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Autore: Beatrix_    21/03/2010    2 recensioni
Song-fic ispirata all'omonima canzone dei Dire Straits.
Una storia ambientata in un mondo a metà tra la realtà e la fiaba, in un mondo di stereotipi e di sogni.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Juliet [...] you said “I love you like the stars above

I'll love you till i die”, there's a place for us [...]
when you gonna realize it was just that the time was wrong?

 

Sedici anni e così tanti grilli per la testa! Sedici anni e la voglia di cambiare il mondo, il tuo mondo! Sedici anni e la sensazione di sentirsi onnipotenti. Anche Romeo doveva sentirsi onnipotente. Dopo quella sera si erano parlati una seconda e una terza volta, ancora e ancora. Parlavano spesso, e tanto, come se avessero sempre qualcosa da dirsi. Si parlavano per strada, appoggiati ai muri, oppure camminando, fianco a fianco e Romeo, per qualche ora, dimenticava la sua chitarra. Venivano da due mondi così diversi, da due strade così lontane: come avevano potuto incontrarsi? Come potevano comprendersi così profondamente? “Le strade sono molto più simili di quanto tu non immagini. Sono due strade di meschinità, e di vergogna. E andiamo dalla stessa parte. Verso lo stesso sogno, il sogno di un futuro migliore”. Le diceva spesso Romeo, quando lei, ogni volta, si meravigliava di scoprirsi così simile ad un ragazzo che girava il mondo e suonava per guadagnarsi da vivere. Lei credeva già che il mondo fosse vergogna e meschinità, e ancora non lo conosceva! Romeo, ne era sicura, sapeva sul mondo e sugli uomini molto più di lei, ma taceva, sperando di non dover mai raccontare miserie ed orrori a quella creatura così fragile eppure così forte, così dolce ma così combattiva e decisa.

 

Era stato per questo che l’aveva affascinata: per ciò che diceva. A sedici anni si ha un disperato bisogno di credere che esista un’altra realtà, un’altra verità rispetto a quella che i tuoi genitori ti impongono. Che sciocca che era stata a pensare di trovare una facile scappatoia, una via d’uscita ai problemi dell’esistenza!

Era l’imbrunire quando, svegliatasi dai suoi pensieri, si ritrovò davanti a quella che un tempo era stata la casa di Romeo. Era solo una catapecchia, con un paio di stanze, utili solo per mangiare e dormire, nemmeno tanto comodamente, ma c’era stato un tempo in cui le era sembrata una reggia.

Si diede della sciocca: per tutta la giornata non aveva fatto altro che cercare scuse a quella che era stata una sua debolezza adolescenziale: c’era stata, poi era passata, fine della storia! Pensò cercando di chiudere una porta dietro quelle elucubrazioni.

Quasi come sfida a se stessa, o al mondo, si avvicinò e bussò. La casa era vuota, non poteva che essere vuota. Era rimasta abbandonata da quando Romeo se n’era andato. Non era di nessuno, nessuno era interessato al possesso di quella ‘cosa’. Sarebbe rimasta abbandonata per sempre, come un santuario, un ricordo di qualcuno con un po’ di fantasia a cui era capitato, una volta, di approdare in quel triste porto. Con sua grande sorpresa la mano posata aperta sulla superficie legnosa della porta le scivolò via, quando la porta di aprì dall’interno. Lì, di fronte a lei, c’era proprio Romeo, sorridente come non ricordava di averlo mai visto. Era vero, non era cambiato. Gli stessi occhi, gli stessi pozzi profondi in cui era fin troppo facile smarrirsi. Lo stesso sorriso fiducioso, la stessa idea del mondo.

“Ciao, ti aspettavo!” la salutò, col tono più normale del mondo, come se fosse uno dei loro incontri di una volta, come se non fossero passati quattro anni. Lei era rimasta un momento interdetta, sulla porta. “Entra, ti offro una tazza di the” aveva continuato lui, allontanandosi verso quella che avrebbe potuto essere una cucina, ma lasciando la porta aperta. Lei aveva esitato un altro istante, poi aveva varcato quella soglia così familiare ed era entrata nello spazietto angusto dove Romeo amava tanto vivere, avendo cura di richiudersi la porta alle spalle.

 

Pioveva quando quel giorno si erano rifugiati lì. Il temporale li aveva colti per strada, vicino alla sua abitazione e Romeo, con naturalezza, l’aveva invitata ad entrare per ripararsi dall’acqua: sforzo inutile, erano già bagnati dalla testa ai piedi. L’acqua era penetrata fin dentro le ossa e tremavano entrambi, con l’aspetto di due pulcini infreddoliti. Lei, ancora sulla soglia, aveva strizzato i capelli formado una pozza proprio sull’uscio. Poi aveva riso. Avevano riso insieme. Ridevano spesso, di quei tempi. La vita era più facile, più bella, più leggera. “Ti preparo una tazza di the” le aveva detto lui, allontanandosi e lasciandola sulla soglia. Juliet aveva strizzato anche gli abiti, prima di andare a sedersi sul divanetto piazzato al centro della stanza. Aveva accolto con gioia la tazza fumante, che emanava un dolce odore, e si era scaldata le mani. Aveva bevuto il the a lunghi sorsi, sentendoselo scorrere nelle viscere, e riscaldarla tutta. Aveva guardato nella tazza, cercando, scherzosamente, di decifrare i fondi rimasti. Ricordava quel momento, quell’attimo sospeso nel tempo, così perfetto ma così manchevole. Romeo le si era fatto più vicino e l’aveva abbracciata, e baciata. Lei era rimasta immobile, con ancora la tazza vuota tra le mani: non se lo aspettava. Aveva però risposto al secondo bacio, e anche al terzo e al quarto. Non ricordava esattamente com’era che si erano spogliati, com’era che lui l’aveva baciata ed accarezzata ovunque. Ricordava di aver pianto, quando lui era entrato in lei. Il pianto di dolore si era rapidamente trasformato in pianto di gioia e dopo si erano tenuti abbracciati, stretti stretti, dimentichi del resto del mondo. “Ti amo come le stelle del cielo, ti amerò finchè non morirò” gli aveva promesso lei, sussurrandoglielo appena in un orecchio. Questo se lo ricordava, glielo aveva promesso. Lui l’aveva stretta ancora di più e, senza dir nulla, le aveva asciugato una lacrima, rimasta, colpevole, sulle sue gote.

 

“Tieni” Juliet sobbalzò, sentendo la sua voce, e, mettendo a fuoco la stanza, si accorse che Romeo, davanti a lei, le stava soltanto porgendo una innocua tazza di the. Il divano era ancora lì, al suo posto, ed il pensiero la fece arrossire. Lì vicino, un tavolo malconcio era accompagnato da un paio di sedie dall’aria poco stabile. Juliet scivolò su una di queste, posando la tazza sul tavolo e circondandola con entrambe le mani, per riscaldarle. Romeo fece lo stesso. Bevve qualche sorso in silenzio, poco convinta. Romeo non era tipo da ‘Quanto tempo è passato!’ o ‘Sei cambiata, come stai bene!’ no, lui non le avrebbe detto nulla del genere, ne era consapevole. Sentiva il suo sguardo su di sé, e, forse per quello, forse per il the bollente, iniziò a sudare.

“Sai, ci sono andato, alla fine” esordì. Lei alzò lo sguardo ed una muta domanda le si dipinse sul volto. Più che una domanda, una muta incredulità. E paura di aver indovinato. “Lì, dove...” e per un attimo, per la prima ed ultima volta in vita sua, vide Romeo esitare “dove avevamo progettato di andare... di andare a vivere... ti ricordi?”

 

“Prenderemo una casa per noi due, solo nostra, e vivremo felici!” lei aveva riso di quei progetti così ingenui, così sconclusionati. Distesi su quel divano, che era diventato il loro nido, il loro rifugio, passavano le ore a far progetti senza senso “E di cosa vivremo? Vuoi continuare a guadagnarti da vivere in questo modo?” aveva chiesto, indicando la chitarra e avvolgendo uno dei riccioli di lui tra le sue dita. Non c’era rimprovero nella sua voce, era piuttosto divertita. Lui invece si era fatto serio “No, ovviamente no. Troverò un lavoro, un lavoro rispettoso, e vivremo bene” lei era divenuta seria a sua volta. “Davvero vuoi scappare con me...?” ed il suo respiro, sul petto del ragazzo si era fatto corto. “Sì, sì, andiamo via, Juliet, andiamo via per sempre, da tutto” e nonostante il suo progetto fosse così assurdo lui era serio, tremendamente serio.

 

“È passato tanto tempo... non ha senso rivangare così il passato...” obiettò saggiamente.

D’un tratto però si vergognò.Del suo modo di vivere, così diverso da allora, del modo in cui lo trattava, dei suoi atteggiamenti così terribilmente simili a quelli di sua madre. Voleva scappare, nascondersi.

“Giusto, il passato è passato! Parliamo del presente: dimmi di te, sei felice?” Questa era una domanda facile: sapeva già cosa rispondere “Certo!” iniziò con un sorriso “Studio all’università, con Abigail e ci divertiamo sempre un sacco e poi... le compagnie sono più o meno le stesse ma... sono fidanzata, sai? Lui si chiama Louis, ed è così caro! Penso che presto ci sposeremo... insomma, la proposta ufficiale non è ancora arrivata ma i miei lo conoscono e si fidano di lui...” non sapeva perché gli stava dicendo quelle cose, ma, riflettè, quella era soltanto la sua vita, pura e semplice, senza maschere, e lei ne era orgogliosa, o credeva di esserlo. Si fermò, un po’ imbarazzata, giocherellando col manico della tazza.

“Non sei felice” arrivò lapidaria, la risposta di Romeo. Juliet abbassò lo sguardo sulla tazza, ancora piena e fumante. Ne bevve un lungo sorso e sentì, di nuovo, il liquido bollente scenderle fin giù nello stomaco. Era una bella sensazione “Romeo, ti prego...” sussurrò, guardando sempre il the ed il tavolo.

“Non è per rivangare il passato ma... i tuoi sogni? Le tue aspirazioni per un mondo migliore? Cosa stai facendo per raggiungere i tuoi ideali?” sembrava molto convinto e Juliet provò, di fronte a lui, un moto di stizza.

Alzò la testa e lo fissò, dritto negli occhi “Sono cresciuta, Romeo. Cresciuta. Ad un certo punto capisci che nella vita si ha bisogno di basi, di certezze. Una famiglia, una casa, magari un lavoro... Non si può vivere di ideali, come è impossibile cambiare il mondo, dovresti essertene accorto, ormai! Arriva anche il momento di rendersi conto della vacuità dei sogni giovanili!” affermò decisa.

“Non sei felice, e non ti servirà a nulla cedere a queste certezze così materiali. Potrai avere una casa, una famiglia e non rischiare mai di morir di fame, ma se non sei felice sarai sempre da sola in questo mondo, e nulla riuscirà a darti soddisfazione” osservò, troppo acutamente, Romeo.

Le non sapeva cosa rispondere, annaspava nel mare delle sue bugie, ma quello era il suo mondo e avrebbe lottato per difenderlo, lo avrebbe difeso ad ogni costo! “Non si può vivere una vita come la vivi tu! Non è così che funziona! Le persone normali non lo fanno! Le persone normali hanno bisogno di avere dei valori!” replicò lei, quasi urlando.

 

Tremava, nell’aria gelida, dopo essersi chiusa la porta di Romeo alle spalle. Non avrebbe voluto litigare con lui, non voleva mai. Ma lui era così ottuso! Perché non riusciva a capire? “Ce ne andremo via, lontano da tutto e da tutti e tu sarai finalmente libera di fare ciò che vuoi, c’è un posto per noi! Ci sta aspettando!” sapeva solo dir questo e ripeteva queste parole come un disco rotto, senza ascoltare le sue ragioni, senza provare a comprenderla. “Ho una famiglia! Ho due genitori che sono in pena per me, ho una sorella che ha dodici anni! Vuoi che io non li veda più?” scoppiava a piangere lei tutte le volte, e tutte le volte Romeo si inteneriva e cercava di consolarla. “Il nostro amore è più forte, tesoro. Il nostro amore basterà!” lei scuoteva il capo e si sottraeva al sua abbraccio. Non voleva la sua tenerezza, non in quei momenti. “Sono troppo piccola per andare via e poi... e poi ha ragione mio padre! Tu non sai fare nulla, non troveresti mai un lavoro ed io morirei di fame!” diceva delle cattiverie sapendo che erano cattiverie. Solo sedici anni.

 

Sedici anni sono pochi, troppo pochi per decidere del proprio futuro. Romeo, con sua grande sorpresa non ribattè, ma le prese una mano e rimase in silenzio. Lei non si sottrasse, spense per un attimo il pensiero e si protese tutta verso quel contatto.

Durò però solo un istante, perché fu riportata alla realtà dal ragazzo, che le stava, nuovamente, ripetendo quella verità che non voleva ascoltare “Non sei felice Juliet, non sei felice” diceva scuotendo la testa, senza lasciarle la mano. Lei giurò che l’avesse fatto apposta. Apposta per ferirla, per farla arrabbiare.

Si alzò in piedi, di scatto, quasi rovesciando la sedia. “Ora basta, si è fatto tardi, è meglio che vada” esclamò, di colpo fredda, sperando non si sentisse l’incertezza della sua voce. In un attimo era già sulla porta, e di nuovo Romeo le afferrava una mano, ma questa volta con forza e le parlava concitatamente, supplichevolmente “Ricordi? Ricordi quando eravamo insieme? Ho sognato il tuo sogno e adesso può essere realtà, è sufficiente che tu lo voglia...” lei cercava di scuotersi, muta, e di liberarsi, di scappare “Juliet, aspetta. Mi promettevi mari e monti...” abbozzò un sorriso, cercando, disperatamente ed inutilmente di convincerla. “tutto ciò che faccio è sentire la tua mancanza e del modo in cui stavamo insieme...” le ultime parole furono quasi un gemito di dolore, mentre lei, che era riuscita a divincolarsi, scappava via, veloce, per non ascoltare, non sentire e non lasciarsi contagiare. Non era questo che voleva, non facevano per lei quei sogni, era stato tutto sbagliato, e l’ultima cosa che avrebbe desiderato era ricadere in quell’errore.

Raggiunse, di corsa, casa sua e si sentì, finalmente, al sicuro. Appena potè chiudersi la porta alle spalle si fermò, ansante per la corsa.

Immaginò Romeo, ancora sulla porta, a guardarla andar via, ma non poteva far nulla per lui. Doveva pensare a salvar se stessa, non poteva far nulla per lui.

 

Era una limpida mattina. La sera prima avevano litigato, come mai era successo nella loro breve storia. Lei aveva ripetuto più volte di non volerlo più vedere, che era stato tutto un grosso, immenso sbaglio. Lui aveva replicato che lo sbaglio peggiore l’aveva commesso lui a dar retta a lei e che quanto prima avrebbe posto rimedio alla situazione. Si erano lasciati in collera. La mattina seguente Juliet, fissando il cielo terso, aveva sentito una piccola stretta al cuore, e la sua anima che urlava. Avrebbe fatto qualcosa che non aveva mai fatto, qualcosa che non aveva mai nemmeno pensato di fare: sarebbe andata a chiedere scusa. Percorse i pochi isolati che la separavano da casa di Romeo col cuore in gola, sperando segretamente che lui non approfittasse della situazione e si riconciliassero subito. Avrebbero trovato una soluzione. Una soluzione doveva esistere e loro l’avrebbero trovata. Avrebbero vissuto insieme, come avevano progettato, come avevano sognato tante volte. Era arrivata davanti a quella porta, così familiare, così rassicurante e aveva bussato, decisa. Con sua enorme sorpresa la porta le si era spalancata davanti, arrendevole. Era entrata, incerta, pronunciando appena il suo nome “Romeo...” ottenendo come risposta solo un gelido silenzio. Aveva vagato per quella stanza, aveva cercato negli angoli un indizio, qualcosa, e tutto ciò di cui si era accorta, con terrore, era che di Romeo, lì, non era rimasto nulla. Nulla. Non c’era più la sua chitarra, non i suoi pochi vestiti e nemmeno cibo nel frigorifero. Se n’era andato. Andato via. Per sempre. Le lacrime presero a scendere copiose dalle sue guance e lei non tentò nemmeno di fermarle. Finiva dunque così? Non c’era più speranza per lei?

 

Sera. La sua camera era un rifugio, un bel rifugio tutto sommato. Il letto, che solo quella mattina le era apparso così insidioso, ora le pareva un posto accogliente ed invitante. Sarebbe andata a dormire presto, se lo meritava dopo una giornata simile. Si spogliò ed indossò la camicia da notte. Si mise sotto le coperte sperando di prender sonno all’istante.

Invece non fece in tempo a chiudere gli occhi che lo sentì. Quelle note, quel modo inconfondibile di suonare. Scosse la testa e si alzò, mentre il terrore si impadroniva della sua anima, del suo cuore e, infine, di ogni fibra del suo essere. Andò alla finesta e spalancò le ante. “Romeo, mi hai quasi fatto venire un infarto!” come un rimprovero. Lui non disse una parola, ma si sistemò meglio sotto la luce del lampione, riprendendo a suonare. Juliet scuoteva la testa, mormorando “no, no, no, no, ti prego...” ma non serviva a nulla: lui, da lì sotto, non poteva nemmeno udirla.

La strada era abitata, presto si sarebbe affacciato qualcuno: cosa avrebbe detto ai vicini? “Mi hai quasi fatto venire un infarto!” lo apostrofò, sperando che se ne andasse presto che, scoraggiato, rinunciasse.

Lui non diceva nulla, e continuava a suonare “Non dovresti gironzolare qui, cantando così ad alta voce e poi...” tremava, e non riusciva a parlar coerentemente, avendo la sensazione di non essere ascoltata “...e poi Louis tornerà domani e...” avrebbe voluto dirgli ‘e non è bene che venga a sapere di questo’ ma la frase le morì in gola.

Romeo smise di suonare e la guardò. Quello sguardo la passò da parte a parte, lasciandola assolutamente immobile ed incapace di parlare. “Tu e io, tesoro, che ne dici?” la porposta, suo malgrado, risultò più allettante di quanto avrebbe voluto. Dovette costringersi, razionalmente, a rifiutare “Oh, Romeo, tu sei pazzo! Sei assolutamente pazzo! Io non posso...”

“Juliet!” la interruppe lui, col fuoco negli occhi “Quando capirai che ad essere sbagliati non eravamo noi? Non era il nostro amore? Erano soltanto i tempi... eravamo giovani, è vero, ma ora siamo sempre noi! Tu ed io, che ne dici?” le ripetè e lei ora piangeva scuotendo la testa, vigorosamente. “Non posso farlo” sussurrò “non posso davvero, Romeo, io ho una vita e...” si asciugò gli occhi con una manica della camicia e trovò la forza di continuare “...e questa, bella o brutta che sia, è la mia vita. Non posso cambiare ora, non ce la faccio e... non posso seguirti, Romeo, non posso” lui però quasi non l’ascoltava “Non posso fare tutto...” mormorava Romeo “ma farei qualsiasi cosa per te, lo sai... non so fare altro se non amarti...” e la tristezza era sul suo volto, come una maschera.

Lei provò una pena infinita per entrambi, per le loro vite che si erano sfiorate e non avevano saputo decollare insieme. Per come, una volta per tutte, stava mettendo la parola fine a tutto ciò che c’era stato di più importante, di più prezioso, in lei: i suoi sogni.

Lui, supplichevole, la guardava e lei per un attimo si sentì mancare. Tutto ciò che quello sguardo chiedeva era di non chiudere la finestra, di non andare via. Lei trasse un profondo respiro e si costrinse, ancora una volta, a pensare a ciò che aveva. L’affetto di due genitori. Di una sorella. Delle sua amiche, di Abigail e Miriam. E poi aveva Louis. Louis che presto sarebbe diventato suo marito, Louis che era benvoluto da tutti.

Romeo era ancora in strada, e aveva ripreso a suonare, sotto la squallida luce di un lampione arancione.

“Buonanotte, Romeo” sussurrò, pianissimo, Juliet, ma fu certa che lui l’avesse udita. Poi, in fretta, richiuse le imposte e si rifugiò nel letto, al caldo, ma non più difesa contro il mondo.

Le lacrime presero a scenderle, copiose, giù per le guance, fino al collo, quasi la soffocavano. Romeo, in strada, suonava ancora, lo sentiva.

 Avrebbe suonato per tutta la notte.

 

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Sono sempre meno convinta di questa cosa, ma ecco anche la seconda parte. Grazie a chi ha letto questa specie di storia contorta!xD

  
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