Il tempo riprese a correre veloce, troppo
veloce per me, che sentivo suonare campanelle in tempi indefiniti, senza
rendermi conto delle lezioni a cui “partecipavo”, delle persone che mi
rivolgevano la parola, del clima al di fuori della finestra che mutava,
velocemente.
Uscì così un sole
splendente, un sole che brillava in un cielo turchese privo di qualsiasi
nuvola: era meraviglioso, era forte.
Fu così che suonò la
campanella che segnava la fine dell’ultima ora. Raccolsi in fretta le mie cose
dal banco infilandole alla rinfusa nella borsa e silenziosamente uscì dalla
classe, mischiandomi al flusso di persone – centinaia di persone – che si
apprestavano a recarsi fuori dall’edificio.
Un po’ mi sentivo
strattonata, un po’ ero trascinata; non ci tenevo a farmi valere come facevano
le altre. Mi lasciavo trascinare dalla massa, spintonare molto poco
delicatamente, ma comunque non era importante. Raggiunsi in fretta l’atrio
della scuola e di conseguenza la porta d’ingresso della scuola che varcai con
un sospiro di sollievo: ero libera. Accelerai il passo, scendendo le scale che
mi separavano dal marciapiede, ma proprio lì vidi l’unica persona che forse era
meglio non vedere in quel momento. Ma come chi Sam? Eri proprio tu.
Eri seduto sulla tua Vespa
Nera con il tuo Momo grigio e bianco appoggiato accanto a te. Fumavi a piccoli
respiri una Marlboro Gold, sistemandoti i tuoi Wayfarer sulla testa. Cercavi
qualcuno, ma non avevo idea di chi fosse. Che tu avessi già una nuova ragazza?
Erano passati solo due giorni dall’ultima volta che eri uscito con quella
biondina di prima superiore. Ma tu a queste cose non davi importanza: non
appena vedevi una ragazza che stuzzicava il tuo interesse la invitavi a uscire
e nessuna di queste sapeva dirti di no. Io ne sono l’esempio palese non credi
anche tu?
Cercai di passarti accanto
con indifferenza ma tu mi prendesti al volo un braccio e mi tirasti a te. Mi
facesti male, ma non riuscì a dire nulla.
- Non si usa più salutare
Rose? –
- Oh scusa, mi era
sfuggita la tua presenza. –
Scoppiasti a ridere:
sapevi perfettamente che mentivo, mentivo spudoratamente. Avevi lo
stramaledetto potere di leggermi nel pensiero, di capire esattamente cosa
provavo. Ti odiavo per questo.
- Vuoi un passaggio? –
- Sam, non mi piace come
guidi, lo sai. –
- Ma è passato un anno e
mezzo - mi lanciasti un’occhiata provocatoria – magari adesso guido meglio. –
Mi spiazzasti. Non sapevo
cosa risponderti, mi avevi presa in contropiede, un’altra volta. Cosa avrei
dovuto risponderti? Morivo dalla voglia di farmi un giro in vespa con te, ma se
l’avessi fatto avrei potuto dire addio all’idea di dimenticarti.
Mi porgesti il tuo casco
ed io come una stupida lo presi e me lo infilai sistemandomi dietro di te che
già ti eri seduto sulla sella beige.
Gli sguardi stupiti della
maggior parte delle altre persone che ci erano attorno provocarono in me un
moto di soddisfazione: ero di nuovo io quella che venivi a prendere a scuola.
Iniziasti a percorrere le strade che ci separavano da casa mia, una quindicina
di chilometri di distanza dalla scuola, e mi resi immediatamente conto che la
tua guida non era affatto cambiata: eri un pazzo sconsiderato.
Eppure mi piaceva stare
lì, aggrappata a te. La sola sensazione di sfiorarti mi mandava in estasi:
sentivo i tuoi muscoli contrarsi ad ogni movimento sotto la maglia nera che,
lasciatelo dire, ti stava divinamente. Mi sembrava d’essere tornata indietro
nel tempo, quando ogni giorno eri pronto sotto casa mia per portarmi dovunque
volessi, per accompagnarmi a scuola o in pista per gli allenamenti.
Sentivo la tua mano destra
accarezzarmi la gamba ed ogni volta che mi sfioravi un brivido freddo mi
correva veloce lungo la schiena. Mi continuavo a chiedere perché all’improvviso
tu fosti tornato indietro, indietro dove mi avevi lasciato un anno prima,
indietro dove io continuavo imperterrita ad aspettarti, senza riuscire a
muovermi. Non trovavo risposte plausibili, non trovavo risposte adatte alla tua
personalità. Che avessi capito l’errore e fossi tornato da me? Sembrava così
impossibile, non pensavo che l’avresti mai fatto. Quell’idea mi ubriacò quasi,
come se avessi bevuto un bicchiere di vodka e fossi completamente fuori di
testa. Nella testa sentivo mille bollicine frizzanti e nello stomaco milioni di
farfalle si divertivano a farmi il solletico. Non mi rendevo conto che ci stavo
cascando di nuovo. Credevo di aver imparato dalla precedente delusione, ma
invece no, non riuscivo a resisterti. Non avrei mai rinunciato all’idea di
essere tua e tua soltanto. Qualche minuto dopo arrivammo sotto casa mia e
prontamente scesi dalla tua Vespa mentre tu mi osservavi: osservavi i miei
movimenti, le mie espressioni. Sembrava quasi che cercassi di capire quanto ero
cambiata da quando stavamo insieme. Che cercassi di capire quanto avevo
sofferto per te? Il tuo sguardo profondo come la notte era indecifrabile anche
per me che avevo passato ore ad osservare quegli occhi che tanto amavo. Nessuno
era mai riuscito a capirti, a capire cosa pensavi, a capire se davvero ci
tenevi alle ragazze che frequentavi. C’era solo una persona con cui ti
confidavi, una persona che consideravi un fratello: Eric Grey. Eric era un
ragazzo davvero simpatico, dai capelli castano scuro e grandi occhi verdi
dall’aspetto buono che conoscevi fin da quando eravate piccoli e che frequentava
la mia classe durante quello stesso periodo.
Ad ogni modo non mi salutasti
subito, ma mi osservasti a lungo, fin quando il tuo volto non si illuminò di un
sorrisetto compiaciuto.
- Cavolo Sam, ma quegli
occhiali quando li hai comprati? – chiesi osservando incantata i suoi Wayfarer
neri ultimo modello.
- Circa una settimana fa.
Ti piacciono? –
- Bhè sì. Sto cercando di
convincere i miei a regalarmeli, ma sembrano ascoltarmi. Sono così testardi
che…- mi bloccai d’improvviso, rendendomi conto che la mia parlantina era
davvero fuori luogo.
Io ero fuori luogo, lo ero
sempre stata. Quando ero nervosa iniziavo a parlare troppo, esagerando e
apparendo decisamente nevrotica.
Proprio mentre smisi di
parlare tu ti levasti i Wayfarer ed i tuoi occhi mi apparvero in tutta la loro
magnificenza, come se non li vedessi da secoli. Tutto l’amore e la sofferenza
provati mi si gettarono addosso per punirmi di averli messi da parte. Il
brillio che appariva non appena la luce del sole li bagnava, la loro forma
leggermente allungata in fondo, quel riflesso più chiaro appena poco a
destra…ogni cosa di loro mi attraeva irresistibilmente. Mi porgesti gli
occhiali da sole con tale noncuranza che mi spiazzasti, di nuovo.
- A me non interessano, ne
ho un altro paio a casa ancora nuovi. Questi voglio che li tenga tu. –
Per poco non svenni: un
tuo regalo? Non mi avevi mai fatto alcun regalo, neanche mai pagato una cena
quando stavamo insieme, ed ora che avevamo fatto un giro in motore tu mi
regalavi i tuoi Ray-Ban immacolati? Sembrava uno scherzo.
- No Sam, non posso
accettare. –
- Oh Rose, non fare i complimenti dai. –
- Non è questione di fare
complimenti. –
- E allora dimmi cos’è. –
- Dio mio Sam, ma perché
non capisci?! Se io accettassi questo tuo regalo riaprirei automaticamente la pagina
della nostra storia. Tornerebbe il dolore, tornerebbe la consapevolezza di non
poterti avere. Io non voglio più soffrire. Io voglio essere forte. Per te sono
solo un paio di occhiali, per me vuol dire riprenderti nella mia vita anche se
sei stato tu a buttarmi fuori dalla tua. –
Abbassasti lo sguardo
appena un po’, per poi rialzarlo subito dopo, più orgoglioso di prima.
- E’ passato tanto tempo
no? Ho sbagliato a lasciarti, me ne rendo conto. Dai Rose, non ti piacerebbe
tornare indietro? –
E quello che avrei voluto risponderti in quel
momento non sarebbe stato lecito. Avrei urlato al mondo che io ti ho sempre
amato, che non ho smesso di farlo neanche per un singolo secondo della mia
vita, ma soprattutto ti avrei detto che io avanti non ero mai andata. Però
sapevo –avevo ormai imparato- che non bisognava mai prendere sul serio le tue
parole. Probabilmente quella tua domanda era solo uno stupidissimo test per
capire se ancora ero ai tuoi piedi. Che stronzo. Lo sapevi benissimo che ti
volevo ancora incondizionatamente eppure no, volevi le tue certezze basate sul
mio dolore. Non eri affatto cambiato. Raccolsi tutto il mio coraggio, misi da
parte il cuore e tentai di formulare un discorso sensato nella mia mente.
- Tornare indietro per
cosa? Per stare insieme un mese o due e poi vederti andare via di nuovo? Io mi
sono rifatta una vita Sam, cerca di capirlo una volta per tutte.-
Mi guardasti, in un modo
in cui non mi avevi mai guardata prima. Sembravi dubbioso, quasi perplesso, ma
quell’ombra di insicurezza svanì immediatamente dai tuoi bellissimi occhi neri
ed in essi tornò la solita luce di superiorità.
- Ricordati mia cara Rose,
che tu mi appartieni. –
Rimasi senza parole, conscia
della mia fragilità. Avevi toccato il tasto dolente, avevi centrato l’unico vero
problema di tutta la faccenda. ti odiavo, ti odiavo con tutta me stessa perché
sapevi quanto fossi importante per me. Mi ero giurata di non ricaderci più,
avevo bruciato le tue foto, la maglietta
che avevi lasciato in camera mia, avevo gettato tutto ciò che avevo di te
sperando di dimenticarti, ma tutto questo non era valso a nulla. Ed eccomi lì, nuovamente
incapace di cacciarti via dalla mia vita, nuovamente debole, senza vie
d’uscite.
Mi sistemai la borsa dei
libri in spalla e mi voltai a testa alta, attraversando la strada ed entrando
in casa, senza neanche salutarti mentre dentro di me immaginavo la tua
espressione compiaciuta, le fossette al lati della bocca e quel senso di
soddisfazione che dovevi aver provato. Odiavo te ed odiavo me stessa perché
dopotutto ancora ero roba tua.