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Autore: Sammael    17/03/2010    1 recensioni
Li attraggo, li affascino, li attiro intorno a me come se fossero insetti, e io il fiore. Un fiore che non ha spine, è appena nato, ma crescerà. Obbediscono a tutto ciò che dico, fanno ciò che desidero. Mi seguono correndo nel mercato, ma le mie gambe sono più lunghe, più svelte, più bianche delle loro. Li semino e li riprendo, li scaccio e li accolgo, a mio piacimento.
Ho sette anni, e mi sento il padrone del mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Incubo e Speranza

«Kamal».
Sono morto. Devo essere morto. È stato tutto così veloce... non ho nemmeno sentito dolore. Ma l’erba sotto la schiena e le gambe nude sembra così reale. Tengo gli occhi chiusi, ho paura che, se li aprissi, quella voce sparirebbe. Di nuovo.
Ho trascorso mesi a ricordarla, ma ora i pensieri che la mia mente ha elaborato nell’agonia mi sembrano scialbi e insipidi. Quasi tremo.
E se fosse solo l’ennesimo sogno?
«Kamal...».
«Non voglio svegliarmi» mormoro quasi senza accorgermene. Il vuoto dietro le palpebre chiuse si fa più scuro. Qualcosa ha impedito al sole di colpirmi il viso. Stavolta tremo davvero; è qualcosa di incontrollato che parte dalle mani e arriva a rizzarmi i capelli sulla nuca.
Un respiro mi accarezza le labbra. Che io sia dannato se questo non è l’odore di Adel. È talmente vicino che posso sentire il suo sapore in bocca. Mi sfugge un sospiro tremante, mentre delle dita mi sfiorano una guancia.
«Mi dispiace...» mormora la voce.
E finalmente apro gli occhi.
Dei, sto per morire davvero, adesso.
Non ho il tempo di realizzare nulla, il mio corpo non concede nemmeno un istante al cervello per elaborare e metabolizzare l’evento. Mi lancio su di lui.
Vorrei chiedergli come fa ad essere ancora qui, vorrei domandargli che fine ha fatto in questi mesi. Ma al momento ho le labbra occupate a baciare ogni singolo lembo della sua pelle abbastanza vicino.
Capisco che è un sogno non appena realizzo che non si ritrae. Così mi scosto io.
«Sto sognando» dico, impossibilitato a non guardarlo. Dei, è così bello. Non potrei staccargli gli occhi di dosso nemmeno se lo volessi davvero. Ma non può, non può essere qui. Non può essere fisicamente qui. È morto. È morto. Sei mesi fa. 
«Adel...».
Stavolta è lui ad avvicinarsi. Mi abbraccia, forte. Sembra quasi che voglia soffocarmi. Mi bacia la testa, la fronte, le guance, ritorna ai capelli. «Mi dispiace... ho dovuto farlo... Kamal...» lo sento mormorare, lievemente ansante.
Scuoto la testa in un gesto totalmente istintivo. «Tu... non...».
Mi ferma mettendomi le mani sulle guance. «Sono qui. Sono qui».
No, non sei qui. Non puoi. Sei morto. Morto. Ed è stata colpa mia...” penso, ma non riesco a dare vita a questo dolore. Non riesco a crederci. Perché non è vero.
Ma, che cada il cielo e mi strappino i settecento veli del cuore, se la sua pelle non è serica come la ricordavo. Se il suo sapore non è accecante e se il suo odore non riesce a stordirmi tanto da farmi rabbrividire.
Mi accorgo di piangere solo quando lo sento asciugarmi il viso con i pollici. Le lacrime mi tirano la pelle delle guance. Sembra tutto così reale...
«Il Kiyan non ha ordinato la mia morte, Kamal. Avrebbe voluto, ma non l’ha fatto... ho solo avuto l’obbligo di abbandonare la città e non farmi mai più vedere... No, non... non fare così...» dice, vedendomi scuotere la testa.
Dei, voglio morire.
Non è qui. Non... «Adel...». Ho la voce roca. Ma non tento di schiarirla con un colpo di tosse. È un groppo al centro esatto del petto che me lo impedisce. E somiglia tragicamente all’angoscia. Mi sembra che ogni volta che pronuncio il suo nome qualcosa dentro di me si laceri senza possibilità di rinsavire.
Avvicina il suo viso al mio. Lo vedo chiudere gli occhi. «Mi dispiace...».
«Mio padre... lui...».
«Sa tutto. Mi ha aiutato ad uscire dalla città senza farmi vedere da nessuno. Tu non... dovevi sapere». Le sue parole sembrano giungermi alle orecchie con qualche secondo di ritardo.
Ma quando arrivano, esplodo. «TU NON SAI QUELLO CHE HO PASSATO!» urlo. Sono assolutamente sconvolto. Sento la gola bruciarmi, ma è come se non fossi davvero io, a gridare. «Cosa ho fatto! Cosa mi avete fatto...». Non riesco più a parlare, ma non smetto di guardarlo. Dei, non ci riuscirei nemmeno se ne valesse della mia vita.
Di nuovo, mi ritrovo con il viso seppellito sulla tenera carne del suo petto. Esalo un sospiro tremante. Un singhiozzo mi scuote il petto.
«Ti amo». 

Non pensavo che sarei mai tornato a sorridere.
Invece lo faccio. Tutti i giorni.
Adel si è accampato nel bosco oltre il fiume. Vado da lui ogni volta che mi è possibile. E il sesso con il Kiyan è tornato ad essere abbandono.
Con Adel no. Con lui è fuoco. Un fuoco amico, che scalda, ma non brucia. Facciamo l’amore ogni volta che ci vediamo.
A volte penso che non sia mai cambiato nulla. Vedo il suo corpo adulto e posso sentirlo sotto le dita senza rimorso. Ma ha le fossette sulle guance. È il mio Adel. È il bambino che mi ha bloccato a terra, ansante e stremato, e che mi ha battuto nella corsa e nella lotta. È il ragazzo che ho imparato ad amare e conoscere ogni istante della mia vita fino ad adesso; sempre nuovo e uguale. È l’uomo che sto vivendo e che voglio vivere fino a quando non smetterò di respirare.
E anche dopo, forse.

«Non l’hai più sposata, quella?».
La risata che gli scuote il petto arriva fino alla mia testa, posata sulla sua pelle. La sua mano corre come sempre tra i miei capelli. Sospira; sento quasi l’aria che gli invade i polmoni e viene rilasciata.
Lo prendo per un no. «Non l’ho mai vista» aggiungo. Il lieve moto d’irritazione che provavo quasi un anno fa a pensare alla promessa sposa del mio migliore amico è un sottofondo che sa di ricordo e di tenerezza.
«È bella» mormora.
La mia testa si alza di scatto dal suo petto e i miei occhi si socchiudono nel giro di qualche istante. Però sorrido, perché lo sta facendo anche lui. «Le donne sono stupide e fragili» dico, senza smettere di sorridere. «E non sanno nulla dell’amore».
«E tu sì?» mi rimbecca lui, alzando un sopracciglio.
Rido. «Io ho te».
«...e il Kiyan» aggiunge Adel, corrugando la fronte e guardando altrove.
«Non è lui che mi fa sorridere» ribatto, fissandolo.
Adel sospira, ma vedo una fossetta sulla guancia visibile e capisco che non è arrabbiato. «È riuscito ad avere un figlio?» domanda.
Le mie sopracciglia si inarcano. «No».
Silenzio, per qualche istante.
«La Regina mi odia» mormoro, accoccolandomi di nuovo sul suo corpo. Accarezzo distrattamente il suo petto. Il suo respiro sembra quasi cullarmi.
«Comprensibile».
Gli schiaffeggio l’addome, non troppo forte. Lo sento ridere. «Gliel’hai rubato» spiega. Le sue dita mi corrono sulla schiena e si fermano in basso, attirandomi a lui. Posa le labbra sui miei capelli e il lieve movimento mi fa capire che sta sorridendo. «Ma è comprensibile anche questo» aggiunge.
Sorrido. «Stupido». Mi sfugge un sospiro e una tenue risata. «Comincio a temere che ordini a qualche sua serva di avvelenarmi il cibo, prima o poi». Faccio una pausa, ma Adel non coglie l’occasione. «Se ce ne andassimo...».
Non riesco nemmeno a concludere il pensiero. «No» dice.
Alzo lo sguardo. Non sorride. Incrocia i miei occhi. «Sono vivo grazie a lui. Si è preso cura di te da sempre, Kamal. Non puoi abbandonarlo».
Vorrei ribattere, ma è la verità.

Ebbene, sì. Siete tutti liberissimi di odiare me e Kamal. *ride*
Lilandh (che come nickname mi piace proprio! E' così musicale! *w*) Comunque. ^^ Grazie per aver recensito, sono contento che ti piaccia. *si inchina*
Orbene, anche questo capitolo è concluso. ^^ Ricordo a tutti che ce ne saranno altri due, poi questa storia si concluderà. ^^
Alla prossima! ^^
  
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