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Autore: Shainareth    12/03/2010    4 recensioni
*** Si ringraziano Atlantislux per l'impeccabile betaggio, Ike_ ed Erecose per l'indispensabile consulenza, e Milly Miu Miu per le bellissime illustrazioni. Nonché tutti voi lettori. ***
[Dragon Age: Origins] Ero viva per davvero? O quel disgraziato mi aveva seguita nel regno dei morti col solo intento di prendermi per i fondelli? Pensando a questa possibilità, valutai seriamente l’idea di dargli una testata sul naso. Se non lo feci, fu unicamente perché Duncan si avvicinò a noi e mi porse un boccale d’acqua. Ancora frastornata, mi misi a sedere e bevvi avidamente, come se avessi una sete insoddisfatta da giorni, cercando di mandare via l’orribile sapore che avevo ancora in bocca.
Unica precisazione: la protagonista NON è una Mary Sue. XD
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Nimue Surana'
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CAPITOLO QUINTO - ALISTAIR




Passarono i giorni. Fu una fortuna che la nostra strada si incrociò di nuovo con quella di Bodahn Feddic, che ci aveva raggiunti allorché il nostro gruppo aveva dovuto sostare un po’ più a lungo sulla strada per Redcliffe. Insistendo affinché viaggiassimo insieme, Bodahn ci raccontò allora la sua storia, di come era stato costretto ad emigrare in superficie, perché cacciato dal regno sotterraneo dei nani in seguito ad una brutta vicenda dalla quale, diceva lui, ne usciva più che pulito. Ma ormai la sua reputazione era stata compromessa, e siccome sua moglie lo aveva lasciato, egli aveva preso Sandal ed era andato via. Sandal non era realmente suo figlio. Bodahn lo aveva trovato nelle Vie Profonde, quelle che i nani esplorano in cerca di pietre – ma delle loro usanze parlerò più in là. Il ragazzo era solo, e dal momento che aveva dimostrato di possedere uno straordinario talento nell’incantamento delle armi e degli oggetti – cosa impensabile per quelli della loro razza, giacché non si è mai riscontrato un singolo caso di nano mago – Bodahn aveva deciso di prenderlo con sé. Entrambi ne avrebbero tratto profitto e, soprattutto, si sarebbero fatti compagnia a vicenda. Fra loro era comunque nato davvero l’amore che vi è solitamente fra un padre ed il suo figliolo; lo si capiva dalla cura che Bodahn aveva di Sandal e dalla pazienza che mostrava nei suoi riguardi, visto il problema mentale del giovane. Che in verità si riconduceva ad un lieve ritardo dell’intelletto e niente più. Nonostante l’età, Sandal era come un bambino, forse ancor più dolce perché privo di ogni malizia. Ogni tanto io, Leliana ed Alistair parlavamo con lui, ma le nostre conversazioni non duravano mai a lungo, in quanto Sandal si distraeva facilmente.

   Bodahn Feddic ci mise a disposizione delle tende per permetterci di accamparci in modo decente. Gli dissi che gliele avremmo pagate non appena avessimo avuto del denaro sufficiente a coprire quella spesa, ma lui rispose che, finché gli assicurassimo la nostra protezione, non era necessario. Intanto, ci era però possibile acquistare da lui quel poco che ci occorreva di urgente e, meglio ancora, barattare armi e armature. Alla fine, infatti, eravamo stati costretti a darci al saccheggio delle vittime che ci lasciavamo alle spalle, e dalle corazze e dai mezzi con cui i Prole Oscura combattevano mi resi conto che, benché mostri, essi erano attrezzati esattamente come noi che li contrastavamo.

 

«Bevete», ordinai ad Alistair, porgendogli un boccale pieno di liquido fumante. Era stato ferito durante l’ultimo scontro, e non dal nemico. Per farmi perdonare, allora, mentre Leliana gli cambiava le fasciature alle ustioni, mi ero messa a trafficare con le erbe, preparando intrugli medici e tonici che gli consentissero di riprendersi al meglio.

   Seduto al centro dello spiazzo in cui ci eravamo fermati il giorno prima, lui prese il bicchiere e se lo portò distrattamente alle labbra, troppo concentrato ad osservare il lavoro di Leliana per far caso al resto. Finì con lo sputare metà di quello che aveva bevuto, facendoci poco galantemente una doccia calda. «Che diavolo è?», starnazzò, disgustato. «Volevate avvelenarmi?»

   «È un impiastro curativo», gli dissi stizzita, togliendogli il boccale di mano per riempirlo nuovamente. «Se volete guarire, bevete senza fare storie.»

   «L’ha preparato Morrigan?», volle sapere lui, respingendo la mia mano. «Scommetto di sì. Fa schifo, e…»

   «Mi lusingano i vostri complimenti sulle mie capacità di erborista», lo interruppi, riuscendo a zittirlo. E a mortificarlo quanto me.

   «Avete usato della radice elfica?», mi domandò Leliana, finendo di asciugarsi pazientemente il viso con una manica della veste sacerdotale. Le avevamo procurato un’armatura per viaggiare, ma quando eravamo accampati, preferiva tornare ad indossare il vecchio abito. Annuii, spiegandole che avevo raccolto alcune piante medicinali lungo la strada, in modo che potessimo averne una piccola scorta in caso di emergenza. «Oh, dovete assolutamente berla, Alistair», mi venne in aiuto, tornando a stringere la benda attorno al suo braccio. «La radice elfica possiede delle eccellenti proprietà, in grado di ripristinare la salute in pochissimo tempo. Siamo fortunati ad avere con noi una persona che si intende di questo genere di cose.»

   «Anche Morrigan sa sicuramente prepararne», li informai, spingendo di nuovo l’impiastro verso il ferito.

   «Da lei non accetterei neanche dei soldi per paura che siano maledetti», commentò lui, arrendendosi. Scrutò la bevanda con una certa ripugnanza. «Non si potrebbe fare qualcosa per il sapore?»

   «Non siamo ricchi abbastanza da permetterci degli zuccherini», gli ricordai.

   Lo vidi sorridere in quel modo che, lo sapevamo entrambi, avrebbe potuto procurargli una sberla. «Ma potreste addolcirmi v…» Non concluse la frase, lasciandosi scappare un’esclamazione e voltandosi a guardare Leliana, rea di aver stretto troppo la fasciatura.

   «Vi chiedo scusa.» Nell’espressione della nostra compagna, tuttavia, c’era ben poco di dispiaciuto, ed il tono usato pareva quasi allegro.

   «Grazie, Leliana», le dissi io.

   «Solidarietà femminile», rispose lei, serafica. Aveva un viso d’angelo e quando era intenta alla preghiera sembrava la più innocua delle creature. Invece, Leliana sapeva il fatto suo, rivelando non soltanto di essere un’abile combattente, ma soprattutto molto astuta. Non ci aveva ancora raccontato molto del suo passato, solo che era nata ad Orlais, ed il suo leggero accento naturale lo confermava. Sua madre, ci aveva detto, era comunque originaria del Ferelden, e dal momento che anche lei si sentiva in qualche modo appartenente alle nostre terre, aveva preferito lasciare Orlais per poter ammirare i paesaggi di cui aveva sentito tanto parlare quando era bambina.

   Mi inginocchiai accanto ad Alistair, impegnato a mandar giù la medicina di malavoglia, e gli scostai i capelli chiari dalla fronte. «Brucia ancora?», chiesi, studiando con una morsa al cuore la piccola piaga che si era formata in quel punto.

   Lui si concesse il tempo necessario per riprendersi dal saporaccio dell’impiastro, e poi biascicò: «Un po’. Comunque meno di quando me l’avete procurata, non temete.»

   Non c’era l’ombra di rimprovero nella sua voce, ma l’ironia era ben intuibile. «Ve l’ho già detto che sono mortificata?»

   «Almeno quindici volte», rispose, dandomi indietro il bicchiere, mentre premevo delicatamente un fazzoletto imbevuto di unguento sull’ustione che gli avevo accidentalmente causato durante l’ultimo scontro, quando, cercando di mettere fuori gioco i nemici alle sue spalle, ero ricorsa all’Esplosione Infuocata. «La prossima volta che lanciate incantesimi tanto pericolosi, però, avvertitemi.»

   «Così verrà meno l’elemento sorpresa», osservò Leliana, iniziando a metter via le bende sporche. «Cercate piuttosto di stare attento voi.»

   «Oh, certo», ribatté Alistair, indispettito. «Lo direte voi, al mio avversario, di non spingermi all’indietro nel tentativo di atterrarmi?»

   «Allora non varranno neanche gli avvertimenti di Nimue», aggiunse lei, ancora dalla mia parte.

   L’altro sbuffò. E risbuffò quando, pochi istanti dopo, Morrigan passò dietro di me, intonando un motivetto gioviale sull’inutilità dei templari, specie di quelli stupidi, che non sanno difendersi neanche dalle magie più semplici. «Vi siete coalizzate contro di me, ammettetelo.»

   «Giuro di no», dissi, cercando di coprire il canto. «Piuttosto, so che Bodahn ha dei cristalli del fuoco, potrebbero tornarvi utili. Anzi, prendete, ve lo cedo volentieri.» Mi tolsi dal pollice un anello incantato che conferiva al suo possessore maggiore resistenza al fuoco, e glielo infilai ad un dito.

   Alistair mi fissò con sospetto. «Significa che succederà spesso ch’io mi ritrovi ridotto ad una torcia umana per mano vostra?»

   Strinsi le labbra, preoccupata. Sapevo di avere talento come maga, solo che a volte, per sua sfortuna, quando mi trovavo nella mischia venivo assalita dal panico e finivo col commettere degli errori. Quello era stato il primo di grave entità, comunque. «Vi do anche questo», affermai, glissando la domanda ed aggiungendo all’anello contro il fuoco, quello contro l’elettricità.

   «Voi sapete senz’altro tranquillizzare la gente», bofonchiò, quasi rassegnato. «Un giorno me la pagherete, vi avverto.»

   «Non ne avete anche uno contro il gelo?», s’interessò Leliana, osservando la scena con diletto.

   «Non so usare quel tipo di magia», risposi. E forse, per l’incolumità dei miei compagni, era meglio così.

   «Voi no, ma lei sì.» Indicò Morrigan, la quale se ne andava ancheggiando per l’accampamento continuando a canticchiare la sua Ballata del Templare Stupido, seguita a breve distanza da Merlino che teneva il tempo con i suoi uggiolati. «Oh, ha preso un’altra stecca.»

   Alistair si aggrappò alla manica della mia tunica con fare disperato ed occhi allucinati. «Andate a chiedere a Bodahn se ha qualcosa che mi salvi la vita contro quella pazza.»

   «Subito», obbedii, ma prima ancora che potessi alzarmi, Leliana riprese a parlare.

   «Guardate il lato positivo: se Nimue dovesse darvi ancora fuoco, Morrigan vi salverà la vita congelandovi.»

   «Che idea geniale», le applaudì le mani lui con sarcasmo. «Avete sempre una soluzione per tutto, voi.»

   Leliana sospirò con umiltà. «È il Creatore che mi guida.»

   Non riuscii a sentire altro perché mi allontanai piuttosto celermente e, strada facendo, afferrai Morrigan per un gomito e la trascinai lontano da Sandal, che aveva preso a ripetere incessantemente il ritornello della sua canzone.

   «Che c’è?», mi domandò, seccata. «Non vi piace la mia ballata?»

   «Perché dovete sempre offenderlo?» Sebbene il mio volesse essere un aspro richiamo, il tono che usai suonò molto più simile a quello di un prigioniero che invoca pietà.

   «Perché è un idiota», fu inflessibile lei, liberandosi dalla mia presa. «Ma non è colpa sua, poverino», riprese poi, ostentando grande pena. «Tutti i templari lo sono.»

   «Siete ingiusta.»

   «Mi spieghi perché difenderlo?», iniziò allora ad inalberarsi. «Sei una maga anche tu, dopotutto. Credi davvero a tutte le panzane che va farneticando la Chiesa riguardo la nascita della Prole Oscura? Credi davvero che sia colpa dei maghi? Ammettiamo per assurdo che le cose stiano così: perché dovremmo pagarne noi le conseguenze? Si tratta di una cosa successa migliaia di anni fa. Con questa scusa ci tengono relegati in una prigione, con una catena al piede, controllando ogni nostro minimo movimento. Come puoi accettare tutto questo?»

   Dal modo in cui il suo sguardo dardeggiava si capiva che la questione la toccava nel profondo; e, invero, non lasciava indifferente neanche me. Con la differenza, però, che nonostante tutto, alla Torre del Circolo avevo trovato una prigione assai più accogliente di quella in cui ero nata.

   «Sono in molti a pensarla come voi. Io per prima, lo confesso», sospirai, cercando anzitutto di calmarla. «Tuttavia dimenticate che, leggende a parte, non tutti a questo mondo vogliono usare la magia per scopi benevoli, anzi.»

   «Oh, bene», ribatté Morrigan, intrecciando le braccia al petto. «Quindi per prevenire eventuali catastrofi, è giusto mettere sotto chiave dei bambini e negare la libertà a tutti coloro che manifestano dei poteri? È una cosa molto crudele, e la Chiesa ha davvero una gran bella faccia tosta a dire che i cattivi siamo noi. Si è persino procurata un esercito, perché, ovviamente, lei aborre la violenza. Tranne quando si tratta di massacrarci se osiamo contraddire le assurde regole che ci impone, certo.»

   «Sentite», iniziai, non avendo alcuna voglia di discutere oltre la cosa, dal momento che, pur facendolo, io e lei non avremmo potuto cambiare un bel niente, «non dico che abbiate torto. Quello che però mi preme al momento è altro, e cioè che cerchiamo di andare d’accordo almeno tra di noi. Alistair non è davvero un templare, ve l’ha pur detto decine di volte. E nemmeno voleva diventarlo. Inoltre, non disprezza affatto i maghi, sapete?»

   Morrigan socchiuse le palpebre, studiandomi attraverso due sottili fessure. «Sei davvero diventata sua amica?»

   Presi fiato. «Sì. Lo sono», ammisi senza remora alcuna. «È un bravo ragazzo, non farebbe del male a nessuno.»

   «Solo perché è troppo stupido», replicò lei. Ma il modo in cui aveva incurvato le labbra all’insù, mi lasciò ben sperare.

   «Non sarà l’essere più intelligente sulla faccia del Thedas», le concessi di malavoglia, «ma non è affatto come lo dipingete. È solo molto ingenuo. Ed è leale e armato delle migliori intenzioni, e tanto basta per meritare la mia stima.» Rimase in silenzio, forse troppo orgogliosa per ammettere che, in fin dei conti, avevo analizzato la situazione meglio di lei, accecata com’era dai pregiudizi. «Non vi sto chiedendo di farci necessariamente amicizia, però sarebbe carino se almeno la smetteste di insegnare a Sandal quella canzone», mormorai, imbarazzata dalle parole che il figlio di Bodahn Feddic stava ripetendo a voce molto alta allo stesso Alistair – il quale, pover’anima, sopportava e resisteva stoicamente alla tentazione di correre verso di noi per schiaffeggiare Morrigan.

   Quest’ultima sbuffò. «Va bene, ho capito», si arrese, agitando le mani per aria con fare nervoso. «Mi limiterò a punzecchiarlo quando il piccoletto non ci sarà fra i piedi. Contenta?»

   «Siete un tesoro», risposi con un sorriso.

   «Lo faccio per te, sia chiaro. Non per lui», ci tenne a precisare, categorica. «E solo perché sei stata così gentile da dargli fuoco al posto mio.» Rise, mentre io tornavo a mettermi le mani nei capelli. «Che pivello.»

   «È stato colto alla sprovvista», tentai di giustificarlo. «E comunque è rimasto eroicamente in piedi», aggiunsi, sempre più ostinata a tessere le lodi del mio collega.

   Morrigan mi scrutò con compassione. «Dopo essersi rotolato a terra per spegnere le fiamme», specificò. Sentii il sangue affluire al viso. «Se non vuoi ammazzarlo, cerca di stare più attenta, la prossima volta», mi mise poi in guardia. «Non che mi importi granché di quello sciocco, ma francamente non ho alcuna intenzione di ritrovarmi a seguire una maga imbranata che attenta alla vita dei suoi compagni.»

   «Mi dispiace», farfugliai, sempre più in colpa. Non riuscivo neanche più a reggere il suo sguardo.

   «Blablabla», mi fece il verso lei. «Svegliati e reagisci, anziché inumidirti gli occhioni verdi di lacrime per farti coccolare. Piangere per quel che si è fatto non porta a nulla. Impara ad usare il cervello prima di agire, così almeno ti renderai conto per tempo dei tuoi errori», concluse stancamente, lasciandomi sola con la mia umiliazione e con la consapevolezza che lei avesse maledettamente ragione.

   «Che vi ha detto quella strega?», mi interrogò Alistair quando tornai indietro senza riuscire a nascondere il mio stato d’animo.

   «Che sono un disastro», pigolai, accucciandomi accanto a lui per infilargli l’ennesimo anello al dito. «E non ha torto.»

   «Volete davvero darle retta?» Ecco che partiva un altro rimprovero. Per lo meno ero contenta che Leliana si fosse allontanata per riportare Sandal da suo padre. «Sentite, per quel che mi riguarda, non ho un bel niente da biasimarvi, anzi. Mi avete salvato la vita in più di un’occasione, eppure ci conosciamo… da quanto? Dieci giorni? Due settimane? È un’ottima media, non credete?»

   «Le vostre parole sarebbero di maggior conforto se ieri non vi avessi quasi ammazzato», gli feci notare, ormai in depressione.

   «D’accordo, ritrovarsi con la punta dei capelli bruciacchiata ed essere stretto in un’armatura di metallo incandescente non è stata proprio un’esperienza divertente, ma succede a tutti di commettere uno sbaglio. Anzi, si è trattato di un incidente, lo sapete anche voi.» Mi diede un’amichevole pacca sulla spalla per costringermi a guardarlo. «Esitate in battaglia per paura di far del male a qualcuno dei vostri compagni, e sarete voi a pagarne le conseguenze. Non pensate a questo, solo ad usare la testa.»

   Era la stessa cosa che mi aveva detto Morrigan, e lì per lì mi chiesi se, facendoglielo notare, Alistair non si sarebbe messo a ruggire per lo sdegno.

 

Per tutto il viaggio verso Redcliffe non incontrammo più uomini di Loghain, e sinceramente speravo che così sarebbe stato fino a che non fossimo giunti a Denerim, forti già dell’appoggio degli alleati su cui affidavamo le nostre speranze.

   Benché fosse situata sulla sponda meridionale del Lago Calenhad, dove, su un isolotto a nord, sorgeva la Torre del Circolo dei Magi, non ero mai stata a Redcliffe, che Alistair non mancò di descriverci in modo piuttosto minuzioso. Insieme vaneggiammo a proposito del fatto che fossimo cresciuti praticamente a poche miglia l’uno dall’altra, pur senza saperlo, e Leliana convenne che, dopotutto, se anche non fossimo diventati Custodi Grigi, forse era destino che i nostri cammini si incrociassero lo stesso, allorché lui avesse preso i voti e magari fosse stato assegnato alla Torre del Circolo, dove con tutta probabilità mi sarei fermata dopo il Tormento. A quel pensiero, entrambi rimanemmo sovrappensiero; e seppure non potevo sapere con certezza cosa passasse per la testa di Alistair, non dubitavo che anche lui si stesse chiedendo quale sarebbe stato il futuro migliore per tutti e due: prigionieri di una vita che non avevamo chiesto o liberi per il mondo ma braccati come conigli.

   Lasciando Bodahn Feddic e suo figlio all’accampamento poco distante, non appena scorgemmo il villaggio da lontano, il gruppo si fece stranamente silenzioso. Questo perché Alistair smise di colpo di parlare. Volli attribuire a questo prodigio un suo particolare stato d’animo, dovuto alla visione di quei luoghi a lui cari. Non era così, in realtà, perché ad un certo punto egli si schiarì la voce e mi fermò con decisione per un braccio.

   «Cosa c’è?», domandai, notando sul suo volto un’espressione turbata.

   Si grattò la nuca, guadagnando tempo sulla risposta da darmi. «C’è che devo dirvi una cosa.»

   «Sentiamola, allora», lo esortai gentilmente, sperando così di aiutarlo a vincere la ritrosia.

   «Vi ricordate quando vi ho detto che Arle Eamon mi aveva preso sotto la sua custodia, quando ero piccolo?», iniziò allora, non senza qualche incertezza nella voce. Gli feci segno di sì, e lui proseguì. «Lo fece per… proteggere sua sorella, la Regina Rowan. E per proteggere me da lei, in effetti.»

   A quel punto avevo già perso il filo del discorso. «Perché? Che c’entrava la Regina Rowan con voi?»

   Vidi Alistair far vagare nervosamente lo sguardo dappertutto meno che su di me, Leliana e Morrigan, decidendo poi di rivolgerlo al cane, molto meno espressivo di noi. «Vi ricordate anche che vi dissi di essere figlio di un pezzo grosso? Ebbene, quello che intendevo era che… Re Maric era mio… padre», confessò infine, alzando timidamente gli occhi nella mia direzione. «Cailan era mio fratello», aggiunse per dovere di cronaca. Ecco, dunque, perché mi erano sembrati tanto simili. E, a tutt’oggi, sono qui a chiedermi che tipo fosse Re Maric, poiché sospetto che l’idiozia dei suoi figli fosse cosa ereditaria.

   «Un attimo», si intromise Leliana con invidiabile calma. Fu un bene, in quanto io stavo ancora cercando di rendermi conto del vero significato di quella rivelazione. «Questo non vi rende forse l’erede al trono?»

   «Cosa? No! Cioè, sì. In teoria», prese a balbettare lui, agitato. «Io però non ho alcuna intenzione di diventare re, nella maniera più assoluta. Non voglio rogne. E poi non sono nemmeno in grado di distinguere lo stivale destro da quello sinistro.»

   «È anche a questo che servono i consiglieri», gli suggerì l’altra.

   «Non ne basterebbero mille per sopperire alla sua mancanza di intelligenza», commentò invece Morrigan con cipiglio corrucciato e aria confusa, come quella che dovevo mostrare anch’io.

   «Che io sia intelligente o meno non ha importanza, giacché non voglio la corona», ribatté Alistair, tornando a guardarmi in attesa ch’io spiccicassi parola.

   «Perché… Perché non me lo avete detto subito?», chiesi a quel punto, tentando di riordinare le idee e di scacciare dalla mente quella che mi ricordava di aver dato fuoco al principe ereditario del Ferelden.

   Lui sospirò. «Mi rincresce di avervelo tenuto nascosto, ma non mi piace che si sappia in giro. La gente tende a trattarmi sempre con un occhio di riguardo, per questo, o in alternativa con disprezzo, come se io fossi un fastidio. E devo ben esserlo, visto che adesso il trono è vacante. Lo stesso Duncan… Beh, lui credo che mi abbia tenuto lontano dalla battaglia, ad Ostagar, proprio perché pensava che fosse più sicuro mandarmi con voi sulla Torre di Ishal. Sapete, nel qual caso fosse successo qualcosa a Cailan.»

   «E difatti vi ha salvato la vita, in questo modo», osservai, ancora smarrita.

   «Non credete che non gliene sia grato, perché almeno potrò vendicare lui e tutti gli altri», replicò Alistair, indurendo per un solo istante i tratti del volto. «Il punto però è un altro. Non voglio che, adesso che siete al corrente della cosa, voi cominciate a comportarvi in maniera diversa, con me. Confesso che sono stato costretto a rivelarvi la mia identità perché probabilmente ne sentirete parlare quando saremo al castello, e ho pensato che avrebbe potuto essere imbarazzante scoprire la verità per bocca altrui», spiegò, visibilmente infastidito. «Vorrei che mi trattaste come al solito, come il figlio di una serva.»

   Lo fissai negli occhi per alcuni secondi, ancora stordita, ma ormai persuasa dalle sue parole. «Non è quello che siete?»

   Sorrise, sollevato. «Precisamente», annuì, riprendendo il cammino come se nulla fosse successo. «Quindi sentitevi libera di darmi fuoco tutte le volte che volete.»

   «Buono a sapersi», disse Morrigan, sfregandosi le mani.

   «Parlavo con Nimue, non con voi, brutta megera.»

   «Alistair», lo chiamai io, allungando il passo per affiancarlo, Merlino alle calcagna come sempre. «Visto che siete solito raccontarmi a singhiozzi cose che sono invece di fondamentale importanza, siano esse sui Custodi Grigi o su di voi, ve ne supplico: c’è altro che devo sapere? Oppure un giorno mi sveglierò e mi direte che siete la Regina Anora?»

   Fece una smorfia. «Se lo fossi, avrei sposato mio fratello. Sarebbe stato piuttosto immorale.»

   «Rispondete», gli intimai, incaponita a sapere ogni cosa.

   «No, nient’altro. Ve lo giuro», obbedì lui, sincero. «Non ho più segreti per voi. A parte un paio di nei in punti strategici del corpo che non mi dispiacerebbe affatto mostrarvi.» Roteai il bastone vicino alla sua testa, minacciando di colpirlo ed intimandogli il silenzio.

   Alla fine, mentre Leliana discuteva sull’eventualità che un contrariato Alistair salisse al trono, e Morrigan disperava davanti ad una tale sciagura per il nostro regno, a suo dire molto più pericolosa del Flagello, anch’io continuai a rimuginare fra me sulla questione, tentando inutilmente di convincermi che la situazione forse non era così grave come appariva. Di certo, comunque, adesso, sotto ben altra luce, mi spiegavo la vera ragione per cui Loghain ci voleva morti: non solo perché eravamo dei testimoni scomodi, ma anche e soprattutto perché uno di noi due aveva il potere di soffiargli la corona – Bodahn ci aveva infatti informati che, sulla strada, aveva sentito dire che Loghain si fosse autoproclamato reggente del Ferelden, facendo le veci di sua figlia Anora. In un attacco di panico, mi venne voglia di lasciarmi andare ad una lunga, fragorosa risata isterica, ritmandola con dei poderosi colpi di randello sul cranio di Alistair, colpevole di essere al contempo la persona dalla quale avrei dovuto stare il più lontano possibile per assicurarmi salva la vita, eppure l’unica di cui mi potessi fidare appieno. Se mi trattenni dal cedere ai nervi fu solo perché, guardandolo, egli non riusciva a comunicarmi altro che serenità, nonostante tutto: era la mia ancora. Sospirai pesantemente, e da quel momento decisi che per me Alistair sarebbe stato Alistair, lo stesso scemo che avevo conosciuto alcune settimane prima ad Ostagar, e nient’altro. Questa convinzione mi avrebbe inoltre concesso di non pensare troppo al fatto che le cose fossero ben più complicate di quanto avessi immaginato in origine.

 

Quando entrammo nel villaggio, lo trovammo sottosopra. L’agitazione della gente era percepibile a grande distanza, e questo ci fece presagire qualcosa di brutto. Cercammo allora di carpire informazioni da quei pochi che se ne stavano fermi per le strade, e quello che scoprimmo non ci piacque per niente: Arle Eamon era caduto malato, di un male sconosciuto e apparentemente incurabile. Come se questo non fosse bastato, il castello, ci dissero, era divenuto luogo inaccessibile a causa di un oscuro maleficio che faceva giungere morte anche fra la popolazione. Attoniti, decidemmo di rivolgerci all’autorità competente del posto, il sindaco Murdock, e lui ci indirizzò immediatamente in chiesa, dove aveva trovato riparo gran parte degli abitanti. Fu lì che incontrammo Bann Teagan, fratello minore di Eamon e proprietario del bann di Rainesfere. Era un uomo dall’aspetto piuttosto giovanile ed elegante, e ricordo che pensai che se Arle Eamon avesse avuto quella stessa espressione buona impressa nel volto, mi sarei lasciata sicuramente influenzare da quella e dalle parole del mio compagno, appoggiando la sua eventuale candidatura al trono.

   Sulle prime, quando ci scorse dal fondo della cappella, Bann Teagan esitò un attimo, ma poi riconobbe Alistair e si precipitò da noi, spiegandoci grossomodo ciò che ci era appena stato riferito fuori. «Quindi siete rimasti solo voi due?», concluse sconvolto quanto noi, non appena apprese la verità sulla caduta di Ostagar. «Non vi nascondo che immaginavo già qualcosa del genere. Sono tornato pochi giorni fa da Denerim, e posso assicurarvi che Loghain sta facendo una bella campagna contro di voi. Sua figlia dubita della sua parola, eppure non ha il coraggio di opporsi. Se mio fratello stesse bene, muoverebbe immediatamente contro di lui, forte dell’appoggio di molti Bann, potete starne certi», ci assicurò, guardando ora Alistair, ora me. Quando i suoi occhi chiari si posarono sul mio viso un po’ più a lungo, scosse il capo. «Vogliate perdonarmi. A causa dell’emergenza pare ch’io abbia dimenticato le buone maniere. Sono Teagan Guerrin», si presentò allora, regalandomi un sorriso.

   «Nimue Surana», mormorai, intimidita dalla cordialità di quell’uomo tanto affascinante.

   «Posso sperare di avere la vostra collaborazione?»

   «Esattamente, cosa sta succedendo qui?», volle sapere Alistair. «Cos’è questa storia dei mostri che scendono dal castello?»

   «Non sono propriamente mostri», precisò Bann Teagan, il bel volto tirato per la stanchezza delle troppe ore di veglia. «Sono non-morti. Cadaveri, che pure si muovono, e arrivano al villaggio, facendo vittime fra la popolazione. Sono tutti terrorizzati, qui,  l’unica speranza che ci è rimasta, temo sia quella di affidarci al Creatore.»

   «Quindi non si tratta di Prole Oscura?»

   «Non ne abbiamo idea», sospirò, passandosi una mano sulla barba castana che gli incorniciava le labbra, mentre il suo sguardo tornava ripetutamente su di me. «Stiamo provando ad organizzare l’ultima, disperata difesa, ma temo che dopo stanotte non ci sia più molto da fare.»

   «E l’esercito?»

   «Le guardie del castello sono rimaste prigioniere lì. Quanto ai cavalieri di Redcliffe… L’Arlessa è una donna molto devota, lo sapete. È convinta che per salvare la vita di Eamon serva l’Urna delle Sacre Ceneri di Andraste. Pare che abbia proprietà miracolose, e per questa ragione ha organizzato una spedizione per recuperarla. Forse è solo una leggenda, forse no. In ogni caso lei ci crede fermamente, e adesso noi ci ritroviamo senza soldati. Abbiamo provato a richiamarli, ma nessuno ha ancora fatto ritorno, salvo Ser Perth e pochissimi altri.»

   Alistair prese un grosso respiro, le mani sulle anche. «Insomma, siamo arrivati appena in tempo…»

   «Cosa suggerite di fare?», domandai, intenzionata a rendermi utile per quel che potevo. Se si trattava solo di non-morti anziché di Arcidemoni, forse potevo farcela. Forse. Decisi di aggrapparmi anch’io a quel poco di fede che avevo, e piantai gli occhi sulla statua di Andraste posta alle spalle di Bann Teagan; solo dopo diversi attimi mi resi conto di aver commesso un errore, perché mi parve di capire che il fratello di Arle Eamon avesse frainteso l’oggetto della mia contemplazione, regalandomi un sorriso più largo del precedente, e che, lo confesso, mi imbarazzò non poco.

   «Potete parlare col fabbro, e magari convincerlo a rimettersi al lavoro», mi suggerì. «Sua figlia lavora al castello, per mia cognata, e dal momento che nessuno può mettervi piede, lui si è intestardito a non darci una mano finché qualcuno non gli porterà notizie della ragazza. Magari il fatto che siete Custodi potrebbe avere una qualche influenza su di lui.»

   «Proveremo a fargli capire la gravità della situazione», promise Alistair.

   Decidemmo allora di darci una mossa, e per prima cosa andammo a recuperare Leliana, impegnata a conversare con una ragazza. Si chiamava Kaitlyn e le stava raccontando che i suoi genitori erano stati uccisi pochi giorni addietro, e che lei era disperata perché suo fratello minore era scappato, forse intenzionato a vendicarsi da solo della tragedia. Leliana aveva un aspetto ed una voce molto dolci, ed il suo modo di parlare, lento e pacato, aveva il potere di rasserenare l’animo di chi l’ascoltava. La fanciulla parve infatti calmarsi non appena le promise che sarebbe andata a dare un’occhiata a casa loro, con la speranza che il bambino si fosse barricato lì dentro. Non ebbi nulla da obiettare, in proposito, e mentre la nostra compagna si affrettava a lasciare la chiesa, io e Alistair la seguimmo fin sulla soglia.

   «Ma lo sentite quanto starnazza quel deficiente?», fu l’epica questione con cui Morrigan ci raggiunse insieme a Merlino, che subito pretese una carezza sul muso. Non lontano dalla cappella, in effetti, vi era un uomo che, in preda al panico, annunciava la disfatta di Redcliffe e la morte di tutta la popolazione nel giro di poche ore. «Cos’è questa storia dei cadaveri che camminano? Se la sta inventando o che altro?»

   Le ripetemmo ciò su cui Bann Teagan ci aveva illuminato poc’anzi, mentre, dopo aver chiesto ancora una volta indicazioni a Murdock, ci incamminavamo per parlare con Owen, il fabbro del villaggio. Morrigan accolse quelle notizie con una faccia seccata e sbuffò all’indirizzo di chiunque avesse avuto la geniale trovata di rallegrare le notti di tutti con una resurrezione in grande stile di morti putrefatti e puzzolenti. Fu allora che io e Alistair avemmo la conferma che lei non era una Maleficar, e la cosa ci fu di grande conforto. Quando giungemmo a destinazione, comunque, trovammo Owen barricato nella sua bottega. Provammo a parlargli attraverso la porta, tuttavia quello continuava a dire che non sarebbe uscito di lì fino a che qualcuno non gli avesse promesso di portargli notizie di sua figlia Valena. Se fossimo sopravvissuti alla battaglia di quella notte, saremmo comunque dovuti salire al castello, per cui gli assicurammo il nostro aiuto, mettendo a tacere Morrigan a cui invece non andava giù l’idea di doverci sempre sobbarcare i problemi degli altri, com’era successo anche a Lothering con Bodahn Feddic e Sandal. La decisione presa diede i suoi frutti, ed il fabbro ci aprì la porta, dandoci la sua parola che sarebbe tornato immediatamente al lavoro affinché i cittadini avessero armi e armature pronte prima che scendesse la notte.

   Non avevamo fatto che pochi passi per lasciare l’officina di Owen, che, grazie alla storia di Valena, mi sovvenne di aver dimenticato di domandare qualcosa a Bann Teagan. «Al castello sono rimasti solo vostro fratello e sua moglie, oltre alle guardie e alla servitù?», gli chiesi quando, accompagnata nuovamente dal solo Alistair, tornai in chiesa.

   Bann Teagan fece segno di diniego. «C’è anche loro figlio Connor.»

   «E la vostra famiglia?»

   Lo vidi distendere le labbra ancora una volta. «Oh, no. Non sono sposato, se è questo che vi preme sapere.»

   «Bene», mormorai distrattamente. Adesso che sapevo la verità su Alistair, la consapevolezza di non doversi curare di troppe persone di alto lignaggio in qualche modo mi faceva sentire meglio.

   Solo quando l’altro mi parlò di nuovo, involontariamente incoraggiato da quel mio innocente commento, fui assalita dalla voglia di mordermi la lingua. «Se però un giorno dovessi convolare a nozze, lo farei senz’altro con una donna bella come voi.»

   Sperando di aver inteso male, mi voltai indietro per cercare Morrigan: era ovvio che si stesse riferendo a lei. A chi altri, se no? Morrigan però era rimasta fuori dalla cappella, come al solito insieme al mio cane. Risolsi di rivolgermi allora a Leliana, già dimentica che era andata via.

   Sentii Alistair schiarirsi la gola e camuffare un’osservazione dietro alcuni colpi di tosse, ma che a me risultò molto chiara per via delle mie orecchie a punta. «Sta parlando con voi.»

   «Oh», balbettai scioccamente, sentendo il viso in fiamme. Bann Teagan era senza dubbio un uomo avvenente, e mi riusciva impossibile rimanergli indifferente. Tuttavia, vista la mia posizione a quel tempo, il matrimonio non era affatto tra le mie priorità. Unirmi ad un umano, oltretutto, mi avrebbe condannata davanti a tutta la comunità elfica, dalla quale sarei stata scacciata e rinnegata. E non volevo che accadesse. «Ma io sono una maga», dissi allora, cercando di far leva sull’altro aspetto penalizzante della mia persona.

   Bann Teagan non demorse. «I maghi possono sposarsi, se vogliono. Non c’è legge che glielo vieti», mi corresse.

   «Anche i Custodi Grigi possono farlo», si intromise poco convenientemente Alistair. Avrei voluto aprirgli la testa in due per appurare se Morrigan avesse ragione a proposito del suo contenuto.

   «Forse», concessi loro, rimanendo diplomaticamente sul vago e cercando al contempo di apparire lusingata – cosa che ero per davvero. «Ora come ora, però, credo che sia di prioritaria importanza per tutti cercare un modo per sopravvivere alla maledizione del castello e alla Prole Oscura.»

   «Su questo non c’è dubbio», concordò fortunatamente il mio nuovo corteggiatore. E quando questi ci volse le spalle per tornare a preoccuparsi della gente stipata in chiesa, ne approfittai per colpire Alistair col mio bastone, tanto per dimostrargli che, oltre a volerlo punire per la sua linguaccia, me ne infischiavo altamente che fosse l’erede al trono, e che quindi non aveva motivo di preoccuparsi che potessi cambiare atteggiamento nei suoi confronti per questa ragione.

   «Non siate arrabbiata, suvvia», rise lui, nonostante tutto. «Non lo siete, vero?», domandò poi, assumendo un’espressione contrita.

   Mi presi qualche secondo per rispondere. «Non lo sono», sospirai infine, smettendo di pungolarlo con la punta della mia arma. Il mio problema era che quel disgraziato riusciva a vincermi con il solo sguardo. Non lo faceva intenzionalmente, sia ben inteso; ma quando mi fissava con quegli occhi pentiti – o tristi – finivo immancabilmente per lasciarmi intenerire ed abbassare la guardia. «Tuttavia, se avete un po’ di pietà per me e per i miei poveri nervi, abbiate anche la bontà di lasciar perdere gli scherzi. Almeno per oggi.»

   Lui annuì. «Promesso», disse. E si fece una croce sul petto. «Volevo però mettervi al corrente di una cosa.»

   «Un’altra?», uggiolai, esausta per le novità della giornata.

   Rivolse la sua attenzione a Kaitlyn, in fervida attesa che Leliana tornasse con notizie di suo fratello. «Quella ragazza mi ha fatto venire in mente che mi avete ordinato di non nascondervi più nulla. E prima che mi picchiate di nuovo, non riguarda né Loghain né il Re né i Custodi, lo giuro.» Mi rassicurò la sincerità del suo sguardo, per cui concessi a me stessa di rilassarmi un po’. «Riguarda me soltanto, e poiché voi siete tanto buona, ho deciso di appellarmi al vostro cuore d’oro.»

   Sospirai di nuovo, già stanca di sentirlo parlare a vanvera. «Arrivate al sodo, per cortesia.»

   «Subito», mi accontentò lui, avvicinandosi. «Vedete», iniziò a sussurrare, «anch’io, come Kaitlyn, sto cercando una persona.»

   «Che persona?»

   «Una donna», confessò, e dal modo in cui gli si illuminarono le pupille, cominciai a credere che si trattasse di una cosa davvero seria. «Vive a Denerim, e vorrei poterla incontrare se dovessimo passare da quelle parti.»

   «È la vostra fidanzata?», chiesi a bruciapelo, interessata alla faccenda. Cercavo infatti di immaginare quale fanciulla potesse essere tanto folle da concedergli il proprio cuore. Alistair era un caro ragazzo, per carità, e pur non essendo bellissimo non lo si sarebbe neanche per sogno potuto definire brutto, anzi. Solo che… aveva un non so che di ancora tremendamente infantile, e la cosa non giocava a favore della sua virilità.

   A quella mia domanda, vidi il suo viso, più o meno calmo fino ad un attimo prima, tramutare in un lampo. «Cos…? No!», esclamò, facendo echeggiare quelle due parole per tutto l’atrio della chiesa ed attirando perciò l’attenzione di molti. Imbarazzato, mi prese per le spalle e mi portò fuori, decidendo che, dopotutto, la sua confidenza non necessitava per forza di un luogo sacro. «Ho una sorella», annunciò infine, deciso. E prima ancora ch’io potessi replicare, confusa, precisò subito: «Figlia solo di mia madre. Re Maric non aveva alcuna parentela con lei.» Mi diede il tempo di far mia quell’informazione. Quindi proseguì. «Non l’ho mai vista, ma so che mia madre l’ebbe diversi anni prima che nascessi io. A dire il vero non sono neanche sicuro che lei sappia di me. Tutto quello che sono riuscito a scoprire sul suo conto sono il nome, Goldanna, e l’indirizzo dove abita.» Esitò un attimo quando Merlino tornò a scodinzolarmi intorno. «Non sono mai andato a cercarla, fino ad ora», riprese poi Alistair, «perché confesso di aver sempre avuto… paura. Insomma, credo sia normale… no?»

   «Comprensibilissimo», lo tranquillizzai, dimostrandogli solidarietà. Stava per lasciarsi vincere dall’ansia, e non era il caso di abbandonarlo a quell’odioso stato d’animo con cui familiarizzavo anch’io molto più spesso di quanto volessi ammettere. «Ma perché adesso avete cambiato idea?»

   «Per due ragioni», mi spiegò, forte ora del mio appoggio. «Primo, perché non è detto ch’io sopravviva al Flagello, e perciò non ho alcuna intenzione di morire con questo rimpianto.» Sembrava davvero tornato sicuro di sé, e non potei fare a meno di ammirare questo suo repentino recupero delle proprie emozioni. «Secondo, perché… beh, dopo la morte di Cailan, Goldanna è l’unica parente che mi sia rimasta. Almeno che io sappia.»

   Sentii il cuore ripiegarsi su se stesso. Fu allora che realizzai che, in effetti, Alistair non aveva mai avuto una vera famiglia, e visto il suo carattere puro e affettuoso, potevo ben immaginare quanto invece gli sarebbe piaciuto poter contare su un punto di riferimento stabile come quello. Ricordo nitidamente che in quel momento decisi che, fino a quando fossimo rimasti insieme, sarei stata io la sua famiglia, perché ancora una volta mi aveva fatto capire che si fidava di me: il bene che sentivo di provare nei suoi confronti aumentò spaventosamente, al punto che non mi riusciva affatto difficile pensare a lui come ad un fratello. A dispetto delle mie orecchie a punta.

   «Vi accompagnerò da lei, avete la mia parola», promisi con nuovo fervore.

   Mi fissò dritto negli occhi per alcuni istanti, in assoluto silenzio, quasi fosse rimasto spiazzato dalla mia risposta. «Io… vi sarò sempre debitore per questo», sussurrò poco dopo.

   «Oh, no, non ditelo nemmeno per sogno», lo ripresi gentilmente, scuotendolo con fare scherzoso per un braccio. «Siamo amici, dopotutto.»

   «Amici?», mormorò, ripetendo con cura quella parola. «Quasi non speravo che arrivaste a considerarmi tale.»

   «E perché no?», replicai con dolcezza. «Apprezzo molto la vostra compagnia. Pensavo lo aveste capito.»

   Sul suo volto comparve un sorriso, dapprima timido, poi più accentuato. «Dite davvero?»

   «Certo», confermai, convinta.

   Aprì le labbra per parlare ancora, le chiuse, le riaprì, le richiuse. Infine, arrossendo come un bambino, e non riuscendo più a reggere il mio sguardo, balbettò: «Anch’io… Anch’io sto bene con voi. Sono contento di avervi conosciuta.»

   «Quel mentecatto continua a gufare sull’esito della battaglia di stanotte», ci interruppe Morrigan, tornando da noi con fare visibilmente scocciato perché costretta a sorbirsi le farneticazioni del pazzo del villaggio. «Se continua, penso proprio che lo cospargerò di vino e gli darò fuoco.»

   «A che vi serve il vino se potete usufruire della magia?», risi, provando pena per il poveretto.

   «Almeno prenderà fuoco più in fretta e non dovrò sentire ancora la sua voce che strepita come un ossesso», ribatté con uno sbuffo. Si portò le mani ai fianchi e scoccò un’occhiata di sbieco ad Alistair. «Che hai?»

   «Niente», disse lui, schiarendosi la voce. «Oh, ecco Leliana», ci indicò.

   La vedemmo spuntare da dietro un’abitazione tenendo per mano un bambino biondo che trascinava dietro di sé una grossa spada dall’elsa elaborata, molto bella. La missione di ricerca per conto di Kaitlyn aveva avuto successo, per cui accompagnammo Bevin – questo il nome del piccolo  che si era nascosto in casa, pronto a combattere chiunque avesse cercato di invaderla – da sua sorella. Quest’ultima fu talmente felice di rivederlo che nemmeno lo rimproverò per lo spavento che le aveva fatto prendere. Gli sequestrò tuttavia la spada, e quando il suo sguardo si posò su Alistair, la offrì a lui.

   «Combatterete per noi, non è vero?»

   L’altro la guardò, confuso. «Sì, certo, però… Non posso accettare il vostro dono.»

   «Apparteneva a nostro nonno. Pare che questa lama abbia ucciso un drago», ci raccontò Kaitlyn. «Non è molto, ma è tutto quello che possiamo darvi per ripagare la vostra gentilezza.»

   «È stata Leliana a trovare vostro fratello», le fece presente Alistair.

   «E voi siete un suo compagno. Un Custode Grigio», insistette la ragazza. «Noi non potremo mai maneggiare questa spada, mentre voi siete un guerriero, pronto a difenderci a costo della vostra vita. Usatela, stanotte, ve lo chiedo per favore.»

   Lui avrebbe voluto protestare ancora, glielo si leggeva in faccia; ma davanti a quella richiesta di disperato aiuto, non poté far altro che cedere. «Ve la renderò quando tutto questo sarà finito.»








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Alistair-e-la-medicina-cattiva-181275090











Avete una vaga idea di quante volte io abbia dato fuoco ad Alistair? XD Sempre involontariamente, sia ben chiaro, il che forse è anche peggio. Anche Morrigan, comunque, aveva sempre la dannata abitudine di congelarci tutti... Comunque, alla fine Alistair ho dovuto davvero attrezzarlo contro il fuoco, e quando Wade, a Denerim, mi fece quella benedetta armatura di scaglie di drago, mi parve un dono del cielo: l'ho infilata immediatamente ad Alistair per evitare ulteriori danni. ^^;
Permettetemi ora di ringraziare tutti i lettori ed in particolare la mia beta Atlantislux, quell'adorabile matta di Lara (E grazie ancora di aver inserito la storia fra le preferite!) e The Mad Hatter.
A quest'ultimo, però, vorrei rispondere qui. Non so se hai ricevuto la mia email, in ogni caso ripeto ora quello che ti avevo scritto, così magari da dissipare anche le perplessità degli altri. Leliana all'inizio dà davvero l'impressione di essere una fanatica, ma questo non vuol dire che lo sia. Anche Alistair dà l'impressione di essere un idiota, ma non lo è per davvero. Recupererò entrambi i personaggi nel corso della storia, non preoccupatevi. Per ora mi sto focalizzando sulle prime impressioni di Nimue, che non sono certo quelle definitive. :) Quanto alla storia con Alistair, anche qui mi tocca precisare una cosa: tutto ciò che leggete dovete interpretarlo senza malizia, giacché la loro è una semplice amicizia. Certo, alla fine di questo capitolo Nimue ha detto qualcosa che ha lasciato di sasso il nostro (quasi) Templare, ma stiamo sempre parlando di un affettuoso rapporto di amicizia e niente più, perché comunque i due andavano d'accordissimo, tanto che, come avete letto, Alistair le ha confidato praticamente subito di Goldanna (mentre all'elfo di mio fratello ne parlò qualche tempo dopo). Avrei trattato la cosa più o meno allo stesso modo se avessi preso in considerazione un protagonista maschile, evitando però tutte le battutine a doppio senso di Alistair, è chiaro. XD Spero di aver dissolto i dubbi di The Mad Hatter, ma se non è ancora convinto o ne ha di nuovi, sia pure sincero e me li esponga senza remore, ché tanto non mi offendo né mi scoraggio dal continuare la fanfiction. Stesso invito è rivolto anche tutti gli altri lettori. ^^
Buon fine settimana,
Shainareth





  
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