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Autore: Sammael    13/03/2010    1 recensioni
Li attraggo, li affascino, li attiro intorno a me come se fossero insetti, e io il fiore. Un fiore che non ha spine, è appena nato, ma crescerà. Obbediscono a tutto ciò che dico, fanno ciò che desidero. Mi seguono correndo nel mercato, ma le mie gambe sono più lunghe, più svelte, più bianche delle loro. Li semino e li riprendo, li scaccio e li accolgo, a mio piacimento.
Ho sette anni, e mi sento il padrone del mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Mancanza e Vendetta

Adel è bellissimo, e completamente nudo. Ogni muscolo del suo corpo è deciso e disegnato, la sua pelle è lucida e bronzea, troppo calda. Ma così familiare.
Percorro le sue spalle e le sue braccia con le dita, rimarcando le linee perfette che gli dei gli hanno concesso. Le ridisegno ancora, e ancora, e ancora, mai sazio di quel calore e di quella levigatezza infantile sul suo corpo adulto.
È fuoco, il mio Adel. È fuoco ed è carne, muscoli guizzanti e tendini tesi. È l’unica cosa che esiste, dentro e fuori di me. Il piacere è assoluto, è acqua bollente, è il cielo stellato sopra di noi, è tutto il mio mondo. È un piacere che cresce, e cresce, e cresce e...
Apro gli occhi. Un tiepido e gentile raggio di sole mi sfiora il viso e le coperte candide sono una cornice così adatta alla bella giornata fuori dalla finestra.
Lo cerco accanto a me, ma non c’è.
Non c’è.
Era un sogno. Un altro. L’ennesimo. Così reale e orribile, così finto e meraviglioso. Così dolce da fare male.
Mi raggomitolo e piango. Ancora.
 
Sono trascorsi due mesi. Sono sempre solo, sempre stanco, sempre triste. Non esco dalle mie stanze per nessuna ragione, e il Kiyan ha smesso di venire a trovarmi ogni notte. Non lo vedo da giorni.
Giorni interi che passo sdraiato sulla stuoia, a piangere e dormire, quando proprio non riesco più a sopportare il dolore. Mia madre mi porta del cibo tre volte al giorno, e tre volte al giorno riporta tutto indietro, intatto.
Non mi stupisce che il Kiyan non voglia più avermi. Sono troppo debole per rispondere ai suoi gesti e tanto magro da disgustarlo. Quando ci penso, sento un sorriso tirarmi la pelle. È ciò che voglio.
Voglio distruggermi. Voglio fa scomparire quella bellezza che è stata la causa di tutti i miei mali. È stata anche alla base di qualche misera felicità, ma ora che Adel non c’è più non ha importanza. Niente ha importanza.
Adel. 

Voglio morire. 

«Vattene». La voce è un sussurro arrochito, ansante, irriconoscibile. Mi costa un immenso sforzo pronunciare quell’unica parola. Dei, sto per svenire.
«Kamal, devi mangiare».
Chiudo gli occhi, insensibile ai singhiozzi di mia madre. Non riesco a dispiacermi nemmeno del fatto che non mi causino nulla. Sono così stanco...
Il suono di un paio di piedi che si posano sul pavimento è così forte da farmi dolere la testa. Due braccia mi tirano a sedere, e non riesco a oppormi. Non riesco a muovere le labbra nemmeno per mormorare un flebile diniego. Me le schiudono a forza e qualcosa di liquido, fresco e dolce mi scorre sulla lingua. La tosse che mi scuote il petto è tanto forte da rischiare di spezzarmi le ossa. Ma subito si placa e mi scopro di nuovo ad odiare il mio corpo perché vuole quel nutrimento. Cerco di sopprimerlo, come ho fatto per giorni e notti, notti e giorni, ma non ci riesco.
Bevo, e mentre mia madre e mio padre ridono di gioia, mi sembra che quel mondo fino ad oggi così categoricamente rifiutato mi stia crollando addosso.
Di nuovo. 

«Morad».
Alzo gli occhi e il suo viso è davanti al mio. Lo guardo per un istante, poi abbandono di nuovo la testa sulla stuoia, voltata di lato. Non mi interessa guardarlo.
La mia disarmante passività non sembra sortire effetti, su di lui. È dentro di me da qualche minuto, lo so perché ho contato ogni secondo passare. La prossima volta conterò i suoi gemiti, quella dopo i suoi sospiri. La volta scorsa ho contato le sue spinte. È arrivato a duecentoottantasette, poi è uscito dal mio corpo e se n’è andato.
«Morad».
Si è fermato. Ancora, nel pronunciare il mio nome. Vuole che lo ascolti. Che faccia almeno caso, che dia una seppur minima importanza al fatto che stia facendo del sesso con me. Lui lo sta facendo. A me non interessa. Non sono eccitato e non ho voglia di esserlo.
Aspetto che pronunci il mio nome ancora una volta e poi riprenda a muoversi. “Cinquantotto, cinquantanove, sessanta. Quattro minuti. Uno, due, tre...”. 

Ho deciso che sedurrò ogni singolo uomo che mi passerà davanti, da oggi. Il Kiyan non potrà mettere a morte tre quarti dei suoi cortigiani, no? Magari deciderà di uccidere me, però. Questo non fa altro che spingermi a perseguire il mio scopo.
Il mio sorriso è molto simile – non identico – a quello che rivolgevo al sovrano fino a qualche mese fa, quando mi avvicino ad una coppia di soldati intenti a fare la guardia ai lati del maestoso ingresso del palazzo. Auguro loro una buona giornata, e con una scusa qualsiasi rimango a parlare con loro.
Entro pochi minuti, i loro sguardi sono decisamente meno attenti e meno rapidi a volgersi in direzione dei servi che di tanto in tanto varcano la soglia. Continuo a sorridere e a blaterare cose del tutto prive di un vero interesse, fino a che non accuso un giramento di testa e invito il più alto dei due ad accompagnarmi alle mie stanze.
Un vero peccato che il Kiyan sia occupato con i suoi generali, al momento. Ma non è ancora l’ora di godere per l’espressione che vedrò nascere sul suo viso nel vedermi posseduto da qualcun altro, e nel sentirmi gemere rumorosamente ad ogni spinta.
Magari gli verrà in mente cosa so ancora fare con questa bocca.

Eccoci qua. ^.^
Ringrazio come sempre MatyXV e NemuChan per le loro recensioni. *si inchina*
Grazie anche a tutti i lettori che hanno aggiunto questa storia tra i preferiti e le seguite. Grazie davvero. *quasi commosso* (XD)
Al prossimo capitolo! ^.^
  
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