Dovere e Bisogno.
«Kamal, non lo farai!».
Inarco
un sopracciglio e sorrido all’espressione di Adel, osservando
per un lungo
istante i suoi occhi scuri, le sue sopracciglia aggrottate. Il mio
sguardo scivola
sulle sue mani, appoggiate sui fianchi in una posa che mi ricorda mia
madre.
Rido. «Vuoi scommettere?» ribatto,
avvicinandomi di un passo al trono. La sala enorme sembra accogliere il
rumore
dei miei piedi e rimandarlo alle orecchie di Adel. I suoi occhi si
socchiudono
ancora un po’. «Non puoi farlo e
basta!» esclama, innervosito dal mio atteggiamento.
Ma
è divertente farlo arrabbiare. Muovo ancora un passo e mi
godo il suo viso.
Ho
dodici anni, e in questo momento dovrei pulire gli intricati mosaici
del
pavimento della sala del trono – lo dimostra lo straccio
stretto ancora fra le
mie dita – ma l’oro intarsiato sullo schienale che
è stato toccato solo e
soltanto dal re di Persia e da suo padre prima di lui, mi è
parso troppo bello
e luminoso per potergli resistere. È proibito sedersi sul
trono del sovrano, lo
so io e lo sa Adel. Ma in questo momento la sala è deserta,
non mi vedrà
nessuno.
Adel
mi si avvicina fissandomi negli occhi, come se guardandomi in quel modo
potesse
farmi desistere. Mi arriva molto vicino. Malgrado sia più
grande di me, lo
supero in altezza, e la cosa sembra non piacergli per niente. Ma nei
suoi occhi
di onice c’è qualcos’altro oltre alla
rabbia, adesso, lo capisco subito. E so
anche che davanti a quello sguardo diverso l’unica cosa che
devo fare è
sorridere.
E
lo faccio, prima di mormorare: «Non
finirò nei guai. Te lo prometto».
Adel
non risponde. Continua a guardarmi e a non dire nulla.
«Starò attento. A quest’ora non
arriverà
nessuno».
Lui
resta ancora in silenzio, e il mio sorriso svanisce.
«Perché devi fare sempre il contrario di
ciò
che è lecito?!» esclama all’improvviso,
i pugni stretti. «L’altro giorno hai attraversato a
nuoto il
fiume quando tua madre ti aveva espressamente vietato di farlo, hai
rubato gli
aranci dall’albero del nonno di Ali, hai fatto scappare le
capre e Amjad ha
impiegato un’ora, un’ora,
a calmarle
e ricondurle nel recinto!» quasi urla. Adel sta urlando. Non
trovo la
voglia né la forza di ribattere, nemmeno quando aggiunge:
«Se scoprissi che è vietato morire, saresti
capace di ammazzarti solo per il gusto di infrangere una
regola!».
Non
so se essere mortificato, sorpreso o arrabbiato. È la prima
volta che Adel si
rivolge a me con simili parole, è la prima volta che lo vedo
davvero irato. Non
sorride, non sta sorridendo, e la mancanza di quelle sue fossette sulle
guance
sembra spezzarmi il cuore e farmi mancare il respiro. E non so come
porre
rimedio al suo dispiacere, perché non mi sono mai trovato in
una situazione in
cui il mio sorriso innocente di ragazzino non sortisce
l’effetto sperato.
Non
ho idea di cosa sto facendo – o non ne sono completamente
sicuro – mentre mi
avvicino a lui. Adel continua a guardarmi, ma adesso, come poco fa,
c’è
qualcos’altro nei suoi occhi. Sospetto, forse. Non mi
importa. Gli prendo il
viso fra le mani e accosto le mie labbra alle sue, perché mi
sembra l’unica
cosa giusta da fare e ho voglia di farla. Lo bacio, e le mie mani
scivolano
lungo le sue spalle strette quasi quanto le mie. E non è un
gioco, come quelli
che fanno gli altri ragazzini per la curiosità di scoprire
il sesso: è bisogno,
bisogno disperato di vederlo sorridere.
Adel
non si scosta. Sento le sue labbra ferme e socchiuse contro le mie e,
anche se
ho gli occhi chiusi e non posso vederlo, so che è sorpreso.
Lo so perché è il
mio migliore amico, il mio complice, l’unica persona che
voglio al mio fianco.
Adesso
la bellezza e il luccichio dorato del trono non mi sembrano
più così
irresistibili.
Non
volto la testa per ricambiare il suo sguardo. Continuo a osservare il
cielo e
mi sento immensamente piccolo e inutile, davanti a tutto questo.
«Non ti vedrò più, vero?»
domanda
Adel in un mormorio che a malapena riesco a sentire. Intuisco le parole
perché
è circa la centesima volta che le sento uscire dalla sua
bocca.
«Perché, dove hai intenzione di andare?»
chiedo a mia volta con un sorriso a metà. Piego le braccia
dietro la testa e
con quel lieve movimento l’erba morbida acquista un
po’ di frescura e fa da
refrigerante alla mia pelle.
Lancio
un’occhiata ad Adel giusto in tempo per vedere il suo viso
imbronciato. «Hai capito cosa intendo. Quando entrerai al
servizio del re, non potrò più vederti. Non mi
sarà permesso» dice,
senza guardarmi.
È
triste, lo sento dal suo tono. Anch’io lo sono, ma sono certo
che le sue sono
esagerazioni. So ciò che mi attende, nelle stanze del
sovrano di Persia, che
entro un paio di giorni diverranno praticamente anche le mie.
Il
Kiyan ha espresso il desiderio di avermi come servitore privato. Mia
madre me
lo ha riferito qualche mese fa, e dai suoi occhi ho capito che era
grata al
sovrano per aver concesso a me e quindi a tutta la mia famiglia un tale
onore,
ma anche preoccupata per ciò che comporta un tale compito.
A
me non importa. So cosa mi aspetta e so anche che sarà molto
diverso dagli
esperimenti compiuti finora sul corpo giovane e glabro di Adel, che non
mi ha mai
permesso di andare oltre qualche carezza e qualche bacio.
Sembra
aver capito che fra breve non saremo più una cosa sola, e
che non sarò più una
sua esclusiva proprietà. Sento che sta male per questo,
perché sono anni che ci
apparteniamo. Siamo l’uno dell’altro, ma il suo
senso del dovere gli impedisce
di infrangere un ordine sottointeso del sovrano.
Ma,
lo so e lo sa anche lui, il re di Persia potrà anche
prendere il mio corpo e
farne ciò che vuole, ma la mia anima è la stessa
di Adel. E da lui non può
essere separata.
«Ti amo, stupido» mormoro,
accarezzandogli la testa.
E
lui sorride.