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Autore: Sammael    15/03/2010    1 recensioni
Li attraggo, li affascino, li attiro intorno a me come se fossero insetti, e io il fiore. Un fiore che non ha spine, è appena nato, ma crescerà. Obbediscono a tutto ciò che dico, fanno ciò che desidero. Mi seguono correndo nel mercato, ma le mie gambe sono più lunghe, più svelte, più bianche delle loro. Li semino e li riprendo, li scaccio e li accolgo, a mio piacimento.
Ho sette anni, e mi sento il padrone del mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo e Sofferenza

Il paio di mani che mi corrono sulla pelle sono scurissime, sembrano quasi fredde al confronto con la mia pelle bollente. Mi abbandono al loro sfiorare ed esplorare, chiudendo gli occhi mentre l’aria mi esce dalle labbra in lievi sospiri.
È tutto calcolato. Fra poco il Kiyan tornerà qui, nelle mie stanze. E non mi troverà da solo; l’uomo che ho scelto non è bello, né alto. Non ha nulla di interessante in quei capelli grigi che cominciano a sparire sulle tempie. Ma non importa. È un uomo e tanto basta.
Appoggio ginocchia e palmi sulla stuoia, non voglio guardarlo in faccia. La lieve eccitazione che sento scorrere calma sotto la pelle potrebbe sparire, e a me serve. Mi serve per fare del male a me stesso e al sovrano di Persia. E io desidero disperatamente entrambe le cose.
È dentro di me e lo sento gemere e invocare il mio nome, che appena l’ho adescato l’ha fatto sorridere. Parsa: casto, puro. Mi viene quasi da ridere. Al momento non esiste nessuno al mondo più corrotto e sporco di me. Nessuno tanto disposto a mandare alle ortiche una vita che potrebbe essere meravigliosa per lo sciocco dolore di un amico perduto. Adel. Che non era soltanto quello. Era molto più di un amico, un amante e un fratello. Era l’altra parte di me. E adesso è morto. E con lui quel lato del mio essere è scomparso, come se non fosse mai esistito. E mi ha lasciato vuoto, e finto, e svuotato, e inutile.
Inarco un poco la schiena, gemendo. Mi sembra quasi di sentire i passi del Kiyan, un attimo prima che la porta della stanza si apra e mi volti giusto in tempo per osservare quell’espressione che per molte notti e molti giorni è stata l’unica cosa che mi ha fatto andare avanti e mi ha impedito di aprirmi le vene con uno di quei coltelli gemmati nella sala d’ingresso.
È addolorato. Sconvolto. Sorpreso, anche. Ma, soprattutto, è furioso. L’uomo ha cominciato ad implorare perdono già da diversi istanti, mi porto a sedere per osservarlo allungare le braccia in direzione del re, piangendo disperato. Guardo il suo corpo nudo e prostrato, e non posso fare a meno di compararlo ad un grosso e viscido verme. Non c’è ansia né paura dentro di me. Solo quiete.
Il Kiyan ha mosso qualche passo e si è portato alle sue spalle. Tremano le sue braccia e trema la mano che ha appena sfoderato un pugnale. Le gemme sul manico sembrano quasi brillare alla luce del sole che penetra nella stanza. La mano libera si dirige fra i radi capelli dell’uomo inginocchiato e tira.
Lo sguardo terrorizzato di quel cortigiano non mi causa nulla.
Non c’è rumore. La lama recide la tenera carne della gola senza emettere un suono. Mi scanso perché il sangue non mi sporchi. Il corpo cade sul pavimento con un tonfo. Sorrido, alzando lo sguardo verso il sovrano. Trema un’ultima volta, poi scappa, sbattendosi la porta alle spalle.
La macchia si allarga sul pavimento, e mi scopro osservarla affascinato. Raggiunge la stuoia, ma non me. E questo è quello che conta. So che sono stato io la causa della morte di quest’uomo inutile e disgustoso, ma non voglio essere toccato dal suo maledetto sangue. Non era mia la mano che reggeva il coltello.
Io sono innocente. 

Pensavo che stanotte non sarebbe venuto da me.
E invece è qui, e le sue spinte sono rapide, forti, feroci e incredibilmente dolorose. Non riesco ad escluderlo, come ho fatto da parecchie lune. Fa male.
Non è mai stato così.
Ma sento che ogni fremito nelle sue mani lo uccide, esattamente come sta uccidendo me. Ogni spinta è un insulto sputato sulla pelle scoperta e sudata. Ogni ringhio e ogni ansito sono minacce di infiniti tormenti.
Finché il dolore e la rabbia gli pervadono i sensi, sopporterò. 

È una bella giornata.
Il sole splende nei giardini del palazzo e gli alberi sono carichi di frutti. L’erba sotto i piedi nudi è tiepida e umida. Un paio di ragazzini mi sfrecciano accanto, ridendo. Sorrido, almeno fino a che non li sento urlare e non vedo i loro piccoli corpi cadere a terra e le loro risate ansanti non mi giungono alle orecchie.
Chino la testa e riprendo a camminare. 

«PERCHE’ LO FAI?!».
«Ne ho voglia».
Lo vedo tremare da capo a piedi per sopprimere l’ennesimo urlo che minaccia di spaccargli il petto in due. Sorrido, quasi dolcemente.
«Tu vuoi punirmi! Tu vuoi uccidermi!» esclama, stringendo con forza quel pugnale ormai macchiato del sangue di innumerevoli uomini.
«Sì».
Ammutolisce. «Vuoi uccidermi...» mormora, lo sguardo perso e immobile.
«Sì» ripeto in tono soave.
Spero che quella mano tremante mi diriga contro la lama e metta fine ad ogni cosa. Sono praticamente certo che mi ucciderà, quando si avvicina.
Ma il pugnale cade a terra con un suono attutito dalle mani e dalle labbra del Kiyan che mi invadono il viso e la bocca. Non faccio nulla.
Mi prende per le spalle e mi scuote con forza. Mi limito a sorridergli. «Non puoi farmi questo! Non puoi...». La sua voce si affievolisce fino a non permettergli di emettere anche il minimo suono.
Rimango in silenzio.
«Tu sei mio... sei mio! Mi hai capito?! SEI MIO!» urla. «Non permetterò che qualcun altro ti tocchi!» aggiunge. Lo vedo cercare qualcosa nei miei occhi, ma non trova nulla. Tutta l’ammirazione, l’amore, l’affetto, la venerazione che provavo per lui. Sono sparite. Si sono accartocciate su loro stesse fino a crepitare, come immerse nel fuoco, e sono scomparse. La loro cenere è il suo dolore. E la mia forza.
Perché l’ho amato. In un modo completamente diverso da Adel, ma l’ho amato. Fin da quando mi ha salvato, ancora bambino, anni fa, dall’invidia del suo protetto di allora. Era il mio dio. Era il mio signore. I miei occhi di fanciullo e poi di ragazzo in lui non vedevano altro che bontà, giustizia, gentilezza. Ed ero suo, solo suo.
Fra le sue braccia bollenti e scure, non c’era nulla che potesse farmi del male.
Una lama di sottile e crudele sofferenza sembra lacerarmi il petto.
Conosceva la mia pelle meglio di quanto la conoscessi io. Sapeva farmi tremare da capo a piedi con un sospiro che andava ad infrangersi nel punto giusto. Le sue mani sul mio corpo erano l’unica cosa vera e fisicamente presente che riuscissi a concepire. Le sue labbra e la sua lingua lasciavano scie gentili e bramose fino a farmi gemere. E lo amavo. Perdutamente. Terribilmente.
Ma se serve fingere di averlo sempre odiato, ebbene, lo farò. Riporterò alla mente ogni istante in cui mi ha fatto sentire un oggetto, ogni secondo di ogni notte che passava con la regina, lontano dalla mia stuoia e dalle mie labbra. Ricorderò i sorrisi complici a accondiscendenti che mi lanciavano gli altri a corte. Rammenterò le ore passate a piangere e a dormire, devastato nell’anima e nel corpo.
Le volte in cui mi faceva sentire al centro del mondo non sono mai esistite. Mai.

E eccoci di nuovo qui. ^^
Grazie come sempre a Nemuchan per la sua recensione. ^^ Sai, il Kyian è un personaggio, a mio parere, piuttosto affascinante. *ride* Quindi capisco la tua indecisione sul cosa pensare di lui. ^^
Grazie anche a coloro che leggono restando in virtuale silenzio. *si inchina*
Alla prossima!
P.S. Vi avviso da ora, comunque. Il prossimo capitolo sarà molto breve, e non posso fare a meno di postarlo così com'è. ^^ Comunque come potete vedere aggiorno molto spesso e, perciò, non vi farò penare molto. ^^
  
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