Amore e Morte
Sto
già sospirando e la mia schiena è inarcata per il
piacere crescente che mi
invade le viscere, quando il Kiyan si ferma. Riapro gli occhi e lo
guardo
sorridendo, prima di accorgermi che nella sua espressione
c’è qualcosa che non
va.
«Tutto bene?» domando, osservandolo.
Senza
un minimo di preavviso, mi afferra un braccio e me lo porta davanti
agli occhi.
Dei, c’è un livido. Voglio morire. «Non
è niente. Sono cadu...».
«Kamal». Non è un rimprovero, non
è
una frase segnata dal disprezzo e dalla delusione, non è
rabbia. È solo il mio
nome, ma mi basta per tremare.
«Chi è stato?» domanda lui. Adesso
l’ira la avverto eccome, è un sibilo sulle sue
labbra. «Non sei caduto. Parla».
Scuoto
la testa e serro gli occhi. Non voglio guardarlo, mi fa sentire in
colpa. Con
la mano libera mi prende il mento fra pollice e indice e mi costringe a
fermare
quel gesto di disperato rifiuto. Sono obbligato a guardarlo.
Deglutisco. «Non... non l’ha fatto apposta. Non
voleva»
dico, abbassando gli occhi.
«Adel» mormora. E il suono di quel
nome tanto amato viene deformato dalla voce del sovrano, da qualcosa
nel suo
tono che mi rende disperato. Lascia il mio braccio.
«Non voleva, mio signore, non voleva... vi
prego, vi pre...». Scosta con facilità la mia mano
posata sulla sua
spalla, e si allontana. Mi da le spalle, seduto sulla stuoia. Mi alzo
in
ginocchio, ma non oso toccarlo. Ho la gola improvvisamente secca, e
inumidirmi
le labbra non serve a nulla.
«Ti ha toccato» dice, e vedo le sue
spalle ampie e scure tremare lievemente. Si volta a guardarmi. Non ho
mai visto
i suoi occhi in quello stato. Non c’è nulla di
calmo e gentile e amorevole, in
loro. «Ti ha toccato!»
ripete, quasi urlando.
Ho
paura.
«Io amo solo voi, mio signore»
mormoro. Mi avvicino e accolgo con stupore e felicità il
fatto che non si
ritragga. «Siete il mio re e...».
«Ti sei concesso a lui».
«No!».
Stavolta sono io a urlare. È un’esclamazione
disperata, la mia, perché lo vedo
alzarsi e raccogliere la sua veste. E so cosa ha intenzione di fare.
«No, mio signore. Mai. Mai. Io sono solo
vostro...».
«NON MENTIRMI!».
Taccio
e abbasso lo sguardo e la testa. Deglutisco, mentre i miei occhi si
muovono
sulla coperta scomposta, come se tra le sue pieghe potessi trovare una
soluzione a questa situazione straziante.
«Tu e quel tuo sguardo da ragazzino! Sei un
demone, ecco cosa sei! Attrai gli uomini a tuo piacere e rubi la loro
anima!»
urla, fuori di sé dalla rabbia. «Avrei
dovuto farti ammazzare anni fa! Quando ne ho avuto
l’occasione! E invece sei
riuscito a ingannarmi con il tuo aspetto fin dal primo...».
«Non vi sto ingannando! Lo giuro, ve lo
giuro... Adel non mi ha mai avuto! Io amo solo voi, mio signore... solo
voi...».
I singhiozzi mi impediscono di parlare. Voglio morire. Voglio morire.
Se Adel
verrà ucciso per colpa mia, morirò. Lo so. Me lo
sento. Non posso vivere con la
consapevolezza che la mia stupidità l’abbia
mandato a morte. Mi copro il viso
con le mani, piangendo disperatamente.
Il
Kiyan si placa. Come se le lacrime che mi sento scorrere tra le dita
abbiano
portato via la sua ira. Lo sento lasciarsi cadere in ginocchio davanti
a me, ma
non ho la forza di guardarlo. Mi sento più piccolo di
com’ero tre anni fa, più
impotente di allora, più debole di quanto sarei mai stato in
tutta la mia
esistenza.
Inaspettatamente,
mi abbraccia e mi stringe al suo petto nudo e caldo. «Vi
prego, mio signore... vi prego...» continuo a mormorare. E
non m’importa di implorare, non m’importa di
pregare, di prostrarmi, umiliarmi,
annullarmi, se servirà a
convincerlo.
«Lui deve morire».
«NO!» urlo, scostandomi. «Non potete! Non
potete farlo! Mio signore,
vi prego...».
«Tu lo ami».
Un
singhiozzo mi si strozza in gola.
«Lo ami».
«No, io...».
Lo
schiaffo che mi colpisce una guancia è forte e secco, mi fa
voltare la testa.
Non riesco a muovermi. I miei occhi sono spalancati e confusi,
atterriti, ma
immobili.
«Lui deve
morire» ripete il Kiyan, il re, il sovrano di Persia. Colui
che fino ad
ora è stato il mio signore e maestro, il mio unico dio.
Non
riesco a smettere di tremare. C’è qualcosa dentro
di me che mi scuote le
membra, e non ho la forza necessaria nemmeno per tentare di placarlo.
Quel
qualcosa mi fa avvizzire il cuore nel petto, mi annebbia il cervello,
mi causa
un dolore che è anche fisico. Mi porto inconsciamente una
mano al petto, su
quel cuore morente, e senza accorgermene graffio la pelle, stringendo
le dita
in un pugno tremante, come tutto il resto del mio candido, perfetto e
inutile
corpo.
La
porta della stanza si chiude con un duro colpo di legno contro legno.
Non
sussulto, continuo a tremare. Continuo a versare lacrime silenziose e
terribili. Continuo a piangere. Continuo a maledire quella perfezione
che porto
addosso e che ha sempre irrimediabilmente condizionato la mia vita.
L’ha
distrutta. L’ha devastata. L’ha
uccisa.
E
ora Adel sarà la sua ennesima vittima.
E
io con lui.
Io
con lui.
Con
lui.
Adel.
MatyXV: innanzi tutto, grazie per aver commentato. *si inchina* La questione della carnagione chiara di Kamal è molto semplice: è stato trovato. ^.^ (pensavo si intuisse dal primo capitolo...) Non è persiano. ^.^ Comunque son contento che la storia ti sia piaciuta.
NemuChan: carissima commentatrice assidua! ^.^ Parsa nell'antica lingua significa "casto, puro". (e, ovviamente, nel caso di Kamal va inteso in senso ironico. XD) Comunque non l'ho scritto nelle note di fine capitolo perchè lo dirà Kamal stesso prossimamente. ^.^ Mmm. ...sei davvero sicura di amare il Kiyan, adesso? *ride*
Per tutti gli altri lettori anonimi, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. (So che ci siete! Tremate! XD)
Alla prossima! ^.^ *si inchina*