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Autore: _Nimpha_    09/03/2010    0 recensioni
Questa è la storia dei genitori di Harry potter, raccontata da un personaggio che non centra nulla. Rapprestenta il mio modo di vedere le cose. è un insieme di vite intrecciate che si sono sacrificate per degli ideali. Fatto che io ammiro e apprezzo. Per questo ho deciso che si meritano più spazio i quello che di solito li si riserva. Per questo voglio raccontare la mia storia. La vera per me. Spero che vi piaccia... commentate vi pregoooo
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Luna Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Volta la Carta."
"chiama i ricordi con il loro nome, volta la carta
e finisce in gloria"
Appena finii di leggere quelle poche righe mi sentii investita di un compito più grande di me. Mi sentii ancora una volta incapace di adempiere le aspettative che pendevano su di me.
Ma dopo aver conosciuto gli occhi di quella donna. Dopo aver conosciuto Virgin, non me la sentii più di abbandonarla.
Non me la sentii di voltare le spalle alla mia prozia.
E la paura di fallire piano, piano si affievolì, per lasciare spazio alla voglia di capire e di conoscere.
Mi voltai verso il lago, e la vidi di nuovo, e ancora una volta lei mi sorrise. Mi sentii ancora a casa. Mi sentii dopo tanto tempo degna del posto che occupavo.
Voltai con delicatezza la pagina, la calligrafia leggera copriva distrattamente ogni angolo lasciato libero dalle enormi fotografie magiche.
La prima pagina portava la fotografia di una busta bianca, aperta e ingiallita dal tempo.
La didascalia diceva: “Ti regalerò una rosa, di Susan Potter”
Mentre la voce sussurrava insieme a me quelle parole poco lontano da me delle immagini presero forma e una voce femminile inizio a raccontare.
La voce raccontava e i suoi ricordi prendevano forma confusamente a pochi metri da me.
“Ricevetti una lettera, una lettera semplice.
Non c’era il mittente, era in una busta semplice, bianca. 14 agosto 1960.
Faceva caldo, un caldo afoso, ma il sole non brillava, anzi si sentiva l’umidità di un’imminente pioggia. Sapevo che era per me. Non c’era scritto il mio nome, ma lo sapevo. Ne ero certa.
Come mesi prima ero stata certa che il bambino dentro di me fosse un maschio, una certezza schiacciante.
Una consapevolezza quasi fastidiosa.
Presi la lettera dalle zampe del piccolo gufo. E lentamente la aprii.
 
Era una scrittura veloce, confusa, ma bella, scriveva parole dolorose, con una fretta disarmante.
Diceva solo:
Susan, ho bisogno del tuo aiuto. Sai che non te lo chiederei se non fosse necessario, ma forse questo è un favore troppo grande da chiedere anche per te. Tu, però, sei l’unica persona al mondo a cui darò ciò che mi è più caro, tu fanne ciò che vuoi. Si chiama Virgin. Mia figlia.
Con tutto l’affetto e il rispetto, tua Vivian.”
 
Insieme a queste parole c’era solo un indirizzo. Solo.
Mio marito non capiva cosa mi stesse succedendo, ma letta quella lettera non riuscivo nemmeno a pensare. Mi smaterializzai nel posto dell’indirizzo. Un orfanotrofio.
Chiesi con voce confusa di Vivian, e di Virgin. La signora con una calma disarmante mi rispose che la madre era sparita dicendo che solo una certa Susan avrebbe potuto portare via sua figlia.
E così feci, portai via sua figlia.
 
Entrò nella mia vita un altro miracolo, grande come dare alla luce un figlio mio.
Capìi quanto la vita fosse meravigliosa negli occhi della figlia della mia migliore amica. Virgin.
 
Crebbe con me, mio marito e mio figlio James, senza sapere nulla, almeno fino a quando non decisi di dirglielo, come mia figlia.
Non ebbi più notizie di Vivian, mai più. Era sparita. Lasciandosi dietro una figlia, dolore e una collana come unico ricordo della sua esistenza.
 
Virgin Potter crebbe bella e felice, con gli occhi ghiacciati di sua madre e la pelle bronzea di suo padre.
Crebbe con una determinazione inaudita che prese da mio marito John.
Crebbe con la mia voglia di vivere e di essere se stessa. Senza nascondere mai il suo essere diversa.”
 
La voce si affievolì e la donna fiera e combattiva si dissolse nell’aria. Avevo visto per la prima volta la mia bis nonna. Susan Potter. Uno degli Auror più elogiati e ammirati di tutti i tempi.
Avevo appena finito di vedere una mia antenata piangere di gioia, e di dolore.
 
Così capii finalmente che Virgin Potter, quella giovane donna, era davvero di un altro tempo.
Mi chiesi allora perché la mia prozia avesse ancora l’aspetto di un adolescente e si trovasse in un lago in una stanza nascosta nei meandri di Hogwartz.
 
Andai oltre, un'altra fotografia, la didascalia diceva: “Gli occhi di mio fratello.”
Erano degli occhi dorati. Quando lessi quelle poche parole Virgin uscì dal lago.
Si sedette accanto a me e iniziò a raccontare.
 
“Mio fratello era una persona particolare. James era diverso da tutti quegli adolescenti boriosi che si facevano vedere solo per il gusto di farlo. Lui era diverso. Quegli occhi te lo spiegano.
Lui amava la vita, ma aveva paura di essa. Non era un bullo. Lui non faceva del male per il gusto di farlo. Lui aveva deciso che l’unico modo per esorcizzare quella paura era riderci sopra. E così faceva ogni giorno ogni ora. Sempre ad hogwartz, e a casa sempre. Lo faceva per sentirsi vivo. Per non sentirsi schiacciato dal peso della guerra. Non voleva essere schiacciato dalle responsabilità che sapeva che presto gli sarebbero toccate. Aveva paura del confronto con suo padre e allora faceva tutto il contrario di quello che papà avrebbe approvato.
Lui in fondo era buono. Lo era sempre stato. Amava poche persone, ma le amava veramente. Ne odiava altrettanto poche, ma le odiava veramente. Lui era così o bianco o nero. Forse era un difetto. Ma chi stava nella parte privilegiata non poteva che vederlo come un pregio. Io, noi, lo vedevamo come un pregio.”
 
Si chiuse in un silenzio meditabondo e io continuai a guardare quelle fotografie. Era come se volesse farmi conoscere i protagonisti di questa storia ad uno ad uno.
La foto seguente era quella di una famiglia.
C’era una donna slanciata con i capelli castano chiari, lisci e piatti, accanto a lei c’era un uomo robusto con un’espressione spaurita, che dimostrava il suo essere debole a confronto degli occhi determinati della moglie, accanto al padre c’era una bambina di si e no dieci anni, con un naso pronunciato, molto magra e slavata. C’era una freccina che diceva Tunia. La foto su quell’angolo era spiegazzata. A guardarla bene sembrava molto vecchia. Poi dall’altro lato vicino alla madre c’era una ragazzina, non molto alta, con una lunga cascata di capelli ramati, l’espressione era molto più simile a quella della madre che a quella della sorella che sembrava perlopiù arrabbiata con il mondo e assolutamente diversa da quella del padre.
Era la famiglia Evans.
Josephine Evans, Douglas Evans, Petunia Evans e Lily Evans.
Un ologramma, poco lontano da me stava prendendo forma. Una bella, giovane donna era seduta ad una scrivania babbana.
La ragazza piangeva, piangeva molto e forte. Stringeva quella fotografia tra le mani e piangeva. Sentivo solo ripetere”perché? Perché?”
Lo ripeteva senza sosta. Ero certa che fosse Lily, ma era così diversa da come me la immaginavo. Aveva un cortissimo caschetto, i capelli erano più scuri di quando era bambina. Il ramato di era trasformato in sangue. Era color sangue. I grandi occhi verdi erano luminosissimi nonostante stesse piangendo. La bocca, la bocca, sembrava disegnata. Era bellissima. Ma sembrava veramente triste.
Tra le mani stringeva anche un'altra fotografia. Quella che era accanto, nel diario, a quella della sua famiglia. La didascalia diceva. Severus Snape. Anch’essa era molto stropicciata. Mia nonna continuava a piangere e una tristezza insopportabile colse anche me. Piangevo anch’io prima di potermene accorgere.
 
“questo è uno dei ricordi peggiori che ho della mia migliore amica. Ci troviamo nella sua stanza nel dormitorio. È tardi, è notte fonda, ma una lettera era appena arrivata ad Hogwartz. Io non c’ero.
Lei era sola. E lottava con il suo passato.
Si era appena tagliata i capelli. Quel giorno appunto. Aveva dato un taglio netto al suo passato, aveva deciso che non ne valeva più la pena, ma poi, quella lettera aveva tirato fuori, ancora una volta il peggio di lei. E Severus, il ricordo di Severus, il suo migliore amico, anzi il suo ex-migliore amico era tornato a farle visita. Il suo ricordo aveva tornato a tormentarla. Perché quelli erano i due fallimenti più grandi della sua vita. Severus e Petunia. Sua sorella.
Sua sorella la credeva un mostro e il suo migliore amico la credeva un essere inferiore.
E lei si sentiva un mostro inferiore a chiunque altro.
Questa è la dannazione di Lily Evans.  Questa sarà ed era sempre stata la sua croce.
In bilico tra due fottutissimi mondi che non l’accettavano per quello che era.
Non ancora almeno.”
Virgin smise di parlare.
 L’immagine si dissolse e l’angoscia e la tristezza mi abbandonarono.
Voltai pagina.
Una luna piena. “Remus”, diceva la didascalia.
“Mi fa ancora sorridere pensare che ho scritto il suo nome in parte alla foto. Ma per me, la luna è remus. Il nostro lunastorta.”
La maledizione di Remus Lupin.
 
Nessuno appari dal nulla, nessuna voce mi raccontò la sua storia. Nessuno si mise a raccontarmi cos’era accaduto al piccolo Remus quella notte. Sentii colo dei brividi sulla pelle. Sentii solo un attimo di terrore attraversarmi per poi estinguersi. Un lieve vento nato dal nulla, mi voltò la pagina.
 
L’intera pagina era coperta da piccole foto di Sirius Black.
Lui con suo fratello Regulus, seri e tristi nel giardino del Black manor.
Una foto di James e Sirius. Sorridenti e spensierati. Una foto con Remus, una con peter. E poi lui con la sua sigaretta. Lui con mille ragazze diverse sempre con la stessa espressione annoiata, lui, con Lily, lui con Virgin. Immagini così diverse tra loro.
“ era un ragazzo buono. Ma difficile. Era sempre triste. Sempre nuvoloso. Sempre in meditazione. Sempre aspro duro. Infelice. Profondamente infelice. Anche se sapeva come ridere di quella sua natura. Sapeva ridere di se stesso, ma mai, o quasi mai. Raramente quelle risate si estendevano alla sua mente ai suoi occhi. Quegli occhi blu profondo che sembravano impossibili da capire. Solo James a volte ci riusciva. Solo con lui e con i malandrini quei sorrisi sembravano credibili. Solo durante quegli scherzi idioti la sua indole da angelo triste sembrava sparire. Il suo destino in quei giochi sembrava essere un altro. Quando stava con quei ragazzi sembrava un altro uomo. Anzi sembrava un ragazzino. Senza di loro sembrava un uomo. Con quell’espressione troppo adulta si quei tratti eleganti e duri da black.
Sembrava inarrivabile quando era da solo. Sembrava in un mondo così lontano dda tutti noi che tutti aveva paura di lui. Lui era il grigio che mancava a James. Lui era impassibile alla vita. Almeno nei primi tempi. Era una roccia su un fiume. Era fermo e sembrava muoversi leggermente solo con quella sua nuova famiglia. I malandrini. Sembrava veramente vivo solo con loro. Tutte quelle donne che si passava c costantemente non erano nulla per lui. Una uguale all’altra. Come per rioempire il vuoto che qualcuno aveva scavato dentro di lui e che non riusciva a colmare nemmeno con il sesso. Non riusciva a trovare quell’amore di cui aveva bisogno. Non poteva trovarlo. Perché in reltà non l’aveva mai cercato. Perché l’unico amore che riusciva a ricevere era quello di James, di Remus. Dei malandrini, insomma.”
 
Le pagine si voltavano da sole. La pagine seguente era quella dedicata a Peter minus. Era vuota. L’unica cosa che c’era scritta era.
“Peter Minus per me è questo. Nulla.”
“Ho sempre odiato e diffidato da coloro che si nascondevano costantemente. E con lui avevo ragione. Di lui non voglio raccontare nulla. Se non pena. E tristezza. Il vuoto. Ecco.”
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ciao... vi prego lasciate qualche commento. datemi dei consigli. critiche tutto. datemi qualche segno vi imploro...
grazie a coloro che mi hanno meso tra i preferiti e chi mi ha messo tra le seguite. grazie è sempre incoraggiante. davvero. grazie di cuore.
  
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