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Autore: Juliet94    24/03/2010    0 recensioni
La mia storia ha inizio in una fredda mattinata nebbiosa di fine ottobre. Mentre aspettavo che passasse l’autobus che mi avrebbe portato a scuola, scorsi un ragazzo dirigersi verso la mia fermata, l’unica del paese in cui abitavo. Il ragazzo indossava una felpa viola col cappuccio calcato sugli occhi. Nonostante ciò, riuscì a scorgere un ciuffo di capelli neri che gli ricadeva sull’occhio sinistro. Il suo colorito era molto pallido e aveva due chiazze rosse sulle guance, segno che il freddo faceva il suo effetto. Era a circa un metro di distanza da me. Guardava fisso oltre gli alberi del boschetto vicino alla piazza dove si trovava la fermata. D’un tratto alzò lo sguardo e lo puntò su di me. I suoi occhi color del ghiaccio mi trafissero e per un attimo smisi di respirare. Fui scossa da un brivido. E non era solo paura.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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L’indomani mattina, quando aprii gli occhi, interrompendo il mio stato di dormiveglia, un timido raggio di sole illuminava la mia camera ed io ero stranamente di buonumore.

Era ancora presto ovviamente. Mi ero svegliata all’alba, e la scuola sarebbe iniziata fra due ore abbondanti.

Nonostante ciò, scesi giù dal letto e spalancai le finestre, lasciando che un soffio d’aria fredda m’investisse in pieno. Inspirai lentamente, guardando quella massa di nuvole grigie che minacciavano pioggia da un momento all’altro. Il momento che precedeva il temporale era elettrizzante. Mi era sempre piaciuto.

Fortunatamente quella mattina non c’era nebbia e già quello era un buon segno, per me.

Mi cambiai velocemente e corsi davanti allo specchio che avevo appeso al muro azzurro pallido della mia stanza. Mi sistemai i lisci capelli castani in una lunga coda e guardai attentamente la mia immagine riflessa nello specchio.

Il mio viso, leggermente ovale, era molto pallido, -sfiorava la tonalità biancastra-, e la mia carnagione chiara risaltava gli occhi verdi,  screziati di rosso.

Avrei potuto benissimo fare a meno di cacciare per oggi, ma allora il colore degli occhi sarebbe pian piano diventato sempre più rosso e se qualche umano, disgraziatamente, si sarebbe accorto del loro colore, sarebbe stato un guaio.

Perciò dovevo assolutamente andare a cacciare.

Pensai a ciò che stava per compensare lo spumante di ieri sera. La gola cominciò a bruciarmi, arsa dal desiderio. Si, dovevo cacciare. Meglio non correre rischi.

Uscii piano dalla mia camera e mi diressi verso quella di mio fratello, sostando davanti alla porta chiusa.

Mi aprì dopo mezzo secondo.

-Si?-, domandò, gli occhi dorati che mi scrutavano attentamente.

-Vado a cacciare, ci vediamo a scuola-.

Annuì e posò piano le sue labbra fredde sulla mia fronte.

-Ci vediamo dopo-, sussurrò.

Sorrisi.

Scesi le scale e mi diressi verso l’entrata. In un attimo ero già fuori.

Corsi nella foresta e mi fermai soltanto quando fui nel cuore della fitta vegetazione.

La fioca luce del sole non riusciva a entrare nel sottobosco, perciò mi trovavo più o meno al buio. Non era un problema: ci vedevo benissimo.

Una scarica di adrenalina mi pervase quando finalmente percepii l’odore di un branco di cervi. Si trovavano a circa un centinaio di metri da me.

Mi avvicinai di soppiatto, mimetizzandomi nel verde e tendendo le orecchie, pronta a scattare.

Individuai un cervo poco lontano da me, solo e inerme, che brucava l’erba.

Decisi che quella sarebbe stata la mia preda.

Povera creatura. Non sapeva che ormai la sua ora era giunta. Ma questa era la vita.

Prede e predatori. Non c’era nulla da fare. Avrei sacrificato la sua vita per quella di un mostro terrificante e ripugnante. Le avrei succhiato via la vita, distruggendole l’anima.

Scacciai via il pensiero e uscii dal cespuglio dove mi ero nascosta, scattando verso l’animale e lasciandomi guidare dall’istinto.

Il cervo non poté far nulla. Non ebbe il tempo nemmeno di provare paura. Ero troppo veloce.

Gli spezzai il collo rapidamente, cosicché non avrebbe sentito troppo dolore, e vi appoggiai le labbra bevendo avidamente il nettare prezioso, finché non ne rimase neanche una goccia.

Non appena ebbi finito, mi diressi lentamente verso casa.

Non aveva ancora iniziato a piovere.

In casa non c’era nessuno. Probabilmente i miei erano già andati in ospedale, -dove lavoravano da circa cinque anni-, e Matteo era a scuola. D’altronde mancava poco più di un quarto d’ora all’inizio delle lezioni. Avevo fatto un po’ tardi, meglio sbrigarsi.

Salii in camera mia, presi la tracolla con l’occorrente per la scuola, e mi infilai la giacca nera. Diedi un occhiata fugace allo specchio. Ora gli occhi erano di un verde brillante. Sorrisi e scesi in salone.

Uscii e chiusi la porta a chiave.

Non avevo preso l’autobus di proposito. Dovevo evitare Edward il più possibile.

Avrei voluto farmi una bella corsa, ma di certo non era il modo migliore per passare inosservati.

Andai in garage, sperando di trovare la moto di Matteo. E la trovai. Probabilmente aveva intuito che non avrei preso l’autobus quel giorno e si era diretto a scuola con la sua bella Porsche nera, lasciandomi la moto a disposizione. Di sicuro avrebbe dato nell’occhio, ma sperai che quel giorno tutti fossero abbastanza distratti dalla pioggia per notare una bella Porsche nel parcheggio scolastico. No, Matteo non era così stupido da parcheggiare nella scuola. L’avrebbe lasciata da qualche altra parte, nei dintorni.

Portai la moto fuori dal garage, che poi chiusi accuratamente.

La inforcai decisa, e mi diressi a scuola sfrecciando sulla strada.

Arrivai con dieci minuti di anticipo.

Parcheggiai la moto ed entrai in classe, sedendomi al solito posto.

Edward era già lì che parlava con alcuni compagni di banco. Non mi rivolse il minimo sguardo.

Non appena il professore entrò, ogni chiacchiericcio si interruppe e mi costrinsi a prestare attenzione alla lezione. Che noia. Sapevo quasi a memoria tutti i libri di scuola. Nessuno avrebbe potuto cogliermi impreparata.

Nonostante ciò, tirai fuori il libro di antologia e cercai di seguire la voce monotona del prof.

Quando finalmente suonò la campanella che indicava la pausa pranzo, sgusciai fuori dall’aula e mi avviai con calma in mensa. Durante il tragitto mi raggiunse Jessi Springs.

-Ehi Lily-, disse, affiancandomi mentre camminavo lungo il corridoio.

-Si?-.

-Sono contenta che verrai al mio compleanno-. Mi sorrise.

-E io sono contenta dell’invito. Chi ci sarà?-, domandai, curiosa.

-Tutta la classe, ovviamente. Penso che inviterò anche qualche vecchia compagna di classe che avevo alle medie-. Mi sorrise. Un ricciolo biondo le sfuggì dal grande chignon che traballava sulla sua testa ad ogni movimento.

–Ah, questi capelli non stanno mai a posto-, mormorò, cercando di aggiustarsi la ciocca con una forcina.

-Perché non li fermi con un cerchietto? Ti starebbero d’incanto e non avresti problemi-, dissi.

Lei ci rifletté un attimo.

-Forse hai ragione tu. Ci proverò-. Sorrise.

Ormai eravamo arrivati in mensa.

-Perché non ti fermi nel nostro tavolo? Così stiamo tutti in compagnia-, propose, indicandomi un tavolo dove erano seduti due ragazzi, -uno moro, l’altro biondo-, e tre ragazze, tutte castane, che ridevano e scherzavano tra loro.

-Mio fratello mi aspetta. Scusa, sarà per un'altra volta-, dissi, indicando Matteo che sedeva ad un tavolino appartato, davanti a un vassoio con una mela, una fetta di pizza e una Coca.

Non volevo lasciarlo solo.

Lei piegò leggermente le labbra all’ingiù. –Ok, allora ci vediamo dopo in classe-.

Annuii e andai al bancone a comprarmi la solita soda e una fetta di pizza.

Mi sedetti al tavolo di mio fratello e vi appoggiai il vassoio.

-Hai preso la moto stamattina?-, domandò.

Annuii e sorrisi. –Grazie-, sussurrai.

Alzò lo sguardo dorato su di me.

-Hai intenzione di andare alla festa di Jessi?-.

Edward ci sarebbe andato? Sperai di no.

-Non so…può darsi-.

Matteo non disse niente. Continuava a tormentare la sua fetta di pizza con le sue dita pallide.

Era leggermente nervoso. Qualcosa lo preoccupava. E sapevo benissimo di che si trattava.

-Pensi che verrà anche il tuo amico?-, chiese, dopo un attimo di silenzio.

-Spero di no-. Feci una smorfia al solo pensiero.

-Credo che dovresti andarci comunque-.

-Cosa?-, sbottai, guardandolo fisso negli occhi, per capire se stesse scherzando.

Sorrise.

-Non devi evitarlo. Comportati normalmente, o capirà che gli nascondi qualcosa. Se è veramente un Cacciatore, non sarà certo uno sprovveduto-.

Riflettei un attimo. Non potevo continuare ad evitarlo, come avevo fatto stamattina, o avrebbe avuto ancora più sospetti. La cosa migliore da fare era seguire il consiglio di Matteo. Aveva perfettamente ragione. Che sciocca. Avrei dovuto pensarci anch’io.

Non dovevo condizionarmi la vita per causa sua. Chi era questo piccolo insignificante essere umano che riusciva a mettermi in difficoltà solo con la sua presenza? Anche se era un Cacciatore, rimaneva pur sempre un essere umano, e non avevo motivo di temerlo più di tanto.

Anzi. Era lui quello che doveva temere me.

-Hai ragione. Penso che andrò alla festa-, conclusi, addentando un pezzo di pizza.

-Quando è?-.

-Sabato-.

-Hallowen?-, domandò, ironico.

Annuii.

Emise una risatina melodiosa.

Qualche ragazza lì vicino lo fissò imbambolata.

Non potei fare a meno di soffocare una risata.

Matteo mi guardò curioso.

Sapeva del fascino che esercitavamo sugli umani, ma pareva non farci molto caso.

Era ovvio che gli umani erano attratti da noi. Eravamo bellissimi. Creature demoniache nascoste da un viso angelico. Se solo avessero saputo che cosa eravamo veramente sarebbero scappati via urlando.

Il sorriso mi scomparve immediatamente dalle labbra.

Potevamo far credere agli umani che eravamo come loro, ma non potevamo ingannare noi stessi.

Guardai Matteo. Ora nei suoi occhi non c’era più curiosità. Mi fissava preoccupato, cercando di capire cosa mi avesse fatto cambiare così velocemente espressione.

Cercai di sorridere, ma il risultato non lo soddisfò.

Mi sfiorò la mano con le dita gelate.

-Andrà tutto bene. Calmati. Il tuo amico ti sta fissando-, sussurrò, gettando lo sguardo oltre la mia spalla, ad un tavolo poco lontano da noi, dove Edward era sicuramente seduto con gli amici. Non mi voltai a verificare.

Il buonumore di stamattina era svanito. Non sapevo se sarei riuscita a reggere altre due ore di lezione in sua presenza.

Strinsi un poco la mano di mio fratello, in cerca di un briciolo di sicurezza e conforto. Ricambiò con forza.

Quel poco di contatto fisico bastò a rinvigorirmi abbastanza da sopportare le ore di lezione che mi aspettavano.

In quel momento il suono della campanella indicò la fine della pausa pranzo. Mi alzai riluttante dal tavolo e gettai gli avanzi di cibo nella spazzatura.

Matteo fece lo stesso. Poi mi affiancò sorridendo.

-Ti accompagno in classe-, disse.

Annuii.

Qualche ragazza mi guardò con un filo di invidia. Chissà cosa avrebbero dato per essere al mio posto, in quel momento.

Fortunatamente non conoscevano la mia vera natura. In questo caso, l’ignoranza era una benedizione per gli umani.

Quando arrivai di fronte alla mia aula, Matteo mi lasciò.

-Tranquilla. Resisterai. Ci vediamo dopo-, sussurrò.

Nessuno lo sentì.

Entrai in classe seguita da qualche mia compagna, che subito si rimise al suo posto.

Mi sedetti al mio banco e attesi l’arrivo del professore.

Edward entrò dopo qualche minuto.

Mi lanciò un occhiata fugace e si sedette al suo posto.

Fortunatamente l’insegnante non si fece attendere.

-Goodmorning, students-.

-Goodmorning, teacher-.

La professoressa distribuì un test a sorpresa, visto che per oggi dovevamo aver terminato la lettura in inglese di Romeo e Giulietta.

Qualche ragazzo si guardò attorno preoccupato, in cerca di qualcuno che fosse impreparato come lui.

Il test era piuttosto facile. Le domande non richiedevano risposte particolarmente dettagliate, ma solo le linee generali.

Consegnai con un quarto d’ora d’anticipo e cercai di concentrarmi sulle venature del banco per non rivolgere la mia attenzione al ragazzo seduto in fondo all’aula, dall’altra parte della stanza.

Dopo qualche minuto anche Edward consegnò il test.

Mi concessi di lanciargli uno sguardo e trovai i suoi occhi di ghiaccio fissi su di me.

Ebbi un fremito, ma cercai di sostenere lo sguardo, finché non lo volse altrove.

Il suo dolce profumo speziato mi colpì allo stomaco, ma riuscii a controllarmi, visto che la mattina mi ero nutrita.

Non saprei descrivere come mi sentissi di preciso in quel momento. Ma dovevo assolutamente cercare di evitare ogni contatto visivo, per schermare la mia anima, -se l’avevo mai avuta-, dai suoi occhi inquisitori. Non volevo carpisse i miei segreti e indagasse nei più remoti angoli della mia coscienza.

Era l’unico essere umano che si era rivelato in grado di reggere il mio sguardo così a lungo.

Fortunatamente in quel momento suonò la campanella.

L’ora seguente fu la più rapida che avessi mai passato.

Forse perché non avevo per niente prestato attenzione alla lezione, intenta a pensare al miscuglio di emozioni che provavo al mio interno.

Quando sgusciai fuori dall’aula, al termine della scuola, trovai mio fratello che mi aspettava all’uscita.

-Tutto ok?-, domandò, guardandomi preoccupato.

Sulle prime non seppi che rispondere.

Lo guardai confusa.

-S-si-, sussurrai, dopo un attimo di silenzio.

Mi guardò scettico.

-Sto benone, fidati-. Ammiccai.

Lui si tranquillizzò un poco.

- Bene. Allora ci vediamo a casa-.

Annuii e mi diressi verso la moto.

Ovviamente Matteo non aveva parcheggiato nel cortile scolastico. Infatti uscì dal cancello della scuola e svoltò dietro l’angolo.

Inforcai la moto e sfrecciai sulla strada, impaziente di tornare a casa.

Non appena avrei preso la patente, mi sarei comprata anch’io una bella macchina come quella di Matteo. Dovevo aspettare ancora due anni, e dopo sarei stata maggiorenne come lui. Finalmente.

Arrivai a casa per prima e mi rinchiusi nella mia stanza. Decisi che il pomeriggio sarei andata in biblioteca. Avevo bisogno di leggere qualcosa.

Intanto mi costrinsi a fare i compiti di Latino, l’unica materia che non riusciva proprio ad entrarmi in testa e che detestavo con tutta me stessa.

Sospirai e aprii il libro, cercando di tradurre sensatamente le versioni che ci erano state assegnate dal prof.

La voce di mio fratello interruppe il mio tentativo di fare i compiti.

-Che fai?-, domandò, appoggiato allo stipite della porta.

Grugnii per tutta risposta.

-Ah. Latino, suppongo-.

Annuii. –Ma dimmi te: perché devo trovare un senso alla versione che in realtà un senso non ce l’ha??-, esclamai.

-Impegnati e ce la farai. D’altronde sei bravissima in tutte le materie, non perderti in un bicchier d’acqua. Basta applicarsi-.

-Bicchier d’acqua. È questo che pensa….-, borbottai fra i denti.

Sbuffò.

-Ok ti lascio in pace-. E se ne andò.

Mi concentrai sulla versione.

Fortunatamente riuscì a finire tutti i compiti prima delle 6, così da poter fare un salto in centro.

Indossai il cappotto e uscii di casa, diretta alla fermata dell’autobus. Avrei dovuto camminare per  un bel pezzo prima di raggiungerla. Non importa. Mi sarei fatta una corsa.

In quel momento iniziò a piovere. Fantastico. Perché non aveva piovuto stamattina?

Digrignai i denti, leggermente infastidita. La pioggia mi piaceva, ma solo se la guardavo dal vetro della mia finestra.

Mi inzuppai un po’ i capelli, ma riuscii a prendere l’autobus.

Non c’era molta gente. Anzi, c’era solo qualche vecchia signora che sicuramente aveva appena fatto la spesa e si affrettava a tornare a casa. In effetti, a quest’ora il cielo stava cominciando ad imbrunire.

Mi sedetti in fondo al mezzo e guardai lo scrosciare ininterrotto della pioggia, persa nei miei pensieri, come al solito.

Dopodomani sarei dovuta andare alla festa di Jessi. Matteo mi aveva consigliato di andarci per non far insospettire Edward. D’altronde, se non ci fossi andata Jessi sarebbe stata molto dispiaciuta e non volevo farla star male.

Comunque non era sicura che sarebbe venuto anche Edward. Non c’era bisogno di preoccuparsi così tanto.

Inoltre dovevo pensare al regalo adatto da fare a Jessi. Che cosa le sarebbe piaciuto avere?

Forse avrei potuto comprarle una collana o un bracciale. O magari un libro. Chissà.

Suonai il campanello e scesi in piazza.

Mi diressi verso la piccola ma ben fornita biblioteca della città, correndo sotto la pioggia e riparandomi sotto i portici davanti all’edificio.

Entrai e un occhialuta bibliotecaria mi squadrò da capo a piedi da dietro la sua scrivania.

Cercai di assumere la più angelica delle espressioni.

-Vorrei sapere se è possibile prendere in prestito questo libro-, dissi, porgendole un foglietto col titolo e l’autore del libro.

Lei lo prese colle sue dita grassocce, leggendolo attentamente.

Poi scrisse qualcosa al computer che aveva davanti. Dopo qualche secondo annuì lievemente.

-Certo-, affermò, -Vado subito a prenderlo-.

Attesi pazientemente finché non tornò con un piccolo volume verde tra le mani.

Le porsi la tessere della biblioteca e ritornò a scrivere al computer.

-Ecco a te-, disse, porgendomi il libro e la tessera.

-Grazie-. Mormorai un saluto e me ne andai contenta.

Finalmente avevo il libro che desideravo leggere da un pezzo. Me l’aveva consigliato Matteo.

Diceva che a scuola ne avevano letto qualche capitolo. Pensava che potesse piacere anche a me, visto che lui l’aveva molto gradito.

Bighellonai un po’ per la città, in cerca di un negozietto carino dove avrei potuto comprare un regalo a Jessi.

Attraversai la piazza e svoltai a sinistra, camminando lungo il marciapiede e dando un’occhiata alle vetrine.

D’un tratto scorsi una profumeria. Un profumo? Si avrei potuto regalargliene uno. Magari le sarebbe piaciuto. Anche a me piacevano molto, nonostante non avessi bisogno di usarli, visto che per gli umani avevamo un odore talmente delizioso che non c’era bisogno di aggiungerne un altro.

Decisi di entrare nel negozio.

Una miriade di fragranze mi colpì l’olfatto sensibile.

La commessa era già impegnata con un'altra cliente, quindi cominciai a fare una selezione dei possibili profumi che sarebbero piaciuti a Jessi.

Mi trovai di fronte a un enorme scaffale pieno zeppo di profumi dalla svariate forme e colori.

Di solito le fragranze preferite dalle ragazze della mia età erano la fragola o la vaniglia, profumi delicati ma molto gradevoli.

Ne provai qualcuna, ma nessuna riusciva a soddisfarmi: erano o troppo forti o troppo leggere e certe non avevano un profumo convincente.

Notai una confezione rossa con fregi dorati. Mi avvicinai e me ne spruzzai un po’ sul polso biancastro.

Delizioso. Sapeva di rose fresche. Dolce e delicato allo stesso tempo.

Decisi di comprarlo e mi diressi alla cassa, appoggiando la confezione sul bancone.

La commessa sorrise.

-Ottima scelta. È una fragranza particolare, molto buona. Te la devo incartare?-, domandò.

-Si, grazie-. Le rivolsi il sorriso più dolce e gentile che potei.

Sembrava simpatica. E aveva un buon profumo di vaniglia che stuzzicò un po’ la mia sete.

Incartò il regalo e lo mise in una sportina che mi porse gentilmente.

Le sorrisi.

-Ciao e grazie-. Non seppe fare a meno di ricambiare il mio sorriso.

-Arrivederci-.

Uscii contenta dal piccolo negozio, sicura che Jessi avrebbe apprezzato il regalo.

Camminai lungo il viale sotto i portici, dando ogni tanto un occhiata alle vetrine e alla piazza ormai semideserta.

D’un tratto ero ansiosa di tornare a casa.

Affrettai il passo e non appena svoltai l’angolo trattenni il fiato.

Edward.

Mi scrutava attentamente con uno sguardo indecifrabile.

Ero impalata di fronte a lui, paralizzata dai suoi occhi.

Con orrore notai che si stava dirigendo lentamente verso di me.

Ero terrorizzata, ma non lo diedi a vedere. Non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi nel panico. Se era veramente un Cacciatore, non poteva aggredirmi ora, o qualcuno l’avrebbe sicuramente notato.

Ormai era a pochi passi da me. Il suo dolce profumo,- di ciliegia, oserei dire-, mi colpì in pieno come la prima volta.

Che cosa stava per fare? Perché stava venendo verso di me? Aveva intenzione di parlarmi?

Cercai di controllarmi.

-Ciao-, disse.

Non avevo mai sentito la sua voce, perlomeno non così distintamente, nonostante il mio udito sensibile. A scuola parlava sempre piano, come se avesse paura di farsi sentire, e non avevo mai provato a concentrarmi sulla sua voce, -per il semplice fatto che volevo far finta che non esistesse-.

-Ciao-, risposi. La mia voce melodiosa riecheggiava nell’aria.

-Tu devi essere Lily-.

Pareva non provare affatto timore o imbarazzo nei miei confronti.

Strano che la mia presenza non lo scalfisse minimamente. Ma sapevo che probabilmente il suo comportamento non avrebbe dovuto sorprendermi.

Era un Cacciatore. Il mio sesto senso non sbagliava mai.

Annuii. Gettai una rapida occhiata intorno. Non c’era anima viva, a parte noi. Possibile che la gente non c’era mai quando doveva esserci?

D’un tratto mi spinse contro il muro, piazzandosi di fronte a me e bloccandomi ogni via d’uscita.

Avrei potuto benissimo dargli una spinta e farlo volare via, ma ero paralizzata.

Un misto di sorpresa e paura mi attanagliava lo stomaco.

Mi fissava stranamente. Gli occhi grigio-verdi puntati nei miei.

Mi si bloccò il respiro.

-So tutto-, sussurrò.

Cosa sapeva? E se veramente sapeva qualcosa, perché me lo stava dicendo?

Una marea di punti interrogativi mi spuntò nella testa, prima che il suo dolce profumo speziato mi investì in pieno. Sgranai gli occhi. Era ancora più forte e intenso di prima.

Cosa c’era di più inebriante del sangue umano? Potevo già sentirne il sapore sulla lingua.

La gola arse dal desiderio.

Cercai invano di controllarmi.

L’avrei morso.

Non m’importava più nulla di niente e nessuno.

Volevo solo affondare i denti nella sua carne tenera.

D’un tratto estrasse un pugnale dalla tasca, avvicinandolo alla mia gola con scatto fulmineo.

-Non ci provare-, sibilò. Molto probabilmente aveva intuito la mia intenzione. Ma cosa pensava di fare con un misero coltello?

Fortunatamente un soffio di vento improvviso spazzò via il suo dolce profumo, permettendomi di respirare e tornare a pensare lucidamente.

Cosa aveva intenzione di fare? Credeva davvero di potermi uccidere così?

Ringhiai e lo spinsi via forte, facendolo sbattere contro il muro, a una decina di metri da me.

Si rialzò velocemente da terra e si asciugò un rivolo di sangue dalla bocca.

Gli rivolsi tutta la violenza del mio sguardo.

Fremette appena. Ma era forte. Un normale essere umano sarebbe dovuto andare di corsa in ospedale.

Invece lui pareva non essersi fatto nulla. Un'altra conferma ai miei sospetti.

Purtroppo ora ne avrebbe avuta una anche lui.

Imprecai a denti stretti e mi avvicinai di scatto a lui.

Pochi centimetri ci distanziavano.

-Anch’io so tutto-, sibilai. Gli occhi fiammeggianti.

Mi rivolse uno sguardo indecifrabile.

Ci fissammo a lungo. Nessuno dei due voleva distogliere lo sguardo per primo.

Ma chi si credeva di essere questo stupido umano? Non sarebbe di certo stato un Cacciatore a uccidermi. Né ora né mai.

Gli rivolsi un ultima occhiata di sprezzo, prima di allontanarmi da lui e dal suo profumo inebriante.

-Non finisce qui-. La sua voce, seppur ridotta ad un flebile sussurro, giunse distinta alle mie orecchie.

Lo ignorai e svoltai l’angolo, guardandomi intorno nel caso qualcuno ci avesse visti.

Non c’era anima viva.

Mi diressi alla fermata, dove tra poco sarebbe passato l’autobus.

 

**************


ciaoooooo :) ed ecco anche il 2 chappy!! ok ho inserito un pò di azione altrimenti sarebbe risultato monotono....per quanto riguarda la spiegazione su Cacciatori & co. avrete presto chiarimenti...! ;)

fatemi sapere cosa ne pensate...

baci
giulia
   
 
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