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Autore: Sammael    10/03/2010    2 recensioni
Li attraggo, li affascino, li attiro intorno a me come se fossero insetti, e io il fiore. Un fiore che non ha spine, è appena nato, ma crescerà. Obbediscono a tutto ciò che dico, fanno ciò che desidero. Mi seguono correndo nel mercato, ma le mie gambe sono più lunghe, più svelte, più bianche delle loro. Li semino e li riprendo, li scaccio e li accolgo, a mio piacimento.
Ho sette anni, e mi sento il padrone del mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Purezza e Gelosia

La corteccia sotto la mia schiena causa una sorta di piacevole prurito. Vedo il cielo cercare di penetrare le fronde dell’albero su cui mi sono arrampicato, e quel verde scuro e l’azzurro sembrano essere due cose completamente diverse, ma complementari. Come se non potessero esistere senza mescolarsi e confondersi, mantenendo intatta la loro essenza.
Mi sfugge un sorriso al logico paragone. Ma non sono sicuro di essere io il cielo. Cerco di capire per quale assurda ragione la mia mente abbia deciso di compararmi all’azzurro invece che al verde, ma una voce, due o tre metri più in basso, mi distrae. Volto la testa e il busto per vedere chi è che sta parlando.
Ah, ecco perché mi sono distratto.
Adel mi sta chiamando. Muove qualche passo incerto sull’erba, e mi sembra quasi di sentire la consistenza del suolo sotto i piedi nudi, come la avverte lui. Finalmente, entra nel mio campo visivo, e mi stupisco di come il suo corpo stia cambiando ad una velocità incredibile, mentre il suo viso rimane quasi identico a quello del ragazzino a cui ho regalato un bacio tre anni fa, nella sala del trono. Mi chiama ancora, e mi sfugge un sorriso.
Le sue preoccupazioni non si erano rivelate infondate come avevo sperato. Il Kiyan è molto protettivo, nei miei confronti. Qualche giorno fa ha fatto frustare un suo consigliere perché aveva osato mettermi una mano sulla spalla e sorridermi conciliante. In effetti non mi stupisce che adesso le persone a malapena mi rivolgano la parola. Ma non ha importanza. Finché posso tornare a casa e dare un bacio a mia madre e sorridere a mio padre, e vedere Adel pressoché tutti i giorni, niente mi fa sentire segregato.
Adel mi chiama ancora. Cerca di non farsi sentire troppo, ovviamente. Quando sono salito su quest’albero, più o meno un’ora fa, i giardini del palazzo erano deserti. Probabilmente lo sono anche adesso, ma Adel è molto prudente, lo è sempre stato.
Decido di mettere fine a questa sorta di gioco sadico. Con un salto, scendo dal ramo e atterro sull’erba, ad un metro da lui. Si volta di scatto e per un attimo leggo nei suoi occhi una domanda – “Da dove accidenti sei uscito?” – poi si spostano verso i rami dell’albero sopra di noi e le sue labbra compiono il miracolo del sorriso.
«Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi per quanto tempo, esattamente?» domando, quando non lo vedo muoversi verso di me.
Lui ride, e finalmente si avvicina. Si guarda intorno, prima di sfiorarmi la guancia con una carezza. «Non ti ha mai dato fastidio essere osservato» mormora. Anche se lo vedo tutti i giorni, la sua voce ultimamente mi lascia un po’ confuso. È diventata più roca, più profonda, più matura, anche se il timbro è lo stesso.
Piego la testa per assecondare il movimento lieve della sua mano, prima di stringerla con la mia e portarmela alle labbra, sfiorando il palmo con la bocca semiaperta. Chiudo gli occhi, e mi sfugge un sospiro.
«Non dovresti» mormora Adel, e sento la sua mano tremare contro le mie labbra. Cerca di ritrarla, ma non lo vuole davvero e io lo trattengo. Apro gli occhi per osservare la sua espressione: è combattuta, come al solito.
«Non devi per forza dare retta al tuo nome» sussurro, leccando lascivamente il palmo. Stavolta la ritrae sul serio, e io mi sento bizzarramente inutile, quando non c’è più contatto fra la nostra pelle. Gli lancio un’occhiata e mi accorgo che è eccitato. Muovo un passo, sorridendo, fino a far sfiorare il mio petto sulle sue braccia incrociate. «Potresti ascoltare il tuo corpo, ogni tanto» aggiungo, ampliando il sorriso.
Lui si scosta ancora, di un passo. Non mi guarda. «Non usare certi subdoli stratagemmi con me. Pensavo che il tuo signore ti accontentasse abbastanza, sotto questo punto di vista» dice, sempre senza guardarmi.
Oh, è geloso, è geloso da morire. Non mi è sfuggita la piccola smorfia di rabbia quando ha nominato il Kiyan. Mi avvicino di nuovo. «Non essere ridicolo, Adel. Lui non ha niente a che fare con noi» mormoro, sfiorandogli un avambraccio con le dita.
Mi lancia un’occhiata sconvolgente. È un miscuglio omogeneo di rabbia, gelosia e desiderio. «Mi sembra invece che abbia molto da fare, con te. La regina passa quasi ogni notte da sola, nelle sue stanze» dice, socchiudendo gli occhi e di conseguenza intensificando quello sguardo.
«Allora perché non vai a farle compagnia?» domando, velenoso, muovendo qualche passo per allontanarmi da lui. Ovviamente, mi ferma, afferrandomi un braccio e tirando affinché possa guardarmi in faccia. Non importa quanto rancore ci sputiamo addosso, lui non scappa. Affronta ogni situazione, ed è sempre pronto a riprendermi, quando per me tutto diventa insostenibile.
Non mi piace che parli della regina. In realtà odio il fatto che sulla sua bocca ci sia il nome di qualsiasi donna. È una cosa che non ho mai sopportato, ma da qualche settimana so che la sua famiglia ha combinato un matrimonio con una tale Shireen, e la questione mi manda ai pazzi. Non so come accidenti sia fatta, e Adel non me l’ha mai presentata. Sa perfettamente che potrei strapparle il cuore dal petto e darlo in pasto a sua madre. Ne sarei capace.
«Io devo, Kamal» mormora, gli occhi adesso velati di tristezza, come se avesse capito quello che sto pensando e volesse rassicurarmi. Ma a me non importa nulla dei suoi maledetti doveri. Non me ne è mai importato niente, perché quello che c’è o ci dovrebbe essere tra di noi è oltre delle stupide convenzioni sociali e ogni senso di giustizia. Pensare che quella stupida ragazzina potrà avere quello che io ho tanto desiderato e non ho mai potuto ottenere mi fa impazzire.
Involontariamente, stringo i pugni. «Alla malora i tuoi doveri!» esclamo, senza guardarlo. Con un secco movimento del braccio, gli faccio lasciare la presa. Lui, rapido, mi afferra di nuovo, e stavolta non riesco a liberarmi. Mi divincolo, ma non serve a niente. Io vivo negli agi, lui non ha mai smesso di lavorare, di rafforzare i suoi muscoli. È troppo forte la sua stretta, ma il potere che ha su di me lo è molto di più. Rinuncio e chino il capo, il respiro lievemente affannoso.
«Mi dispiace» mormora. Quando lo guardo negli occhi, capisco che è vero. Ma ciò non scaccia la rabbia e il dolore. Lo sento allontanarsi da me, giorno dopo giorno. Il rapporto che c’è fra di noi va affievolendosi di minuto in minuto. E mi sembra di non poter fare nulla per mettere fine a questa tortura.
Sto per dirgli qualcosa, ma delle voci giungono alle nostre orecchie e sono costretto a zittire le mie parole sul nascere. Il Kiyan ha concluso la sua riunione con il capo di un villaggio vicino, e sembrano essere giunti ad un accordo favorevole per entrambe le parti. Sorridono, ridono, parlano a voce alta disegnando grandi gesti nell’aria con le mani. Poi il re mi nota. Ovviamente. Lo vedo compiere un grande sforzo per non lanciare ad Adel – che fortunatamente mi ha lasciato il braccio giusto in tempo – un’occhiata omicida. Sa quanto tengo a lui e difficilmente lo punirebbe. Mi fa cenno di avvicinarmi.
Il capo del villaggio alleato mi osserva, sbalordito. Quando mai i suoi occhi di popolano, per quanto ricco, hanno mai visto una pelle così bianca?
Non appena sono abbastanza vicino, il Kiyan mi porta un braccio intorno alle spalle e mi attira a sé. «Lui è Parsa» dice, e io sorrido educatamente, chinando il capo in segno di rispetto. Ultimamente ha preso a chiamarmi in questo modo. Ma, lo capisce anche quest’uomo, deve esserci un fondo di ironia nelle parole del sovrano. Infatti sorride divertito.
Ad un certo punto mi chiedo persino se abbiano davvero parlato di alleanze, prima.
Dopo che sono rimasti per un po’ a fissarmi, tutti e due, il Kiyan mormora: «Vai, e aspettami», dandomi una leggera pacca sulla schiena per invitarmi ad entrare a palazzo. Rivolgo un sorriso gentile al capo villaggio, uno decisamente meno pudico e remissivo al sovrano, e varco l’uscio, diretto alle sue stanze.
Non mi accorgo che Adel ha lasciato i giardini senza farsi vedere.

La frase "Non devi per forza dare retta al tuo nome" deriva dal significato del nome Adel, "giusto".
Grazie ancora a NemuChan per le sua sua spassosissima recensione al precedente capitolo! XD (E sì, è il pensiero che conta... ^^)
Mi scuso nuovamente con tutti i lettori per aver saltato un capitolo! *si prostra a terra* Il terzo, per la precisione! >__< *si vergogna come un ladro*
Detto questo, spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Alla prossima! ^^
  
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