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Autore: Rebecca Lupin    10/03/2010    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Carlisle Cullen fosse nato femmina? La sua storia sarebbe cambiata? Sarebbe riuscita a diventare medico malgrado le donne non potessero studiare? Ma soprattutto, la famiglia Cullen sarebbe esistita?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Allora, inizio scusandomi per lo spaventoso ritardo ma, purtroppo, non sapevo bene cosa scrivere, poi però, la cara Mary_Whitlock mi ha fatto pensare che un giorno o l'altro Cèline dovrà incontrare una persona che, se andasse direttamente verso sud, non avrebbe incontrato. Ho anche dovuto fare delle ricerche che però vi spiegherò a fondo pagina. Beh, ora rispondo alle recensioni!

Dreamerchan: No, è ancora troppo presto per i carissimi Volturi! Prima deve fare un paio di cosette. Anzi, temo che a Volterra ci arriverà tra un po' di capitoli... quindi, purtroppo, non potremo godere subito della compagnia di Marc... ehm... dei Volturi. Per quanto riguarda la medicina credo che ci imbatteremo in lei presto, anzi mi è venuta una splendida idea rispondendo a questa recensione! Spero che tu continui a seguirmi malgrado i tempi! ^^'

Mary_Whitlock: Beh, sono contenta che ti sia piaciuta! Devo ammettere che non ho considerato molto sua madre, probabilmente perchè non è mai stata molto rilevante nella sua vita. Era al padre che Cèline doveva dimostrare qualcosa... Per le foto, tu hai detto che hai imparato ad inserirle: potresti insegnarmelo! Ah, già! Grazie di tutto.

 

Eire.

 

Il cervo saltò agilmente il tronco che ostruiva il suo passaggio, era elastico e veloce, ma mai quanto me. Stufa di rincorrerlo saltai su di un ramo poco più in là e balzai proprio davanti all’animale che aveva arrestato la sua fuga guardandomi spaventato. Tempo qualche secondo e mi ritrovai a spezzargli il collo, iniziando ad abbeverarmi da esso.

Finita questa operazione mi alzai e mi diressi verso un laghetto di modeste dimensioni, in cui mi diedi una rapida ripulita. Osservai compiaciuta il mio riflesso. I miei occhi avevano perso quello spaventevole color rubino ed avevano lasciato il posto ad un pigmento ambrato, molto più adatto a mescolarsi con gli umani. Ora, mi mancava solamente un autocontrollo saldo, cosa che avevo raggiunto grazie alla mia dieta a base di selvaggina.

Da una decina di anni conducevo questa vita di continua caccia che, gradualmente, mi aveva portata ad un limite di sopportazione accettabile del sangue umano. Tutto questo lo facevo solo per uno scopo: poter finalmente camminare in mezzo agli esseri umani. Mai come in quel momento mi ero sentita soddisfatta di me stessa in quella maniera, neanche da umana.

Naturalmente non sarei più rimasta in Inghilterra, se volevo iniziare una nuova vita (se così si può chiamare questa esistenza) dovevo farlo in una terra non impregnata di ricordi come questa.

Essendo in Galles, la meta più vicina era l’Irlanda, terra di Santi, di musica e di leggende. Ero sicura che in quel magico paese avrei trovato almeno un mio simile, magari disposto a svelarmi qualcosa sulla nostra natura. Nell’eventualità di questo incontro, avevo fatto dei preparativi: mi ero procurata una sacca da viaggio, un’abito abbastanza elengante, uno comodo e delle calzature degne di questo nome.

Mi diressi verso il porto di Holyhead, nel Nord-Ovest del Galles, dove avrei preso un traghetto per Dublino, capitale del verde paese.

Sgusciai tra la folla in attesa di partire, ringraziando ancora una volta il clima uggioso inglese che mi permetteva di uscire di giorno, e mi divertii a guardare quella moltitudine di persone diverse ammassate sui ponti delle navi e sulle banchine. C’erano famiglie numerose di piccoli proprietari terrieri, nobili dai colletti di pizzo e dame ricoperte di gioielli, gente isolata che, probabilmente, se ne andava a Dublino per scappare da una situazione che gli stava stretta senza però cambiare troppo le loro abitudini e persone che si imbarcava solo per raggiungere dei parenti, il tutto contornato da marinai e gente del porto. Ancora una volta venni inondata dall’odore, anzi dal fetore, che questo posto emanava. Certamente non era il luogo più sano e tranquillo di Holyhead, questo, ma non mi importava. Niente ormai poteva farmi del male.

Salii sul ponte della nave e mi mischiai a quella folla colorata ed ansiosa, cercando di controllarmi come meglio potevo. Quando fù il momento di salpare, mi voltai a guardare la mia terra natia allontanarsi assieme ad il mio passato. Andai a prua in cerca di tranquillità ma vi trovai soltanto un paio di marinai che dall’aspetto e dall’odore dovevano essere piuttosto ubriachi.

- Ehi, bellezza! Vieni qui!- Feci finta di niente, continuando a guardare la distesa salata che ci circondava.

- Suvvia, non ci saluti neanche?- disse il primo sghignazzando. Si avvicinò ancor di più. Stupido, così mi tenti.

- Buongiorno, signori.- dissi velocemente, cercando di inspirare meno aria possibile. Per caso qualcuno di loro si era tagliato? Il richiamo del sangue era intenso, certo, non abbastanza per farmi perdere il controllo, ma, comunque, non saltargli alla giugulare mi costava un certo impegno.

- Ma come siamo formali!- disse ancora l’uomo – Ehi, John! La ragazza mi sembra un po’ troppo rigida, che dici, la sciogliamo noi?- L’uomo chiamato John mi guardò, si passò la lingua sulle labbra e rispose al compagno: - Sai Mark, credo proprio che questo compito spetti a noi! Insomma, ogni passegero dovrebbe sentirsi a proprio agio sulla “Damhnait” !-

I due si avvicinarono sempre di più ed io notai che, come temevo, l’uomo di nome John aveva un piccolo taglio sulla mandibola, probabilmente per un tentativo di rasatura, su cui era presente una piccola gocciolina di sangue.

- Gentiluomini, sono onorata di questo vostro trattamento, come dire, premuroso ma debbo informarvi che, per la vostra incolumità, non dovreste avvicinarvi. Soprattutto voi, John.-

Naturalmente questa frase ebbe solo il disgraziato risultato di farli avvicinare ancora di più.

Decisi di fargli capire che il mio era un’ottimo suggerimento. Li guardai entrambi negli occhi proprio mentre percepivo che i miei stavano cambiando da orati a neri e, ringhiando appena, dissi: - Non sono incline a trascorrere il mio tempo in compagnia, specialmente la vostra. Quindi vi pregherei di andarvene e di lasciarmi ai miei pensieri e non scherzo se vi dico che ne và della vostra stessa vita.- Conclusi il mio discorso, troppo teatrale, a parer mio, e, dopo pochi secondi di silenzio carico di tensione e sorpresa, se ne andarono borbottando qualcosa circa uno strano ordine del Capitano.

Finalmente sola! Signore, credevo che non se ne sarebbero più andati! Se tutto l’equipaggio era così, allora queste sarebbero state le cinque ore più lunghe della mia vita.

 

*

 

Fortunatamente non fù così. Anzi tutti gli altri marinai, con cui ebbi a che fare, si dimostrarono molto disponibili, anche il tempo lo era stato regalandoci una splendida traversata, naturalmente accompagnata da una coltre di nubi sufficienti a mantenere il mio segreto ben celato dietro di esse.

Scesi dal vascello inspirando l’aria del porto dublinese e mi accorsi che gli odori erano sempre gli stessi ma avevano un qualcosa in più. Sembrava quasi che quest’aria fosse più rilassata ed amichevole rispetto a quella inglese, ma forse era solo pura suggestione.

M’incamminai tra le stradine e rimasi affascinata dai colori, dall’allegria e dalla vitalità di questa città. Ad un tratto vidi una vecchia signora seduta dietro ad un banchetto pieno di libri e pergamene di ogni tipo. Mi avvicinai e ne notai una, parlava di Esseri Sovrannaturali e del Piccolo Popolo, accanto un libro riguardante le antiche leggende celtiche. Lo sfogliai con curiosità, c’era di tutto: folletti, lepricani, fantasmi e… oh. Dearg-due. Significa “succhiatori del rosso sangue”, lo lessi nel trafiletto allegato. Quindi anche in Irlanda era presente la figura del vampiro, dovevo aspettarmelo, insomma, ci sono solo cinque ore di viaggio tra l’Eire e la vecchia Inghilterra. Ovviamente acquistai il libro, non so perché lo feci ma andò così.

Trovai una sistemazione in un pub che aveva anche delle stanze da affittare, vi riposi i miei pochi averi e, dopo aver chiuso a doppia mandata la porta fingendo di coricarmi, uscii dalla finestra per andare a caccia. Mentre correvo non potei fare a meno di ammirare ancora questa terra e di chiedermi cosa mi avrebbe aspettato nei giorni a venire. Proprio mentre riflettevo su tutto ciò vidi un cervo: cambia il paese ma non la gastronomia, pensai.

 

 

Bene, devo dirvi un paio di cosette:

- Eire in gaelico vuol'dire Irlanda;

- Esiste veramente Holyhead, come la tratta Holyhead-Dublino e, a quei tempi le navi passengeri andavano a circa 8 nodi, quindi per quel viaggio ci mettevano pressapoco 5 ore;

-Damhnait è un nome irlandese femminile. Spesso alle navi irlandesi venivano dati nomi femminili o di divinità importanti, specialmente femminili;

- Il Dearg-due esiste veramente nella tradizione irlandese e la traduzione che ho scovato dovrebbe essere esatta, parlerò di questa creatura probabilmente nel prossimo capitolo.

Beh, se c'è qualcos'altro che ho omesso, non esitate a chiedere.

Rebecca

  
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