondanza, qui, di tutti i tipi, ti aiuteranno ad ammazzare il tempo durante il giorno. Porrò un sigillo all’entrata, sulla corteccia di questa quercia, diventando il tuo Custode Segreto. Chi ti cerca potrà inciampare nelle radici di quest’albero, ma non ti troverà. -

Lo sguardo della donna si fece intenso. I bagliori di luce verdeoro illuminavano il volto di Snape. Bellatrix se lo impresse a fuoco nella mente.

- Se dovessi trovarti in pericolo, tieni questo – disse, porgendole una strana sfera di vetro trasparente delle dimensioni di una pallina da ping-pong – Ti basterà stringerla tra le dita: è una passaporta che si attiva quando aumenta la pressione sulla sua superficie. Ti condurrà in un posto in cui mi sarà facile raggiungerti.-

L’uomo si voltò, pronto ad andarsene.

- Severus – lo chiamò Bellatrix. Lui girò appena la testa. – Abbi cura di te. -

- E tu di te. – disse, poi scomparve.

 

Il Sigillo del Custode segreto costò energie e concentrazione, ma Snape lo impose sull’albero in pochi minuti. Poi, un po’ ansimante, si diresse verso la capanna di Hagrid, risalendo poi verso il castello.

Luna Lovegood, avvolta in un mantello da viaggio color rosa caramello, lo stava gia aspettando, zainetto a forma di coniglio bianco in spalla, la bacchetta infilata dietro un orecchio, la collana di tappi di Burrobirra continuamente strapazzata.

Non appena avesse ripreso un po’ di forze, pensò irato Snape, avrebbe trasfigurato quel pagliaccio fuxia in qualcosa di decente.

L’Angelo d’Argento sorrise.

 

Continua…

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Charlize_Rei