Incubo e Speranza
«Kamal».
Sono
morto. Devo essere morto. È stato tutto così
veloce... non ho nemmeno sentito
dolore. Ma l’erba sotto la schiena e le gambe nude sembra
così reale. Tengo gli
occhi chiusi, ho paura che, se li aprissi, quella voce sparirebbe. Di
nuovo.
Ho
trascorso mesi a ricordarla, ma ora i pensieri che la mia mente ha
elaborato
nell’agonia mi sembrano scialbi e insipidi. Quasi tremo.
E
se fosse solo l’ennesimo sogno?
«Kamal...».
«Non voglio svegliarmi» mormoro quasi
senza accorgermene. Il vuoto dietro le palpebre chiuse si fa
più scuro. Qualcosa
ha impedito al sole di colpirmi il viso. Stavolta tremo davvero;
è qualcosa di
incontrollato che parte dalle mani e arriva a rizzarmi i capelli sulla
nuca.
Un
respiro mi accarezza le labbra. Che io sia dannato se questo non
è l’odore di
Adel. È talmente vicino che posso sentire il suo sapore in
bocca. Mi sfugge un
sospiro tremante, mentre delle dita mi sfiorano una guancia.
«Mi dispiace...» mormora la voce.
E
finalmente apro gli occhi.
Dei,
sto per morire davvero, adesso.
Non
ho il tempo di realizzare nulla, il mio corpo non concede nemmeno un
istante al
cervello per elaborare e metabolizzare l’evento. Mi lancio su
di lui.
Vorrei
chiedergli come fa ad essere ancora qui, vorrei domandargli che fine ha
fatto
in questi mesi. Ma al momento ho le labbra occupate a baciare ogni
singolo
lembo della sua pelle abbastanza vicino.
Capisco
che è un sogno non appena realizzo che non si ritrae.
Così mi scosto io.
«Sto sognando» dico, impossibilitato
a non guardarlo. Dei, è così bello. Non potrei
staccargli gli occhi di dosso
nemmeno se lo volessi davvero. Ma non può, non
può essere qui. Non può essere
fisicamente qui. È morto. È morto. Sei mesi fa.
«Adel...».
Stavolta
è lui ad avvicinarsi. Mi abbraccia, forte. Sembra quasi che
voglia soffocarmi.
Mi bacia la testa, la fronte, le guance, ritorna ai capelli. «Mi
dispiace... ho dovuto farlo... Kamal...»
lo sento mormorare, lievemente ansante.
Scuoto
la testa in un gesto totalmente istintivo. «Tu... non...».
Mi
ferma mettendomi le mani sulle guance. «Sono
qui. Sono qui».
“No, non sei qui. Non puoi. Sei
morto. Morto.
Ed è stata colpa mia...” penso, ma non
riesco a dare vita a questo dolore.
Non riesco a crederci. Perché non è vero.
Ma,
che cada il cielo e mi strappino i settecento veli del cuore, se la sua
pelle
non è serica come la ricordavo. Se il suo sapore non
è accecante e se il suo
odore non riesce a stordirmi tanto da farmi rabbrividire.
Mi
accorgo di piangere solo quando lo sento asciugarmi il viso con i
pollici. Le
lacrime mi tirano la pelle delle guance. Sembra tutto così
reale...
«Il Kiyan non ha ordinato la mia morte,
Kamal. Avrebbe voluto, ma non l’ha fatto... ho solo avuto
l’obbligo di
abbandonare la città e non farmi mai più
vedere... No, non... non fare così...»
dice, vedendomi scuotere la testa.
Dei,
voglio morire.
Non
è qui. Non... «Adel...». Ho la
voce roca. Ma non tento di schiarirla con un colpo di tosse.
È un groppo al
centro esatto del petto che me lo impedisce. E somiglia tragicamente
all’angoscia. Mi sembra che ogni volta che pronuncio il suo
nome qualcosa
dentro di me si laceri senza possibilità di rinsavire.
Avvicina
il suo viso al mio. Lo vedo chiudere gli occhi. «Mi
dispiace...».
«Mio padre... lui...».
«Sa tutto. Mi ha aiutato ad uscire dalla
città senza farmi vedere da nessuno. Tu non... dovevi sapere».
Le sue
parole sembrano giungermi alle orecchie con qualche secondo di ritardo.
Ma
quando arrivano, esplodo. «TU NON SAI
QUELLO CHE HO PASSATO!» urlo. Sono assolutamente sconvolto.
Sento la
gola bruciarmi, ma è come se non fossi davvero io, a
gridare. «Cosa ho fatto! Cosa mi avete fatto...».
Non riesco più a parlare, ma non smetto di guardarlo. Dei,
non ci riuscirei
nemmeno se ne valesse della mia vita.
Di
nuovo, mi ritrovo con il viso seppellito sulla tenera carne del suo
petto.
Esalo un sospiro tremante. Un singhiozzo mi scuote il petto.
«Ti amo».
Non
pensavo che sarei mai tornato a sorridere.
Invece
lo faccio. Tutti i giorni.
Adel
si è accampato nel bosco oltre il fiume. Vado da lui ogni
volta che mi è
possibile. E il sesso con il Kiyan è tornato ad essere
abbandono.
Con
Adel no. Con lui è fuoco. Un fuoco amico, che scalda, ma non
brucia. Facciamo
l’amore ogni volta che ci vediamo.
A
volte penso che non sia mai cambiato nulla. Vedo il suo corpo adulto e
posso
sentirlo sotto le dita senza rimorso. Ma ha le fossette sulle guance.
È il mio
Adel. È il bambino che mi ha bloccato a terra, ansante e
stremato, e che mi ha
battuto nella corsa e nella lotta. È il ragazzo che ho
imparato ad amare e
conoscere ogni istante della mia vita fino ad adesso; sempre nuovo e
uguale. È
l’uomo che sto vivendo e che voglio vivere fino a quando non
smetterò di
respirare.
E
anche dopo, forse.
La
risata che gli scuote il petto arriva fino alla mia testa, posata sulla
sua
pelle. La sua mano corre come sempre tra i miei capelli. Sospira; sento
quasi
l’aria che gli invade i polmoni e viene rilasciata.
Lo
prendo per un no. «Non l’ho mai vista»
aggiungo. Il lieve moto d’irritazione che provavo quasi un
anno fa a pensare
alla promessa sposa del mio migliore amico è un sottofondo
che sa di ricordo e
di tenerezza.
«È bella» mormora.
La
mia testa si alza di scatto dal suo petto e i miei occhi si socchiudono
nel
giro di qualche istante. Però sorrido, perché lo
sta facendo anche lui. «Le donne sono stupide e
fragili»
dico, senza smettere di sorridere. «E
non sanno nulla dell’amore».
«E tu sì?» mi rimbecca lui, alzando
un sopracciglio.
Rido. «Io ho te».
«...e il Kiyan» aggiunge Adel,
corrugando la fronte e guardando altrove.
«Non è lui che mi fa sorridere» ribatto,
fissandolo.
Adel
sospira, ma vedo una fossetta sulla guancia visibile e capisco che non
è
arrabbiato. «È riuscito ad avere un
figlio?»
domanda.
Le
mie sopracciglia si inarcano. «No».
Silenzio,
per qualche istante.
«La Regina mi odia» mormoro, accoccolandomi
di nuovo sul suo corpo. Accarezzo distrattamente il suo petto. Il suo
respiro
sembra quasi cullarmi.
«Comprensibile».
Gli
schiaffeggio l’addome, non troppo forte. Lo sento ridere.
«Gliel’hai rubato» spiega. Le sue
dita mi corrono sulla schiena e si fermano in basso, attirandomi a lui.
Posa le
labbra sui miei capelli e il lieve movimento mi fa capire che sta
sorridendo. «Ma è comprensibile anche
questo»
aggiunge.
Sorrido. «Stupido». Mi sfugge un
sospiro e una tenue risata. «Comincio
a temere che ordini a qualche sua serva di avvelenarmi il cibo, prima o
poi».
Faccio una pausa, ma Adel non coglie l’occasione.
«Se ce ne andassimo...».
Non
riesco nemmeno a concludere il pensiero. «No» dice.
Alzo
lo sguardo. Non sorride. Incrocia i miei occhi. «Sono vivo
grazie a lui. Si è preso cura di te da sempre, Kamal. Non
puoi abbandonarlo».
Vorrei
ribattere, ma è la verità.
Lilandh (che come nickname mi piace proprio! E' così musicale! *w*) Comunque. ^^ Grazie per aver recensito, sono contento che ti piaccia. *si inchina*
Orbene, anche questo capitolo è concluso. ^^ Ricordo a tutti che ce ne saranno altri due, poi questa storia si concluderà. ^^
Alla prossima! ^^