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Autore: Ramiza    11/03/2010    7 recensioni
Vi apro uno squarcio nel cielo di carta: vi mostro un angolo di vita universitaria. Guardate e tremate. Horror, sovrannaturale, tragedia si intrecciano in questa storia che, ahimé, non ha proprio niente di inventato (e qui risiede il vero dramma). Non so se la storia si concluderà così o se scriverò ancora, ma tant'é: ecco a voi l'università di Favalandia.
Genere: Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA VERA STORIA DI CAZZIO PIROMALLI


La professoressa Anna B. è titolare di 3 corsi e 3 seminari presso il Dipartimento di Storia delle Arti dell'Università di Favalandia; per un totale di 210 ore annuali, che spalmate su circa 20 settimane di lezione, fanno più di 10 ore settimanali.

Un vero record, in un momento storico in cui i professori fanno di tutto per rifuggire dal faticoso compito della didattica.

La professoressa Anna B., tuttavia, a dispetto delle incoraggianti apparenze, è detentrice di un altro record, meno meritorio: di queste 210 ore è riuscita ad evitarne, delegandole gratuitamente a dottorandi e assegnisti, circa 120. Vale a dire che la professoressa Anna B. tiene personalmente, su 6 corsi totali, non più di due corsi e mezzo.

Questo di media, nel corso degli ultimi anni.

Ultimamente, inoltre, risulta registrato a suo nome un laboratorio presso il teatro di ***, anch'esso prontamente delegato a un volonteroso dottorando.

Il dottorando in questione si chiama Cazzio Piromalli.

...

Ovviamente questo non è il suo vero nome, ma un'amica da lui scavalcata a un ricevimento (il nostro eroe doveva porre alla professoressa Anna B. una questione di vitale importanza: “Professoressa, lo prende un caffé”) si sentì in dovere di appioppargli questo affettuoso soprannome, e tale per noi è rimasto passando alla storia.


Cazzio Piromalli era iscritto alla Facoltà di Storia dell'Arte e lì, con straordinaria coerenza, si è laureato.

A quel punto, forse in seguito alla scoperta che il dottorato in questione è preceduto “di necessità” dalla scuola di specializzazione (i motivi, a noi comuni mortali, sono ignoti, ma tant'è, pare che sia così) ha virato verso una carriera più rapida: il dottorato in Spettacolo teatrale.

Dato che l'argomento non gli sembrava del tutto consono ai suoi studi precedenti, né supportato da adeguate conoscenza scientifiche, Cazzio ha studiato molto.

Da settembre a novembre si è aggirato per la biblioteca, sfogliando “Il teatro della morte” a cura di D. Bablet, un volume nero lucido che tratta di Kantor e del suo teatro.

Un vero colpo di fortuna, dato che quell'anno sarebbe poi uscito un titolo che suonava così:l'antropologia teatrale dei padri fondatori.

Cazzio Piromalli ha passato il concorso con 60/60: 30/30 allo scritto, un voto con cui si premia generalmente una produzione degna di pubblicazione, e 30/30 all'orale, che consiste nell'esposizione del proprio progetto di ricerca.

Al termine del primo anno di dottorato ha poi rivisto il progetto, e alla conclusione del secondo anno ha dichiarato di non conoscere ancora la direzione precisa della ricerca che meritò il punteggio massimo.


Stiamo correndo troppo.


Cazzio tutto sommato è un ragazzo in gamba. È intelligente e studioso.

Non c'è niente di strano nel fatto che un professore lo abbia notato e gli abbia proposto un dottorato.

In Italia funziona così, sebbene ufficialmente non si possa dire e ci si ostini a spendere soldi per l'organizzazione dei concorsi, quando i dipartimenti non ne hanno neppure per le fotocopie.

Certo, perché la professoressa Anna B. abbia scelto una persona che non aveva frequentato i suoi corsi se non di striscio e che si era laureata in una materia tutto sommato piuttosto diversa dalla sua, questo sì, suscita qualche domanda in più.

D'altro canto si mormorava che lui fosse il prescelto già diverso tempo prima del concorso.

Le sue frequentazioni nell'ufficio della professoressa lasciavano poco spazio a dubbi

Vedevamo Cazzio affannarsi sulle scale e correre verso la porta, e poco dopo lo trovavamo nell'atrio accanto a lei, diretto verso qualche bar.

Ci faceva sorridere.

Sorrideva meno Federica che quell'anno sperava di laurearsi in tempo per iscriversi al concorso di dottorato e diceva dopo ogni ricevimento

«C'è qualcosa che non torna. È come se la B. stesse cercando rallentarmi la laurea».

Con il tempo comincia poi a pensare che forse quell'atteggiamento non sia del tutto casuale.


Per chi non avesse idea vorremmo velocemente spiegare come funziona un concorso di dottorato.

All'interno della stessa macro-area concorsuale sono inglobate più materie, per un numero totale do posti che può ripartirsi o per curricula oppure essere assegnato sulla base della graduatoria generale, indipendentemente da curriculum dei candidati. Del totale complessivo di posti non più della metà sono “senza borsa”, i rimanenti, ovviamente, “con borsa”.

La borsa di studio è incompatibile con posti di lavoro pubblici, es. scuola o Amministrazioni varie, e in generale con un reddito superiore ai 6.000 euro annuali. Ogni altro incarico stipendiato deve comunque essere approvato dal Consiglio di Dottorato e/o di Facoltà. Se chi vince un posto “con borsa” rientra in una categoria incompatibile, mantiene il dottorato ma cede la borsa al primo dei vincitori “senza borsa”.

Il dottorato, inoltre, con o senza borsa che sia, è incompatibile con la contemporanea iscrizione a master e scuole di specializzazione, che può essere congelata in attesa di terminare il dottorato (fate caso a questo verbo: “congelare”, avremo modo di rincontrarlo ancora più avanti).

La prova si compone di uno scritto e di un orale, le cui caratteristiche sono descritte in un apposito bando di ricerca.

La commissione è composta da professori delle materie interessate, che possono variare nel corso degli anni oppure rimanere gli stessi.

I titoli dell'orale sono stabiliti dalla commissione, generalmente in un numero maggiore rispetto a quelle poi effettivamente proposte ai candidati, scelte tramite sorteggio.

La commissione, a suo insindacabile giudizio, assegna un punteggio allo scritto e all'orale dei candidati, in base al quale redige una graduatoria nella quale vengono indicati i vincitori, le possibile riserve (selezionate in caso di rinuncia dei precedenti) e gli esclusi.


Ora, per chi non ne avesse idea, vorremmo altrettanto velocemente spiegare come funziona davvero un concorso di dottorato.

Un professore sceglie un allievo (a caso) e gli propone il dottorato, della cui commissione fa solitamente parte. In altri casi propone invece un dottorato nella cui commissione ha conoscenze o con la cui commissione ha scambi di favori in corso.

Se il prescelto non è del tutto analfabeta (il che pure qualche volta capita) riesce a farlo piazzare secondo gli accordi.

In sostanza l'Università italiana, ritenendo forse ormai vetuste le sue normative, ha semplicemente deciso di adeguarsi alle abitudine già vigenti in molti paesi esteri, dove il criterio di selezione non è un concorso ma, molto più banalmente, la cosiddetta chiamata : vale a dire la selezione sulla base del curriculum, dei titoli e del progetto di ricerca proposto (in Italia solitamente redatto insieme al professore che dovrà giudicarlo).

Ora, ovviamente, un professore solo virtualmente ha totale libertà di scelta. I suoi acerrimi nemici diventano in questo caso gli altri professori, i quali, ben lungi dall'idea di giudicarlo per aver pensato di poter utilizzare il concorso come una fabbrica di leccapiedi personale, combattono contro lui per poter fare lo stesso.

Pare, secondo voci, che un elevato numero di allievi conferisca prestigio (oltre che alleggerire dal gravoso compito della didattica).

La libertà di scelta di un professore è dunque limitata da quella dei suoi colleghi (“la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella dall'altro”, riportava la Smemoranda in tempi non sospetti), e per questo gli esimi Accademici, onde evitare snervanti lotte di trincea, scelgono generalmente l'astuta strategia dell'accordo.

In sostanza, si mettono a un tavolino e si dividono la torta: “quest'anno ne scelgo uno io e due lui (che però poi mi appoggia l'assegno di ricerca per la dottoranda che è uscita l'anno scorso), l'anno prossimo due tu e uno lei (che però ne può mandare uno a ***, dove tu conosci il Prof. Taldeitali che due anni fa ci ha mandato un dottorando)”.

Così accordatisi, si avviano giulivi all'allegra selezione.


Federica, dunque, comincia a intuire qualcosa del meccanismo.

La Prof.ssa Anna B., con cui lei ha conseguito la laurea triennale ed è in procinto di concludere la specialistica, quell'anno ha a disposizione un solo posto e non intende far entrare lei, che è troppo poco allineata al suo metodo di lavoro io-comando-tu-esegui (anche di questo avremo modo di riparlare).

Quel posto è evidentemente riservato a Cazzio che, pur provenendo da un altri corso di laurea, ha ampiamente dimostrato il suo amore per il teatro in una sezione della sua tesi di laurea dedicata allo studio della scenografia.

Tuttavia non vuole dirle di rinunciare, pensando forse di poterla fare entrare l'anno successivo (la Prof.ssa ama circondarsi di dottorandi adoranti, e ne possiede, come abbiamo già detto, un numero sufficiente a delegare loro circa 120 ore di lezione gratuite).

Questa, almeno, è l'idea che si fa Federica.

Effettivamente, vuoi per un motivo vuoi per un altro, non riesce a laurearsi in tempo e viene rincuorata con le parole “sarà per l'anno prossimo”.


Qui lasciamo Federica alle sue riflessioni e proseguiamo con Cazzio che affronta il concorso con spirito indomito.

Nell'atrio di Favalandia confida a un collega la sua rassegnazione “tanto si sa che questi concorsi sono già decisi” e poi vince riportando come detto il massimo dei voti.

Immediatamente dopo, riceve dalla professoressa Anna B. il suo primo incarico accademico: assistenza agli esami e all'interrogazione.

Ricapitoliamo.

Cazzio, laureato in Storia dell'Arte e dottorando di Spettacolo teatrale, iscritto di fresco al primo anno, con all'attivo al massimo un paio di esami di teatro e un capitolo della tesi sulla scenografia teatrale, interrogherà studenti di discipline dello Spettacolo teatrale (dell'apposito corso di laurea), magari al loro 4, 5, 6 esame sull'argomento o in procinto di laurearsi.

Ora, Cazzio non è uno stupido.

Questo piccolo sunto mentale se lo fa da solo e conclude di non essere assolutamente preparato ad affrontare una cosa del genere. Prova a farsi un'idea di quello che potrà chiedere, ma si sente spaesato.

Per questo un paio di giorni dopo chiede a Maria Cristina, dottoranda senza borsa (ripescata tra i ripescati l'anno precedente) di suggerirle un paio di domande di domande facili, e poi aggiunge

«Io non so niente di Emma Dante».

Non possiamo non apprezzare la sua lucida consapevolezza di sé, e la sua socratica manifestazione di ignoranza.

Apprezziamo anche la sua disarmante onestà, priva di qualunque orgoglio o pudore.

Tuttavia ci domandiamo: che valore possono avere gli esami da lui presieduti?


Questa degli esami, in effetti, è una faccenda molto più seria di quanto non sembri a prima vista.

È ovvio che gli studenti sono generalmente felici di trovarsi di fronte un ragazzo giovane, tranquillizzante, con cui magari hanno preso il caffè fino a qualche giorno prima.

È ovvio anche che gli esami in sé, a dispetto di quanto abbiamo appena sostenuto, non sono affatto una cosa seria. Forse lo sono stati, tanti anni fa, quando li hanno sostenuti i nostri genitori. Forse avevano mantenuto uno strascico di serietà anche quando noi eravamo appena arrivati e un professore si poteva ancora permettere di bocciare una persona che alla domanda

«In quale verso è scritta la Divina Commedia?»

rispondeva

«Non lo so, ma lei aveva detto che non avrebbe fatto domande di metrica»;

o che all'invito

«Mi parli di Guicciardini»

chiosava

«Io i minori non li ho studiati».

Poi anche quei tempi sono finiti e quella residua patina di serietà è stata definitivamente eliminata.

Oggi si chiederebbe

«La Divina Commedia è scritta in endecasillabi, vero?»

oppure

«Non è che per caso ha una vaga idea di chi sia Guicciardini? Sa, quello ce ha scritto la Storia d'Italia, più o meno contemporaneo di Machiavelli...Vabbé, se non lo sa mi parli di Petrarca».

Tutto questo, dicevamo, è ovvio, ma tant'è Cazzio, come tanti altri, non ha alcun diritto per stare lì a esaminare. Nessuno ha verificato che sia abbastanza preparato e competente. Nessuno può dire se ne sappia effettivamente più degli studenti che dovrà giudicare.


D'altro canto, lui non è nemmeno il peggiore, e qui comincia un'altra storia.



  
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