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Autore: costance    15/03/2010    0 recensioni
Cosa volevi che ti dicessi Sam? Che senza di te mi sentivo morire dentro ogni giorno di più? Vidi l’espressione sul tuo viso passare da beffarda a soddisfatta. C’eri riuscito di nuovo, eri riuscito a capire se provavo qualcosa verso di te. Ci cascavo sempre, anche quando stavamo insieme, ma chissà perché quel giorno quello che stai facendo mi sembrava un gioco tremendamente doloroso. Per me ovviamente. Tu ti divertivi, tu ti credevi un Dio non è così? Sei sempre stato abituato ad avere tutto per te, a non dover rinunciare mai a nulla. Io ero stata solo l’ennesima bambolina della tua interminabile collezione. Probabilmente quella più nuova, conservata ancora nella confezione di plastica.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo riprese a correre veloce, troppo veloce per me, che sentivo suonare campanelle in tempi indefiniti, senza rendermi conto delle lezioni a cui “partecipavo”, delle persone che mi rivolgevano la parola, del clima al di fuori della finestra che mutava, velocemente.

Uscì così un sole splendente, un sole che brillava in un cielo turchese privo di qualsiasi nuvola: era meraviglioso, era forte.

Fu così che suonò la campanella che segnava la fine dell’ultima ora. Raccolsi in fretta le mie cose dal banco infilandole alla rinfusa nella borsa e silenziosamente uscì dalla classe, mischiandomi al flusso di persone – centinaia di persone – che si apprestavano a recarsi fuori dall’edificio.

Un po’ mi sentivo strattonata, un po’ ero trascinata; non ci tenevo a farmi valere come facevano le altre. Mi lasciavo trascinare dalla massa, spintonare molto poco delicatamente, ma comunque non era importante. Raggiunsi in fretta l’atrio della scuola e di conseguenza la porta d’ingresso della scuola che varcai con un sospiro di sollievo: ero libera. Accelerai il passo, scendendo le scale che mi separavano dal marciapiede, ma proprio lì vidi l’unica persona che forse era meglio non vedere in quel momento. Ma come chi Sam? Eri proprio tu.

Eri seduto sulla tua Vespa Nera con il tuo Momo grigio e bianco appoggiato accanto a te. Fumavi a piccoli respiri una Marlboro Gold, sistemandoti i tuoi Wayfarer sulla testa. Cercavi qualcuno, ma non avevo idea di chi fosse. Che tu avessi già una nuova ragazza? Erano passati solo due giorni dall’ultima volta che eri uscito con quella biondina di prima superiore. Ma tu a queste cose non davi importanza: non appena vedevi una ragazza che stuzzicava il tuo interesse la invitavi a uscire e nessuna di queste sapeva dirti di no. Io ne sono l’esempio palese non credi anche tu?

Cercai di passarti accanto con indifferenza ma tu mi prendesti al volo un braccio e mi tirasti a te. Mi facesti male, ma non riuscì a dire nulla.

- Non si usa più salutare Rose? –

- Oh scusa, mi era sfuggita la tua presenza. –

Scoppiasti a ridere: sapevi perfettamente che mentivo, mentivo spudoratamente. Avevi lo stramaledetto potere di leggermi nel pensiero, di capire esattamente cosa provavo. Ti odiavo per questo.

- Vuoi un passaggio? –

- Sam, non mi piace come guidi, lo sai. –

- Ma è passato un anno e mezzo - mi lanciasti un’occhiata provocatoria – magari adesso guido meglio. –

Mi spiazzasti. Non sapevo cosa risponderti, mi avevi presa in contropiede, un’altra volta. Cosa avrei dovuto risponderti? Morivo dalla voglia di farmi un giro in vespa con te, ma se l’avessi fatto avrei potuto dire addio all’idea di dimenticarti.

Mi porgesti il tuo casco ed io come una stupida lo presi e me lo infilai sistemandomi dietro di te che già ti eri seduto sulla sella beige.

Gli sguardi stupiti della maggior parte delle altre persone che ci erano attorno provocarono in me un moto di soddisfazione: ero di nuovo io quella che venivi a prendere a scuola. Iniziasti a percorrere le strade che ci separavano da casa mia, una quindicina di chilometri di distanza dalla scuola, e mi resi immediatamente conto che la tua guida non era affatto cambiata: eri un pazzo sconsiderato.

Eppure mi piaceva stare lì, aggrappata a te. La sola sensazione di sfiorarti mi mandava in estasi: sentivo i tuoi muscoli contrarsi ad ogni movimento sotto la maglia nera che, lasciatelo dire, ti stava divinamente. Mi sembrava d’essere tornata indietro nel tempo, quando ogni giorno eri pronto sotto casa mia per portarmi dovunque volessi, per accompagnarmi a scuola o in pista per gli allenamenti.

Sentivo la tua mano destra accarezzarmi la gamba ed ogni volta che mi sfioravi un brivido freddo mi correva veloce lungo la schiena. Mi continuavo a chiedere perché all’improvviso tu fosti tornato indietro, indietro dove mi avevi lasciato un anno prima, indietro dove io continuavo imperterrita ad aspettarti, senza riuscire a muovermi. Non trovavo risposte plausibili, non trovavo risposte adatte alla tua personalità. Che avessi capito l’errore e fossi tornato da me? Sembrava così impossibile, non pensavo che l’avresti mai fatto. Quell’idea mi ubriacò quasi, come se avessi bevuto un bicchiere di vodka e fossi completamente fuori di testa. Nella testa sentivo mille bollicine frizzanti e nello stomaco milioni di farfalle si divertivano a farmi il solletico. Non mi rendevo conto che ci stavo cascando di nuovo. Credevo di aver imparato dalla precedente delusione, ma invece no, non riuscivo a resisterti. Non avrei mai rinunciato all’idea di essere tua e tua soltanto. Qualche minuto dopo arrivammo sotto casa mia e prontamente scesi dalla tua Vespa mentre tu mi osservavi: osservavi i miei movimenti, le mie espressioni. Sembrava quasi che cercassi di capire quanto ero cambiata da quando stavamo insieme. Che cercassi di capire quanto avevo sofferto per te? Il tuo sguardo profondo come la notte era indecifrabile anche per me che avevo passato ore ad osservare quegli occhi che tanto amavo. Nessuno era mai riuscito a capirti, a capire cosa pensavi, a capire se davvero ci tenevi alle ragazze che frequentavi. C’era solo una persona con cui ti confidavi, una persona che consideravi un fratello: Eric Grey. Eric era un ragazzo davvero simpatico, dai capelli castano scuro e grandi occhi verdi dall’aspetto buono che conoscevi fin da quando eravate piccoli e che frequentava la mia classe durante quello stesso periodo.

Ad ogni modo non mi salutasti subito, ma mi osservasti a lungo, fin quando il tuo volto non si illuminò di un sorrisetto compiaciuto.

- Cavolo Sam, ma quegli occhiali quando li hai comprati? – chiesi osservando incantata i suoi Wayfarer neri ultimo modello.

- Circa una settimana fa. Ti piacciono? –

- Bhè sì. Sto cercando di convincere i miei a regalarmeli, ma sembrano ascoltarmi. Sono così testardi che…- mi bloccai d’improvviso, rendendomi conto che la mia parlantina era davvero fuori luogo.

Io ero fuori luogo, lo ero sempre stata. Quando ero nervosa iniziavo a parlare troppo, esagerando e apparendo decisamente nevrotica.

Proprio mentre smisi di parlare tu ti levasti i Wayfarer ed i tuoi occhi mi apparvero in tutta la loro magnificenza, come se non li vedessi da secoli. Tutto l’amore e la sofferenza provati mi si gettarono addosso per punirmi di averli messi da parte. Il brillio che appariva non appena la luce del sole li bagnava, la loro forma leggermente allungata in fondo, quel riflesso più chiaro appena poco a destra…ogni cosa di loro mi attraeva irresistibilmente. Mi porgesti gli occhiali da sole con tale noncuranza che mi spiazzasti, di nuovo.

- A me non interessano, ne ho un altro paio a casa ancora nuovi. Questi voglio che li tenga tu. –

Per poco non svenni: un tuo regalo? Non mi avevi mai fatto alcun regalo, neanche mai pagato una cena quando stavamo insieme, ed ora che avevamo fatto un giro in motore tu mi regalavi i tuoi Ray-Ban immacolati? Sembrava uno scherzo.

- No Sam, non posso accettare. –

- Oh Rose, non  fare i complimenti dai. –

- Non è questione di fare complimenti. –

- E allora dimmi cos’è. –

- Dio mio Sam, ma perché non capisci?! Se io accettassi questo tuo regalo riaprirei automaticamente la pagina della nostra storia. Tornerebbe il dolore, tornerebbe la consapevolezza di non poterti avere. Io non voglio più soffrire. Io voglio essere forte. Per te sono solo un paio di occhiali, per me vuol dire riprenderti nella mia vita anche se sei stato tu a buttarmi fuori dalla tua. –

Abbassasti lo sguardo appena un po’, per poi rialzarlo subito dopo, più orgoglioso di prima.

- E’ passato tanto tempo no? Ho sbagliato a lasciarti, me ne rendo conto. Dai Rose, non ti piacerebbe tornare indietro? –

E  quello che avrei voluto risponderti in quel momento non sarebbe stato lecito. Avrei urlato al mondo che io ti ho sempre amato, che non ho smesso di farlo neanche per un singolo secondo della mia vita, ma soprattutto ti avrei detto che io avanti non ero mai andata. Però sapevo –avevo ormai imparato- che non bisognava mai prendere sul serio le tue parole. Probabilmente quella tua domanda era solo uno stupidissimo test per capire se ancora ero ai tuoi piedi. Che stronzo. Lo sapevi benissimo che ti volevo ancora incondizionatamente eppure no, volevi le tue certezze basate sul mio dolore. Non eri affatto cambiato. Raccolsi tutto il mio coraggio, misi da parte il cuore e tentai di formulare un discorso sensato nella mia mente.

- Tornare indietro per cosa? Per stare insieme un mese o due e poi vederti andare via di nuovo? Io mi sono rifatta una vita Sam, cerca di capirlo una volta per tutte.-

Mi guardasti, in un modo in cui non mi avevi mai guardata prima. Sembravi dubbioso, quasi perplesso, ma quell’ombra di insicurezza svanì immediatamente dai tuoi bellissimi occhi neri ed in essi tornò la solita luce di superiorità.

- Ricordati mia cara Rose, che tu mi appartieni. –

Rimasi senza parole, conscia della mia fragilità. Avevi toccato il tasto dolente, avevi centrato l’unico vero problema di tutta la faccenda. ti odiavo, ti odiavo con tutta me stessa perché sapevi quanto fossi importante per me. Mi ero giurata di non ricaderci più, avevo bruciato le tue  foto, la maglietta che avevi lasciato in camera mia, avevo gettato tutto ciò che avevo di te sperando di dimenticarti, ma tutto questo non era valso a nulla. Ed eccomi lì, nuovamente incapace di cacciarti via dalla mia vita, nuovamente debole, senza vie d’uscite.

Mi sistemai la borsa dei libri in spalla e mi voltai a testa alta, attraversando la strada ed entrando in casa, senza neanche salutarti mentre dentro di me immaginavo la tua espressione compiaciuta, le fossette al lati della bocca e quel senso di soddisfazione che dovevi aver provato. Odiavo te ed odiavo me stessa perché dopotutto ancora ero roba tua.

  
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