VIII
Ero
da sola, vestita elegantemente con un abito da sera dai colori delle foglie
d’autunno in uno spazio che potevi tranquillamente definire ristretto e
infinito allo stesso tempo.
Mi
trovavo dentro una specie di scatola quadrata, di non più di due metri per
lato, le cui pareti non erano altro che specchi che mi riflettevano migliaia e
migliaia di volte in un gioco continuo.
Una
gabbia, una trappola o qualunque cosa che potesse contenermi, fermarmi,
bloccarmi.
Il
vestito frusciava pigramente mentre giravo su me stessa cercando di capirci
qualcosa, in preda all’ansia.
Un
attimo. In preda all’ansia, per cosa? Mi bloccai. Qualcosa mi diceva che stavo
scappando. Scappando, certo, ma da chi, o da che cosa?
Misi
a fuoco lo specchio davanti a me e vidi che dietro di me stava sbucando un
ragazzo.
Un viso affilato piegato in un sorriso maligno che si
rifletteva negli occhi rossi.
Edmund.
Scappa!
Questo comando mi scoppiò in testa come il rombo di un
tuono.
Certo,
scappare, ma da che parte?
Lui
era uscito da una parete, il che significava che quella era anche una possibile
via di fuga. Ma significava anche andare incontro alla
morte.
Ma se lui
era sbucato da uno specchio, il che probabilmente poteva anche significare che
ogni specchio si poteva attraversare.
Non
so perché, ma sorrisi sicura di me, sicura di riuscire
a fuggirgli.
Corsi verso lo specchio che mi stava di fronte. Ma andai a sbattergli
contro.
Mi
accasciai al suolo, le spalle alla parete. Migliaia di occhi
si sbarrarono per il terrore. Lui era sopra di me. Questa era
davvero la fine.
Sentii
le zanne lacerarmi il collo, impietose. Sentii il mio sangue defluire come un
torrente in piena dall’arteria. E poi non sentii più
nulla, solo vuoto e un senso di totale leggerezza.
Mi
ritrovai a fluttuare in aria, come uno spirito, e ad osservare quella scena
dall’alto.
Mi
accorsi che quella scatola dove tutto si stava svolgendo era sospesa in un
infinito spazio bianco e sembrava protrarsi senza fine verso l’alto.
E poi mi
accorsi che gli specchi avevano qualcosa che non andava. Addossati a uno c’eravamo io e Edmund, ma
gli altri non riflettevano l’immagine di Edmund. No,
sembrava un’altra persona che conoscevo. Sembrava quasi...
Non
feci in tempo a formulare il pensiero, che la testa del riflesso guizzò verso
l’alto, verso di me. E poi prese a salire sempre più veloce, sempre più veloce,
sempre più veloce…
Voleva
me. E io provavo a scappare e urlavo sempre più forte, sempre più forte, sempre
più forte…
Sbarrai
gli occhi, mentre dalla gola mi usciva un rantolo gracchiante. Sentivo il corpo
scosso da violenti brividi e la bocca secca.
La
mia mano corse verso il collo e, con gesti convulsi, prese a stringere la
collana che mi aveva dato il prof più di una settimana fa
e che quasi mai toglievo. Il contatto con la superficie fredda riuscì a
calmarmi un po’, ma non abbastanza. Scivolai giù dal letto e mi diressi in
bagno.
Aprii
il rubinetto dell’acqua fredda lasciando che essa mi scivolasse sulle mani e
poi me la passai anche sulla faccia. Feci per prendere l’asciugamano che mi
cadde l’occhio sullo specchio.
Urlai.
Lo
specchio mi mostrava una ragazza dai capelli neri con il volto in preda
all’orrore. E la ragazza continuava a spostare lo sguardo da me al mio collo
sporco del sangue che seguitava a uscire da un
profondo squarcio proprio dove si trovava l’arteria.
Con
dita tremanti, mi toccai per vedere se era soltanto un’illusione. Toccai
qualcosa di viscido.
Urlai
ancora più forte. Non capivo. Come era possibile?
Sentii
del trambusto nella camera dei miei e dopo poco vidi mia madre apparire nella
cornice della porta del bagno.
-Heliza…che
è successo? Cos’hai da urlare?
Mi
toccai più volte il collo per farle capire, non riuscendo a trovare le parole
per dirglielo. Si avvicinò.
-Ti
fa male?
Tentò.
Ma possibile che non vedeva?
-…il
sangue…continua ad uscire…non so come fermarlo!
Aiutami!
-Quale
sangue? Heliza, spiegati, non capisco…
Mi
sembrava confusa.
-Non
vedi…lo squarcio, qui, sul collo?
Mi
alzò i capelli per poter vedere meglio.
-Non
c’è niente. Avrai fatto un incubo o uno di quei sogni tuoi strani…- mi
abbracciò, come era solita fare quando ero piccola.
–Soltanto un incubo…stai calma, è passato.
Annuii
con la testa e guardai di nuovo lo specchio. Tutto normale, niente sangue,
niente squarci.
Cosa mi
aveva detto il prof? “Tu non sai cosa può causare alla mente umana anche solo
la vista di un vampiro”? Bene, sembrava che avesse fatto effetto.
---
Camminavo
col vento che mi colpiva ripetutamente mentre mi dirigevo a casa di Adamson. Continuavo a
domandarmi perché mi avesse chiesto di andare a casa sua, e soprattutto perché
proprio nel tardo pomeriggio. Mi aggiravo per le strade in preda a una strana ansia, eravamo al crepuscolo quasi e sospettavo
di veder spuntare da dietro qualche angolo buio l’essere che voleva mangiarmi.
Finalmente,
arrivai a destinazione. Non feci in tempo a bussare che lui mi venne subito ad
aprire e poi mi fece accomodare in salotto.
-Perché
mi ha fatta venire qui?
-Ho ricevuto licenza di uccidere, volevo comunicartelo.
Non
so per quale ragione, ma quello che diceva non mi convinceva.
-Non
poteva dirmelo al telefono?
Sembrava
che non si aspettasse quella domanda.
-Beh,
ecco… vedi…io…era necessario che venissi, volevo
parlare con te del piano per ucciderlo… e
così…
Sembrava
si stesse arrampicando sugli specchi. Perché? Volevo
ribattere, ma non feci in tempo perché qualcun altro si intromise
nella conversazione.
-Jake, Jake, Jake… sempre a pensare a un modo per uccidermi… sei noioso, lo sai?
Mi
voltai. Edmund, chissà come, era riuscito a entrare in casa e ora se ne stava vicino al mobiletto del
salotto ad ammirare una foto.
---
Ci stiamo avvicinando a
una fine che (forse) non immaginereste mai. Le teorie del prof sembrano
vacillare…
Spero di aver pubblicato il capitolo alla
svelta!
Sekhmet 2102…grazieeeeeeeeeeeeeee!!!! Soprattutto
della comprensione! Spero con tutto il cuore di non averti delusa! Continua a
seguirmi!
Vedrò di postare il nono il più presto
possibile, alla prossima.
darkimera