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Autore: baby80    23/03/2010    15 recensioni
Ho provato a immaginare il primo giorno di André a palazzo Jarjayes, e il suo incontro con Oscar... Anche questa storia è stata iniziata tempo fa, e modificata di recente, ed anche in questo caso la "mia" Oscar è a conoscenza d'essere una bambina. Sono indecisa se concludere la storia in questo modo, come una one shot, o se continuare a raccontare di André... ci penserò. Si accettano consigli.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei che questa notte non finisse, mai, nonostante il dolore che sembra non risparmiare nemmeno un centimetro del mio corpo.
Vorrei che il tempo si fermasse in questo istante, in questa notte satura di lividi e bellezza.
Lividi sulla mia carne, come pennellate di un folle pittore.
Bellezza sul suo viso, bellezza sul suo corpo costretto, bellezza sulla sua pelle candida, macchiata anch'essa da leggeri lividi, simili ai miei.
Bellezza in questo velo alcolico che me l'ha donata, che l'ha resa mia, per quest'unica notte.
Oscar giace sul letto, pesantemente addormentata dal troppo vino ingerito, la guardo dormire e non provo, in me, la colpa per questo gesto.
Questa notte i lividi comparsi sulla mia pelle hanno strappato il dolore del mio cuore, una piccola parte di quella sofferenza, che un tempo, credevo m'avrebbe ucciso.
Questa sera ho benedetto gli uomini che hanno riversato su di me la loro violenza, ringrazio quei poveri disgraziati per avermi fatto dono di un secondo di pace, allontanando le ferite dell'anima su cui vi è scritto il suo nome, quell'unico nome che il mio sangue sa riconoscere.
Oscar.
Il primo pugno sferratomi in pieno volto ha smosso il primo strato di sofferenza, il più leggero, quello dormiente.
Il secondo pugno, dritto nello stomaco, ha fatto cedere quel male che stagna costantemente nel mio essere.
Il terzo, il quarto, il quinto, fino ad arrivare ad un numero infinito di pugni e calci, hanno sciolto il dolore più profondo, cancellando, almeno in parte, quel nome scritto all'interno di me.
Quel nome, che è sinonimo di tormento, è emerso sulle mie carni, macchiandole con un insolito inchiostro.
Dolci e amari lividi, come macchie d'inchiostro, mi hanno aiutato, questa notte, a sfogare il veleno che potrebbe uccidermi, prima o poi.
Oscar dorme beatamente nel suo letto, ignara della mia presenza, del mio sguardo su di lei, e di quell'amore di cui vorrei farle dono.
Immobile contro la fredda parete, nascosto nel buio di questa notte che non può finire, veglio su questa donna che, ostinatamente, vuole recitare una parte che non è stata scritta per lei.
Veglio su questa donna che, ogni giorno, nasconde dietro algide maschere, quelle piccole parti di lei che ho sempre amato.
La bambina dispettosa.
Il demonietto biondo.
La piccoletta che amava leggere, nella biblioteca di palazzo Jarjayes, accoccolata al mio fianco.
La ragazzina che soffriva la lontananza da me.
La giovane donna che cercava, in me, un consiglio o semplicemente una parola di conforto.
Veglio su questa donna a cui hanno strappato le algide maschere, solo per questa notte, solo per me, forse.
L'alcool e la violenza di uomini sconosciuti mi han fatto dono di quel viso che non posso fare a meno di guardare, così dolce ed innocente.
Poso il verde dei miei occhi sul viso di Oscar e vi scorgo solo lei, pura e semplice.
Guardo Oscar e non vi è più sofferenza sul suo volto, non vi è più incertezza, non vi è più paura, e sopratutto non vi è più Fersen.
Ed è proprio a causa del Conte Hans Axel di Fersen che siamo finiti in una locanda di Parigi.


Sulla strada che ci sta riportando a palazzo Jarjayes, dopo una giornata passata alla reggia di Versailles, incrociamo un uomo ridotto male, in cui riconosciamo qualche istante dopo, un soldato.
Un soldato di ritorno dalla guerra in America e giunto nei dintorni di Versailles per consegnare, ad una famiglia che lui stesso non conosce, il poco che rimane di un compagno, perito in battaglia.
Oscar guarda il soldato con una sofferenza negli occhi da sembrare quasi paura, ed è paura ciò che vi leggo nell'azzurro del suo sguardo, terrore per qualcuno che ha lasciato la Francia da ormai 4 anni, ma che non ha lasciato il cuore di lei.
Accompagniamo l'uomo dalla famiglia a cui consegnerà i resti di quello che potrebbe essere stato, un marito, un figlio, un padre.
Ci congediamo dal soldato, augurandogli di poter iniziare una nuova vita, per quando potrà essere possibile, felice.

“André...”
“Si, Oscar...”
“Ho voglia di bere, portami in qualche taverna a Parigi.”
“Certo Oscar, seguimi.”

Spingiamo i cavalli al galoppo verso Parigi.
Conduco Oscar in una taverna modesta, cercando di evitare le bettole.
Ordiniamo ed Oscar inizia subito a bere, un bicchiere dietro l'altro, con la precisa intenzione di stordirsi, e forse, dimenticare.
Hai paura Oscar, posso leggere il terrore sul tuo viso, temi che lui possa morire.
Lui, il conte di Fersen.
Non è morto Oscar, non è morto ne disperso, ho controllato nei registri, l'ho fatto per te, perchè nonostante tutto non ho cuore di vederti così, indifesa e fragile, persa in un dolore che non conosci, e ancor di più, persa, travolta, sfinita da quell'amore che ancora ti è sconosciuto.

“Bere fa dimenticare le preoccupazioni.” dico, più  a me stesso, forse, che a lei.
“Comunque devi stare tranquilla Oscar, il conte di Fersen tornerà sicuramente. Io ho controllato e il suo nome non risulta negli elenchi dei morti o dei dispersi.”
Ma io potrei morire Oscar, rischio di morire ogni giorno, inconsapevolmente per mano tua, ucciso dall'amore che nutro per te, e dalla gelosia per le attenzioni e l'affetto che tu hai per Fersen.

“Perchè mi stai dicendo questo? Non lo voglio sentire.” mi dici, e sembra quasi un rimprovero, o l'ennesima maschera per celare la verità.

Non smetti di bere, Oscar, tracanni un bicchiere dopo l'altro come il più malato dei beoni.
Bere fa dimenticare le preoccupazioni, ma senza un limite può distruggere il corpo, ed è quello che stai facendo, devastandoti il cuore e il fisico.
Sto per allungare la mano, in un gesto che potrebbe costarmi caro.
Allungo la mano per impedirti di bere ancora ma l'oste mi precede, agguanta la bottiglia semi vuota e te ne porge un'altra, piena.
L'uomo, sporco e grasso, si rivolge ad Oscar con il sorriso sulle labbra.
L'oste è stupito, quasi quanto lo sono io, nel constatare la facilità con cui “questo bellissimo soldato” tracanni qualsiasi cosa gli capiti nel bicchiere.
Oscar rifiuta la bottiglia di birra che il grassone le sta offrendo, ma l'oste non è intenzionato a chiudere la questione con un “no, grazie”.

“Offrila a me, io ho voglia di bere.” cerco di attirare l'attenzione su di me, cerco, come ho fatto da tutta la vita, di proteggerla.
“Non l'ho offerta a te, ma a lui.” il sorriso scompare dal viso dell'uomo.
L'oste si fa sempre più insistente, e inaspettatamente la sua attenzione si concentra su un altro aspetto, che non riguarda l'alcool, l'uomo è incuriosito dal viso di Oscar.
“Non ho mai visto un soldato così bello.” dice, e qualche secondo dopo lo vedo posare le mani sulla testa di Oscar ed indurla ad alzare il viso, in modo che lui posso osservarlo meglio.
Perdo il controllo, quell'uomo ha superato il limite, tutto scompare attorno a me, divengo sordo a ciò che mi circonda, non sento più le urla degli ubriaconi, non odo più il rumore dei bicchieri sbattere sui tavoli, lei è il mio unico pensiero.
Lei e quelle mani che la stanno toccando.

“Toglile le mani di dosso!” un grido senza controllo mi fuoriesce dalla gola.

Ne nasce inevitabilmente una scazzottata, una rissa qualunque per gli ubriaconi della taverna, e forse anche per Oscar, una rissa con uno scopo, la mia, difendere la donna che amo.
Usciamo dalla taverna doloranti ma soddisfatti, ed ancora sulle nostre gambe, Oscar si poggia su di me, un braccio attorno alle mie spalle, un contatto fisico che è raro di questi tempi.
Godo della vicinanza di Oscar, senza malizia.
La osservo, senza essere visto, mentre contrae le labbra in una smorfia di dolore, e non posso fare a meno di pensare...

“Sei stata fortunata Oscar, non si sono accorti che sei una donna. Io me ne accorgo sempre invece, anche quando indossi l'uniforme, e sei una bella donna Oscar.”

Rido su questi pensieri, rido dei poveri stolti che non sono in grado di ammirare ciò che io ho dinnanzi agli occhi da anni, una bellissima donna, di una bellezza fuori dal comune.
Bellissima senza bisogno di fronzoli e belletti.
Una bellezza naturale e pura.
Percorriamo la strada che ci conduce a palazzo Jarjayes che è già tarda sera, e giungiamo a casa qualche minuto oltre la mezza.
Sistemo i cavalli nelle scuderie e invito Oscar a raggiungere, prima di me, il palazzo.
Ha un evidente bisogno di stendersi.
Compio ogni azione con una calma estenuante, mi duole ogni muscolo del corpo, preferirei abbandonare tutto e rimandare, al mattino seguente, qualunque cosa mi tocchi far ora, ma non mi è possibile abbandonare i cavalli, così come non mi è possibile lasciare a metà il mio lavoro, non l'ho mai fatto e non comincerò certamente ora, ubriaco o meno.
Devo aver passato una buona mezzora a fare quello che, in una situazione di normalità fisica e mentale, farei in 10 minuti.
Barcollo fuori dalle scuderie e, continuando a reggermi a fatica sulle gambe, raggiungo il portone di casa.

“Ah ah ah ah.”
“Oscar?”
“André... ah ah ah... credo d'essere caduta.”
“Lo vedo, Oscar.”
“Ho provato a rialzarmi ma... le gambe non mi danno retta.”
“Viene Oscar, aggrappati a me.”
Bizzarro detto da uno che a sua volta fatica a reggersi in piedi.
“Oh... si... grazie André.”
Oscar intreccia le mani attorno al mio collo, mentre le mie compiono lo stesso gesto attorno alla sua vita.
I miei occhi annebbiati dall'alcool scorgono il viso di Oscar di fronte al mio, vicino, così pericolosamente vicino da farmi perdere la ragione.
Sento il suo respiro caldo sulle labbra, ne posso distinguere gli aromi, vino, birra, liquore.

“André...” un soffio e le sue labbra a pochi centimetri dalla mia bocca, allontano, d'istinto, il viso, buttando indietro il capo, combattendo contro la stretta delle sue mani.
“Si...”
“Mi gira la testa...”
“Lo so Oscar, stai tranquilla, adesso ti porto nella tua stanza.”
“Grazie André... grazie... sei così caro.”
“Certo Oscar... certo.”
Barcolliamo entrambi verso la stanza di Oscar e con tremenda fatica riusciamo ad entrarvici.
Lascio Oscar cadere sul letto, per poi gettare, su di una poltrona, il mio corpo stremato.
La stanza mi gira dinnanzi agli occhi, non mi è possibile distinguere gli oggetti che mi sono attorno, tutto diviene un incomprensibile turbinio di colori.
Tento di riacquistare un minimo di lucidità e trovare la forza di trascinarmi fino alla mia stanza.
Mi alzo, e con mio immenso stupore, arrivo senza problemi alla porta.

“André...”
“Shhhh Oscar... cerca di dormire, da brava.”
“André... ho 26 anni... non 6.”
“Ah ah ah ah ah” non posso fare a meno di ridere.
“André! Non ridere!”
“Scusami Oscar, ma adesso cerca di dormire.”
“Ma... io non ho sonno...”
“Ah ah ah ah... sei certa d'avere 26 anni, Oscar?”
la sento ridere.
“Ah ah ah ah ah”
La vedo alzarsi dal letto e camminare nella mia direzione, l'andatura è incerta, ma sembra reggersi in piedi.
“Potresti rimanere ancora un po', André?”
“Oscar...”
“Puoi?”
Sto per risponderle, stupendo me per primo, che non è il caso che io rimanga nella sua stanza, ma le parole non fanno a tempo a nascere, le gambe le cedono improvvisamente.
Riesco a sorreggerla, sfidando i miei riflessi intorpiditi dal troppo vino.
L'accompagno di nuovo sul letto e questa volta mi ci siedo anch'io.
“Oscar, non ti alzare più, come vedi le gambe faticano a reggerti.”
“Va bene, rimango a letto, lo giuro... te lo prometto André... davvero... farò la brava.”
Vorrei ridere, di nuovo.
“Buonanotte Oscar.”
Mi alzo dal letto, o almeno ci provo, Oscar mi ferma bloccandomi il polso con la sua mano.
“Ti prego...” mi sussurra con gli occhi quasi chiusi.
“E va bene Oscar, rimango qualche minuto.”
La osservo tentare di togliersi la giacca dell'uniforme, le sue mani fanno sembrare un'azione così semplice, come qualcosa di assolutamente complicato.
“Ah ah ah ah” ride, Oscar, forse troppo rumorosamente.
“Shhhhh...”
Mi guarda, con gli occhioni azzurri, umidi di alcool... si porta il dito alle labbra imitando, a gesti, ciò che io ho espresso a parole.
“Si Oscar, shhhhh... non vorrai svegliare tuo padre.”
Mi guarda, di nuovo, per qualche secondo e poi ritorna, più concentrata che mai, ai bottoni dell'uniforme.
“Maledizione...”
Non ce la farà mai, mi dico.
“Aiutami.” una semplice richiesta che mi lascia tramortito, più dell'alcool che ho in corpo.
Obbedisco, come ho sempre fatto ad ogni suo ordine.
Oscar siede sul letto, le mani puntate sul materasso, le braccia teste, la testa leggermente gettata all'indietro, gli occhi chiusi e l'aria di chi sta per crollare.
Non posso dire se è per colpa dell'alcool che le mie dita stanno tremando, o per il disagio che provo in questo momento, fatto sta che, anch'io, come Oscar, fatico a sbottonare questa maledetta uniforme!
“Ah, lascia fare a me...” mi dice e con stizza posa le dita sui bottoni d'oro della giacca, sfiorando le mie, che ritraggo come fossero state toccare da tizzoni ardenti.
Riesce finalmente a togliere la giacca.
Toglie gli stivali e la guardo rannicchiarsi sul letto, come faceva da bambina.
“Oscar, cerca di dormire.”
“Ti ho detto che non ho per niente sonno, André!”
Si, sembra tornata bambina.
Come la  prima volta che ci ubriacammo insieme, tantissimi anni addietro, al matrimonio di Josephine.
“Oscar... fai la brava, chiudi gli occhi e prova a dormire.”
“Se chiudo gli occhi mi gira la testa.”
Non ha tutti i torti, mi dico.
“ah ah ah ah ah”
Sto per domandarle cosa ci sia da ridere ma un istante dopo le risate mutano in pianto.
Un pianto lieve ma chiaramente percettibile nel silenzio della notte.
“Oscar...”
“André... tu... credi che...”
Non ho bisogno di ascoltare il resto della frase. Io so.
“Si, Oscar, stai tranquilla. Tornerà.”
Fersen. Non vi è altro pensiero in lei. Neppure ora, in preda ai fumi dell'alcool, ha altre parole, se non queste, rivolte a lui.
“Devo andare Oscar. Si è fatto tardi. Buonanotte.” non posso più restare.
La ragazza è ostinata, si rimette a sedere sul letto ed afferra la manica della mia camicia, strattonandola con una tale violenza da  rischiare di strapparla.
“Oscar!”
Mi sorprendo a pensare che qualche volta mi verrebbe voglia di schiaffeggiarla, come si fa, spesso, con i bambini viziati e testardi.
Oscar mi conduce ancora di più verso di se e, lasciandomi senza fiato, mi abbraccia.
Un gesto inusuale per Oscar, per la donna-comandante con la quale passo ogni mia giornata.
Un gesto istintivo per la bambina dai riccioli biondi che si ubriacò, fino a dar di stomaco, al matrimonio della sorella.
Non trovo la forza o forse l'ardito di abbracciarla a mia volta, ricevo questo piccolo momento d'affetto, passivamente, lasciando che mi si riempia il cuore.
La stretta di Oscar perde d'intensità, la sento venir meno e accasciarsi, questa volta tra le mie braccia, che, con l'istinto che solo un amico d'infanzia e di un uomo innamorato possono avere.
La stendo delicatamente sul materasso e mi avvicino, per la terza volta, verso l'uscita.
Non posso.

Eccomi qui. Poggiato ad una fredda parete. Osservo colei che mi è stata concessa, come premio, per miracolo, o semplicemente per caso, questa notte.
Questa notte che non voglio abbandonare.
Oscar, l'amore della mia vita.
Oscar, tutta la mia vita.
Oscar, questo soldato che sta mutando, giorno dopo giorno, sotto i miei occhi, in ciò che per me è sempre stata, una donna.
Non posso smettere di guardarla, la donna che amo, e che non potrò mai tenere tra le braccia.
Non posso smettere di amare questa donna che, a sua volta, sta imparando ad amare un uomo, che non sono io.
Posso accettare tutto questo, posso accettare che lei, la mia Oscar, sia innamorata di Fersen.
Posso accettare l'amore che Oscar nutre per Fersen.
Accetto ciò che credevo non avrei mai potuto sopportare.
Indosso una maschera che ha i medesimi tratti del mio viso ed il migliore dei sorrisi dipinto su di essa.
Posso accettare l'amore che Oscar nutre per Fersen, posso accettare tutto, purchè mi si conceda di rimanerle accanto.
Indosso il mio miglior sorriso.
Posso accettare qualunque cosa, a patto che questa notte non giunga mai al termine, e mi permetta di continuare a posare il mio sguardo su di lei, Oscar, la donna che non posso smettere di amare.
  
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