Non
puoi odiare una persona fino a quando non capisci
come
diventerebbe la tua vita se l’amassi.
(Jodi
Picoult, Senza lasciare traccia)
Come
era prevedibile l’abitazione degli Hyuga era ubicata in uno dei quartieri più
noti e ricchi di Konoha, dove era possibile imbattersi in bar e locali
raffinati, negozi dai prezzi inaccessibili e uomini d’affari vestiti di tutto
punto. Per raggiungere la zona, i due poliziotti impiegarono un buon quarto
d’ora e fu Sakura a guidare la vettura, così da risparmiare al collega un altro
stress da parcheggio e ripagarlo delle preoccupazioni che durante la mattinata
gli aveva procurato. Dal
canto suo, Naruto gradì molto tale decisione perché ebbe l’opportunità di
osservare l’amata in tutto il suo splendore, e ciò con l’inevitabile effetto di
imbarazzarla. Quando
riuscirono, infatti, ad individuare l’edificio che cercavano e a trovare un
buon posto dove sostare, la ragazza spense l’automobile, lasciò scivolare le
mani dal volante alle ginocchia e si voltò verso di lui con le gote arrossate e
uno sguardo che esprimeva disorientamento.
“Hai
finito, vero?” Gli chiese con tono di finto rimprovero.
“Di
fare cosa?” Replicò l’altro candidamente ma con un’espressione sorniona sul
volto.
Sakura
emise allora un sospiro divertita, chiudendo gli occhi e reclinando leggermente
il capo, poi sentì la mano di Naruto scompigliarle con dolcezza i capelli e la
sua voce che la invitava a seguirlo. Pervasa da una sensazione di calore,
incurvò le labbra in un sorriso, pensando che avrebbe voluto serbare per sempre
i ricordi di simili momenti spensierati in modo da poterli contrapporre a
quelli dolorosi. Sentendosi rassicurata e protetta da questa idea scese
dall’abitacolo e raggiunse in fretta il collega, che l’aspettava all’ingresso
del palazzo.
I
due chiesero informazioni al portiere, un uomo basso e tarchiato, che li
indirizzò al secondo piano; lì si avvicinarono alla porta sulla destra, che
presentava una targa color oro con la scritta ‘Famiglia Hoshima’, e bussarono.
Nel giro di pochi minuti giunse ad aprirli una giovane donna, i capelli
raccolti in uno chignon e indosso un classico tubino grigio ricoperto da un
grembiule bianco privo di fronzoli. Nel trovarsi di fronte i due giovani la
cameriera rimase alquanto stupita, poiché la sua datrice di lavoro non aveva né
figli né nipoti; ma, quando il poliziotto biondo le mostrò il proprio
distintivo, intuì subito il motivo della loro presenza e li lasciò entrare. Come
era sua abitudine, accompagnò gli ospiti in salotto esortandoli ad accomodarsi
sul divano e annunciando che avrebbe avvertito la padrona di casa, poi si
allontanò mentre i due si sedevano seguendo il suo invito.
Durante
il tempo d’attesa, l’attenzione di Naruto si concentrò sui diversi elementi che
costituivano l’arredamento lussuoso della sala. Oltre che sul divano in tessuto
damascato e dalla tinta color sabbia, di cui osservò i raffinati arabeschi
dorati, il ragazzo indugiò con lo sguardo sui tappeti turchi in seta, sulle
eleganti tende bianche, sul tavolo ovale adornato con candelabri in argento,
sul mobile intarsiato con sportelli a specchio e soprattutto sul pendolo a muro
posto proprio di fronte a lui. Non aveva mai visto dal vivo nessuno di quegli
oggetti di pregio, ma l’orologio con il suo andamento ritmico e scintillante lo
aveva praticamente affascinato. Seduta al suo fianco, Sakura notò l’espressione
meravigliata e di pura curiosità che ne dipingeva il volto, e le sembrò quasi
di avere davanti un bambino alle prese con l’esplorazione di una casa
abbandonata, dove ogni piccolo particolare poteva rivelargli un segreto
affascinante. Inizialmente il paragone di Naruto con un fanciullo investigatore
la indusse a pensare che dopotutto la realtà non era molto diversa, ma ben
presto si insinuò nella sua mente un’altra considerazione: l’atteggiamento del
collega poteva in qualche modo avvalorare l’idea che aveva maturato da quando
si frequentavano anche al di fuori dell’ambiente lavorativo, e cioè che il
giovane non avesse avuto una vita agiata.
Era
giunta a tale conclusione mettendo insieme diversi frammenti, dall’ordine che
regnava nell’appartamento del poliziotto alle sue buone capacità culinarie,
dalla cura con cui l’aveva visto svolgere alcune faccende domestiche alla parte
dello stipendio che versava a sua madre. Ovviamente era anche possibile che la
sua supposizione non trovasse nessun fondamento logico in quegli elementi,
tuttavia non era riuscita ad accantonarla, tanto che avrebbe cercato di
dissipare i suoi dubbi se Naruto non si fosse mostrato sfuggente sulla sua vita
familiare. Insistere sull’argomento le era invece sembrato invadente, e ne era
ancora convinta, sebbene in quel momento avrebbe voluto sapere tutto. All’improvviso
avvertì una strana sensazione e, non riuscendo a darle un nome, la scacciò per
rivolgere di nuovo la sua attenzione al partner, che continuava a fissare le
oscillazioni del pendolo. Dopo aver controllato rapidamente che non arrivasse
nessuno, si girò di lato puntellandosi con una mano sul sedile del divano e lo
chiamò. Naruto interruppe la propria contemplazione e si voltò a guardarla
ritrovandosi a pochi centimetri dal viso della ragazza.
“Puoi
aspettare quanto vuoi, ma l’orologio non farà cucù.” Lo canzonò quest’ultima
con bonaria ironia.
Sulle prime il poliziotto rimase spiazzato, poi, vedendo
comparire un sorriso sulle sue labbra, colse il significato che esse
sottintendevano e si portò una mano dietro il capo imbarazzato.
“Ah, ma certo.”
Si affrettò a dire a mo’ di scusa.
Sakura
provò l’istinto irrazionale di baciarlo- un Naruto impacciato era sempre troppo
buffo-, tuttavia si trattenne con un tempismo provvidenziale; proprio in quel
momento, infatti, giunse la padrona di casa, che non avrebbe affatto
considerato un buon biglietto da visita trovarli in atteggiamenti intimi.
Era
una donna sulla cinquantina, bassa e di corporatura minuta, il viso segnato
ormai da alcune rughe insistenti, che insieme agli zigomi alti e a due scuri
occhi indagatori creavano un’espressione perspicace e seria. La stessa serietà era
avvertibile nel tono di voce con cui esordì, scusandosi per averli fatti
attendere.
Costretti
a recuperare un po’ di professionalità, i due poliziotti si alzarono subito,
cercando di nascondere il proprio disagio per la
situazione. Istintivamente si chiesero se la donna avesse intuito qualcosa, ma
nulla nei suoi atteggiamenti lo lasciava trapelare.
“Si
figuri, non c’è problema, anzi, ci scusi lei per il disturbo, ma purtroppo
dobbiamo farle delle domande.” Disse l’ispettore, ritornando a concentrarsi
sull’indagine.
“Sì,
lo immaginavo. La notizia sulla morte del signor Hyuga si è diffusa rapidamente.”
Rispose quella, per poi andare a sedersi sulla poltrona che affiancava il
divano invitandoli a fare altrettanto.
“Qualunque
cosa vogliate sapere sono a vostra completa disposizione, sperando davvero di
potervi essere utile”.
“Grazie.
Anche noi lo speriamo”.
La
volontà di collaborare era sempre un buon inizio, pensò Naruto mentre la
ringraziava.
“Cosa
sa dirci sulla situazione familiare degli Hyuga?” Continuò.
“A
essere del tutto onesta non è una storia
piacevole.” Cominciò la donna già preparata alla domanda, cercando di soppesare
le parole.
“Quando
la signora Hyuga è morta, più o meno otto anni fa, la sua scomparsa è stata un
duro colpo per il marito e per le povere figlie. Ha spezzato la loro serenità.
Certo, la perdita di un genitore, soprattutto di una
madre, finisce sempre per cambiare la vita di una famiglia, però, vedete… “.
Si
interruppe brevemente, consapevole di dover introdurre un argomento spinoso.
“Il
signor Hyuga non ha trovato altro modo per affrontare il dolore se non
l’alcool”.
“Cosa?
Era un alcolista?” Intervenne Sakura perplessa.
Non
si sarebbe mai aspettata che un uomo distinto e con una certa notorietà potesse
avere un simile vizio senza che la sua immagine pubblica ne risentisse; ma,
evidentemente, la faccenda era stata tenuta ben nascosta.
“Sì,
sfortunatamente è così.” Le confermò la loro interlocutrice.
“E
come fa a saperlo con certezza, signora?” Chiese Naruto atono.
Con
il suo lavoro era facile imbattersi in storie simili, ma sentire pronunciare la
parola alcool non lo lasciava mai indifferente: ogni volta una fitta
impercettibile, e in quel caso inevitabile.
“Beh,
la gente ama parlare, e c’è da dire che ne ha avuto modo.” Spiegò la donna.
“Ormai
da diversi anni, una sera sì e una no, il signor Hyuga tornava a casa ubriaco,
accompagnato da qualche dipendente della ditta. Non era affatto un mistero”.
“Capisco.
E riguardo ai rapporti con le figlie o con altri parenti? E’ a conoscenza di
qualcosa?”.
“Ogni
tanto mi è capitato di parlare con Yumi, la loro governante.
Dopo la morte della madre è stata lei ad occuparsi quasi a tempo pieno delle
due ragazze. Da quello che ho potuto capire c’erano dei problemi con la più
grande, cioè con Hinata, ma non saprei dirne il
motivo. Fatto sta che qualche anno fa è anche scappata. Poi, ecco, non so se è
importante…”.
“Che
cosa, signora? Anche il più piccolo particolare può essere importante.” Insistette
l’ispettore.
Per
quanto non gli piacesse, quella che si andava profilando sembrava una buona
strada.
Al
suo fianco anche Sakura intuiva la necessità di approfondire, ma nello stesso
tempo sentiva che il tono inespressivo di Naruto era piuttosto strano.
“Mi
riferisco alla notte in cui Hinata fu riportata a casa dalla polizia, dopo la
tentata fuga.” Continuò la padrona di casa.
“Eravamo
quasi tutti nel cortile in quel momento, e il signor Hyuga diede uno schiaffo
alla figlia. Sicuramente si trattò di un gesto legato alle contingenze, per
sfogare la preoccupazione, però i più maligni hanno voluto vedere nella passività
della ragazza qualcosa di più. Insomma hanno iniziato ad insinuare che la
picchiasse, ma davvero, per me, è solo un’illazione, un’infamia senza alcun
fondamento” Concluse con un certo fervore.
E
intanto il poliziotto avrebbe preferito non sapere, sebbene rientrasse nel suo
dovere.
Apparentemente non sorpreso, l’ispettore Hatake staccò lo sguardo dal computer
per rivolgerlo al collega; anche lui sul lavoro non dava particolare prova di
loquacità, ma la silenziosità dell’Uchiha in certi casi restava davvero un
mistero incomprensibile.
“Sasuke, capisco che prima risolviamo il
caso e meglio è, ma se chiarissi le tue affermazioni sarebbe molto utile.” Disse
cercando di non dare alla sua osservazione il tono di un vero e proprio
rimprovero. Dalla risposta che seguì capì però che il suo tentativo era
fallito.
“Stavo per farlo, tranquillo.” Replicò
l’altro secco, per poi continuare come se nulla fosse, con totale professionalità.
Da quando era entrato in quel distretto, non si era mai sbilanciato nel
mostrare le proprie sensazioni, se non con piccolissimi segnali che
scomparivano ben presto nel nulla.
“Il ragazzo” Disse, “afferma di aver
conosciuto la vittima solo relativamente all’ambiente sportivo e di aver
lasciato agitato la palestra per via di un amico che aveva avuto un incidente.
L’incidente sarebbe avvenuto a nord di Konoha. Comunque i suoi atteggiamenti
non mi hanno convinto, per me mentiva.”
“Capisco. Vediamo di controllare subito
questo presunto alibi, allora.” Rispose Kakashi. “Ho un amico tra quelli della stradale e
oggi doveva essere di turno. Lo chiamo subito”.
Come al solito Tenzo era al momento
giusto nel posto giusto, pensò tra sé e sé.
“Intanto io vado un attimo da Izo-san.
Prima mi ha fermato e sembrava che dovesse dirmi qualche cosa.” Lo informò
Sasuke, vago come tutte le volte che oscillava tra verità e menzogna.
Kakashi annuì, poi avviò la telefonata
mentre il collega lasciava l’ufficio; nel giro di alcuni minuti una voce
familiare interruppe lo squillare a vuoto del cellulare.
“Ohi, Kakashi! Che è successo per
chiamarmi nell’orario lavorativo? Una bomba oppure un sequestro?” Chiese quella
ironicamente.
“Ciao, Ten. Sempre molto divertente. Ma
mi dispiace deluderti, si tratta di un semplice incidente”.
“Ma va, tanto per cambiare, direi”.
“Dipende. Se è avvenuto realmente, sì.
Altrimenti può esserci piuttosto utile. Dovrebbe essere successo nella zona
nord di Konoha, tra le nove e le undici di stamattina”.
“Uhm, fammi pensare un attimo… un
incidente da quelle parti mi risulta, però era verso mezzogiorno. Sì, più tardi
non poteva essere”.
“Perfetto. Grazie mille. Sempre molto
disponibile”.
“Se, figurati, e il do ut des dove lo metti. Mi devi una birra al più presto”.
L’ispettore non ebbe nessuna difficoltà
nell’immaginare il sorriso beffardo con cui l’uomo all’altro capo del telefono
aveva sicuramente pronunciato quella frase.
“Praticamente” Continuò quello in tono
più serio, “riuscivamo di più a vederci quando lavoravi nel distretto di Oito
che ora che sei a Konoha”.
“Hai ragione. Appena possibile, allora.
Ciao Ten e grazie ancora”.
Così congedato l’amico, Kakashi staccò
la telefonata e subito dopo Shizune attirò la sua attenzione.
“Telefonata di
lavoro?” Gli chiese la donna.
“Buongiorno, Shizune. Sì, era per un
indagine. Ma immagino che anche tu sia qui per questo”.
“Beh, sì. Se poi qualcuno volesse prendere il telefono non solo per il lavoro, il
mio numero lo conosce”. Ammiccò maliziosamente l’altra mentre avanzava verso di
lui; senza attendere un permesso o qualcosa di simile, si accomodò sulla sedia
di fronte alla scrivania dell’ispettore.
“Gli dirò di tenerlo a mente”. Replicò
pacato Kakashi, e non mentiva. Forse avrebbe dovuto pensarci seriamente,
accantonare il passato e proiettarsi nel futuro. Peccato che prima della sua
testa dovesse riuscire a convincere il suo cuore.
“Lo spero.” Disse la dottoressa
sorridendo. “Comunque, tornando al lavoro, credo che
l’autopsia possa esservi molto utile”.
“Come mai?” Domandò il poliziotto con
interesse.
“Allora, prima di tutto la fascia oraria
del delitto si può restringere tra le dieci e le undici, ma la cosa più
importante è un’altra: la vittima faceva uso di anabolizzanti. Insomma,
trattandosi di un pugile professionista, siamo chiaramente nel doping e dunque
nell’illegalità. Ma di sicuro non devo insegnarti il tuo lavoro, scusami”.
“Non preoccuparti. Comunque
indubbiamente può aiutarci. Grazie per i risultati molto rapidi”.
“Di nulla, dovere. Ah, a proposito,
avverti i tuoi colleghi che riguardo all’autopsia di Hiashi Hyuga sapranno
tutto domani mattina. Doveva occuparsene un mio assistente, ma c’è stato un
disguido, mi dispiace.”
Shizune imprecò mentalmente; odiava
scusarsi per le mancanze degli altri, tanto più se c’entrava Kabuto.
Quell’idiota era sparito praticamente nel nulla, lasciandole uno striminzito
biglietto in cui l’informava solo che sarebbe tornato l’indomani senza fornire
giustificazioni. Ma alla fin fine la colpa era anche un po’ sua; dopo quell’incomprensibile
notte di sesso di alcuni mesi prima, purché la lasciasse in pace aveva permesso che si prendesse
troppe libertà.
Kakashi intuì dal volto adombrato della
donna che qualcosa non andava; ma, quando le chiese se ci fosse qualche
problema, ella negò e allora preferì non insistere. Si limitò unicamente a
salutarla e a vederla andar via. Poi, rimasto solo, cercò di ricollegare i
frammenti raccolti.
Come era riuscito a capire Sasuke, Rock
Lee aveva mentito; la sua agitazione non aveva nulla a che fare con l’incidente
utilizzato come alibi, ma doveva avere un’altra causa. Le possibilità potevano
essere principalmente due: o il ragazzo aveva ucciso senza realmente volerlo,
probabilmente dopo un litigio relativo agli anabolizzanti, oppure ritrovando il
corpo aveva lasciato la palestra per paura di essere incolpato, e anche
quell’ultima eventualità implicava che il giovane fosse coinvolto nel doping,
altrimenti non avrebbe avuto motivo di scappare.
Insomma, in entrambi i casi, la sua
posizione non era affatto buona. Ciò che dovevano cercare di capire era
l’entità della diffusione delle sostanze dopanti nella palestra e il ruolo
preciso che queste avevano avuto nell’omicidio. Al ritorno di Sasuke si sarebbe
accordato con lui sul come.
La giornata era cominciata senza dubbio
nel migliore dei modi: una nuova pressione dall’affabile sindaco di Konoha e
due casi di omicidio, o presunti tali, su cui indagare. Molto probabilmente, se
non avesse creduto nel suo lavoro e ancora di più nel suo ruolo di commissario,
avrebbe trascorso la maggior parte del tempo con un pessimo umore. Ma era stata
soprattutto la chiacchierata con Jiraya, prima per via telefonica, poi al bar
di fronte al distretto, a rimetterla in sesto. Dimostrazioni di fiducia a
parte, aveva saputo come distrarla, spostando la conversazione dagli iniziali
dettagli lavorativi- inevitabile effetto collaterale di una relazione con il
responsabile della scientifica- ad argomenti più piacevoli, contornandoli con
le sue solite battute deficienti.
Nel ricordarne una delle ultime, sorrise increspando leggermente le labbra, poi posò
lo sguardo sulla cornice argentata che racchiudeva una vecchia fotografia;
l’aveva scattata un amico durante una gita in montagna, immortalandoli
teneramente abbracciati contro il tronco di un pino. Se si fosse accorta del
fotoreporter in erba, non si sarebbe mai fatta ritrarre in quegli
atteggiamenti; ma, in fondo in fondo, non le dispiaceva avere un'istantanea che
le ricordasse simili momenti di dolcezza, motivo per cui continuava a lasciarla
sulla sua scrivania. Che poi alcuni incauti si fossero visti
scoccare delle temibili occhiatacce, per aver osservato quella foto con
insistenza o per aver semplicemente posto delle domande al riguardo, era per il
commissario un mero dettaglio.
Quando avevano organizzato la scampagnata, lei e
Jiraya stavano insieme da poco più di un anno, con l’ombra
di Dan che ancora
incombeva su di loro. Avevano dovuto lottare duramente per
allontanarla, con continue cadute e crisi, rimettendo ogni volta in
discussione
il loro rapporto; però, ormai, il peggio sembrava
superato. Che cosa le impedisse allora di compiere
un ultimo passo ancora non lo capiva. La donna non esitò ad
accantonare quel quesito a cui solo il suo cuore avrebbe
potuto trovare una risposta. Dopodiché si alzò
dalla sedia per andare ad informarsi su come procedessero le indagini,
ma un
deciso bussare alla porta anticipò le sue intenzioni.
“Avanti.” Disse rimanendo in piedi.
“Scusi il disturbo, commissario. Siamo
appena tornati e abbiamo delle notizie piuttosto importanti.” Esordì Sakura
varcando la soglia dell’ufficio.
Dietro di lei attendevano Naruto e
Sasuke.
“Certo, ragazzi, venite.”
“Allora,
io torno dopo?” Chiese l’ispettore Uchiha.
“No, tranquillo, resta pure Sasuke. Un
parere in più fa sempre bene. E poi sarai già qui per ragguagliarmi
sull’omicidio della palestra”.
Il poliziotto annuì, poi entrò seguendo
i due colleghi e chiuse la porta dietro le loro spalle.
“Dunque, cosa avete scoperto
interrogando i vicini?” Chiese il commissario.
“Sembra che a causa della morte della
moglie il signor Hyuga avesse preso il vizio dell’alcool e che i rapporti con
la figlia maggiore non fossero dei migliori. Alcuni anni fa è anche scappata di
casa, ma non sappiamo se ciò sia legato all’alcolismo del padre.” Spiegò Naruto,
con il maggior distacco possibile.
“Inoltre” Intervenne Sakura, “tra i
vicini girava voce che la picchiasse, ma tutto era partito da un semplice
schiaffo, troppo poco per supporre che fosse la verità.”
“Vero, un pettegolezzo non può essere
attendibile. Anche se considerando gli elementi, cioè i problemi d’alcool e la
fuga, non possiamo escludere l’ipotesi a priori.” Commentò Tsunade.
“Però l’interrogatorio alla ragazza ci
potrà aiutare a capire, ora non mi sembra utile soffermarci su questo
dettaglio.” Replicò l’ispettore Uzumaki.
“Solo perché non abbiamo testimonianze
concrete. Comunque, sì, è certamente più utile iniziare ad avanzare delle prime
ipotesi su ciò che è accaduto”.
L’affermazione della donna ebbe
l’effetto di alimentare la tensione che Naruto covava dentro di sé; invano
stava tentando d’arginarla da quando aveva lasciato l’appartamento.
“Come mi avete riferito questa mattina” Continuò
il commissario, “la ragazza era sulla scena del delitto con le mani sporche di
sangue. Ora, o può averlo trovato già morto, oppure, considerando la situazione
familiare non facile, essere stata lei stessa ad ucciderlo.”
“Per poi rimanere lì senza andare via
subito?” Ribatté il poliziotto, la calma apparente che sfumava gradualmente.
“Può essere stato un raptus di rabbia
che ha sconvolto anche la giovane”.
“Probabilmente rabbia legata all’odio
maturato nel corso degli anni.” Aggiunse Sasuke intervenendo nella
conversazione.
D’istinto Naruto strinse i pugni.
“Questo perché non avete visto in che
stato era!” Esclamò brusco.
“In effetti dovresti concentrarti su ciò
che è accaduto prima del vostro arrivo sul posto.” Gli fece notare il collega,
abituato ormai ai suoi modi.
“Ma al di là di questo… ” Cercò poi di
dirgli Tsunade, ma si interruppe vedendolo volgersi di scatto verso l’amico dai
capelli corvini.
“Perché per te non esistono sfumature,
non è così Sasuke? O è tutto bianco o è tutto nero. Il resto non rientra nella
tua comprensione.” Sbottò quello, chiaramente alterato.
“Chi sta commettendo un errore sei tu.
La comprensione e il perdono non sono una dote di tutti e soprattutto non sono
sempre possibili.” Ribatté prontamente l’altro, calmo ed impassibile.
Colpito e affondato, Naruto conficcò ancora di più le unghie nella pelle,
mordendosi anche il labbro inferiore, la determinazione che svaniva dal suo
sguardo così come il volto di Sasuke dal suo campo visivo. Con un misto di
perplessità e inquietudine Sakura sussurrò il nome del collega. Perché diavolo
non era mai facile con lui capire se davvero qualcosa non andava? Si chiese tra sé e sé, ormai del tutto
confusa.
“Ispettore Uzumaki.” Intervenne il
commissario con tono autoritario, aggrottando leggermente le sopracciglia.
“Farò finta di non aver né visto né sentito, però non voglio che una situazione
simile si ripeta. E’ chiaro?”
Grazie ai suoi anni di esperienza non le
risultava affatto difficile interpretare la reazione agitata del subordinato,
ma per quella volta avrebbe soprasseduto; voleva continuare a dargli fiducia,
nel periodo della loro collaborazione era riuscito a guadagnarsela.
Il giovane uomo si rivoltò verso la
donna, cessando di torturarsi labbra e palmi e tornando a guardarla.
“Sì.” Annuì.
Il blu dei suoi occhi offuscato da ombre.
“Perfetto. Tornando alle indagini
stavamo solo facendo delle ipotesi, non ci sono elementi che possiamo definire
prove schiaccianti. Forse sarà necessario anche porre domande agli amici della
ragazza, sia vecchi che recenti. Per il momento attendiamo che la scientifica
trovi l’arma del delitto, se c’è, purtroppo le ricerche non hanno ancora
prodotto risultati. Inoltre c’è l’interrogatorio di domani, dovremo tentare di
scoprire il più possibile. Con questo è tutto. Potete andare.”
Così congedati Naruto e Sakura
lasciarono l’ufficio.
Seduta dietro la cattedra, con le
braccia conserte e la schiena appoggiata contro la spalliera della sedia,
Kurenai Yuhi attendeva che i propri allievi terminassero di tradurre alcune
frasi in latino, scrutandoli con gli occhi cremisi. Indubbiamente il suo rapporto con gli
studenti era sempre stato buono, nei loro confronti cercava di non essere né
troppo severa né troppo amichevole, insomma di stabilire la giusta distanza; e
tale comportamento si era rivelato nel tempo piuttosto fruttuoso, conferendole
una evidente sicurezza nel trattare giorno dopo giorno con i ragazzi.
Da qualche tempo, però, la tormentava il
timore che essere una buona insegnante non sarebbe stato sufficiente per saper
crescere un figlio; un bambino di cui avrebbe dovuto occuparsi tutti i giorni,
ventiquattro ore su ventiquattro, e a cui avrebbe dovuto trasmettere non solo
il sapere ma anche una moralità e dei valori. Non è che non cercasse in qualche
modo di farlo anche con i propri alunni, ma nel momento in cui sarebbe stata
madre la responsabilità maggiore nell’educare alla vita suo figlio sarebbe
ricaduta solo ed esclusivamente su di lei.
Suo
figlio. Lasciò
che quelle due semplici parole scivolassero nella sua mente come una dolce
speranza, adagiando con delicatezza una mano sul ventre ancora piatto, ma che
già ospitava una nuova vita. Immediatamente, però, fu assalita
dall’inquietudine.
Doveva trovare assolutamente il coraggio
di mettere al corrente Asuma della situazione, ma l’eventualità che lui potesse
sposarla solo perché incinta rendeva fragile la sua determinazione.
Aveva una terribile paura di scoprire
che l’amore dell’uomo non fosse abbastanza forte da superare i suoi dubbi e le sue insicurezze e giungere all’idea di costruire
una famiglia insieme al di là di eventi non previsti. Con amarezza, si chiese
dove fosse finita la complicità che costituiva uno degli aspetti più belli del
loro rapporto, un rapporto che a quelle condizioni rischiava a lungo andare di
deteriorarsi.
Come
un pennello guidato dalle mani di un abile artista,
così la luce rosata del tramonto tingeva l’orizzonte, impregnando le candide
nuvole con il suo colore. Diversi anni prima, Minato avrebbe sicuramente colto
in quello scenario qualcosa di poetico, magari ritrovandovi la fulva chioma di
sua moglie, ma ora, seduto nella cucina di una modesta abitazione di periferia,
l’osservava con freddezza attraverso i vetri opachi di una finestra. Esso non era nient’altro che
un semplice indizio atmosferico, che gli permetteva di capire che momento della
giornata fosse; ormai la cognizione del tempo gli sfuggiva totalmente. Ciò che
invece rimaneva chiara e limpida, sempre sotto gli occhi, era la sua disfatta:
una bottiglia di sakè e un bicchiere ripetutamente riempito e scolato. Non
avrebbe saputo dire quanti ne avesse bevuti da quella mattina, ormai aveva
perso il conto. E meno male che aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai
ricominciato; una promessa che la vita aveva tramutato in una vana speranza.
Ma, evidentemente, i figli di alcolisti avevano il destino segnato, o quanto
meno sua madre aveva determinato il suo. Lanciò
un ultimo sguardo al cielo che accoglieva il calare del sole, poi mandò giù tutto
d’un fiato anche l’ennesimo bicchiere; il
liquido trasparente che si disperdeva nel suo organismo così come la forza di
reagire tra quelle quattro mura.
Nel
frattempo, lungo una via fiancheggiata da fabbricati, un bambino biondo di nome
Naruto correva per raggiungerlo il più in fretta possibile, sollevando nuvole
di polvere dalla strada mal asfaltata. Al petto teneva stretto un quaderno come se si trattasse di un oggetto
prezioso, e per lui aveva effettivamente quel valore: un bel voto da mostrare
con orgoglio ai genitori.
Correva
sempre più veloce, scansando i pochi passanti che intralciavano il suo
tragitto, e quando intravide la propria
abitazione, ad ogni passo che gli consentiva di avvicinarsi il suo cuore ignaro
sussultava di gioia. Raggiunte le scale che l’avrebbero condotto all’interno, si fermò per recuperare un respiro regolare,
poi entrò in casa e si precipitò in cucina, trovandovi suo padre volto di
spalle. Cercò di richiamarne l’attenzione.
“Papà,
sono tornato ed ho una sorpresa.” Disse mentre sul suo volto si allargava un
sorriso.
La
voce del figlio arrivò a Minato come un eco lontano, distorto dall’influsso
dell’alcool.
“Oggi
la maestra di matematica ha corretto degli esercizi che abbiamo fatto in classe
e ci ha messo il voto.” Spiegò entusiasta Naruto.
Poi,
non notando alcuna reazione evidente, si avviò verso il tavolo al centro della
stanza, ma l’uomo si alzò improvvisamente e lui si bloccò speranzoso.
Sfortunatamente, però, gli occhi che incrociò erano inespressivi, del tutto
assenti, un blu familiare risucchiato del vuoto; davanti a sé Minato avrebbe
potuto avere qualsiasi altro bambino.
Naruto
rimase interdetto da quello sguardo, tuttavia insistette tendendo verso il
padre il quaderno, ma ancora una volta ricevette indifferenza e freddezza. Nel
silenzio più totale trascorsero istanti che gli apparvero interminabili, in
attesa di una parola e di un gesto che non sarebbero mai arrivati. Come se
nulla fosse, l’uomo lo superò
lasciandolo solo, e quell’assenza valse più di mille parole sferzanti:
l’oggetto prezioso ormai abbandonato sul pavimento e un viso dai tratti
infantili rigato dalle lacrime. Fu questa scena che Kushina ritrovò tornando a casa dopo
una stressante giornata di lavoro.
Il primo ad uscire dall’ufficio di
Tsunade fu Naruto, che piuttosto rapidamente si diresse verso lo spogliatoio.
Quest’ultimo rappresentava per lui l’unico parte del commissariato capace, fin
dall’inizio della sua carriera come semplice agente delle volanti, di
trasmettergli un senso di pace e tranquillità, di cui in quei momenti aveva
indubbiamente bisogno: un rifugio accogliente che mitigasse il dolore del passato.
Per potergli parlare e riuscire a capire cosa stesse succedendo, Sakura fu praticamente costretta a pedinarlo, e
quando l’ebbe finalmente raggiunto il poliziotto sedeva su una panca di legno
poco distante da una fila di armadietti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e
le mani a sostenere il capo. La ragazza sostò un po’ davanti alla porta per
raccogliere le idee, poi gli si avvicinò e si sedette al suo fianco. Per una
volta voleva essere lei ad aiutarlo.
“Cosa c’è che non va?” Chiese
sommessamente, posandogli una mano sulla spalla sinistra.
A quella pressione delicata Naruto tornò
in posizione retta, lasciando scivolare le braccia sulle gambe. Aveva
un’espressione malinconica e lo sguardo che fissava un punto imprecisato nel
vuoto; il ricordo di un giorno lontano era sempre vivo nella sua memoria e nel
suo cuore.
“Mio padre… anche mio padre era un
alcolista. Avevo dieci anni quando iniziai a capire come stavano realmente le
cose.” Disse mestamente dopo altri minuti di silenzio.
“Sua madre beveva, e anche lui da
giovane ci era cascato, così quando perse il lavoro ricominciò a farlo.
Probabilmente si sentiva un fallito, non lo so… quello che invece vedevo con
certezza era la sua presenza-assenza e il dolore di mia madre.”
Ormai ritirata la mano, Sakura ascoltava
il suo racconto, mentre la sensazione avvertita durante l’interrogatorio di
quel pomeriggio iniziava ad insinuarsi nuovamente nel suo animo.
Intanto Naruto continuava con difficoltà
crescente.
“Lei… lei ha cercato in tutti modi di
aiutarlo, tutti. Ma una sera l’ha quasi picchiata e…”
Chinò il capo chiudendo per alcuni
istanti gli occhi, cercando di contenere la sofferenza.
“Sì, io… io credo di averlo odiato,
Sakura, non posso negarlo. E mi sono sentito liberato e sollevato quando io e
mia madre ce siamo andati da quella casa”.
Ogni parola che pronunciava era una
stilettata, ma sentiva il bisogno di sfogarsi.
“Eppure, quando è morto investito da un
auto è stato come sprofondare. Mio padre non c’era più, non c’era più
possibilità che le cose cambiassero. Era tutto finito. Se… se ero giunto ad
odiarlo era solo perché non avevo mai smesso di volergli bene davvero.”
Esternando quell’ultima consapevolezza
alcune lacrime amare scesero prepotentemente lungo il suo volto; e Sakura capì.
Si sentiva in colpa, in qualche modo era stata un’egoista. In quei mesi c’erano
stati solo lei e i suoi problemi, aveva rivelato a Naruto la parte più
difficile e dolorosa del suo passato e lui aveva saputo starle accanto, capirla
e consolarla.
Lei, invece, si era fermata davanti alle
reticenze del compagno, avendo paura di essere invadente, mentre avrebbe dovuto
capire che esse nascondevano una sofferenza profonda e per questo cercare di
sapere. Cavolo, se lo amava doveva aver voglia di conoscere tutto di lui,
gioie, speranze, ma anche timori e dolori, impegnandosi per abbattere ogni tipo
di barriera. Era la condivisione quello che avrebbe dovuto costituire la base
di un vero rapporto di coppia.
“Comunque Sasuke ha ragione. Non tutte
le situazioni sono uguali, quindi…” Disse Naruto una volta aver recuperato un
certo controllo, ma non ebbe modo di proseguire il suo pensiero.
Sakura fece scivolare una mano sulla
guancia destra dell’ispettore fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli
dorati, l’altra sul fianco sinistro fino ad accarezzargli la schiena, con
dolcezza ma anche piuttosto velocemente, mentre il bacio che seguì fu irruente.
Messa da parte la sorpresa iniziale, Naruto accolse senza remore la lingua della
ragazza intrecciandola ripetutamente alla sua, avvertendo chiaramente il calore
e la passione che attraverso quel contatto intimo ella voleva comunicargli. E
ricambiò abbracciandola, immergendo le dita nei suoi soffici capelli rosati e
sfiorandone la pelle delicata del viso. Quando si staccarono per riprendere
fiato, i loro sguardi si incrociarono nel silenzio. A spezzarlo fu il giovane
uomo con un ‘grazie’, facendo poi notare alla compagna che era stata un po’
avventata considerando che poteva arrivare chiunque. Lei gli diede
amorevolmente del deficiente e appoggiò il volto nell’incavo del suo collo.
Con la schiena contro la parete esterna
dello spogliatoio, Kakashi pensò che per la seconda volta nel corso della
giornata Naruto aveva detto in sua presenza una cosa azzeccata.
Certo che però era incredibile, che
l’ironia gli riuscisse in quel frangente era sorprendentemente assurdo;
coglierli proprio mentre si scambiavano effusioni era stato indubbiamente un
duro colpo.
Per una buona volta nella sua vita avrebbe preferito riuscire a
mandare al diavolo la propria coscienza per lasciarsi andare ai sentimenti,
giusti o sbagliati che fossero.
Rapido, recuperò il cellulare dalla
tasca destra dei pantaloni e inizio a visionare la rubrica in cerca del numero
della dottoressa Shizune. Subito dopo, però, si sentì un vile per aver pensato
a lei anche solo per un istante. Ripiegò allora su Tenzo: molto meglio una
classica birra tra amici per dimenticare le pene d’amore.
Note
dell’autrice
Se
avete pensato ad un miraggio, vi comprendo perfettamente e non posso che
chiedervi mille volte scusa. I tempi di aggiornamento sono davvero mostruosi, e
se penso che ho scritto la maggior parte di questo capitolo nel giro di una
settimana mi arrabbio io stessa. Ma purtroppo va così, l’università mi toglie
molto tempo e quest’anno ci sarebbe anche la tesi (sperando che tutto fili
tranquillo^^).
Insomma
non so quando scriverò il seguito, ma la fic non sarà interrotta, questo è poco
ma sicuro.
Passando
alla storia in sé, finalmente è venuto fuori il passato di Naruto e mi
raccomando non siate inclementi verso Minato(non è colpa sua, ma delle esigenze
di copione^^) e nemmeno con Sasuke, come suo amico voleva calmarlo e l’ha fatto
nell’unico modo in cui sapeva o era in grado di poterlo fare. Il mondo gira alla rovescia se
sto difendendo l’Uchiha^^, ma al di là di questo tenetelo d’occhio.
E
dulcis in fundo Kakashi. Credo che già si fosse capito, ma da questo capitolo è
sicuramente chiaro che sia innamorato di Sakura e che quindi la fic è una
NaruSakuKaka. Probabilmente qualcuno mi odierà perché ancora non si capisce
nulla sul suo passato comune con Sakura, ma in teoria non manca molto per
scoprirlo^^ Detto questo, rispondo alle recensioni.